Vita nello Spirito

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 66

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 65

Domenica, 20 Febbraio 2005 16:59

La festa nuziale - Luigi Ghia - 2a Parte

Vota questo articolo
(0 Voti)

La festa nuziale

· Una festa a rischio · La nostra festa di nozze · E’ davvero una festa? · L’amore e la gioia, oltre il deserto…

Seconda parte

L'AMORE

Era
l'ora sesta, a Sicar, al pozzo che Giacobbe aveva fatto scavare. Ad una
donna, samaritana, una donna "libera", Gesù chiede da bere (cf Gv 4,7).
Chiedere da bere - lo sa bene chi, anche oggi, deve attraversare per
ragioni di lavoro terre aride e desertiche - significa chiedere
accoglienza. Al gesto accogliente della donna, Gesù risponde offrendo
dell'"acqua viva", il dono dello Spirito. È sempre l'ora sesta, sulla
collina del Golgota. Gesù pronuncia una delle parole più forti e
significative tramandateci da tutto il vangelo di Giovanni: "Ho sete"
(19,28). Anche qui il Maestro, stanco del cammino, chiede accoglienza.
È il culmine di un processo attraverso cui Gesù esprime tutta la sua
creaturalità; si riceve come creatura e chiede da bere. Chiede lo
Spirito. Ha messo tutto non solo nelle mani del Padre, ma anche delle
persone che gli sono accanto, non solo di Maria e di Giovanni, il cui
sguardo è angosciosamente fisso sul volto dell’Amato che sta per
morire, ma anche di quel Giuda, "nostro fratello Giuda", che egli non
ha mai respinto, anche di coloro che rispondono alla sua accorata
richiesta inumidendo le sue labbra con una spugna imbevuta d'aceto,
issata su un ramo d'issopo. Alle nozze di Cana c'erano sei giare piene
d'acqua che Gesù ha trasformato in vino. Sotto la croce c'era un vaso
pieno d'aceto. Al massimo dell'amore la risposta è stata il massimo
dell'odio. Ma ancora una volta la contro-risposta è stata una risposta
d'amore. L'odio è stato definitivamente vinto, non nel senso che i
rapporti umani non saranno mai più improntati ad odio, la storia anche
dei nostri giorni ne è una tragica conferma, ma nel senso che l'odio
non avrà mai più l'ultima parola.

Nessuno di noi, creature oppresse da pesi sovente
insostenibili, da speranze frustrate, da amori non corrisposti, da
desideri irrealizzati, riuscirà mai ad esprimere un amore così.
Scriveva Alex Langer: "...è forse troppo arduo essere individualmente
dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso,
troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si
accumulano, troppe le gelosie e le invidie di cui si diventa oggetto,
troppo il carico d'amore per l'umanità e di amori umani che
s'intrecciano e non si risolvono, troppa la distanza tra ciò che si
proclama e ciò che si riesce a compiere". Pur senza giungere al limite
di gesti estremi di sconforto, è un'esperienza condivisa da molti. Si,
il rischio è davvero di sentire un'infinita distanza tra quell'amore
infinito e la nostra fragile, inespressa capacità di amare. Eppure
l'amore di un uomo e di una donna, il nostro amore, per quanto
imperfetto, è chiamato ad essere segno, non solo simbolo, ma segno
realizzatore, sacramento, di un amore così. Dobbiamo accettarci come
siamo, non pretendere d'amare di un amore impossibile, accontentarci
d'amare di un amore debole e non robusto, finito e non infinito, perché
il termine "infinito" non esiste nel vocabolario dell'essere
creaturale. Questa creaturalità investe tutto il nostro essere: sia il
nostro essere spirituale che il nostro corpo. Senza richiamare equivoci
dualismi, entrambi sono infinitamente lontani da Dio, come
infinitamente lontana è una creatura dal suo Creatore. Ma è proprio da
questa distanza, come ricordava David Maria Turoldo in una delle sue
appassionate omelie, che nasce l'infinita inquietudine e l'infinito
desiderio del cuore, l'insufficienza delle cose, l'insufficienza
perfino di questi amori, finché non si raggiunge l'Amore. "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete..." (Gv 4,13). È il rischio perenne dell'amore, il rischio perenne della gioia sempre imperfetta che in esso si vive.

Eppure, è solo attraverso il percorrere passo dopo
passo l'insufficienza di questi amori che si raggiunge l'Amore. Perché
la relazione, il confronto con il volto dell'altro, è l'unico luogo in
cui è possibile costruire la nostra identità: non nella cattura
dell'altro, ma proprio nell'incontro con il suo volto, che mi consente
di conoscerlo e di ri-conoscerlo, e nel contempo di conoscere e di
ri-conoscere me stesso. Quando nella coppia esiste amore vero e
profondo, non solo l'innamoramento, l'infatuazione di tipo fusionale,
ma l'amore di reciprocità, frutto della volontà d'amare e non solo del
sentimento d'amore, questo incontro si fa "evento"; "attimo", non
istituzione, per il credente "sacramento"; dono, gioiosa meraviglia,
non possesso; orizzonte, non meta raggiunta; cammino dalla solitudine
all'intimità. Ma spesso, anche, cammino a ritroso: dall'intimità alla
solitudine. Per poi rifare ancora il cammino, e passare finalmente
dall'intimità alla comunione. Oltre il deserto. E anche nel deserto (o
forse solo in esso) è possibile incontrare l'Amore e la gioia.

"Chi siede nel deserto per custodire la quiete con
Dio è liberato da tre guerre: quella dell'udire, quella del parlare, e
quella del vedere. Gliene rimane una sola, quella del cuore".

 

Luigi Ghia

Asti

da "Famiglia domani" 1/2000

Letto 2275 volte Ultima modifica il Giovedì, 31 Marzo 2005 22:22

Search