Sahara Occidentale, la sfida dei territori liberati - LA CARTA RASD
Luciano Ardesi
Nigrizia maggio 2008
Nella calma apparente del conflitto del Sahara
Occidentale, pochi si sono accorti del sottile gioco delle parti tra il Fronte
Polisario e il Marocco. La posta in gioca sono i territori liberati, la parte
della Repubblica araba sahrawi democratica (Rasd) dove i sahrawi esercitano la
piena sovranità. Si tratta di un terzo del paese, situato a est del muro di
sabbia che lo spacca in due.
Il Polisario ha capito da tempo che, per contrastare
la politica “del fatto compiuto” – l’occupazione militare marocchina –, bisogna
opporre l’altra verità: il suo pieno controllo su una parte della Rasd. Per
questo motivo, moltiplica i gesti simbolici nei territori liberati:
celebrazione di anniversari e riunioni del parlamento. Da quando, nell’agosto
scorso, sono iniziati i colloqui diretti tra Rabat e il governo sahrawi in
esilio, il Fronte ha messo la Rasd liberata tra le sue priorità.
La scelta è stata ratificata dall’ultimo Congresso
del Polisario, celebrato nel dicembre scorso a Tifariti, nella zona liberata.
La reazione marocchina ha dato ai sahrawi la certezza di aver fatto centro.
Rabat, infatti, ha tentato di organizzare un “contro-congresso”, finito nel
nulla.
Il 27 febbraio, l’anniversario della proclamazione
della Rasd (1976) è stato festeggiato nuovamente nelle zone liberate. Una
fantomatica associazione marocchina ha minacciato di “marciare contro”. La
minaccia si è ripetuta a fine marzo, quando il Polisario ha annunciato le celebrazioni
per il 35° anniversario della propria creazione (maggio 1973), che si terranno,
sempre a Tifariti, il 20 maggio.
Il 22 marzo si è tenuta la più importante
manifestazione di protesta davanti al “muro della vergogna”. Nella Rasd
liberata, ma a poche decine di chilometri dal confine con il Marocco, oltre
2mila persone (per metà provenienti da Spagna, Italia e altri paesi europei)
hanno formato una lunghissima catena umana, che ha fronteggiato il muro sotto
gli occhi impotenti dei militari marocchini e la sorveglianza dei caschi blu
della missione Onu nel Sahara Occidentale (Minurso).
Nel frattempo, stanno partendo i primi progetti per
lo sviluppo della Rasd liberata. È stato istituito un ministero apposito. La
priorità è stata data all’acqua, agli ospedali e alle scuole, servizi
essenziali per la popolazione nomade che vi risiede e che, peraltro, riceve da
sempre aiuto dal Polisario. Oggi, però, si parla di veri e propri investimenti,
che, almeno simbolicamente, facciano da contrappunto a quelli marocchini nei
territori occupati (un miliardo di dollari l’anno solo per mantenere la
presenza militare).
Nell’ultratrentennale crisi del Sahara Occidentale c’è una sorta di tic nervoso che Rabat manifesta
ogniqualvolta è in difficoltà: tirare in ballo Algeri. È puntualmente accaduto
anche di recente. A corto ormai di argomenti, il governo marocchino
s’intestardisce nell’affermare che è necessario negoziare con… l’Algeria. A
metà marzo, nel quarto incontro diretto con il Polisario, non è riuscito a
imporre né ai sahrawi né all’Onu il suo progetto di “autonomia”. Risulta sempre
più evidente che a quel progetto manca qualcosa di essenziale: un pezzo di quel
Sahara di cui il Marocco vuol far credere di avere il controllo totale.
IL“LIBRO BIANCO” COSE FATTE, COSE DA FARE
Francesco
Belletti
(direttore
del Cisf)
Nel febbraio 2003 il Ministero del Lavoro e delle
Politiche sociali pubblicava il Libro bianco sul welfare - Proposte
per una società dinamica e solidale (cfr. la presentazione su Famiglia Oggi
n. 4/2003, pp. 84-87), inteso come «ilnaturale proseguimento del Libro bianco sul Mercato del Lavoro» del
documento veniva fissata anche Un’Agenda Sociale”, articolata su sei punti, con
una serie di obiettivi operativi specifici, da realizzare nei e negli anni
successivi: come ribadito nello stesso documento, «La proposta di varare
un’agenda sociale costituisce non solo il riconoscimento della dinamica
continua della materia e degli interventi proposti, ma anche della volontà del
Governo di procedere secondo scadenze prestabilite, facendo in modo che i
risultati siano trasparenti e facilmente verificabili da tutti».
A
tre anni di distanza dalla sua diffusione, e al termine del mandato di Governo,
appare quindi opportuna una verifica di quanto è stato fatto e di quanto rimane ancora da fare. Sulla base di
questa “ricognizione” (necessariamente sintetica, basata prevalentemente sui
dati pubblicati on-line da Governo e Ministeri, e senza poter analizzare
puntualmente dati quantitativi), si potrà quindi valutare quanto il Libro
bianco sia rimasto sulla carta, e quanto si sia invece trasformato in
operatività concreta.
In
analogia con quella approvata dall’Unione europea nel vertice di Nizza del 7-9
dicembre 2000, l’agenda sociale del Libro bianco è stata organizzata su sei macroaree
di intervento; per ognuna di esse venivano indicati gli obiettivi, i soggetti e
gli attori coinvolti, le priorità degli interventi, i riferimenti
internazionali e le altre politiche interessate. All’interno di ciascuna area
sono state evidenziate le azioni da realizzare nel breve-medio periodo, con
l’indicazione dell’arco temporale entro cui svilupparle e delle risorse
individuate per la loro realizzazione. In questo articolo ci si concentrerà,
area per area, soprattutto sulle “azioni da realizzare”, riportando l’obiettivo
così come esplicitato nel testo.
INGRESSO NELLA VITA E NEL MONDO DEL
LAVORO
Obiettivo: Favorire un armonico inserimento nella vita e
nel mondo del lavoro promuovendo la qualità della vita dell’infanzia e
dell’adolescenza e l’integrità della famiglia.
Gli interventi per alleggerire la pressione fiscale,
essenziali in questo primo punto, sono stati prevalentemente orientati al
“contribuente individuo”, e solo pochi interventi sono stati selettivi a base
familiare (da segnalare, in positivo, il raddoppio delle detrazioni per i figli
a carico, a partire dalle Finanziarie 2002 e 2003). Su questo aspetto ancora
molto rimane da fare, per una riforma fiscale realmente a misura di famiglia
(vedi richieste di “quoziente familiare” e simili). Trova spazio invece qui il
“bonus bebé”, 1.000 euro alla nascita di un figlio dal secondo in poi,
provvedimento avviato per i nati nel 2004 e riproposto per il 2006 (segnale
apprezzabile di attenzione alla natalità e ai carichi familiari connessi, ma
criticato perché una tantum e - da alcuni - perché insensibile al
reddito) Niente da fare invece per l’approvazione della legge sui servizi
socio-educativi (ancora in discussione in Commissione al Senato a settembre
2005), mentre particolarmente importante è stata l’azione sulla cura per la
prima infanzia, e in particolare sugli asili nido, sia aziendali che promossi e
gestiti dagli enti locali; su questo punto la valutazione è certamente
positiva, dal punto di vista quantitativo (numero di posti) e qualitativo
(promozione di iniziative da parte di associazioni, enti non profit,
famiglie...).
Rispetto al superamento degli istituti per minori,
l’azione del Ministero è stata abbastanza puntuale, e anche a livello locale
molte Regioni ed enti locali si sono attivati; resta ancora un forte
interrogativo sui dati relativi ai “minori non in famiglia” (vedi anche
l’ultima area dell’Agenda sociale), nonché sulla reale promozione dell’affido,
su cui il Ministero ha promosso a partire da fine 2004 una campagna specifica
di sensibilizzazione della pubblica opinione. Su questo punto peraltro le
responsabilità operative sono ormai pressoché totalmente demandate a livello
regionale e locale.
Non c’è traccia, infine, di “Consiglio nazionale della gioventù” o organismi similari,
all’interno delle policies di welfare (a meno di non considerare tali
gli organismi associativi di rappresentanza studentesca che fanno capo al
Ministero dell’Istruzione).
DIRITTO AI SERVIZI UNIVERSALI MEDIANTE
UNA NUOVA SOLIDARIETÀ
Obiettivo: Garantire il
diritto di tutti al “servizio universale” (servizi di base sociali e servizi di
base in senso allargato) mediante anche lo sviluppo di reti di solidarietà
formali e informali.
La promozione di una prospettiva sussidiaria ha
sicuramente caratterizzato l’azione di Governo, sia rispetto alla dimensione
verticale (responsabilizzazione delle Regioni e degli enti locali), sia
rispetto a quella orizzontale (valorizzazione di famiglie, reti informali,
associazionismo). Da segnalare a questo riguardo gli interventi della legge. n.
383 di promozione dell’associazionismo sociale, così come la “Più dai meno
versi” (legge 80 del 14 maggio 2005), che consente notevoli vantaggi fiscali
per le donazioni a enti no profit, e la recente disposizione “cinque per
mille”, in occasione della presentazione della denuncia dei redditi 2005, che
consente di destinare all’associazionismo una quota di tasse pari al cinque per
mille del proprio reddito (senza oneri per il contribuente).
Grave
invece appare la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni
(Lep), che costringono Regioni e enti locali a organizzare i servizi senza una
definizione condivisa e univoca a livello nazionale di quali siano i diritti
essenziali alle prestazioni in ambito socio-assistenziale.
Significativo è stato infine il sostegno economico a
favore delle giovani coppie sposate o in procinto di matrimonio per
l’acquisizione in proprietà della casa (nella Finanziaria 2003 almeno il 10%
delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali per le famiglie di
nuova costruzione e per il sostegno della natalità); anche questa iniziativa ha
visto azioni congiunte tra livello nazionale e regionale.
INCLUSIONE SOCIALE
Obiettivo: Attuare
percorsi di inclusione sociale rivolti alle diverse fragilità sociali e alle
fasce in condizione di marginalità o a maggior rischio di esclusione,
promuovendo azioni per il loro reinserimento e l’attivazione di reti di ultima
istanza.
In questo ambito la politica complessiva dei redditi
adottata dal presente Governo è stata al centro di forti attenzioni e
polemiche; certo gli interventi attuati non hanno avuto come obiettivo primario
la promozione della “inclusione sociale”, ma piuttosto la complessiva “rimessa
in moto dei consumi”, come conferma anche la mancata attuazione del “reddito di
ultima istanza”, pur esplicitamente previsto nell’Agenda. L’assenza di uno
schema nazionale di sostegno economico di contrasto alla povertà si è poi
“scaricata” sui servizi sociali locali, che intervengono in modo molto
eterogeneo sulle “famiglie povere”, fenomeno peraltro ancora fortemente
presente nel Paese.
Rispetto all’immigrazione, il Libro bianco esplicitava
solo un’azione puntuale sui corsi di lingua italiana per minori e adulti
stranieri, che ha peraltro trovato adeguato spazio anche nel documento
programmatico sull’immigrazione 2004-2006 (maggio-luglio 2005), tra le
“politiche per l’integrazione”, soprattutto attraverso protocolli di intesa con
le Regioni (che hanno la responsabilità operativa degli interventi, con
co-finanziamenti).
Per quel che riguarda infine l’integrazione dei
soggetti deboli attraverso l’inserimento lavorativo, non si può parlare di
rilevanti responsabilità a livello nazionale, data la forte prevalenza di
titolarità operative del livello regionale, che generano peraltro diverse
capacità di sfruttamento delle opportunità presenti (cfr. la capacità di uso e
valorizzazione del Fondo sociale europeo nelle varie Regioni).
AUTONOMIA PSICOFISICA
Obiettivo: Garantire l’accesso al lavoro e all’assistenza
per tutti quei soggetti che presentano gravi limitazioni alla loro autonomia
fisica e psichica.
Non è stato varato il Piano azionale per la non
autosufficienza, mentre i livelli regionali hanno necessariamente agito su tale
settore con vari strumenti di programmazione e finanziamento. Rispetto alla
disabilità, manca sia la formalizzazione di un programma straordinario di
intervento, riferibile peraltro al fatto che il Libro bianco è stato
pubblicato nel 2003, Anno europeo per le persone disabili, sia la realizzazione
del “testo unico” sulla disabilità (punti entrambi previsti nel testo); sarebbe
d’altra parte ingeneroso sostenere che la disabilità non sia stata oggetto di
attenzione da parte del Governo (cfr. la legge sull’amministratore di sostegno,
approvata a fine 2004 dopo un lungo iter, e la legge n. 67/2006, “Misure
per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di
discriminazioni”). Tuttavia non è stato conseguito l’obiettivo di fornire
“strumenti quadro” nazionali di sistema, entro cui Regioni, enti locali e altri
attori profit e no profit potessero agire più efficacemente.
COMUNITÀ
Obiettivo: Promuovere la coesione sodale degli individui e
delle famiglie mediante la costituzione di reti capaci, da un lato, di attivare
la solidarietà intergenerazionale, e, dall’altro, di favorire l’inclusione di
soggetti e gruppi a rischio di esclusione.
Molto rilevante e positiva è stata l’azione
dell’Osservatorio nazionale delle famiglie (cfr. anche il sito internet www.osservatorionazionalefamiglie.org),
con la realizzazione di percorsi di ricerca, pubblicazioni ed eventi realizzati
in varie parti del Paese.
Appare
invece ancora lontana la prevista rivisitazione delle norme sul volontariato
con un nuovo impianto normativo, anche se non va sottovalutata l’importanza
dell’ampio dibattito preparatorio promosso a livello nazionale e locale proprio
dal Ministero con tutte le componenti del volontariato e del terzo settore.
Risultato certamente importante è invece
l’approvazione della legge sull’impresa sociale (legge 13 giugno 2005, n. 118),
anch’essa a valle di un lungo e complesso dibattito parlamentare e con la
società civile.
Significativo
- e sicuramente innovativo - infine l’impegno del Ministero sul tema della
Responsabilità sociale d’impresa (Csr), come è facile riscontrare anche sul
sito del Ministero (www.welfare.gov.it), che ha coinvolto imprese e
organizzazioni di categoria del mondo profit in una riflessione di
grande portata per il futuro del sistema di welfare italiano.
MISURE DI CARATTERE ORIZZONTALE
Obiettivo: Garantire la messa a punto di una serie di
strumenti atti a favorire l’esecuzione delle misure di cui ai punti precedenti
e la loro verifica.
L’obiettivo si presenta come trasversale alle altre
aree di azione, ed è quello che meno riguarda direttamente i cittadini; esso è
però essenziale per il funzionamento dei servizi, nonché per la capacità stessa
di verificare l’efficacia e l’efficienza dei servizi rispetto agli obiettivi (e
dello stesso Libro bianco).
In questo ambito i risultati sono molto
insoddisfacenti: si riscontrano infatti numerose applicazioni a livello
regionale e locale (cfr. anche gli osservatori provinciali sulle politiche
sociali, ai sensi della legge n. 328/2000), ma manca ancora un framework unitario a
livello nazionale, che consenta una descrizione omogenea di servizi e bisogni
tra i diversi contesti territoriali (cfr. anche il nodo dell’anagrafe nazionale
dei minori, in riferimento alla prima area dell’Agenda sociale). Anche il grado
di attuazione della prevista interfaccia con sistemi statistici sovranazionali
(Eurostat, altri sistemi nazionali) è assolutamente insufficiente.
Molto è ancora da realizzare
Pur nella approssimazione di questa breve analisi, ci
sembra possibile sviluppare una breve valutazione complessiva sul grado di
attuazione del Libro bianco, dopo un triennio di attività; il quadro è
inevitabilmente non univocamente definito, ma sembra di poter concludere che il
confronto fra obiettivi operativi conseguiti e azioni non realizzate penda in
modo significativo su queste ultime; in altre parole, l’attuale Governo
consegna al prossimo molte azioni ancora da realizzare, tra quelle definite «da
realizzare a breve e a medio termine».
Difficile pesare, in termini qualitativi, il valore
delle azioni realizzate rispetto a quelle da realizzare; è certo per esempio
che l’approvazione della legge sull’impresa sociale, oppure l’intervento sul
“cinque per mille” siano risultati rilevanti, capaci di innescare processi
virtuosi di cittadinanza attiva e di reale sussidiarietà, migliorando quindi
l’assetto complessivo del welfare nazionale; d’altra parte, la mancata
fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni, così come il mancato avvio
di qualsiasi schema (anche sperimentale) di reddito di ultima istanza (per
limitarci solo a due aspetti) o la non definizione di un quadro normativo e
progettuale unitario sulla disabilità costituiscono “carene di sistema”
difficilmente giustificabili in una valutazione finale.
Certo occorrerebbe anche tenere conto di alcune
costrizioni, che hanno sicuramente reso molto difficile l’azione di Governo: in
primo luogo la indiscutibile pressione per una diminuzione delle risorse
disponibili, imputabile a vincoli complessivi di Governo, più che a volontà
specifiche del Ministero titolare delle azioni di welfare; in secondo
luogo la crescente tensione tra livello nazionale e regionale, nel periodo di
prima applicazione sia della legge. n. 328/2000, di riforma complessiva dei
servizi sociali, sia del processo di decentramento di responsabilità connesso
alla riforma del capitolo V della Costituzione, che ha spesso bloccato, per
iniziativa regionale, progetti sperimentali innovativi del Ministero (per
esempio, quelli sulla disabilità adulta, cioè i progetti sul “dopo di noi”,
promossi dal Ministero e mai realizzati per il veto delle Regioni, così come
sui nidi aziendali).
Un
quadro, quindi, con qualche luce, a volte anche molto brillante, e molte ombre,
qualcuna veramente scura, su questi anni di attività, che lascia anche al
prossimo Governo un complesso compito di riprogettazione del sistema di welfare;
ci sembra peraltro che su due aspetti generali occorrerà particolare
vigilanza, qualunque sia il prossimo ministro in carica: da un lato occorrerà
spendersi perché il peso specifico delle politiche di welfare aumenti,
perché la spesa sociale sia considerata sempre meno come costo assistenziale e
sempre più come investimento preventivo sul capitale sociale; dall’altro, in
sintonia con la prima parte del Libro bianco qui analizzato, di fatto
dimenticata, occorrerà attuare una reale riconversione “a misura di famiglia”
delle politiche sociali nel loro complesso, nonché l’attivazione di politiche e
misure specificamente familiari (in primis quelle fiscali), capaci di
“fare la differenza”, in termini anche quantitativamente significativi, a
favore delle famiglie.
«ASSEMBLEA PERMANENTE PER
di Maria Longhi Vicenza
Il progetto di costruzione di una nuova base militare
americana a Vicenza era stato visionato dall’amministrazione comunale berica
nel 2004, ma solo nel 2006 la cittadinanza ne è stata informata dal Giornale
di Vicenza, il quotidiano locale.
Attualmente l’esercito americano ha, nella città di
Vicenza e nei comuni circostanti, una caserma, un villaggio residenziale, due
basi sotterranee, sulle quali vige il più rigoroso segreto militare, e due centri
logistici.
Il progetto che aggiunge una nuova caserma e un nuovo
villaggio residenziale, ha scatenato una forte reazione in gran parte della
cittadinanza, sia per l’impropria collocazione della caserma, al centro di un
territorio densamente abitato, sia perché l’amministrazione comunale in carica
e i due governi nazionali che si sono susseguiti hanno dimostrato una totale
indifferenza al dovere di informazione e una ancora più grave intolleranza
verso percorsi di trasparenza democratica.
La cittadinanza si è mobilitata e sono sorti numerosi
comitati, orientati prioritariamente alla raccolta e divulgazione di
informazioni, ma anche alla ricerca di possibili alternative al progetto, che
alcuni presentano come un volano economico per la provincia vicentina. Anche il
mondo cattolico si è inserito in questo dibattito, a partire dall’interrogativo
se sia eticamente accettabile affidarsi, in questo particolare contesto
storico, a un’economia fondata sulle armi. Gruppi spontanei, commissioni
«Giustizia e pace», singoli credenti, dopo un iniziale smarrimento di fronte al
silenzio dei vertici della chiesa locale, hanno iniziato un percorso di
discernimento che si va progressivamente approfondendo e radicando nelle
comunità.
Una di queste è la comunità cristiana di Quinto e
Valproto, sul cui territorio comunale dovrebbe sorgere il nuovo villaggio
militare americano. Per conoscere il loro percorso abbiamo incontrato il
parroco, don Fabrizio Cappellari, che ci ha raccontato quanto segue.
«Tutto è cominciato il primo di novembre 2006, al
cimitero. Si parlava di “testimoni”; cioè di persone che hanno segnato la vita
del nostro paese, della nostra storia. Come loro, anche noi ci troviamo di
fronte a eventi che ci interrogano. Oggi per noi sono la base e il villaggio
militare. Ho chiesto alla comunità di fermarsi e riflettere.
Abbiamo poi organizzato una serata pubblica, alla
quale è intervenuta anche l’amministrazione comunale, che in quell’occasione si
è impegnata a promuovere nuovi incontri informativi e una consultazione
popolare per verificare il consenso sull’operazione.
Il consiglio pastorale ha prodotto un documento dove
si esprime la contrarietà della parrocchia al villaggio in quanto collegato
alla base militare. Lo abbiamo inviato all’amministrazione comunale di Quinto,
a tutte le famiglie, ai consigli pastorali e amministrativi dei paesi confinanti
e per conoscenza al vescovo.
Dopo di questo, si è costituito un gruppo spontaneo
che ora sta prendendo la forma di una «Assemblea permanente per la pace». Vuole
essere un segno di incontro e di dialogo, che ogni domenica si apre per
iniziative sui temi della pace, della giustizia, della legalità. Stiamo
cominciando a parlare anche di mafia; vogliamo fare esperienze di incontro con
la realtà del Sud che non conosciamo, per capire, per dare una mano se serve.
Vogliamo stare calati nella realtà quotidiana
mantenendo un orizzonte ampio per non rischiare di venire fagocitati da
monopolizzazioni politiche, da prese di parte. Per non diventare solo il
«comitato no» alla tal cosa.
Sullo specifico del villaggio abbiamo fatto degli
incontri in preparazione della consultazione popolare tenuta il 15 aprile.
Abbiamo voluto invitare degli esperti di urbanistica, diritto e d’impatto
successivo, cioè su quello che resterà, quando gli americani se ne andranno.
Faremo ancora incontri sulla guerra, su cosa lascia dietro di sé. Vogliamo
tenere viva l’attenzione, perché non si tratta solo di costruire case, bisogna
avere chiaro il disegno complessivo.
Per i credenti, la militarizzazione del territorio e
la corsa agli armamenti in atto è contraria al vangelo. E anche tacere non è
evangelico. E’ così chiaro che l’esperienza cristiana evangelica è una
esperienza di non violenza.
E noi che
possiamo farlo abbiamo il dovere di interrogarci e operare, perché si cambi
direzione, anche nella gestione dei conflitti internazionali. Sono stato un po’
di tempo in Camerun, come missionario. Lì la gente non ha modo di pensare alle
caserme, allo sfruttamento di cui sono oggetto. Noi che abbiamo cibo e lavoro
garantiti, abbiamo il dovere anche nei loro confronti di capire e operare.
Stare fuori da questo interrogarsi è peccato. Uno può anche essere favorevole a
questo sistema, se proprio vogliamo. Quello che non si può accettare è
l’indifferenza, il sentirsi fuori, perché questo è un venir meno al nostro
dovere di cristiani».
L’eurodeputata Viktoria Mohacsi
evidenzia che da un paio di mesi la polizia entra negli accampamenti e fa dei
controlli indiscriminati nel cuore della notte. Alcuni vengono prelevati e
tenuti in custodia per 48 ore, subendo maltrattamenti.
Non è con questa modalità che un
Paese democratico ricerca la sicurezza, sottolinea. Se si sospetta che in un
accampamento si possano nascondere dei delinquenti, si procede con le indagini,
il fermo, l’accusa ed il rinvio a giudizio. Ma non è quello che sta succedendo.
La campagna xenofoba lanciata dalla coalizione del governo Berlusconi, sta
alimentando la persecuzione verso tutta la comunità romena.
Ricorda che in febbraio era stata
inviata una lettera aperta a Berlusconi, rimasta inascoltata, per evitare l’insorgenza
della violenza.
Ritiene poi incomprensibile la
norma per ottenere la cittadinanza italiana, che distingue tra sangue e terra.
Si verifica perciò che la terza o quarta generazione di rom nata in Italia da
padri provenienti da Paesi non comunitari, in fuga dalla guerra dei Balcani,
non ha né diritti di cittadinanza né di asilo politico.
La questione è all’esame dell’Agenzia dei Diritti Fondamentali, però, conclude, se