Sono, Mario, un uomo sposato e ritengo di non essere un maschilista. Guardandomi intorno riconosco che le donne sono state e sono protagoniste della propria emancipazione ma noto anche, nelle figure maschili, un diffuso smarrimento, come se non trovassero più il loro ruolo.
Mario, un uomo sposato e ritengo di non essere un maschilista. Guardandomi intorno riconosco che le donne sono state e sono protagoniste della propria emancipazione ma noto anche, nelle figure maschili, un diffuso smarrimento, come se non trovassero più il loro ruolo.La situazione di Mario è assai emblematica nella nostra società moderna. Negli ultimi vent’anni, sicuramente, il ruolo della donna si è trasformato alla radice. La donna ha conquistato uno spazio sempre più autorevole e distinto in ambito lavorativo e comunque in generale nelle attività extradomestiche, ma, soprattutto, ha acquistato una maggiore coscienza di sé come persona autonoma e non più come "la dolce metà" del marito.
E’ fuor di dubbio che, nel momento in cui è venuta ad occupare spazi maggiori nel mondo esterno, è cambiato anche il suo ruolo all’interno della famiglia. Un prezzo assai alto pagato dalla donna è sicuramente l’impossibilità o la maggiore difficoltà ad avere più di due figli (sebbene la media nazionale sia decisamente inferiore di questo numero) e ad accudirli per il tempo che vorrebbe.
Se è vero che da molto tempo è obsoleta la metafora di chi "porta i pantaloni" in casa, ma non è ancora chiaro come si possano condividere le vicende familiari e i ruoli professionali in modo armonico. Se l’uomo oggi si sente il "sesso debole", si produrranno nelle famiglia le stesse incertezze che avevano i figli quando tale prerogativa era della parte femminile; con l’aggravante che la società non sembra sostenere con empatia uomini che si presentano, oggi, inspiegabilmente deboli. La soluzione non è facile e non è generalizzabile, ma la condivisione dovrebbe nascere dal sentimento reciproco di rispetto e di accettazione dei bisogni l’uno dell’altra.
Sulle famiglie ricostituite
Nella società odierna si assiste a un crescente numero di rotture familiari sia in una fase precocissima di costituzione della coppia (tra il primo e il terzo anno di matrimonio), che in una successiva (dopo il quindicesimo anno).
Questo fenomeno di disgregazione familiare si può spiegare da un punto di vista evolutivo. Purtroppo la nascita di un figlio non è sempre un elemento di unione coniugale, soprattutto laddove i due coniugi sono totalmente impreparati ad assumersi la responsabilità di una famiglia o immaturi sul piano della propria crescita personale.
Fenomeno altrettanto critico è "l’uscita di casa" dei figli o quantomeno la condizione di convivenza con figli adolescenti. In questa situazione evolutiva la coppia deve fare di nuovo i conti con se stessa e con la propria capacità di trasformarsi e ritrovare un interesse autentico di coppia senza più terzi da accudire.
Le famiglie ricostituite si fondano proprio sullo scioglimento del nucleo familiare originario, in particolar modo in queste due situazioni; prevalentemente si tratta di madri giovani con figli piccoli, che si legano a un nuovo compagno oppure di famiglie più complesse con la presenza in casa di adolescenti provenienti dal precedente matrimonio di uno o dell’altra o di entrambi.
Spesso vengono richiesti interventi di psicoterapia per i problemi insorti in un figlio; generalmente lo spunto può essere un disturbo psicosomatico, comportamentale o scolastico di un bambino piccolo nel primo caso, mentre nel secondo si può trattare di un problema più serio e strutturato in un adolescente (ad esempio, comportamento violento a casa o a scuola, uso di droga, dipendenze alimentari, ecc.).
Sarà compito del terapeuta aiutare le famiglie ricostituite a ritrovare il "bandolo della matassa", ovverosia comprendere e lavorare attivamente su tensioni familiari attuali, su quelle che possono invece scaturire da separazioni coniugali precedenti non sufficientemente concluse, sulle difficoltà che possono insorgere tra le famiglie d’origine o tra i figli dell’uno o dell’altro coniuge.
Se si affronta il problema familiare a monte sarà più facile risolvere le difficoltà presentate da un figlio.
Chi ha esperienze di lavoro terapeutico con famiglie ricostituite sa bene quanto i sintomi di un bambino o di un adolescente riflettano le difficoltà della coppia di nuova costituzione, spesso confuse o sovraccaricate dalle vicende coniugali precedenti e dal modo in cui ci si è riusciti a separare.
Maurizio Andolfi
TERESA E L'ARTE DEL DIALOGO
"Sono madre di famiglia e nonna, ciò che scrivo è condiviso anche da mio marito.
Abbiamo avuto tre figli, una femmina e due maschi.
Sono tutti sposati ed hanno dei bambini.
Non credo nelle situazioni ideali ma credo nelle situazioni vivibili e perciò abbastanza soddisfacenti.
Nel caso di queste tre coppie nutro delle perplessità, non mi sembra che sappiano comunicare, non credo che parlino mai "per sentimenti", indubbiamente non si riservano degli spazi per loro-coppia.
Sono pessimista? Realista?
Esiste l’arte del dialogo? La si può apprendere? "
Teresa G.
.Uno dei problemi più difficili per la generazione di adulti maturi (genitori o nonni) è quella di accettare che il costruirsi e l’evolversi delle nuove coppie (quelle dei figli) parta dai presupposti affettivi, organizzativi e sociali assai differenti.
Noi adulti maturi siamo cresciuti nell’ideale che parlare dei sentimenti sia un modo per conoscersi e per approfondire un rapporto di intimità. Oggi si parla molto di meno, ma si riescono a comunicare sentimenti e sensazioni attraverso canali indiretti: attraverso le cose, programmi concreti, internet, ecc. Molte persone hanno più facilità a farsi conoscere senza guardarsi negli occhi o tenersi per mano, come invece è accaduto per molti di noi delle generazioni precedenti.
Il dialogo non esisteva poi tanto neppure nelle famiglie cosiddette "più unite", che spesso, lo erano più per mostrare una bella facciata che nella realtà.
Il dialogo con i figli, poi, esisteva pochissimo ed era spesso sostituito da una serie di regole e di "consigli di vita" da dare ai figli, così da farli crescere sani e ben protetti.
Oggi tutto ciò è saltato e quindi il dialogo, se deve realizzarsi, deve partire da situazioni di ascolto reciproco, in cui non solo gli adulti chiedono ai figli e i figli devono parlare di sé con i genitori, ma, ad esempio, anche i genitori possono far conoscere ai figli le loro debolezze, idiosincrasie, ambivalenze, ecc., cose su cui si preferisce tenere il più ampio riserbo, anziché vedere tutto ciò come una forma di scambio affettivo.
Il dialogo è quindi senz’altro l’arte di incontrarsi in un territorio intermedio, dove si apprende gli uni dagli altri.
Prof. Maurizio Andolfi
L'intimità della coppia
Un cammino di conoscenza, accettazione di sé, accettazione dell’altro, dialogo profondo, intimo
Perché si realizzi una vera intimità di coppia è necessario che si superi l'antico detto "sei la mia metà" e si ragioni piuttosto in termini di "due interi" che si incontrano.
Abbiamo spesso lavorato con coppie dove la scarsa differenziazione dell'uno era complementare a quella del partner. Quindi il primo problema non è a livello di coppia, ma riguarda ogni singolo adulto e la sua modalità di essere se stesso all'interno del suo mondo di affetti e di relazioni sociali.
La vera palestra di realizzazione della propria individualità è la famiglia in cui si nasce e la capacità di separarsi bene e in modo relativamente completo dalle proprie famiglie di origine.
Se si rimane in condizioni di dipendenza, di intimidazione nei confronti dei propri genitori e non si acquisisce un Io adulto, è molto difficile poter stabilire rapporti di intimità a livello coniugale. Se invece si riesce a fare il salto e a portare con sé i propri valori familiari (tradizioni, miti, valori religiosi, ecc.) come una vera e propria dote è più facile che ci siano le premesse per un cammino autentico di conoscenza
Costruire e mantenere una relazione intima è difficile ed entusiasmante allo stesso tempo: è necessario però nutrire il rapporto e rinnovarlo continuamente per evitare che subentri l'abitudine e la routine.
I figli, se non usati male, sono una risorsa inesauribile di creatività e di gioco con cui alimentare la propria conoscenza di coppia.
Prof. Maurizio Andolfi
Il piacere come forza creativa
Raggiungere il piacere richiede che ciascun partner sia capace di liberarsi di ogni forma di compiacimento di se stesso (piacere narcisistico) per incontrare l’altro in un territorio adulto condiviso che potremmo chiamare il terzo pianeta. Condividere un’esperienza di intimità è un atto creativo che scaturisce dalla capacità di mettersi a nudo con se stesso e con l’altro, senza ricorrere al meccanismo assai comune della mutua protettività (il cosiddetto rischio calcolato che per altro perde ogni carattere di reale ricerca dell’altro).
Molti partner vivono insieme per anni senza conoscersi perché hanno sostituito allo scambio autentico una modalità di rispetto formale, basato sul non dirsi mai quello che si pensa dell’altro e quello che si sente nel rapporto: il tutto nascosto dietro una "facciata di coppia" ben funzionante e socialmente integrata, salvo poi a scoppiare improvvisamente in modo apparentemente imprevedibile. Questo forse è il motivo per cui spesso all’esterno si sente dire: era una gran bella coppia, proprio non riusciamo a capire cosa sia successo!
Due sono i meccanismi più comuni che impediscono la costruzione di un rapporto autentico basato sulla curiosità reciproca e sulla condivisione della creatività di ciascuno : da un lato la routine con tutto il suo corredo rassicurante e ripetitivo di riti di coppia: orari , visite programmate alle famiglie, impegni fissi ecc.; dall’altro l’aspettativa magica che la coppia sia un dispositivo perfetto capace di rispondere e di contenere tutti i problemi del mondo e le reciproche contraddizioni.
Se si riusciranno a fare errori e a condividerli si potrà anche sognare di essere una coppia meravigliosa perché la grandiosità di tale progetto sarà costantemente guidata e ridimensionata dal principio di realtà e dalla accettazione delle proprie debolezze, che una volta riconosciute diventeranno risorse creative e arricchenti.
Prof. Maurizio Andolfi
Da cosa liberarsi e cosa recuperare dall’educazione ricevuta per entrare in rapporto con la diversità dell’altro e rispettarne l’alterità?
La costruzione di un rapporto di intimità adulto richiede non soltanto rispetto e complicità a livello coniugale, ma deve tenere necessariamente conto dei modelli evolutivi appresi da ciascun partner all’interno della propria famiglia d’origine.
La problematica relativa ai modelli educativi non riguarda soltanto quale indirizzo scolastico scegliere per un figlio e più tardi quale facoltà universitaria o a quale lavoro indirizzarlo; riguarda anche l’intera impalcatura relazionale e affettiva dei due coniugi, racchiude al suo interno un cocktail di elementi assai variegati, che possono diventare esplosivi se non sufficientemente compresi e condivisi dai due coniugi. Ha anche a che fare con la trasmissione dei miti familiari da una generazione alla successiva; ad esempio molte "vocazioni" lavorative o professionali vengono "imposte" ai figli in quanto discendono da un nonno importante che svolgeva in maniera del tutto straordinaria una determinata attività, oppure l’atteggiamento sacrificale trasmesso al genere femminile di una nonna che non aveva potuto soddisfare il suo desiderio di studio e di realizzazione personale per essere totalmente disponibile nei confronti del marito e dei figli.
In altri casi ci possono essere comportamenti alternativi e polemici con quelli che sembrano essere stati "assegnati" dalle famiglie d’origine. E’ indubbio che l’educazione ricevuta racchiude al suo interno quei valori culturali, religiosi e morali che hanno fondato la crescita di ciascun adulto fin dalla sua infanzia. Questo patrimonio educativo verrà portato "in dote" al momento di sposarsi e indubbiamente rappresenterà un arricchimento nella vita relazionale della coppia nella misura in cui entrambi saranno in grado di apprezzare e rispettare i valori dell’altro.
Per concludere bisogna cercare di liberarsi da quegli aspetti educativi che sono percepiti come coercitivi della propria libertà di espressione, ma allo stesso tempo utilizzare quegli aspetti che ci fanno sentire bene e che possiamo scambiare con piacere con l’altro.
Prof. Maurizio Andolfi
E’ molto più facile riconoscere e accettare il tradimento verso un coniuge o verso un figlio che non tradire se stessi, ma perché è così difficile essere realmente sinceri nei confronti della propria coscienza personale? Innanzitutto perché stereotipi culturali e sociali tendono a farci pensare che bisogna sempre fare i conti con gli altri, trovando modi corretti di comunicare e interagire con il prossimo. Lo stesso concetto di "altruismo" spesso porta a pensare che bisogna fare di più per gli altri che nei confronti di se stessi, a volte si arriva persino a fare troppo per il coniuge, per i figli, per i propri familiari, per il proprio lavoro, per evitare di doversi confrontare con l’immagine che ciascuno di noi ha di se stesso. Tra l’altro una persona svuotata del suo nutrimento interno come potrà nutrire il prossimo?
Il modo migliore per essere sinceri con se stessi è di imparare a conoscersi, a creare nelle diverse fasi del proprio sviluppo un dialogo interno in cui ci si possa chiedere, ad esempio, "chi sono io?", al di là della domanda "che cosa sto facendo?"
Winnicott, uno psicanalista anglosassone, ha descritto la costruzione di un falso Sé come l’elemento più dannoso nel difficile percorso di riuscire a conoscersi. Il falso Sé è come una sorta di immagine falsa e superficiale che serve a coprire le parti più vulnerabili e meno difese di ciascuno di noi. Essere sinceri verso se stessi significa riconoscere i propri limiti così come le proprie risorse in ogni momento della nostra vita di relazione.
Spesso nella stessa scelta del partner si può rischiare di andare alla ricerca di qualcuno che invece di aiutarci a scoprire i propri autoinganni finisca per coprirli anche con i suoi. Si uniscono così due personalità insincere per evitare di essere confrontati con il test più difficile della vita ovverosia con il giudizio nei confronti di se stessi.
Se invece, come per fortuna avviene spesso, una persona riesce ad avere un buon rapporto con se stessi, che non sia né troppo lasso né troppo intransigente e a poter guardare alla propria immagine di sé con simpatia e con un pizzico di umorismo è probabile che riesca a trovare un partner e a stabilire relazioni basate sulla stima reciproca e sulla crescita in comune.
Prof. Maurizio Andolfi
Sogno e realtà, dipendenza ed autonomia, intimità ed apertura agli altri, aspetti da integrare per passare da un amore infantile ad un amore adulto.
= Sognare a occhi aperti è un'attività esclusiva dell'adolescenza o può esistere anche in età adulta? = Un amore può essere romantico e rimanere tale quando si supera la fase dell'innamoramento e si costruisce una relazione stabile e duratura nel tempo? = Un amore adulto esclude o include relazione e apertura agli altri?
Non è facile rispondere a questi quesiti, anche perché non esiste una ricetta universale. Tuttavia quello che frequentemente constatiamo nell'ascoltare coppie che hanno vissuto a lungo insieme è che al sognare a occhi aperti e ai gesti romantici si sono via via venuti a sostituire l'abitudine e la noia. Su tratta allora di un destino inevitabile legato all'usura della coppia, oppure il tempo non ha permesso il passaggio da una forma ideale, fusionale, adolescenziale di un amore a una forma di intimità vera? Quest'ultima però sembra realizzabile soprattutto se il rapporto riuscirà ad alimentarsi con ingredienti speciali come la creatività, l'inventiva, la condivisione dei progetti comuni (figli, lavoro, tempo libero, ecc.) che finiscono per dare il sentimento dell'essere sempre in due nelle diverse esperienze di vita.
Spesso si sottovaluta anche l'importanza delle cosiddette situazioni negative che si presentano nella storia dello sviluppo di una coppia. Di fatti non è sempre attraverso situazioni piacevoli (viaggi, vacanze, feste, ecc.), pur se necessarie, ma è soprattutto la condivisione di momenti difficili (come malattie, perdite, lutti, difficoltà economiche, ecc.) che cementa l'intimità di una coppia.
Maurizio Andolfi
Ricerca nell’altro di ciò che non esiste: perfezione, soluzione dei problemi, eterna luna di miele, rifugio ideale. Perché?
Conosci te stesso: la celebre frase scritta sull’oracolo di Delphi è sempre stata considerata da molti una delle più belle sintesi alla quale è giunto il pensiero occidentale. L’autore è Socrate, che, nella sua vita e nei suoi pensieri, ha dimostrato di essere arrivato ad una notevole semplicità e profondità nella conoscenza della spiritualità dell’uomo.
Che fine ha fatto nella nostra società odierna questo motto così profondo? Sembra che, soprattutto nella relazione di coppia si ricerchi nell’altro quello che ci si è dimenticati di ricercare al nostro interno.
L’altro viene investito di una serie di responsabilità morali e operative, deve diventare così un modello di perfezione per coprire tutte le nostre incertezze e deve risolvere i problemi per aiutarci a non scegliere il nostro percorso individuale.
Un autore americano L. Wynne parla di pseudo mutualità di coppia proprio per indicare una sorta di reciprocità falsata, dove non si scambia quello che uno ha e quello che uno è, ma si aspetta che dall’esterno vengano sempre le risposte. Questo è il motivo per cui quando e se arriva il momento della verità, l’incastro di coppia non funziona più e ciascuno dei due partner si ritrova solo con un quesito irrisolto: "Chi sono io?"
In un momento come quello attuale, così tragico per l’umanità, si ripetono su larga scala, a livello di macrosistemi, quello che in piccolo avviene spesso nel microcosmo della famiglia: esiste una verità ufficiale come "salviamo il debole", ma al contempo ne esiste un’altra assai più cruda e implicita (anche se spesso taciuta): "voglio fare i miei interessi". Realtà falsate e contraddittorie esistono sia nei momenti drammatici delle guerre ingiuste, come nei momenti altrettanto drammatici, ma più privati, delle guerre di coppia all’interno della famiglia, quando il sopraffare l’altro diventa più importante che trovare dei punti di intesa.
E’ importante conoscere se stessi, apprezzare i propri valori, ma al contempo conoscere e accettare i propri limiti fatti di debolezze, di contraddizioni e di tante paure non completamente risolte. Se si conosce se stessi si riesce ad avere un atteggiamento benevolo e accettante verso gli stessi "doni" che porta l’altro nel rapporto.
Maurizio Andolfi
Spesso ci chiediamo perché sia aumentata la violenza nella nostra società, spesso ci chiediamo perché tante relazioni coniugali iniziano con l’amore e terminano con la guerra, spesso ci chiediamo perché ci siano tante forme gravi di abuso all’infanzia o nei confronti della donna, spesso ci chiediamo perché in tanti paesi gli studenti vadano a scuola armati.
Troppo poco colleghiamo queste vicende domestiche, familiari o scolastiche alla cornice ampia di violenza tra intere popolazioni e di guerre che tendono a ristabilire l’ordine con l’antica legge del singolo, dove il più grande divora il più piccolo. Non soltanto, oggi, abbiamo le guerre in diretta, dove l’ascolto s’innalza quanto più crude e violente sono le immagini che vengono mostrate attraverso i canali televisivi, ma ancor più grave della guerra è il senso di smarrimento di ogni presupposto etico. Oggi il concetto del patriota o del partigiano, ovvero di qualcuno che rischia la propria vita per difendere il proprio paese o la propria causa, è sostituito da un’idea molto più mercenaria e basata su altri presupposti, ad esempio si inviano 1.500 ragazzi del Guatemala a rischiare la pelle in una guerra di invasione con la prospettiva di dar loro la cittadinanza negli Stati Uniti, oppure si baratta con il rischio della pelle l’accesso gratuito in un’università americana per chi non ha mezzi economici per iscriversi.
Oggi assistiamo ad una nuova e più sofisticata forma di legge straniera, pronta a seguire ordini per un tornaconto più privato e a difendere pozzi e a disinteressarsi alla difesa dei musei e delle biblioteche; insomma assistiamo a un mondo in cui, attraverso le guerre, il benessere di alcuni paesi si moltiplica e la povertà della stragrande maggioranza di altri si ingigantisce al punto che si muore per l’acqua che non c’è o per la carestia.
Dov’è finita l’idea di solidarietà umana e di una crescita armonica dei popoli che vivono su questo pianeta? Quando riusciremo a non farci globalizzare il cervello e a rifiutare la legge del più forte?
Maurizio Andolfi