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L'estrema destra europea prepara una grande manifestazione contro l'Islam

Clarín (Argentina) del 11.08.08
di Julio Algañaraz


L'estrema destra europea, pregna di fascismo e di ideali nazisti, ha trovato il suo imprescindibile nemico nell'Islam e ieri è stato annunciato che organizza una grande concentrazione contro la costruzione di una moschea a Colonia, in Germania, per il mese di settembre, dopo le vacanze nell'emisfero nord. Uno dei personaggi protagonisti della manifestazione sarà il deputato Mario Borghezio, esponente della Lega Nord nel governo conservatore di Silvio Berlusconi, che è stato condannato dalla Chiesa italiana due giorni fa dopo il giuramento guerriero armato contro i musulmani in una chiesa genovese.

I trionfi nelle varie elezioni nazionali dei partiti di estrema destra e xenofobi rafforza le azioni contro gli immigrati clandestini e l'ostilità verso gli islamici perché si sentono protetti dalla ondata conservatrice che si vive in Europa.

La concentrazione di Colonia, una delle principali città tedesche, vuole essere l'atto di fondazione dei gruppi "neri", con il tentativo di dare vita ad una "dichiarazione di Colonia" contro "l'islamizzazione dell'Europa". Dal momento in cui la comunità islamica di Colonia ha deciso di costruire la più grande moschea tedesca con due minareti di 55 metri di altezza, il progetto si è trasformato in un detonatore del malcontento istigato dalla estrema destra.

La grande manifestazione del 19-20 settembre concentrerà nella città fondata dai Romani tutti gli utramontanismi del Vecchio Continente. In Germania il gruppo organizza il meeting si chiamata "Pro-Colonia" ed i suoi membri si proclamano "attivisti della giustizia di destra", contrapponendosi "ai difensori del multiculturalismo e del gran capitale".

Il suo principale punto di riferimento è il partito neonazista NPD, i cui deputati due anni fa si ritirarono dal Parlamento Europeo, quando venne rese omaggio alle vittime del campo di sterminio di Auschwitz.

Assicurano la loro presenza a Colonia il fondatore del "Fronte nazionale" francese, Jean-Marie Le Pen, il leader del partito dell'estrema destra fiamminghi del Vlaams Belang, Filip Dewinter; gli orfani del pensionato Jorg Haider, noto come "il Fuhrer d'Austria" e, naturalmente il deputato italiano.

Borghezio è il personaggio più colorito, amato e detestato del partito xenofobo, nell'intimo separatista, di milioni di sostenitori nel nord Italia, che sognano di allontanare dalla "Padania" (la regione settentrionale inventata come patria congetturale) gli islamici, i "terroni" del sud italiano e il maggior numero possibile di immigrati. Non del tutto, perché in realtà gli stranieri dei paesi più poveri sono essenziali.

Ma Borghezio, che era solito con alcuni amici spruzzare i treni per "disinfettarli" quando vedeva neri o arabi, organizza provocazioni quasi quotidianamente. Ha inoltre portato i suini ad urinare su terreni acquistati da musulmani che avevano ottenuto il permesso di costruire moschee nei comuni italiani.

Due giorni fa tuonò davanti l'altare della chiesa di San Giovanni a Genova, un sito storico del XIII secolo, che "noi cavalieri combattenti proteggeremo la cristianità ora e per sempre. Promettiamo di difendere con ogni mezzo necessario il cristianesimo dalla profanazione dell'Islam". La dichiarazione di guerra, completata da un scenario di bandiere della Lega Nord e spade medievali, ha provocato una dura reazione da parte l'arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza Episcopale italiana, il Cardinale Angelo Bagnasco.

Pubblicato in Mondo Oggi - Geopolitico
Venerdì, 08 Agosto 2008 20:19

LA MAFIA NAPOLETANA E I ROM

LA MAFIA NAPOLETANA E I ROM

di Fabrice Rizzoli* - “Liberation”, 4 agosto 2008

(abstract)

Il 13 maggio (2008 – n.d.t.) un’ondata di violenza si è improvvisamente abbattuta sui rom che vivono nel quartiere Ponticelli di Napoli. I loro campi, i cui occupanti erano stati precedentemente allontanati dalla polizia, sono stati saccheggiati e incendiati dagli abitanti del quartiere. La popolazione di Ponticelli ha “giustificato” la rappresaglia con il tentato rapimento di una bimba di sei mesi compiuto due giorni prima da una sedicenne rumena fuggita da una casa di accoglienza per minorenni. Da rumeno a rom il passo è breve, ci sono solamente due sillabe.
In Italia, come dappertutto in Europa, i rom vivono in condizioni spaventose: i campi di fortuna installati in discariche abusive o sotto i ponti sono isole di miseria nel cortile dell’occidente. Qui come ovunque i rom vivono – o piuttosto sopravvivono - di accattonaggio e della vendita di metalli di recupero. I rom sono stanziali da ormai lungo tempo e tuttavia continuano a soffrire dei pregiudizi multisecolari che gravano sui popoli nomadi, i gitani, gli zigani, i manouche. Durante la seconda guerra mondiale i “ladri di polli e di bambini” si sono ritrovati accanto agli ebrei, sterminati nei campi nazisti.
Nel quartiere napoletano di Ponticelli oltre 1500 rom vivono all’interno di “microcampi” costituiti ciascuno da una dozzina di baracche installate su discariche illegali o sotto i ponti. Il quartiere non è immune dalle influenze della mafia. Esso è controllato dal clan Sarno. Ciro Sarno, il capo del clan, è in prigione, ma i suoi luogotenenti continuano a obbedirgli. La mafia ha autorizzato i rom a vivere sui suoi territori dietro pagamento del pizzo, un’imposta di 50 euro al mese. Il clan consente in questo modo ai rom di chiedere l’elemosina e di gestire le discariche illegali. Ogni giorno essi visitano i garage, le officine e le aziende della zona per fare incetta di batterie e di altri materiali inquinanti; le imprese pagano dai 5 ai 15 euro per sbarazzarsi di tali materiali. Il clan autorizza altresì i rom a rubare negli appartamenti. In compenso è stato loro interdetto il centro di Ponticelli, là dove gli uomini della camorra vendono droga. Cos’ha spinto gli abitanti di Ponticelli a prendersela con i rom? Dietro la popolazione c’è ancora una volta la mafia: fra le persone fermate dalla polizia in occasione delle manifestazioni e dei disordini comparivano le donne di mafiosi e alcuni complici della camorra dalla fedina penale pulita. È sufficiente che si presenti una buona occasione (il tentativo di rapimento, i cui contorni rimangono peraltro da chiarire) perché la mafia passi all’azione. Un’azione assai proficua sotto diversi punti di vista. Innanzitutto la mafia mette in ridicolo lo stato italiano, che si rivela incapace di proporre soluzioni concrete al problema dell’immigrazione rumena. Agli occhi della popolazione, inoltre, il clan – correndo in aiuto di una bimba rapita e liberando il quartiere dai “ladri di galline” – si pone come garante della giustizia. La mafia ha ulteriormente aumentato il proprio capitale di consenso sociale a Napoli. Ma queste espulsioni in chiave mafiosa potrebbero nascondere un’operazione di speculazione immobiliare. Le terre bruciate durante i disordini del 13 maggio fanno parte di un piano di urbanizzazione. Da meno di un mese sono state indette gare d’appalto per la costruzione di residenze, appartamenti, scuole e ospedali. Un finanziamento di 7 milioni di euro è già disponibile. Ma, se i lavori non dovessero iniziare prima di agosto, alcune persone perderebbero denaro. Chi?

* Fabrice Rizzoli è consulente di criminologia presso il “Centro francese di ricerche sull’informazione”.

Pubblicato in Mondo Oggi - Geopolitico

Una cortina di fumo per occultare problemi di fondo

da La Nación del 30.07.08

Roma (dalla nostra corrispondente) – I soldati pattugliano le strade delle principali città italiane. Lo stato di emergenza contro l'immigrazione clandestina. Quasi 160.000 nomadi nelle mira del censimento considerato discriminatorio.

Molti italiani ritengono che, con misure populiste, il governo di Berlusconi non solo cerca di nascondere una gravissima situazione economica, ma inoltre allontana l'Italia dai valori morali ed etici, i difesa dei quali è già intervenuta l'Unione Europea.

I sondaggi indicano che la maggior parte degli italiani sono soddisfatti della pesante mano di Berlusconi. Ma d'altra parte, il controverso magnate e premier italiano sembra cogliere questa psicosi diffusa di insicurezza e di immigrazione clandestina – fomentata anche dai suoi mezzi di comunicazione –, per far dimenticare che il Parlamento ha appena approvato una legge che garantisce la sua immunità.

Non sono pochi gli analisti che sottolineano che vi è una grande contraddizione tra la normativa recentemente approvata (che, in realtà, lo salverà in caso di condanna in primo grado in un processo per corruzione) e questo tentativo di dimostrare, con militari e stati di emergenza, un forte impegno a favore di "legge e ordine".

Parlando quasi esclusivamente di emergenza, di insicurezza, di barbara invasione di immigrati senza documenti distrae l'attenzione dall’altra grave emergenza: l’insofferenza delle tasche degli italiani, che già non riescono ad arrivare fine mese.

Un recente rapporto ha indicato che questa estate tra i 20 ed i 21 milioni di italiani andranno in vacanza con una media di 9 giorni, due in meno dell'anno scorso. Coloro che andranno in vacanza rappresentano circa il 40% dei 48 milioni di italiani nella maggiore età, 2 milioni in meno rispetto al 2007. Si tratta di una riduzione del 10% rispetto allo scorso anno, a causa della mancanza di denaro (i salari sono fermi da anni), il costo del carburante, alle stelle, ed i prezzi troppo elevati a causa di inflazione.

In questo contesto, il governo preme su l’ondata dei clandestini – vittime della fame e della guerra nei loro paesi – stando in agguato. E forse si dimentica di un altro possibile stato di emergenza se, da giorno all’altro, i 650.000 immigrati clandestini che lavorano in Italia venissero espulsi. Cosa faranno centinaia di famiglie italiane che si affidano a baby-sitter filippine, peruviane e boliviana, o le migliaia di anziani che sopravvivono grazie alle badanti che gli assistono? Perdita di valori.

Al di là di quella realtà, per molti italiani che conoscono la storia, o che hanno parenti che partirono per il Nuovo Mondo a "fare l’America" quando in Italia c’era gente che letteralmente moriva di fame, risulta umiliante l'attuazione di una politica di immigrazione come quella di Berlusconi, confinata nella discriminazione e nella xenofobia, come accusata dall'Unione Europea.

E’ anche molto umiliante per coloro che ricordano un'altra Italia, che manteneva alti i valori morali ed è stata membro fondatore della Comunità Economica Europea, e che oggi riceve continue tirate d’orecchie da parte delle istituzioni create a seguito di quel sogno europea. In questo senso, ci sono quelli che sottolineano che, così come in altri momenti di turbolenza è stato grazie all'intervento dell'Unione Europea che l'Italia è riuscita a rimanere ancorati a un blocco di economia di mercato, ora “l’azione pedagogica” dell'Europa si estende niente meno che all'etica.

“La ripetuta adozione di misure di emergenza per il controllo dell’immigrazione sembra indicare che i vari provvedimenti non sono in grado di gestire un fenomeno che non è nuovo e deve essere trattato con misure ordinarie”, afferma il rapporto su l’Italia del Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, divulgato ieri. “Inoltre, le frequenti modifiche delle disposizioni legislative in materia di immigrazione vanno a scapito della certezza del diritto”, aggiunge.

Pochi giorni fa, tra i disordini causati dalla dichiarazione dello stato di emergenza per il flusso di straordinario degli extracomunitari, anche il Vaticano ha esortato l'Italia a rispettare i diritti umani degli immigrati. Un simile appello era stato fatto in precedenza, quando si stabili la registrazione della popolazione nomade.

Andrea Bonanni, un giornalista de La Repubblica, riassume bene ieri, nel suo blog, la situazione: “Da sorvegliato speciale per la politica economica, l’Italia sta diventando un sorvegliato speciale per i valori fondamentali che costituiscono l’essenza stessa di una democrazia. E’ un segno del degrado del Paese su cui, a mio avviso, non riflettiamo abbastanza. Ma che dovrebbe comunque indurci a rallegrarci dell’esistenza di un ‘cane da pastore’ europeo, che si sforza di frenare la deriva di questo governo”.

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Giovedì, 31 Luglio 2008 00:46

WTO: il ring non serve più

Non poteva avere un esito diverso.

La scommessa di Pascal Lamy di siglare un accordo dopo sette logoranti anni di negoziato appariva una missione impossibile; troppi i punti ancora aperti e troppa la distanza fra gli annunci e le proposte concrete. Stanotte, leggendo le dichiarazioni dei ministri accorsi a Ginevra e impegnati in questa maratona da nove giorni, sembra di essere tornati indietro al 24 luglio 2006, quando andò in scena un copione identico a quello odierno. Anche allora occorreva più flessibilità e flessibilità non ci fu; anche allora gli Stati Uniti accusarono India e Cina di essere venute a Ginevra senza proposte serie che fornissero agli esportatori americani qualcosa sufficiente a contraccambiare le offerte USA in materia di spesa agricola (offerte che in verità nessuno vide).
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Mercoledì, 23 Luglio 2008 23:14

CAPRO ESPIATORIO ROM

CAPRO ESPIATORIO ROM

di Alex Zanotelli
Nigrizia giugno 2008

Mentre si aggrava la crisi dei rifiuti, è scoppiata a Napoli la caccia ai rom. Non è una novità. Non sono assolutamente sorpreso che sia accaduto un putiferio di questa portata. È necessario analizzare bene ciò che è successo, per capire e per trarne una lezione importante.

L’innesco ai fatti è stato dato da una donna di Ponticelli, una delle periferie degradate e povere di Napoli: ha accusato una ragazzina rom di essere entrata in casa, sabato 10 maggio, e di aver tentato di rapirle la figlioletta. Gli inquirenti ci diranno come si sono svolti i fatti. Intanto, però, la gente di Ponticelli ha reagito e ha cominciato ad attaccare i campi rom. Ce n’erano almeno 4 o 5 e sono stati dati alle fiamme. La polizia ha tentato di arginare questa guerra tra poveri, ma senza risultati. Le comunità rom sono fuggite o sono state scortate dalla polizia fuori da Ponticelli. Una crisi davvero brutta, che potrebbe propagarsi.

Lavoro da anni con il Comitato civico pro-rom, legato alla Rete Lilliput, che raggruppa numerose associazioni. Per questo, ho avuto la possibilità di conoscere da vicino la situazione e ho potuto visitare buona parte dei campi rom di Napoli. Ci troviamo di fronte a una realtà drammatica, con decine e decine di campi, dislocati nel comune e nella provincia, che ospitano circa 4.000 persone.

Devo ammettere che, per quel che ho avuto modo di vedere girando l’Italia in lungo e in largo, Napoli è una delle situazioni più difficili nel nostro paese sul versante rom. Quando, qualche anno fa, arrivai a Napoli, visitai il campo rom di Caloria e subito andai con la mente alla baraccopoli di Korogocho (periferia di Nairobi, Kenya), dove avevo vissuto a lungo. All’epoca, scrissi alle autorità napoletane, dicendo che avevo visto qualcosa di peggiore di Korogocho. E su questo ebbi uno scontro durissimo con il prefetto, al quale ribadii che trovavo scandaloso che i rom fossero buttati fuori dai campi, senza che avessero un posto dove andare.

In ogni caso, in questi anni, si sono fatte molte lotte a favore dei rom a Torre del Greco, a Torre Annunziata, a Ercolano e un po’ ovunque nel Napoletano. Abbiamo sempre cercato il dialogo con le istituzioni. Abbiamo messo in piedi tavoli istituzionali, dove si è dialogato e ci si è scontrati. E qui devo ribadire che le istituzioni hanno fatto pochissimo.

Una delle cose che abbiamo continuato a chiedere è che la provincia o il comune diano uno spazio dove portare le migliaia di container della Protezione civile che stanno letteralmente marcendo nel Casertano. In questo spazio fornito di acqua e elettricità, in questi container potrebbero trovare riparo tutti i rom del Napoletano. Ma non siamo riusciti a ottenere nulla.

C’è poi la questione rom-camorra, che non va dimenticata. Qui a Napoli nulla si muove che la camorra non voglia. Tanto che gli stessi rom di Ponticelli pagavano il pizzo alla camorra per poter abitare nelle loro baracche. Camorra che usa i rom per alcune sue attività criminali e che non si può escludere abbia progetti edilizi proprio nelle aree occupate dai campi nomadi.

Tornando ai fatti di Ponticelli, sono rimasto scioccato dalla reazione dei napoletani, persone estremamente tolleranti. Cos’è accaduto? È accaduto che l’onda lunga del razzismo e della xenofobia, nonché l’ossessione della sicurezza — esplose durante l’ultima campagna elettorale e incarnate non solo dal partito berlusconiano ma anche dal centrosinistra — si sono fatte sentire anche a Napoli. Questo dovrebbe indurci a comprendere che, se si va avanti con questo tipo di atteggiamento, si rinverdisce la logica dei pogrom. Non possiamo accettare una logica del genere.

I rom sono diventati il nuovo capro espiatorio per la pace sociale italiana. Dobbiamo avere il coraggio di gridare: “Guai a chi tocca i rom!”. Lo dico al governo Berlusconi e anche al Partito democratico: non creiamo un capro espiatorio, perché sarebbe ripetere lo sbaglio che gli esseri umani hanno più volte fatto nella loro storia.

Per queste ragioni, ritengo fondamentale che la chiesa debba esprimersi con forza e con durezza. Soprattutto il mondo missionario — il più vicino agli ultimi, ai poveri, a coloro che non contano — deve far sentire la propria voce e schierarsi dalla parte dei rom, pronto a pagare in prima persona.
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IL MIGRANTE CHE SI TRASFORMA, DIETRO DI SÉ LASCIA TANTI PROBLEMI

di Egidiu Condac
direttore Caritas Romania
Italia Caritas / Marzo 2008





L’economia del paese ancora non abbastanza sviluppata, la possibilità della libera circolazione delle persone nell’unione europea, la recente adesione all’Ue: sono questi i fattori che hanno generato l’alto livello di migrazione dalla Romania verso i paesi più sviluppati d’Europa. Il fenomeno è molto più ampio a partire dalle zone “povere”: attualmente, il nord-est del paese rappresenta la regione con il minore livello di sviluppo, soprattutto a causa del basso livello di urbanizzazione. Non a caso, è anche l’area da cui muovono le ondate migratorie più ingenti.

Una caratteristica dell’emigrante rumeno, molto più di qualunque altro emigrante, è quella di “rifarsi” la biografia: all’estero egli si “trasforma, perché si sente imbarazzato dalla sua origine, dal paese di provenienza, dal comportamenti dei concittadini; di conseguenza tende a “nascondersi”. Questo però ha come conseguenza che molti emigranti rumeni, prima persone rispettabili, serie, magari caratterizzate anche da una fede religiosa, finiscono per diventare prostitute, ladri, mendicanti, trafficanti di persone, in ogni caso delinquenti. Ma è nel paese d’origine che si scontano molti effetti sociali problematici. Anzitutto, l’età media delle comunità invecchia e la forza di lavoro viene decimata dall’emigrazione: il disavanzo è reale e si sente sempre di più. Gli emigranti, con l’andar del tempo, trovano posti di lavoro migliori e ricevono stipendi mediamente elevati per gli standard rumeni (anche oltre 1.500 euro nei paesi Ue), dunque fanno piani per stabilirsi per sempre nel paese di destinazione insieme alle famiglie: la tendenza allo spopolamento ne risulta accentuata.

Gli effetti negativi si osservano anche sul tessuto della famiglia, pure gratificata, in molti casi, dagli intuibili benefici economici: l’emigrazione determina la crescita del numero di divorzi, contribuisce a far abbassare il tasso di natalità, incoraggia rapporti di coppia meno stabili (si riduce il numero dei matrimoni e si innalza l’età media in cui ci si sposa). Inoltre, molto pesanti si rivelano le prolungate assenze di uno dei due genitori (più frequentemente il padre), anche se a recarsi all’estero sono talvolta entrambi: la qualità della comunicazione e del rapporto affettivo con il genitore assente ne può risentire, soprattutto quando ad allontanarsi è il padre e quando l’assenza si fa prolungata. Del resto, quando a partire è la madre, l’affidamento dei figli al padre o ai nonni suscita problemi nelle relazioni tra chi rimane. In ogni caso, la situazione generale può indurre nei ragazzi una forma di disinteresse per la scuola e per il lavoro in genere: ai problemi familiari si aggiunge infatti il falso mito circa il fatto che il lavoro all’estero, a cui pensano sin da bambini, sia una strada facile, che permette di guadagnare un sacco di soldi. Infine, non bisogna sottovalutare gli effetti spirituali: molti tra coloro che partono si allontanano dalla Chiesa, dai sacramenti, da Dio.

Rientri alcolici, partenze temporanee

Anche i ritorni spesso sono problematici: un grave problema è rappresentato dalle persone che, in seguito a un insuccesso sul piano sociale e professionale all’estero, tornate nel paese d’origine ricorrono all’alcol o sviluppano comportamenti devianti. Anche la differenza tra gli stipendi ricevuti nel paese d’origine e all’estero e lo statuto di “benestante”, avuto e poi perso, possono determinare un disagio psico-sociale foriero di gravi conflitti interni. Particolare attenzione va inoltre posta, quando si parla di ritorni, a certe categorie: studenti laureati in università straniere, popolazione rom, vittime del traffico di persone, minori senza famiglia, rimpatriati dalle autorità straniere.

Una tensione può insorgere anche sul piano dei valori e dei rapporti comunitari: l’affermazione, il successo, i soldi e la conseguente capacità di spesa possono non essere accettati dalla comunità d’origine, ciò che conduce a forme di disadattamento di chi ritorna. In molti casi, però, si registrano anche effetti positivi: un maggior benessere complessivo delle comunità d’origine per effetto delle rimesse dei migranti e l’avvio di imprese produttive e commerciali (piccoli negozi, specialmente in ambiente rurale, ma anche attività nei settori del trasporto, del commercio e dell’agricoltura) possono alimentare uno sviluppo comunitario.

La riflessione su dinamiche ed effetti del fenomeno deve tenere conto anche dei mutamenti (a partire dal 1991, dopo la caduta del regime comunista) dei meccanismi di migrazione dei romeni. Anzitutto, si sta consolidando il passaggio da un’emigrazione permanente a una prevalentemente temporanea. Inoltre, si sono sviluppate forme nuove di migrazione:

la Romania è diventata addirittura paese di transito per i migranti (spesso illegali) provenienti da paesi terzi, che ambiscono a raggiungere lo spazio Ue.

Sul versante legislativo, le norme adottate in Romania sono di carattere prevalentemente reattivo, per raggiungere la conformità alle richieste europee, più che tese a definire una politica migratoria con obiettivi ben definiti.

Un lavoro importante da compiere, infine, ha per destinatario l’opinione pubblica rumena: su questo versante, non si può affermare che i mass media abbiano portato un valido contributo a una presentazione e a una comprensione fedele del fenomeno nella sua complessità. Si presta un’attenzione speciale agli aspetti negativi e sensazionalistici, meno all’orientamento dei migranti, pur in presenza di uno scenario segnato da molteplici incertezze e componenti di rischio (clandestinità, corruzione nella gestione dei documenti, azione di soggetti criminali) - Anche in questo campo ci sono molti passi da fare, pur nella consapevolezza che l’attenuazione dei flussi in uscita e il cambiamento della loro natura (si prevede che le partenze saranno sempre più legali e controllabili) aiuterà a stemperare gli elementi più problematici e drammatici che hanno finora contraddistinto il panorama migratorio rumeno.
Pubblicato in Mondo Oggi - Geopolitico
Giovedì, 26 Giugno 2008 11:58

Mai senza l’Altro

In risposta al clima sociale, politico, e culturale italiano ed europeo nei confronti dei migranti, gli Istituti Missionari italiani hanno preso posizione. Vi proponiamo il testo del documento finale.

Lettera della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Istituti Missionari (CIMI) alle comunità missionarie in Italia, nel contesto del corrente clima sociale politico culturale in relazione ai migranti.

Siamo missionari/e, cioè, migranti.

Abbiamo passato buona parte delle nostra vita altrove, da “stranieri”. Come tali ci siamo sentiti accolti, amati, e abbiamo convissuto esperienze esaltanti di incontro, scambio e arricchimento. Nei giorni di guerra e conflitti, alcuni/e di noi sono stati protetti e salvati da coloro che ci “ospitavano”.

Conosciamo per esperienza la “debolezza” di trovarsi in un Paese “straniero”. Quegli anni e quei volti e quelle speranze ci hanno resi più attenti e vulnerabili; ci hanno aperto gli occhi sulla realtà del nostro mondo; ci hanno trasformati!

Come missionari/e, siamo profondamente feriti da quanto sta accadendo nella nostra terra nei confronti dei migranti.

Ci preoccupa il “virus” che gradualmente sta infettando non solo parte della nostra società, ma, purtroppo, anche porzioni delle nostre stesse comunità missionarie! Un “virus” che spinge a considerare immigrati, rom, i “senza documenti”, come gente che ruba ed è violenta, come “il nemico” che minaccia la nostra sicurezza.

Come missionari/e, siamo profondamente indignati perché persuasi che ogni attentato perpetrato alla dignità della persona si afferma come radicale negazione di un comune progetto di umanità che insieme abbiamo la responsabilità di costruire.

La criminalizzazione dei migranti e il conseguente tentativo di farne il “capro espiatorio” per una crisi sociale che ha ben altre radici ci amareggiano e ci spingono a dissentire dallo spirito che sembra prevalere nella società.

Ci sembra di riconoscere lo stesso “virus” che ha coinvolto, attraverso il crescente ricorso alla violenza e alla logica della competizione e della manipolazione mediatico-politica, il nostro tessuto sociale, minandone le difese “civili”.

Come cittadini, siamo preoccupati del rinnegamento dei valori portanti di una Costituzione con la quale ci identifichiamo e che, seppur faticosamente, ha offerto negli anni spunti e prospettive di solidarietà e civile convivenza.

Come discepoli di Cristo, rimaniamo sconcertati nel constatare come episodi di intolleranza, giustizia sommaria, discriminazione ed esclusione abbiano potuto trovare terreno fertile anche in varie comunità cristiane. Questi fatti gettano una luce particolarmente inquietante sul tipo di Vangelo e di evangelizzazione che in tutti questi anni la Chiesa, cui apparteniamo e di cui siamo espressione, ha proclamato e testimoniato. Siamo, infatti, persuasi che il “virus” della paura dell’altro deve essere combattuto anche attraverso la nostra predicazione, l’accoglienza evangelica e la testimonianza quotidiana di ospitalità.

Vogliamo esprimere solidarietà e vicinanza ai nostri fratelli e sorelle migranti, assicurando loro che non saranno mai soli in questo viaggio di speranza comune.

Invitiamo le nostre comunità missionarie e quanti/e hanno a cuore la dignità della persona e i valori del Vangelo a contrastare in ogni modo la logica violenta dell’esclusione e della criminalizzazione dei migranti. Mettiamoci insieme per continuare a creare spazi di ospitalità e di dialogo, che soli assicureranno il germoglio di un futuro più umano per tutti.

Il futuro della nostra società è legato ai nostri cuori aperti e ospitali.

Mai senza l’altro!


Commissione Giustizia e Pace
Conferenza Istituti Missionari in Italia

Limone sul Garda
27 Maggio 2008
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Vent’anni a difesa dei cittadini consumatori. Adiconsum, associazione promossa dalla Cisl, li festeggia proprio nel momento in cui molti italiani sono alle prese con l’inasprimento dei mutui per l’acquisto della casa. Fabio Picciolini, segretario nazionale di Adiconsum, chiarisce meccanismi ed effetti, in Italia, della crisi importata dall’America.
E ragiona su come evitarne altre.

Crisi dei mutui cosiddetti subprime.
Negli Stati Uniti migliaia di famiglie sono rimaste senza una casa. Da noi qual è la situazione reale?

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INVASIONE? È IL MOMENTO DI IMPARARE A CONOSCERSI

di Oliviero Forti e Manuela De Marco
Italia Caritas / Marzo 2008

Primo gennaio 2007: Romania e Bulgaria entrano a far parte dell’Unione Europea Un evento storico - ennesimo passo di un processo di allargamento ormai decisamente proiettato verso est -, ma anche foriero di timori e preoccupazioni. I precedenti stadi dell’allargamento non avevano prodotto, almeno in Italia, effetti così immediati e polemici, tali da ingenerare nell’opinione pubblica sentimenti contrastanti, come quelli a cui si è assistito in seguito all’arrivo di centinaia di migliaia di persone, soprattutto rumeni, nel nostro paese.

Che ne è, un anno dopo l’apertura delle frontiere (ma giova ricordare che gli arrivi di massa si erano consolidati negli anni precedenti, come ha ribadito di recente un rapporto di Ecas, centro studi di Bruxelles), delle ansie diffuse di quanti paventavano un “pericolo invasione”’ riferendolo in particolare ai rom, minoranza cospicua (ed emarginata) in Romania? La questione, soprattutto su quest’ultimo versante, presenta aspetti complessi, che Caritas (promotrice nelle diocesi di molte iniziative di accoglienza nei confronti dei rom e protagonista di un confronto istituzionale sia in sede governativa, sia con gli enti locali) non ha mai sottaciuto. Al contempo, va ricordato che l’applicazione delle leggi e la sicurezza sono valori condivisi anche dalla maggior parte degli immigrati. E non meno rilevante è la questione relativa alla tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale e lavorativo, che ha nella Romania uno tra i principali paesi di partenza e transito delle vittime. D’altro canto, anche considerati questi problemi, Caritas Italiana aveva affermato, in un documento all’indomani dell’allargamento, che la “aumentata presenza (dei migranti romeni, ndr) costituisce un ulteriore arricchimento della comune casa europea, ma anche un’opportunità per l’Italia (...). Risulta positiva la possibilità di questi lavoratori di circolare liberamente e di continuare a inserirsi nel mercato del lavoro come badanti, colf, operai edili, metalmeccanici e stagionali, senza essere più soggetti alla complicata procedura del decreto flussi e dello sportello unico”.

Quanti sono davvero?

Nei fatti, è stato evidente, negli ultimi dodici mesi, l’intensificarsi dei flussi dalla Romania verso l’Italia, anche se una quantificazione risulta impossibile. In passato, almeno per i regolari, si poteva conoscere il numero di permessi di soggiorno. Oggi, venendo meno quest’obbligo, non si è in grado di sapere quanti si trovano sul territorio nazionale. Anche i dati anagrafici, basati sul numero dei residenti, non sono esaustivi, poiché non tutti effettuano la prescritta registrazione, né richiedono, come prevede la legge, un permesso comunitario per soggiornanti di lungo periodo. Inoltre la consapevolezza di non poter essere espulsi, poiché una direttiva europea esclude categoricamente l’espulsione di un cittadino dell’Unione che si rende responsabile di un’irregolarità amministrativa, ha contribuito al processo di insediamento e permanenza non dichiarati. L’esito è una presenza rilevante di persone e lavoratori che appare contraddittoria: sappiamo che si tratta di concittadini europei, ma al contempo non li percepiamo come tali, tanto che molti ritengono che dovrebbero continuare a essere assoggettati alle regole che disciplinano ingresso e soggiorno in Italia degli extracomunitari.

L’impressione generalizzata è che alla rapidità con cui si è addivenuti all’inclusione della Romania nell’unione europea non sia corrisposta un’efficace capacità di governare le conseguenze del processo. Il quadro, purtroppo, è stato aggravato da una serie di eventi di cronaca (culminati nell’omicidio di Giovanna Reggiani a Roma, nello scorso autunno), la cui eco mediatica ha rafforzato un diffuso senso di insicurezza, tanto da indurre il governo Prodi a disporre misure restrittive nei confronti dei cittadini europei, emanando un decreto d’urgenza con il quale si è disposta la possibilità, da parte dei prefetti, di espellere chi si rende responsabile di gravi atti contro l’ordine pubblico.

La consapevolezza dei limiti del provvedimento non deve far trascurare il fatto che il paese chiedeva e chiede segnali in questo senso. I motivi sono molteplici, certamente riconducibili a un’incapacità, da parte delle istituzioni, di accompagnare in maniera adeguata; sotto il profilo culturale, ancor prima che normativo, le conseguenze migratorie del processo di allargamento. Ogni afflusso massiccio da altri paesi è stato vissuto in Italia, nel recente passato, come un’inaccettabile invasione e questa volta non costituisce un’attenuante il fatto che ad arrivare siano cittadini comunitari. Per molti italiani si tratta semplicemente di stranieri che, spinti dal bisogno, si rendono responsabili di fatti criminosi. La stragrande maggioranza della popolazione italiana fatica a considerare i rumeni (e soprattutto i rom) alla stregua di francesi, inglesi o anche polacchi: a costruire questa percezione contribuiscono le distorsioni mediatiche e le strumentalizzazioni politiche, ma ciò accade anche perché, nei fatti, si tratta di un’immigrazione diversa, che necessita di tutte le attenzioni che andrebbero riservate ai flussi provenienti da paesi emergenti.

Inefficacia delle politiche

Questa constatazione, però, non deve spingere ad atteggiamenti di chiusura o, peggio, a compiere passi indietro rispetto a un processo di integrazione comunitaria necessario e ormai avviato. Tale fenomeno va agevolato nei modi e nei tempi più opportuni, anzitutto attraverso una maggiore conoscenza da parte di chi è chiamato a lavorare con questi migranti. Il convegno dell’8 febbraio, organizzato dall’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, in collaborazione con Caritas Italiana e Migrantes, ha costituito un primo passo nella direzione di un cammino di conoscenza reciproca e di documentato confronto. Oltre a delineare un quadro sulle caratteristiche dell’immigrazione romena in Italia, ha approfondito il punto di vista degli stessi immigrati e illustrato, attraverso l’intervento di un rappresentante di Caritas Romania, i problemi che la sostenuta emigrazione sta comportando per lo stesso paese neocomunitario. Nel convegno è stato trattato anche l’emblematico caso spagnolo, che presenta diverse analogie con quello italiano, riguardo sia all’integrazione dei migranti che alla questione rom, riacutizzatasi, nella percezione dell’opinione pubblica, con l’inizio della libera circolazione.

Proprio su questo punto si dovranno compiere ancora molti progressi: le relazioni hanno sottolineato l’inefficacia degli interventi sinora adottati dalle istituzioni nei confronti delle popolazioni rom, i cui membri (tanti, peraltro, di nazionalità italiana, benché molti siano ormai i rumeni), sono spesso privati dei più elementari diritti legati alla tutela della persona fisica e della dignità umana. Le esigenze di sicurezza che l’opinione pubblica manifesta dovranno conciliarsi, in proposito, con misure, altrettanto legittime e necessarie, di accompagnamento e integrazione sociale: non è escludendo, che l’Europa può consolidare la sua identità, la sua sicurezza e il suo benessere.
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RAPPORTO UNICEF. LOTTA ALLA MORTALITÀ INFANTILE
OBIETTIVO LONTANO

di Carlo Stella

Nigrizia marzo2008

Il Rapporto Unicef 2008 sulla condizione dell’infanzia nel mondo, presentato a gennaio, focalizza l’attenzione sulla mortalità infantile. Il tasso che la esprime (numero di bambini morti entro il 5° anno su 1.000 nati vivi) è un indicatore sia della salute dei bimbi sia della politica di un paese. Una delle ragioni per riproporre questo tasso di mortalità al centro dell’analisi è rappresentata dal fatto che uno degli Obiettivi di sviluppo del Millennio ha l’ambizione di ridurlo dei 2/3 entro il 2015. Ma il traguardo appare lontano.

La sfida è enorme. Ogni giorno muoiono, per cause facilmente evitabili, 26mila bambini sotto i 5 anni (oltre un terzo entro il primo mese di vita). La quasi totalità vive in paesi del sud del mondo. Ciò significa che 9,7 milioni di bambini sono morti nel 2006, prima di raggiungere i 5 anni. Una situazione drammatica, appena attenuata dal fatto che, per la prima volta, nonostante la crescita demografica, il numero di bambini morti entro quell’età è sceso al di sotto dei 10 milioni (20 milioni nel 1960). Dal 1990 in poi il tasso di mortalità infantile è costantemente diminuito e oggi è del 72‰ (quasi un quarto rispetto al 1990).

Per raggiungere l’obiettivo, nei prossimi sette anni si dovrà ridurre della metà il numero dei decessi infantili, riportandoli a 13mila al giorno, o a 5 milioni l’anno. Al ritmo attuale, però, l’obiettivo non sarà raggiunto. La preoccupazione maggiore viene dall’Africa, in particolare da quella subsahariana, dove vive solo il 22% della popolazione mondiale ma muore la metà (4,8 milioni) dei bambini indicati nel rapporto, con il tasso di mortalità infantile più alto: 160‰  (186‰  nell’Africa occidentale e centrale). Il primato spetta alla Sierra Leone, con il più alto tasso al mondo: 270‰, cioè oltre un quarto dei bambini al disotto dei 5 anni.

L’Africa è anche la regione dove si sono registrati i progressi più lenti dal 1990 in poi. In alcuni paesi si è assistito addirittura a un aumento della mortalità infantile.

Su 46 paesi della regione, solo Capo Verde, Seicelle ed Eritrea sono sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo, mentre per 16 la situazione rimane molto critica.

Tra le cause dirette, il primo posto va alla polmonite (il “killer dimenticato”); seguono le malattie diarroiche e le gravi infezioni neonatali. L’aids incide solo per il 3% dei bambini morti, ma è l’Africa subsahariana che concentra il 90% delle infezioni pediatriche dovute all’epidemia. Le cause dirette sono spesso correlate tra loro e ad altri fattori. Si stima che la malnutrizione contribuisca alla metà dei decessi, Con una revisione radicale della propria politica, da alcuni anni l’Unicef propone pacchetti mirati di interventi tra loro coordinati. Laddove i governi hanno accettato tale politica, i successi sono stati più ampi.

LINK

Il Rapporto Unicef 2008 è scaricabile integralmente dal sito:

http://www.Unicef.it/flex/cm/pages/serveBLOB.php/L/IT/DPagina/4113

Per ascoltare l’intervista a Donata Lodi di Unicef Italia su Nigrizia Multimedia:

http://www.nimedia.it/argomentof.asp?idf= 105

Il video della visita in Sierra Leone dell’ambasciatore Unicef, David Beckham, campione della nazionale inglese di calcio (gennaio 2008):

http://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/DPagina4133
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