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Spiritualità e liturgia, Oriente e Occidente:
nel tempo, nell'eternità

di Tomàs Spidlìk







Durante il concilio Vaticano II, un osservatore venuto dall’Oriente fu accompagnato per Roma da un esperto occidentale, per fare la conoscenza delle opere pastorali. È naturale che in tali occasioni si sia tentati di vantarsi, almeno modestamente. Venne quindi un’ugualmente modesta reazione dall’altra parte: «Anche voi aspettate la venuta di Gesù Cristo, o volete anticipatamente fare tutto già qui a Roma?».

In modo meno grazioso, ma come una seria obiezione, sentiamo lo stesso rimprovero dai teologi orientali: i latini non pregano «maranatha», «Vieni Signore Gesù» (Ap 22,20), ma temono il dies irae, calamitatis et miseriae. Pur ammettendo la serietà della questione, dobbiamo tuttavia fin dall’inizio mettere in guardia che la sua formulazione non è tanto semplice. Sia in Occidente sia in Oriente si manifestano diverse tendenze contraddittorie.l

Le diverse posizioni escatologiche

Assai vicini alla posizione orientale sembrano i protestanti che si rifanno a Karl Barth. Il primato nella vita spirituale spetta alla fede. Essa si esercita nel tempo e ci prepara alle realtà sperate, che però rimangono trascendenti, al di là del tempo. Il regno escatologico non si costruisce nel presente: «In questo tempo qua, cioè nella successione degli avvenimenti, in ciò che chiamiamo storia, la Chiesa non ha niente da aspettare».2 In tal senso, poteva scrivere un altro protestante: «Non vi è un progresso nel corso della storia né dal punto di vista morale, né dal punto di vista sociale, né dal punto di vista spirituale. Esistono, certamente, progressi tecnici, ma è soltanto in questo dominio che esistono dei miglioramenti. In tutti gli altri settori dell’attività umana vi sono dei cambiamenti, dei passi in avanti (nel senso di un’evoluzione), ma nessun miglioramento nel vero senso».3

È naturale che anche fra i protestanti si siano levate varie voci contro una posizione così radicale. Lo testimoniano le discussioni che ci furono durante la seconda assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese a Evanston (USA 1954; ndr). Parecchi giudicarono il precedente atteggiamento troppo pessimistico, perché sembrava non tener conto «dell’opera attuale dello Spirito Santo nelle Chiese e nel mondo» e non vedere i concreti segni visibili della nostra speranza già attorno a noi.4

A questa tendenza dei protestanti, che sosteneva una rottura fra la vita presente e quella futura, già a prima vista si opponeva l’insegnamento cattolico sui «meriti», cioè sulla dipendenza della vita futura dalla condotta terrena. Eppure, anche fra i cattolici, c’era una corrente, chiamata «teologia escatologica», opposta alla «teologia dell’incarnazione».5

Nello spirito della teologia escatologica di L. Bouyer,6 la vita spirituale dev’essere tutta concentrata sulla venuta gloriosa di Cristo negli ultimi giorni del mondo. Bisogna prestare attenzione alla condanna del mondo e alla vittoria sopra il male per mezzo della croce. Questo è stato lo scopo dell’incarnazione di Cristo, e questo dev’essere quindi anche lo scopo principale della vita cristiana di ogni giorno, piuttosto che sognare una conquista del mondo presente.

Teologi rinomati come G. Thils, D. Dubarle e molti altri professano al contrario la teologia dell’incarnazione nel senso seguente: il male esiste ancora nel mondo, ma è già vinto; la croce di Cristo è inseparabile dalla risurrezione ed è la vista della risurrezione che deve condurre i nostri sforzi positivi per salvare la vita del mondo e tutti i suoi valori. Era la tendenza appoggiata fortemente da Teilhard de Chardin.

Degli orientali ortodossi citiamo, per il momento, soltanto ciò che viene presentato come tipicamente caratteristico per la spiritualità russa.7 A. von Harnack considera la Chiesa russa come l’esempio di una religione dell’aldilà, che «tocca appena terra con i piedi» e vuole gioire della «pregustazione della vita celeste».8 Soprattutto l’ala estrema del raskol, i cristiani senza pope, voleva rendere il popolo libero, senza impedimenti, tutto rivolto ai fini ultimi.9 A causa di questo, essi hanno manifestato una resistenza eccezionale alla sofferenza.

Una lunga serie di motivi ha contribuito a formare questa mentalità escatologica. N. Berdjaev propone i suoi: «Nella vita dei popoli, in generale, ci sono due miti che possono diventare dinamici: il mito delle origini e il mito della fine. Presso i russi ha dominato il secondo: il mito escatologico». Il XIX secolo è esemplare a questo proposito. Vi ritroviamo una ricerca appassionata del progresso, della rivoluzione mondiale, del socialismo (un escatologismo profano) e, allo stesso tempo, una coscienza profondamente acuta della vanità, della malvagità, della meschinità che questo progresso, questa civiltà e questa rivoluzione danno.10

Un’altra ragione, proposta questa volta da S. Bulgakov, è il carattere storico del pensiero russo, per il quale lo scopo della storia è di superare la storia e riflettere il trascendente.11 La terza ragione può essere compresa a partire dall’atteggiamento verso la verità. Se la verità è sentita come viva, allora la maniera della sua conoscenza sarà l’incontro con una persona, la persona di Cristo, la sola verità in pienezza. «La visione faccia a faccia – scrive V. Lossky – è una comunione per così dire esistenziale con Cristo, in cui ciascuno trova la pienezza, conoscendo Dio personalmente ed essendo personalmente conosciuto da Dio».12

La prima sorgente di tali opposizioni

Osservando la varietà di questi diversi escatologismi, ci chiediamo come si possa trovare un giusto equilibrio, una sintesi coerente. Ma è davvero necessario cercarla? Sarà forse meglio ammettere con V. Solov’ëv che tutte queste tendenze provengono da un falso presupposto: la divisione in due mondi, che non è cristiana anche se può sembrarlo. È un’affermazione insolita, coraggiosa. Ma mi viene in mente di comparare, in questo contesto, Solov’ëv con il grande filosofo ebreo Filone di Alessandria. Questi, studiando le brillanti riflessioni dei filosofi antichi su Dio, concluse che essi sono tutti «atei», perché non conoscono il Theos della Bibbia. Fu all’inizio della nostra era. E oggi?

Il nostro Credo cristiano comincia con la giusta professione: «Credo in un solo Dio Padre, creatore del cielo e della terra». E lo stesso simbolo di fede termina con un’altra professione: «Credo nella vita eterna». Purtroppo, l’antico errore si ripete qui: i suoi interpreti non avvertono a sufficienza che il senso cristiano della vita eterna è essenzialmente diverso dalle attese escatologiche predicate altrove. Da una tale confusione come possiamo aspettare un’escatologia autentica? Proviamo quindi a seguire la riflessione di Solov’ëv, come è proposta nel suo opuscolo Fondamenti spirituali della vita.13

La risurrezione, problema personale di Solov’ëv

Per seguire più facilmente le sue riflessioni, dividiamole schematicamente secondo il loro contenuto.

1. Il male domina nel mondo. Il pensatore lo ha scoperto progressivamente nella sua vita. Proveniva da una famiglia devota, ma frequentando l’università ha perso la fede perché vi si insegnavano le teorie darwinistiche. Dice scherzando: le bestie antidiluviane insegnate dalla teoria evoluzionista hanno avuto la meglio sul «catechismo antidiluviano» della mia nonna. Constatiamo che il male si manifesta dovunque, è universale. Un sasso respinge un altro sasso, un animale mangia un altro animale, e tra gli uomini uno trova il suo posto nella vita grazie alla morte degli altri. Aiutano poco le prediche sulla carità. La vita esige il combattimento e i combattimenti causano la morte, considerata come «unica vera giustizia».

2. L’esistenza del bene. Dopo la prima constatazione pessimistica, facciamo però anche una diversa esperienza: se ci fosse solo il male, il mondo non esisterebbe. Dunque, ci deve essere anche il bene. Come si manifesta? Prima di Darwin, che insegnava la lotta per la vita, il grande naturalista svedese Linneo aveva scoperto nella natura ciò che chiama entelecheia. Egli aveva osservato che uno si offre per far vivere un altro: vediamo, ad esempio, che le foglie di un albero cadono perché il frutto ha bisogno di sole, che la mano protegge l’occhio, che la mamma si offre per il bambino... Queste offerte generose salvano la vita nella natura.

Da ciò si è formato il principio della condotta morale umana: l’egoismo è male, il bene è sacrificarsi per gli altri. In questo senso educhiamo già i bambini. Quando uno muore per la patria gli si fa un monumento: «Qui un soldato è morto per la patria», «Qui un medico è morto curando i malati» ecc. Ma nonostante i grandi elogi di tali atti eroici sorgono anche dubbi: quanti sacrifici si fanno per le istituzioni pubbliche, ma gli stati sono forse diventati migliori? Assomigliano alla divinità Moloch che mangiava i propri figli. Un uomo onesto si chiede: ho il diritto di sacrificare un altro per vivere bene, onorare i soldati che sono morti in guerra perché io possa godere della pace? Dostoevskij ne I fratelli Karamazov fa dire a Ivan: «Io rifiuterei di andare in paradiso se costasse una sola lacrima di un povero bambino». Perché esigere sacrifici degli altri per vivere? La conclusione che ne segue è che la morale laica non è capace di risolvere il problema del male.

3. La soluzione religiosa ci viene in aiuto. Tutte le religioni concordano in questa fede fondamentale: nella vita presente non esiste la giustizia, ma in futuro, dopo la morte, entreremo nella vita eterna, nella quale si troverà la giusta ricompensa per ogni bene. Si direbbe che questa consolazione religiosa possa venire accettata con soddisfazione da tutti gli uomini. Ma succede una cosa strana: parecchi la disprezzano o cercano di ignorarla, soprattutto più fra gli uomini che fra le donne. Forse la ragione è anche psicologica. La donna per secoli è stata abituata a faticare per ciò che passa: preparare un cibo che è subito consumato, pulire cose che saranno di nuovo sporcate, e così via. L’uomo invece, quando fa una cosa, pensa: «Voglio che questo rimanga». Le promesse religiose non attirano la maggioranza della gente. Ed è giusto così: la vita presente è mia, perché sacrificarla per un’altra?

4. La novità cristiana. Riflettendo su questi problemi, Solov’ëv cadde di nuovo nei dubbi. Cercò di rendersi conto di che cosa si possa trovare di nuovo nel cristianesimo. Osserviamo la vita di Gesù Cristo stesso. Egli ha offerto la sua vita per gli altri, è quindi un grande eroe dell’umanità; è passato da questa vita e ora siede alla destra del Padre, e lo stesso promette a coloro che osservano i suoi comandamenti. Si può credere che vi sia un elemento davvero nuovo rispetto alle altre religioni? Può darsi che l’idea di paradiso che ci forniscono gli autori cristiani sia più nobile delle immaginazioni degli altri, ma la sostanza rimane sempre la stessa.

Si tratta di obiezioni così gravi che Solov’ëv stesso non sapeva come risolverle. Cominciò a studiare le religioni, era in pericolo di perdere di nuovo la fede pensando: perché siamo così orgogliosi noi cristiani, se lo scopo della nostra religione è uguale a quello che propongono gli altri? Ma alla fine trovò la risposta giusta: si convertì proprio come il Faust di Goethe, quando suonavano le campane di Pasqua. Il che significa: Cristo dopo la morte non è entrato in un’altra vita, ma è ritornato nella stessa sua vita, ha divinizzato la vita che aveva prima. Questo fatto è una totale novità rispetto a tutte le religioni. Se Cristo non fosse risorto dai morti, la nostra religione sarebbe vana, dice san Paolo (cf. Gal 2,20).

Concludendo, possiamo dire che la fede nella risurrezione è il messaggio decisivo per gli uomini che vivono nel mondo. È la professione di una sola vita, che è eterna. Ciò però si armonizza poco con le prediche che sentiamo nelle nostre chiese, che ci vogliono commuovere con le bellezze del cielo riservate alle anime separate dal corpo. Pur credendo nella risurrezione dei corpi, non riescono a dirci che cosa questo significhi per la vita presente. Come allora comprenderla? Elenchiamo le diverse opinioni.

La vita nel tempo infinito?

La visione beata delle anime separate dal corpo nel cielo è stata oggetto di molte discussioni. Ma è più facile immaginarsela della vita dell’uomo risorto nel corpo. Essa, come pare, suppone un dinamismo evolutivo, che si realizza nel tempo. Perciò l’immaginazione popolare si rappresenta l’eternità come un tempo infinitamente lungo, un tempo senza timori che si possa fermare, che tutto passi. Ciò deve consolare i beati e, al contrario, incutere un salutare timore a quelli che sono sul cammino della perdizione.

Non solo per la gente del popolo, ma anche per i teologi è difficile conciliare il concetto di un inferno «infinitamente lungo» con l’infinita misericordia di Dio. Ma anche il paradiso, se si vuole immaginare in questa maniera, non soddisfa. Secondo una leggenda proveniente dalla Moravia, un monaco si poneva la domanda: come mai i santi nel paradiso non si annoiano di cantare «Santo, santo...» per tutta l’eternità? Cadde durante una passeggiata nel bosco, si addormentò per cent’anni, ma sognò che tutto questo sarebbe durato solo il tempo di un «Santo, santo». Così avrebbe compreso che per Dio «cent’anni sono come un momento» (cf. Sal 89,4). Va da sé che una soluzione così illusoria non può soddisfare.

L’eternità opposta al tempo

Il pensiero primitivo non crede che il tempo come tale possa cessare. È considerato di sua natura infinito. Perciò lo si è divinizzato come «dio Chronos», che mangia i suoi figli, cioè distrugge tutto ciò che nel tempo è nato. Il simbolo della vita allora è una ruota, che «gira e rigira» (Qo 1,6), o un serpente che si morde la coda. Fu la mitologia greca a insinuare la vittoria su questa tirannia della durata eterna. Zeus, destinato a diventare dio supremo, uccise il padre Chronos e fondò il regno olimpico. È un’allusione vaga a ciò che la filosofia greca doveva esprimere in concetti. Qui Eraclito pianse che «tutto passa e niente rimane» (panta rei). Al contrario, Parmenide dichiarò che ogni movimento è illusione e che la vera realtà è immutabile, quindi eterna.

Anche la filosofia greca classica ha definito il tempo per mezzo del movimento (numerus motus secundum prius et posterius), ma lo stesso Platone identificò la vera realtà con le idee immutabili, e quindi eterne. Dato che fra i due modi di vivere non c’è conciliazione, la porta che conduce l’uomo dalla vita di questo mondo all’eternita è la morte. Se Platone definì la vera filosofia «studio della morte», la morte stessa sarebbe un bene. Ciò è evidentemente anti-cristiano.

Se si trasferiscono queste considerazioni nell’antropologia cristiana, anche qui il passaggio alla vita eterna per mezzo della morte apparirà come cessazione di ogni movimento. Lo illustra un’icona del monte Sinai: la scala del paradiso. I monaci vi salgono. Sui gradini inferiori i monaci sono assai movimentati, più sono in alto più sono tranquilli, e quello che sta sul gradino più alto è del tutto immobile.

Questa concezione aiuta a rispondere alle obiezioni formulate precedentemente, evita la difficoltà con la lunga durata dell’inferno o le gioie del paradiso, non vi è pensabile per i dannati una «conversione» dopo la morte né la possibilità di peccare per i beati; la felicità eterna svuota ogni desiderio che spingerebbe a cambiare (satiato desiderio cessat appetitus). Il concetto dell’eternità in questo senso sembra solido. Nondimeno, sorge un dubbio: nel caso di un uomo vivente con il corpo, destinato a risorgere, questa immutabilità può essere ancora chiamata «vita»? Non sarebbe piuttosto una specie di museo per le statue?

Soluzione cristologica

Non ci si può quindi aspettare che i ragionamenti umani risolvano il problema proposto. Ma non offrono una risposta adatta neanche le religioni. Credono nella vita eterna, ma il confine della morte separa radicalmente questa dalla vita presente. Nel cristianesimo, al contrario, incontriamo un’essenziale novità. Cristo, nato sotto il regno dell’imperatore Augusto e morto sotto Ponzio Pilato, visse come uomo una vita collocata nello spazio e sviluppatasi nel dinamismo del tempo, ma inseparabilmente unita al Verbo di Dio.

Tutta la sua personalità con tutte le sue azioni partecipò all’eternità di Dio. La sua carne umana è divina, divina ed eterna è quindi anche la sua natività, i misteri della sua vita terrena, la morte, la risurrezione. Nella sua persona, il tempo e l’eternità si uniscono. Gesù «ha vissuto» con i discepoli, ma anche ha promesso «Io sono con voi» (Mt 28,20). San Paolo è sicuro che egli vive in lui (Gal 2,20), non solo secondo la sua divinità, ma come Cristo, Dio-Uomo.

La storia di Israele cominciò con la scala di Giacobbe, la discesa degli angeli (cf. Gen 28). In tutta la storia sacra, Dio scende fra il suo popolo e negli ultimi tempi scese in Gesù Cristo. Dunque, Gesù Cristo è colui nel quale la vita divina – che è eterna – scende nella vita umana – che è nel tempo –. La Chiesa deve fare ciò che è scritto: «Fate questo in memoria di me», nel suo ricordo, perché il ricordo fa rivivere ciò che è passato. Già da un punto di vista psicologico, la memoria rende la cosa ricordata in qualche modo presente. Gli stoici dicevano che l’uomo è ciò che ricorda, e l’amnesia, la perdita della memoria, significa la perdita della persona. Ricordare il passato, fare del passato un presente, come quelli che stanno morendo e dicono di vedere tutta la loro vita davanti agli occhi, questo è umano.

Nella nostra messa questo ricordo è sacramentale, il che significa che nel ricordo divino quello che Dio pensa esiste. Dunque, nella messa, tutti i misteri di Cristo sono qui, sono eterni, non li vediamo ancora ma sono eterni. E cosa ricordiamo? Non solo Gesù Cristo, ma tutto il suo corpo mistico: quindi ricordiamo i martiri, i santi, i confessori – nella messa orientale si ricordano anche i concili –, e tutto passa nell’eternità. I maroniti si chiedono: quando è avvenuta la risurrezione? Rispondono: nell’ora terza nel pomeriggio del Venerdì santo. E quando si è rivelata? Rispondono: la domenica mattina. La domenica è la rivelazione di ciò che esiste, noi viviamo il Sabato santo, tutto è già presente, tutto è qui, soltanto che non lo vediamo ancora, solo lo crediamo.

Presenza anamnetica nella liturgia

La presenza di Cristo nella Chiesa è universale, ma in modo particolare si manifesta nell’anamnesi liturgica. Ogni ricordo rende presente in modo psicologico il passato. Il ricordo liturgico è sacramentale, possiede una forza divino-umana che rende il passato realmente presente. Perciò S. Bulgakov parla del «realismo dei riti» e B. Bobrinskoy del loro «carattere eucaristico», in modo che nelle Chiese Cristo veramente nasce a Natale e durante la Pasqua veramente risorge.14

In questo contesto è inserita anche la vita di noi tutti singoli. Lo illustra un passaggio tratto dalla vita di una santa suora. Essa curava una malata che aveva il cancro nel volto, tutti la evitavano. La suora le disse: «Pregate». La malata rispose: «Se Dio esistesse, io non sarei qui». Però dopo un mese quella stessa malata disse: «Dio deve esistere». «E come siete arrivata a questa conclusione?», chiese la suora. «Quel bene che fate per me non può andare perduto».

Allora il migliore termine con il quale possiamo esprimere la nostra speranza è simbolico: l’eterna liturgia. La verità fondamentale del cristianesimo è il ritorno a tutta la vita. Dunque, niente di buono può essere perduto e deve acquistare il valore eterno. Questa è l’eternità che ci consola, l’eternità della persona e del bene che ha fatto.

Ciò che abbiamo detto si può leggere simbolicamente espresso nel film Nostalgia di A. Tarkovskij. Qual è il contenuto? Un profugo da un paese totalitario viene in Italia, una metafora di un viaggio dalla terra in paradiso. È incantato, quante belle cose da vedere! Ma dopo un po’ sbadiglia e dice: «Come mi annoia vedere sempre belle cose!». Se la felicità eterna fosse soltanto un lungo tempo, non si risolverebbe niente. Allora il nostro eroe va in giro e vede sul Campidoglio un fanatico che si versa addosso della benzina e si accende a suon di musica. Muore per qualche ideale, per una cosa eterna, ciò che i russi chiamano la «falsa eternità» delle idee astratte. Per il fanatico del film, morire per un ideale vale l’eternità. La gente lo attornia, ci sono i carabinieri che guardano sbalorditi e c’è un cane che abbaia terribilmente. Il cane è un simbolo della vita, e il suo abbaiare solleva la domanda: si può dare la vita per una cosa astratta? La vita è concreta, perciò anche l’eroe del film rimane colpito dall’abbaiare del cane.

Allora che cosa deve fare? Il profugo va ancora in giro e incontra una processione di donne che portano la statua della Madonna e cantano: sono simbolo del cammino verso l’eternità. Egli chiede a una di queste vecchiette: «Che cosa si può fare qui?». E quella: «Mettiti in ginocchio». Come a dire: con la testa non ci arriverai, è un mistero che Dio deve rivelarti. Questo mistero infatti glielo mostra un «sacro pazzo», un jurodivyj, come se ne conoscono tanti nella spiritualità russa. Gli offre una piccola candela – la fede – e con questa fede il profugo ripassa tutta la sua vita. Il film si conclude con la scena del protagonista che muore in una chiesa aperta ai quattro lati e vede come tutto ciò che ha vissuto sta ritornando, dalla gioventù fino al presente. Si vive «l’eterna memoria», l’anamnesi liturgica di tutto ciò che si è vissuto in corrispondenza con la vocazione particolare di ognuno che parte della vocazione cosmica umana.15

Il sentimento religioso innato nel cuore dell’uomo ha condotto i popoli, secondo Solov’ëv, ad attribuire agli dèi il governo del mondo, e così i cesari romani, che credevano di governare tutta la terra abitata (oikoumene), pretendevano per sé gli onori divini. Ma ogni uomo in Cristo è re e signore della terra. Perciò deve chiedersi: quale posto l’azione divina riserva all’uomo nel governo della natura inferiore?

La responsabilità dell’uomo in rapporto alla creazione è espressa da san Giovanni Crisostomo in termini fortemente semitici: «Il monarca è necessario ai sudditi e i sudditi al monarca, come la testa ai piedi».16 Dio, che è artefice e artigiano del mondo, nel paradiso comandò ad Adamo di coltivare la terra. Questa vocazione, sviluppata dai padri della Chiesa, è stata specificata sotto diversi aspetti particolari dai sociologi russi. Secondo P. Florenskij, ad esempio, l’ideale dell’ascesi cristiana non è il disprezzo del mondo, bensì la sua gioiosa accettazione, che mira a farlo diventare più ricco elevandolo a un livello superiore, fino alla pienezza di una vita trasfigurata.17

Concreatore del cosmo

Il primo oggetto della creatività umana è la propria persona e la sua crescita. Ma, insieme con la crescita spirituale dell’anima, cresce anche lo spazio in cui l’uomo vive, che è come un prolungamento del suo corpo e che gli è dato da Dio per realizzarsi. Lo osserviamo anche dal punto di vista naturale nella creatività tecnica tanto sviluppata attraverso i secoli. Nel suo libro La filosofia dell’opera comune, Fedorov si oppone alla filosofia vista come «passiva contemplazione del mondo», e propone una «filosofia dell’azione». La sua tesi principale è la seguente: l’idea non è soggettiva, né solamente oggettiva, essa è proiettiva, cioè conoscere il mondo è dominarlo, trasformarlo, creare.18 Si trovano echi del suo entusiasmo in Solov’ëv, Berdjaev e altri.19

Ci domandiamo quale sia la misura di questa creatività umana. Il desiderio è enorme, ma d’altra parte sentiamo la nostra impotenza e debolezza davanti alle forze cosmiche. Allora la nostra attività nel cosmo sembra essere limitata a modesti adattamenti. Il mondo sembra come una casa prestataci per la nostra breve dimora sulla terra, nella quale possiamo permetterci piccoli aggiustamenti.

I predicatori quaresimali ammoniscono di non occuparci troppo del «diversivo provvisorio» (caupona huius mundi quae ruit) e di pensare piuttosto al momento in cui dovremo abbandonare tutto. È senza dubbio una meditazione utile per guarire la mente invasa da preoccupazioni vane e inutili. Tuttavia, esprime solo un aspetto parziale. Una tale concezione minimalistica non può essere applicata al «primogenito degli uomini», a Cristo, per mezzo del quale è stato creato tutto ciò che è nel mondo. E se l’uomo unisce la sua attività con Cristo, anche il suo effetto nel cosmo sarà inaspettatamente superiore alla sua naturale debolezza umana. Perciò i padri, nella loro polemica contro il fatalismo, insistono sulla responsabilità dell’uomo per la sorte del mondo intero. Al loro seguito Solov’ëv20 parla quasi al modo degli ecologisti moderni, affermando che la «cosmologia spirituale» deve precedere il tema della «giustizia sociale».21

Questa cooperazione mostra vari aspetti. Enumeriamone i principali, già indicati dai padri antichi: purificare e santificare il mondo; i russi amano aggiungere: cristificare e vivificare il mondo, condurlo alla bellezza divinizzata.

Purificare e santificare il mondo

Secondo la terminologia dei padri, la responsabilità verso il cosmo consiste nella sua purificazione22 dalle forze maligne.23 A causa della malvagità degli uomini, la terra è maledetta.24 «Essa sarà di nuovo incorruttibile grazie a noi», dice Crisostomo.25 I russi, a causa della loro relazione personale con la terra, hanno una sorta di complesso di colpa verso essa.26 Esiste dunque un «peccato cosmico» nel quale siamo implicati.27

Proprio perché il peccato ci riguarda, possiamo purificare la terra. Bulgakov parla di liberare la terra dalla sua forza «magica». Nei suoi rapporti con il mondo, «l’uomo è caduto nella tentazione del "magico", sperando di raggiungere il possesso del mondo attraverso mezzi esterni, non spirituali». Il mondo resiste agli sforzi dell’uomo per possederlo, e la mancanza di armonia tra l’uomo e il mondo conduce alla necessità del lavoro e dell’attività economica che ha il «carattere della magia grigia», «riunendo in se stessa in un intreccio inestricabile la magia nera e bianca, le potenze della luce e delle tenebre, dell’essere e del non essere».28 Il testo esprime una profonda osservazione. Nelle superstizioni di carattere «magico» si manifesta la tendenza ad attribuire alla materia le forze che sono proprie della persona. Il peccato «spersonalizza» le nostre relazioni con il mondo. Senza rendercene troppo conto, aspettiamo dagli oggetti del mondo gli effetti che si possono ottenere solo dalla relazione personale con Dio. Così si arriva a un paradosso: gli scienziati atei combattono la vera religione come superstizione e in realtà talvolta cadono in una superstizione vera e propria.

L’aspetto positivo della purificazione è la santificazione.29 L’ascesi cristiana vuole che il mondo sia più ricco attraverso un’elevazione verso un livello superiore di vita trasfigurata, «teofanica».30 L’espressione iconografica di questo pensiero è l’immagine della pentecoste, con la figura del «re cosmo» che, in prigione, gioisce per la venuta dello Spirito Santo sugli apostoli. Secondo i Versi spirituali dei cantici popolari russi, il mondo desidera tornare alla propria natura spirituale, perché la sua origine è la forza dello Spirito Santo.31 Solov’ëv chiama questa trasfigurazione del cosmo «teurgica». Nelle Vite dei santi, il mondo si manifesta allo stato paradisiaco. Il ritorno alla sua natura spirituale è evocato attraverso l’obbedienza degli animali selvaggi agli uomini santi. Numerosi esempi si trovano nei racconti biografici dei padri e, tra i russi, Serafino di Sarov, al quale un orso selvaggio portava il miele, può essere preso come esempio.

L’aspetto cristologico32 della cosmologia dei padri sviluppava la realtà di Cristo come Logos-Parola, come legge universale di tutte le creature. Solov’ëv riprende lo stesso pensiero in modo dinamico, unendolo con il moderno evoluzionismo. È arrivato a mostrare magistralmente come tutto il processo cosmico, tutta l’evoluzione della natura, dai primi elementi alla coscienza umana, il lungo processo della storia universale, tutto tenda verso il Dio-Uomo, verso il Cristo incarnato e il Cristo cosmico.33

In questo contesto, si possono distinguere quattro grandi fasi dell’evoluzione cosmica: 1) dalla prima materia alla prima cellula viva; 2) dalla prima vita all’homo sapiens; 3) dal primo uomo all’Uomo-Dio, Cristo incarnato in un preciso momento storico; 4) dal Cristo storico al Cristo universale. Dato che noi viviamo ora nella quarta fase, la nostra cooperazione riprende la funzione della madre di Dio, di Maria. Infatti, come ha detto già Origene, ogni anima cristiana deve far incarnare Cristo nel mondo in cui vive.34

Vivificare il cosmo35

Cristo è la legge del mondo e Cristo è la vita. Tutto ciò che partecipa a lui è vivificato. Lo sviluppo, talvolta assai suggestivo, di questa idea si può dire tipicamente russo. I russi considerano il cosmo come un organismo vivo.36 In modo più conforme alla tradizione patristica lo esprime la seguente considerazione. La santità è la vita. Se l’uomo santifica il mondo, lo «vivifica» collaborando con lo Spirito che è zoopoion, vivificante. Purtroppo la società tecnica fa dimenticare questa vocazione dell’uomo. Le scienze tecniche pongono la macchina tra l’uomo e la natura e spezzano il legame interiore fra l’uomo e il cosmo.

Berdjaev37 afferma questo e invita i cristiani a unirsi all’opera comune, destinata a superare le forze cosmiche che producono la morte e a ristabilire la vita universale: «Se essi non creano un regno di lavoro cristianamente spiritualizzato, se non superano il dualismo della ragione teorica e della ragione pratica, del lavoro intellettuale e del lavoro fisico, non ci sarà affatto la vita cristiana».

Invece di fare conclusioni di ciò su cui abbiamo ragionato in forma teorica, preferisco illustrarle con la riflessione di un altro russo. Il grande poeta e pensatore russo V. Ivanov ha finito la sua vita ricca di contatti culturali a Roma, insegnando e scrivendo. I suoi occhi restavano sempre aperti alle bellezze dell’arte e proiettava in esse le sue meditazioni religiose. In questo senso egli scoprì una relazione spirituale fra tre capolavori della pittura rinascimentale italiana: il Giudizio finale di Michelangelo nella Cappella sistina, la Trasfigurazione sul monte Tabor di Raffaello nei Musei vaticani e L’ultima cena di Leonardo da Vinci a Milano.

La statura di Cristo nell’affresco di Michelangelo esprime quest’attitudine: «Via, lontano da me, maledetti, voi tutti che operate il male!» (cf. Mt 25,41). È ciò che Ivanov chiama mistica «anarchica», di negazione. Non è proprio Cristo, ma l’anima di un giovane idealista, il quale, scoprendo il male del mondo, pensa di poterlo sconfiggere. Tale è anche la mistica buddhista, che cerca di distruggere in un nirvana tutto ciò che non è assoluto.

Dopo un periodo di giovinezza «anarchica», coloro che amano la bellezza giungono alla mistica «della speranza», espressa da Raffaello nella Trasfigurazione: è la visione del mondo futuro, spirituale, vissuta nella fuga sul monte per dimenticare i mali e le sofferenze presenti. Infine, l’ultimo grado dell’attitudine mistica si contempla nella Cena di Leonardo da Vinci: Gesù inclina la testa per dire «sì» a tutto ciò che viene dalla provvidenza del Padre, anche al tradimento di Giuda. Ma nello stesso tempo offre il pane di vita, istituisce l’eucaristia, sacramento di vita. Con ciò tutto è trasformato, ogni bellezza desiderata è già presente.

Ivanov conclude: «Noi vediamo qui la sofferenza del mondo, ma anche l’oro della coppa e, attraverso le finestre strette, penetra l’azzurro della sera. La bellezza di questa pace d’azzurro discende nel triclinio del sacrificio».38Beata pacis visio.

Note

l Cf. T. Spidlík, L’idea russa. Un’altra visione dell’uomo, Lipa, Roma 1995, 239ss.

2 K. Barth, Credo, Paris 1936, 154.

3 J. Ellul, «Sur le pessimisme chrétien», in Fois et vie (1954), 170.

4 Cf. The Evanston Report, London 1954, 70; EO 5/87ss.

5 J. Malevez, «Deux théologies catholiques de l’histoire», in Bijdragen 10(1949), 225-240.

6 «Christianisme et théologie», in La vie intellectuelle, t. 16, ottobre 1948, 6-38.

7 Spidlík, L’idea russa, 239ss.

8 Cf. E. Benz, Die Ostkirche im Lichte der protestantischen Geschichtsschreibung von der Reformation bis zur Gegenwart, München 1952, 253.

9 N. Berdjaev, L’idée russe, Paris 1969, 22; trad. it. L’idea russa: i problemi fondamentali del pensiero russo, Mursia, Milano 1992.

10 Ivi, 40.

11 S. Bulgakov, Agnec Bozij. O Bogocelovecestve, Paris 1933, 191ss.

12 V. Lossky, Vision de Dieu, Neuchatel 1962, 140.

13 V. Solov’ëv, Duchovnye osnovy iizni (1882-1884), Soéinenija III, Bruxelles 1966, trad. it. Fondamenti spirituali della vita, Roma, Lipa 1998.

14 Cf. T. Spidlík, La preghiera secondo la tradizione dell’Oriente cristiano, Lipa, Roma 2002, 142.

15 Spidlík, L’idea russa, 217ss.

16 Giovanni Crisostomo, In 1 ad Timotheum 4,2, PG 62,523.

17 Cf. N.O. Losskij, Histoire de la philosophie russe, Paris 1954, 193.

18 V Zen’kovskij, Istoria russkoj filosofii, II, Paris 1950, 137ss.

19 Spidlík, L’idea russa, 228ss.

20 Ivi, 225ss.

21 V. Solov’ëv, Ctenija o Bogocelovecestve, Socinenija III, 1966, 130.

22 Spidlík, L’idea russa, 225ss.

23 T. Spidlik, La spiritualité de l’Orient chrétien, Orientalia christiana, Roma 1978, 141.

24 Giovanni Crisostomo, In Gen., Hom. 27, 4, PG 53, 244.

25 Id., In Rom., Hom. 14, 5, PG 60, 530.

26 G. Fedotov, Stichy duchovnye, Paris 1935, 85ss.

27 S. Frank, Svet vo t’me, Paris 1949, 198.

28 S. Bulgakov, Agnec Bozij. O Bogocelovecestve, Paris 1933, 180ss.

29 Spidlík, L’idea russa, 226ss.

30 Losskij, Histoire de la philosophie russe, 193.

31 Fedotov, Stichy duchovnye, 25.

32 Spidlík, L’idea russa, 231ss.

33 Solov’ëv, Duchovnye osnovy iizni, Socinenija III, 365ss.

34 Cf. Origene, Fragm. in Mt 281, GCS 12, 126.

35 Spidlík, L’idea russa, 230ss.

36 Ivi, 221ss.

37 N. Berdjaev, L’homme et la machine, Paris 1933, 48.

38 V. Ivanov, Opere, vol. III, Bruxelles 1979, 86.

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Le Chiese dell'oriente cristiano

Chiesa ortodossa della Bulgaria

di John Nellykullen




Il cristianesimo è entrato in Bulgaria fin dai primi secoli, infatti sappiamo che un sinodo è stato convocato a Sardica (oggi Sofia) nel 343. Le tribù bulgare che occupavano questa regione avevano infatti avuto dei contatti con gli antichi missionari cristiani. Un momento decisivo dello sviluppo del Cristianesimo tra i bulgari fu il battesimo del re Boris I ad opera di un vescovo bizantino nell’anno 865. A questo evento seguì la graduale evangelizzazione della Bulgaria. La giurisdizione ecclesiastica sulla Bulgaria fu presto causa di dispute tra Roma e Costantinopoli. Ma poiché il re scelse di essere sotto la giurisdizione di Costantinopoli la nuova Chiesa seguì il rito e la tradizione Bizantina.

Nel decimo secolo lo stato di Bulgaria divenne molto potente. Nel 927 Costantinopoli riconobbe al Re dei Bulgari il titolo di Imperatore e l’arcivescovo di Preslav ebbe il titolo di patriarca della Chiesa Bulgara. Dopo l’invasione bizantina nel 971, il patriarca lasciò Preslav trasferì la sua sede a Ohrid in Macedonia. Nel 1018 i bizantini conquistarono Macedonia e ridussero il patriarcato di Bulgaria a Chiesa autocefala arcivescovile.

Nel 1186, con l’inizio del nuovo impero a Turnovo, Bulgaria ebbe di nuovo l’indipendenza e la Chiesa bulgara riconobbe il primato del papa nel 1204. Tuttavia un nuovo accordo dell’imperatore bulgaro con i greci contro l’impero latino comportò il distacco da Roma di nuovo il riconoscimento della chiesa bulgara come Patriarcato.

Il patriarcato bulgaro perdette la sua autocefalia e fu reintegrato nel patriarcato di Costantinopoli nel 1393, questo con l’inizio del dominio turco. Ma poi nel 1870 il governo ottomano ristabilì la Chiesa Nazionale Bulgara come esarcato autonomo, ma Costantinopoli dichiarò la Chiesa nazionale Bulgara scismatica nel 1872. Lo scisma continuò fino al 1945, quando il patriarca ecumenico riconobbe la Chiesa Bulgara come autocefala. Nel 1953 il metropolita di Sofia assunse il titolo di patriarca, ma Costantinopoli lo riconobbe come patriarca solo nel 1961. L’inizio del regime comunista nel 1944 e la sua politica religiosa costrinsero la Chiesa bulgara ad assumere atteggiamento e comportamento passivi.

Dopo la caduta del comunismo, il nuovo governo iniziò la riforma delle istituzione religiose. Nel 1991 fu fondato un Consiglio per l’Affari Religiosi che dichiarò invalida la nomina (elezione) del patriarca avvenuta nel 1971 sotto il regime comunista, scatenando una divisione tra i vescovi. Un gruppo dei vescovi si riunì sotto il metropolita Pimen di  Nekrop e pubblicamente chiese la deposizione del Patriarca Massimo. La delegazione del Patriarca Ecumenico, che visitò la Bulgaria per risolvere i problemi non riuscì nel suo intento. Il 4 luglio del 1996 il Metropolita Pimen fu installato da questo gruppo come il patriarca. Il sinodo della parte del Patriarca Massimo lo scomunicò e ciò diede inizio ad un vero e proprio scisma. Nel marzo 1997 la Corte Suprema Amministrativa dichiarò invalida la decisione del Sinodo del Patriarca Massimo. Il nuovo presidente di Bulgaria, Petar Stoyanov, che eletto nel 1997 chiese la rinuncia dei due patriarchi per fare una nuova elezione.

Un Sinodo straordinario e allargato della Chiesa Ortodossa Bulgara si tenne dal 30 settembre al 1 ottobre presieduto dal Patriarca Ecumenico Bartolomeo I° confermò Massimo come Patriarca. Al Sinodo furono presenti anche sei altri patriarchi tra i quali il Patriarca Alessio II di Mosca e Petros VII di Alessandria ed inoltre 20 metropoliti. Il Patriarca Pimen e gli altri vescovi del suo Sinodo tornarono alla comunione e lo scisma ebbe fime.

Il primo Concilio generale della Chiesa Ortodossa Bulgara fu convocato a Sofia nel 1997 sotto la presidenza del Patriarca Massimo per discutere sulle nuove possibilità che la recente condizione democratica dello Stato offrivano alla Chiesa. Il Concilio chiese al governo il permesso per estendere il ministero della Chiesa ai nuovi ambienti della vita sociale e pubblica inclusi i mass-media.

Fu chiesto inoltre all’autorità statale di garantire l’istruzione religiosa nelle scuole, di istituire i cappellani per i militari, per i prigionieri e negli ospedali ed infine di restituire alla Chiesa le proprietà confiscate dal regime comunista. Il Concilio decise poi dei provvedimenti per il rinnovamento della vita ecclesiale, per lo sviluppo dei nuovi programmi di catechismo, per la formazione teologica. Istituì dei programmi per una adeguata azione sociale, sviluppò il ruolo dei laici nella Chiesa, ed infine pose le basi per la riforma della vita monastica. Furono fatti i nuovi Statuti della Chiesa per sostituire quelli si erano dovuti creare sotto la pressione del regime comunista nel 1953. L’istruzione religiosa nelle scuole ripresa già nel 1997.

Nuove facoltà di teologia sono state fondate dopo la caduta del comunismo. Oggi ci sono seminari ortodossi bulgari in Plovdiv ed in  Sofia. Vi è una facoltà di teologia all’Università di Sofia come pure all’Università di S. Cirilo e Metodio in Veliko Tarnovo. Verso la metà del 1997, la Chiesa Ortodossa Bulgara aveva 11 diocesi nel paese e due fuori del territorio nazionale con 2600 parrocchie, servite da 1500 preti. Vi erano inoltre 120 monasteri con complessivi 2000 monaci e monache.

Il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Bulgara, costituito dal Patriarca e da tutti i vescovi diocesani, è la suprema autorità clericale, giuridica e amministrativa nella Chiesa. Esso funziona in due sezioni, c ’è il Sinodo completo che si raduna ogni giugno ed ogni novembre e ogni altra volta in cui sia necessario, ed il Sinodo minore composto dal Patriarca e da quattro vescovi, eletti dal Sinodo completo per un periodo di quattro anni, che è in funzione permanente per dirigere gli affari ordinari della Chiesa. Il Patriarca presiede ambedue i Sinodi e si occupa dei rapporto con lo Stato e con le altre Chiese.

Delle due diocesi fuori del territorio nazionale, una è guidata dal metropolita Giuseppe di America, Canada ed Australia. Egli risiede a New York Questa diocesi ha nove parrocchie negli Stati Uniti, due in Canada e due in Australia. Un’altra diocesi della Chiesa Ortodossa Bulgara fa parte della Chiesa Ortodossa in Stati Uniti e ci sono 14 parrocchie in Stati Uniti e due in Canada.

Esistono poi fedeli di questa Chiesa ortodossa in Inghilterra con sede in Londra.


TERRITORIO

L a Bulgaria e la diaspora in Europa ed in America

GUIDA

Patriarca Massimo nato nel 1914, eletto nel 1971

TITOLO

Metropolita di Sofia, Patriarca di Bulgaria

RESIDENZA

Sofia, Bulgaria

MEMBRI

8.000.000

WEB SITE

http://bulgarian.orthodox-church.org

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Mercoledì, 26 Settembre 2007 02:09

Uno Yoga per l'Occidente (Mariano Ballester s.j.)

Uno Yoga per l'Occidente

P. Mariano Ballester s.j.

La nuova coscienza

Il risveglio verso una nuova coscienza, che l'umanità sta sperimentando a partire dall'ultimo quarto di questo secolo è un fatto palese a tutti.

Fra le diverse prese di posizione che questo fatto suscita fra gli uomini di oggi, ci sono due estremi, come succede sempre quando nasce qualcosa di nuovo: quasi due poli essenziali fra i quali si svolge la dialettica di ogni evoluzione: uno è il drastico rifiuto e la chiusura di fronte ai fatti e l'altro è la totale apertura a ogni nuova esperienza. Ma fra questi due poli esiste tutta una gamma di posizioni, di reazioni intermedie, nate dall'infinita varietà dei livelli di coscienza, di culture e di circostanze, che diversificano gli esseri umani. Il risultato, a mio avviso, è molto bello e molto positivo: è cioè il sottile e progressivo consolidamento di una vasta rete umana di consapevolezza, fatta di tante posizioni e intuizioni, che indubbiamente ci avvicina sempre di più gli uni agli altri, a livelli insospettabilmente profondi. Questa specie di rete costituisce la nuova realtà, la cosiddetta nuova coscienza.

Manifestazioni di questa nuova coscienza.

Manifestazioni di tale avvicinamento sono, ad esempio, le crescenti sintonie tra scienza e spiritualità, come lo studio delle implicazioni delle fenomenologie mistiche tradizionali nelle nuove visioni e ipotesi scientifiche sulla realtà. Uno di questi avvicinamenti, fra i più curiosi, è l'ipotesi di un universo autocosciente, formulata da Geoffrey Chew, che ha inevitabili punti di contatto sia con il mistero cristiano del corpo mistico di Cristo, sia con il misticismo della cristificazione progressiva universale di Teilhard de Chardin.

Nello stesso senso, e più recentemente, il fisico americano Fritjof Capra ci presenta nel suo best seller "Il Tao della fisica", i risultati delle sue ricerche sull'avvicinamento della fisica moderna alla concezione della mistica tradizionale, specialmente quella orientale, che vede le strutture del mondo come maya, cioè pura forma mentale. E' interessante tener conto (come poi avremo occasione di valutare complessivamente) che l'inizio di questo grande avvicinamento scientifico-spirituale fu un'esperienza che coinvolgeva più livelli di percezione e non solo quello della pura riflessione concettuale. Non si è trattato né di una serie di studi di tipo scientifico e neanche di una riflessione personale di Capra, ma è stata un'esperienza complessiva, nella quale sono entrati a far parte diversi strati della sua percezione, non solo la mente. Infatti il fisico ci parla così di quella che definisce magnifica esperienza:

"In un pomeriggio di fine estate, seduto in riva all'oceano, osservavo il moto delle onde e sentivo il ritmo del mio respiro, quando all'improvviso ebbi la consapevolezza che tuffo intorno a me prendeva parte a una gigantesca danza cosmica. Essendo un fisico, sapevo che la sabbia, le rocce, l'acqua, l’aria che mi circondavano erano composte da molecole e da atomi in vibrazione e che questi, a loro volta, erano costituiti da particelle che interagivano tra loro, creando e distruggendo altre particelle. Sapevo anche che l’atmosfera della terra era continuamente bombardata da una pioggia di raggi cosmici. Tutto questo mi era noto. Ma fino a quel momento ne avevo avuto esperienza solo attraverso grafici, diagrammi e teorie matematiche. Sedendo su quella spiaggia, le mie esperienze precedenti presero vita. 'Vidi' scendere dallo spazio esterno cascate di energia, nelle quali si creavano e si distruggevano particelle, con ritmi pulsanti. 'Vidi' gli atomi degli elementi e quelli del mio corpo partecipare a questa danza cosmica di energia. Percepii il suo ritmo e ne 'sentii' la musica. E in quel momento seppi che questa era la danza di Shiva, il Dio dei danzatori adorato dagli indù''.

Però non solamente la fisica si apre alle dimensioni dello spirito, ma anche le nuove psicologie, specialmente la psicologia Transpersonale (cf. studi della prof.ssa Boggio Gilot, Assaggioli...), si sono ampiamente arricchite aprendosi alle dimensioni dello spirito.

Queste aperture si verificano anche nel campo sociale. E' da notare, negli anni '60, la nascita, negli Stati Uniti, delle cosiddette generazioni psichedeliche, formate soprattutto da giovani particolarmente sensibili alle nuove vibrazioni di coscienza, gli hippies, i figli dei fiori (a San Francisco, in California) e la generazione beat, a New York. Questi giovani, creatori della controcultura e, in un certo senso, precursori di tanti movimenti e avvenimenti futuri, manifestavano nello stile di vita una curiosa miscela, nella quale il consumo delle droghe e il totale disinteresse per i valori della società tradizionale si univano a una sincera sintonia e rispetto verso la natura (che conteneva già i germi di quella che diverrà in seguito l'attuale coscienza ecologica) e a una netta ribellione contro il materialismo del sogno americano e contro le sofferenze causate dalla guerra nel Vietnam. Ecco, ad esempio, con quali parole annunciavano, in un comunicato stampa, uno dei loro raduni

"Gli attivisti politici di Berkeley e la generazione dell'Amore di Haight-Ashbury, si uniranno ai membri della nuova nazione che arriveranno da ogni Stato; si uniranno a ogni tribù di giovani (l’anima emergente della nazione), per annunciare e festeggiare l’era di liberazione, Amore, pace, compassione e unità di tutto il genere umano. La notte di terrore del corpo americano dal cuore d'aquila è finita. Attacca la tua paura al chiodo e unisciti al futuro. Se non ci credi strofina bene gli occhi e guarda!" (Drury, 84).

Incontro tra Oriente e Occidente

Credo, però, che un grande impulso a questa nuova coscienza sia stato dato dall'avvicinamento, dallincontro tra Oriente e Occidente.

Già il noto storico inglese Arnhold Toynbee pronosticava come una delle chiavi di discernimento della futura evoluzione dell'uomo, l'avvicinamento fra cristianesimo e buddismo.

Diversi e complessi fattori di ordine storico, politico, religioso e culturale, hanno contribuito a favorire questo avvicinamento. Quando, ad esempio, negli anni '50 i comunisti cinesi tentarono di soffocare l'antica e religiosissima civiltà ierocratica tibetana, nel nostro pianeta ebbe inizio, secondo alcune interpretazioni, una specie di spostamento di polarità spirituali da Oriente verso Occidente, che causò questa specie di miscela spirituale. L'espulsione del Dalai Lama e l'apertura della cultura buddista tibetana all'Occidente, fu sicuramente una delle principali ondate che fece risvegliare in tanti lattenzione per la spiritualità orientale e fece spostare verso l'Occidente i primi guru orientali, fondatori di tanti movimenti, che poi si sarebbero propagati dappertutto, nei Paesi industrializzati. Non c'è dubbio che oggi è a portata di mano quello che per molti di noi era un tempo il lontano Oriente. Oggi, in quasitutti i settori più importanti della società moderna, troviamo segni di questo incontro. Sui nostri periodici e sulle riviste popolari appaiono di tanto in tanto notizie su corsi di yoga, di zen, di meditazione trascendentale. Tutti noi abbiamo talvolta incontrato per strada giovani vestiti con il dhoti di cotone bianco che ci offrono corone di Krishna e volantini di propaganda del loro movimento. In negozi specializzati, e persino al mercatino romano di Porta Portese, tutti possono procurarsi misteriosi oggetti con incisi caratteri in sanscrito, si possono trovare bastoncini di incenso di svariatissimi tipi e perfino tuniche e vestiti per la meditazione, profumi orientali di ogni tipo; ci sono cassette e CD con musica per meditare, per risvegliare i chakras o per visualizzare paesaggi della natura. Ci sono videocassette con registrazioni di incontri e conferenze dei più famosi guru. Ogni grande capitale del mondo occidentale ha centri specializzati dove si insegna yoga; librerie con testi su questo argomento; insegnanti di diversi metodi di meditazione. Quanto alla televisione e al cinema, ci sono molti films o serials televisivi dove è ampiamente diffusa la saggezza orientale nei suoi diversi rami. In questi giorni mi telefonano continuamente giornalisti per chiedermi cosa ne penso del film "Il piccolo Budda", del regista Bertolucci, che non ho ancora visto e sul quale non posso quindi dare un giudizio. A noi interessano soprattutto gli aspetti spirituali e mistici di questo avvicinamento.

Accoglienza delle tradizioni orientali da parte della Chiesa

Poiché si è spesso diffusa una vicendevole critica, a mio avviso esagerata, fra ciascuno dei due poli estremi (quello di drastico rifiuto e quello di acritica accettazione), vorrei in questo senso far notare l'indubbio spazio di rispetto e di accoglienza verso la nuova ricerca spirituale, apertosi anche nell'ambito della Chiesa, che già nella sua stessa nascita è presentata da Cristo come lievito mischiato all’insieme della massa, sale sciolto nei nutrimenti e luce che penetra dappertutto. Cristo vuole la Chiesa mischiata. Questo è molto interessante, secondo me. Dunque, tutto quello che costituisce separazione, anche se questa separazione è rinchiudersi in una gabbia d'oro, meravigliosa, non è adatto alla vera Chiesa come l'ha presentata e voluta Cristo.

A questo proposito vorrei ricordare uno dei documenti più belli e genuini e, purtroppo, meno noti. Si tratta della Dichiarazione finale dell'Assemblea della Federazione delle Conferenze Episcopali d'Asia (FABC). Nel novembre '78, in un seminario a nord di Calcutta (India) si sono riuniti i rappresentanti di tutte le Conferenze Episcopali dell'Asia. Questa Assemblea aveva come compito fondamentale quello di studiare la preghiera delle grandi tradizioni dell'Asia e confrontarla con la preghiera cristiana. Si è trattato di una riunione molto importante che vedeva i più genuini rappresentanti della preghiera asiatica, orientale, in dialogo col cristianesimo.

Mi sono molto sorpreso che, a suo tempo, non sia stata data a questa Dichiarazione la stessa evidenza di altri documenti, anche più scottanti. Un paragrafo molto significativo diceva: "Lo Spirito sta spingendo le Chiese dell'Asia a integrare nel tesoro della nostra eredità cristiana quanto di meglio c'è nelle nostre forme tradizionali di orazione e di culto. L'Asia ha molto da dare all'autentica spiritualità cristiana: un metodo di preghiera sviluppato, che coinvolge tutta la persona in unità di corpo-psiche-spirito; una preghiera di profonda interiorità e immanenza, tradizioni di ascetismo e di rinuncia; tecniche di contemplazione che si ritrovano nelle antiche religioni orientali, come lo zen e lo yoga, forme di preghiera semplificate, come il nam-japa e il bhajans e altre espressioni popolari di fede e di pietà da parte di quanti, nella loro vita quotidiana, rivolgono veramente a Dio i loro cuori e la loro mente".

Nello stesso anno Paolo VI, dieci giorni prima della sua morte, si rivolgeva così a un gruppo di monaci zen giapponesi e ad altre personalità del mondo orientale: "Ci conforta la priorità che date alla purificazione del cuore, che è una soluzione chiave per qualsiasi problema". Queste parole sono bellissime! La purificazione, la limpidezza di cuore! Quando inizio i miei corsi di meditazione profonda dico sempre che, coloro che si riuniscono ai vari tavoli di trattative per la pace, che a volte già prima di cominciare disputano sul fatto che il tavolo debba essere rotondo o allungato e che magari non riescono a dormire tranquilli, soffrono di insonnia e devono prendere pillole per poter dormire, difficilmente potranno fare qualcosa di serio per la pace! E a questo riguardo è bello ricordare le parole pronunciate da Paolo VI, che continuava dicendo: "Una delle affermazioni di Nostro Signor Gesù Cristo, contenuta nel Vangelo, dice: 'Se il tuo occhio è limpido, tutto il tuo corpo sarà nella luce', (Mt 6,22). Siamo poi convinti che non esista soluzione ai problemi della libertà, della giustizia sociale, dello sviluppo integrale e soprattutto della pace, se il cuore e le intenzioni degli individui non sono puri. Che il Dio Altissimo vi assista in questa ricerca di un cuore puro, nobile e generoso".

Il Papa terminava poi il suo discorso con parole che, alla luce di quanto abbiamo indicato circa la crescente rete di mutua intesa e di sintonia nella nuova coscienza, hanno un valore profondamente significativo: "'Chiediamo al Signore la ricchezza di amarvi e di servirvi sempre". Ed è il papa che dice a dei roshi (maestri zen) che vengono dall'Oriente: "la grazia di amarvi e di servirvi sempre". Sono parole d'oro!

Incontri, impensabili fino a soli cinquant’anni fa, si sono verificati negli ultimi tempi fra la Santa Sede e i più alti rappresentanti della spiritualità dell'Oriente non cristiano. I papi hanno ricevuto diversi patriarchi del buddismo, della Thailandia e del Laos. Già varie volte Giovanni Paolo II ha ricevuto il Dalai Lama, prima autorità del buddismo tibetano. Poi ha anche ricevuto vari roshi e rappresentanti del buddismo giapponese: rinzai, tendai e soto, vari guru e swami dell'india e vari monaci tibetani.

Oltre a questi incontri e documenti, non può non essere un segno palese di apertura e di dialogo interreligioso l'atteggiamento dimostrato da papa Giovanni Paolo II durante i suoi viaggi apostolici in Oriente. E a questo proposito merita uno speciale rilievo il suo incontro con i capi del buddismo avvenuto a Jakarta nell'ottobre '89 e i relativi discorsi. C'è poi un altro incontro, che non era previsto nel viaggio papale, avvenuto a Bangkok e la cui notizia non è stata resa pubblica. Io ne sono venuto a conoscenza, in via privata, attraverso persone che hanno partecipato al viaggio e che di questo incontro sono state testimoni. A Bangkok, il capo del buddismo locale era un vecchietto di circa ottant'anni e più. Se ne stava tutto accoccolato su cuscini quando il Papa gli si è avvicinato per salutarlo. Penso che questo non fosse previsto dal protocollo, ma che il Papa volesse in questo modo facilitare l'incontro e il saluto. Erano però già pronti traduttori e i doni da scambiare. Il Papa ha guardato quell'uomo e il vecchietto ha guardato il Papa. Si sono fissati a lungo negli occhi, senza parlare, e in questo modo, in completo silenzio, si sono scambiati il meglio di sé. Il Papa in piedi, l'altro seduto. E' stato un incontro bellissimo!

Ma si può dire che il capolavoro di questi incontri e spazi, sempre più aperti alla mutua accoglienza, è stato l'incontro di Assisi, dove i capi di tutte le religioni del mondo si sono uniti per pregare per la pace.

Ci sono poi stati anche altri tipi di incontri, non così importanti, tuttavia molto belli e a livello più privato: reciproci scambi di ospitalità e di esperienze spirituali tra monaci di monasteri cristiani occidentali e monaci orientali non cristiani; incontri per condividere una comune esperienza di meditazione o anche semplicemente per condividere, per un breve periodo di tempo, uno stile di vita.

Più durevoli e impegnative sono le iniziative personali da parte cristiana, avviate da alcuni specialisti, quasi sempre religiosi, con l'intento di adattare i metodi di meditazione orientale ai contenuti della spiritualità cristiana.

Grandi pionieri in questo nel campo dello yoga classico sono stati Déchanet, monaco cristiano, benedettino, e padre Kadowaki, gesuita. Hanno fatto un grande lavoro in Oriente, specialmente in Giappone, per quanto riguarda il dialogo col buddismo zen.

Da ricordare Anthony De Mello, indiano, conosciutissimo per i suoi libri di meditazione tradotti in quattordici lingue, e poi John Main e un altro benedettino, meno conosciuto, Pennington, ecc..

Necessità di uno yoga occidentale

orientali alla nostra cultura e alla nostra vita quotidiana. Non pochi giorni fa mi scriveva una moderna ricercatrice, riferendosi a un libro sulla meditazione orientale, recentemente apparso. Diceva che, pur avendolo apprezzato molto, lo trovava però piuttosto difficile perché sentiva di trovarsi di fronte a una cultura diversa. Lo stesso desiderio di trovare una via di meditazione adatta alla nostra atmosfera e cultura occidentale, traspare nella domanda che mi è stata posta durante uno dei miei ultimi corsi di "Meditazione Profonda": come mai Cristo non ci ha trasmesso queste tecniche ? ". In realtà Cristo non è venuto a rivelarci un metodo, una tecnica di meditazione, ma a risvegliarci e salvarci dal nostro torpore ed egoismo e a rivelarci chi siamo. Siamo noi, come discepoli e come Chiesa che, guidati dalla sua parola, possiamo e dobbiamo trovare la nostra via di meditazione e realizzazione. Ma lo stesso Cristo ci ha dato le chiavi preziose per un vero e proprio cammino meditativo, in sintonia con le grandi tradizioni di spiritualità, già esistenti nel suo tempo.Il fatto che la nostra tradizione abbia maestri di meditazione silenziosa come Eckhart, Tauler, Ruysbroeck, Gregorio di Nissa, l'autore della "Nube della non-conoscenza", e Giovanni della Croce (che i monaci dello zen stimano moltissimo), e che abbia aperto vie di realizzazione come quelle dell'esicasmo, praticato ancor oggi nel Monte Athos, è un palese indizio che il messaggio di Cristo contiene queste chiavi di silenzio. Infatti, nonostante Cristo avesse la necessità pedagogica di adattare i suoi insegnamenti a una grande varietà di ascoltatori, i suoi insegnamenti contengono chiari inviti alla continua pratica della consapevolezza, come appare nelle parabole della luce, e norme molto pratiche e concrete, in perfetta sintonia con le discipline yama e niyama che iniziano lo yoga sutra di Patanjalj, come sono, ad esempio, gli orientamenti e i consigli dati nel Sermone della Montagna, (molto apprezzato dagli orientali). Infatti, sono stati spesso gli stessi orientali a farci scoprire sottilmente questo aspetto del messaggio di Cristo. Tutti sappiamo che Gandhi considerava molto e in modo speciale il Sermone della Montagna, come pure Kadowaki, buddista, convertitosi poi al cattolicesimo in Giappone, dove aveva studiato presso l'Università dei gesuiti, Sofia, e fattosi poi gesuita lui stesso. Egli aveva un maestro zen e ha scritto alcuni libri per capire più profondamente il cristianesimo, con il corpo e alla luce della via zen, come lui dice. E sempre Kadowaki ha anche messo in rilievo il fatto che il Vangelo di Cristo contiene tanti famosi koan (insegnamenti) di meditazione zen.

Cristo stesso1 poi, quando finiva di parlare lasciava intendere che non tutti avevano capito o saputo cogliere i preziosi insegnamenti per una vera e propria realizzazione, dati i diversi stati di coscienza, più o meno sviluppata, con il noto avvertimento. "Chi ha orecchi per intendere, intenda!".

Il punto debole occidentale

Voglio finire parlando di quello che è il punto debole occidentale. Il più forte punto debole, (anche se questo gioco di parole sembra un paradosso), del nostro atteggiamento in Occidente.

E' certo, però, che nel vasto campo delle culture occidentali, come indicano le testimonianze che abbiamo citato, non si conosce ancora con un sufficiente adattamento e precisione, come succede in Oriente, quello che Karl Gustav Jung chiamerebbe uno yoga occidentale. Il nostro punto debole è la causa per cui non arriviamo a formare quello che Jung indicava come uno yoga occidentale. Egli soleva dire che l'Occidente deve ancora trovare il suo proprio yoga. Ed è anche Jung che, in uno dei suoi viaggi, scoprì in che consiste questo nostro punto debole, tipico della cultura occidentale, che ci impedisce l'accesso alle vie di saggezza, da sempre aperte, e ci lascia incagliati di fronte ai profondi mari, che hanno portato tanti navigatori di altre spiagge verso la realizzazione di sé.

In un suo viaggio nel Nuovo Messico, Jung incontrò un capo degli indiani Pueblos. Vale la pena di citare la conversazione tra i due, dove Jung venne a conoscenza di quel grande impedimento che ci preclude l'accesso a uno yoga occidentale. "vedi - diceva il capo indiano - i bianchi vogliono sempre qualcosa, sono sempre scontenti, irrequieti. Noi non sappiamo cosa vogliono. Non riusciamo a capirli. Pensiamo che sono pazzi". Jung chiese a questo capo perché mai pensasse che i bianchi fossero tutti pazzi. E l'indiano gli rispose, come se facesse una grande rivelazione: "Dicono di pensare con la testa". "Ma certamente pensano con la testa! " - disse Jung - "E tu, con che cosa pensi? ". E lui: " Noi pensiamo qui", disse, indicando con la mano il cuore. E Jung conclude: "Mi immersi in una lunga meditazione. Per la prima volta nella mia vita, così mi sembrava, qualcuno mi aveva tratteggiato l’immagine del vero uomo bianco. Era come se, fino a quel momento, non avessi visto altro che stampe colorate, abbellite dal sentimento. Quell’indiano aveva centrato il nostro ‘punto debole’. Aveva svelato una verità, alla quale siamo ciechi".

Ecco perché, malgrado Cristo abbia spalancato le spiagge di meditazione e di sviluppo spirituale, che ci avrebbero fatto diventare vera luce del mondo, sale della terra, come Egli voleva, noi ci siamo invece mantenuti fedeli alla nostra sordità, contenti nei ridotti schemi del nostro pensiero, e forse sarebbe ancora più adatto dire del nostro emisfero cerebrale sinistro.

Mi auguro che aumenteranno ulteriormente le maglie della rete della nuova coscienza, che già si estende da un confine all'altro della terra.

Anzi, penso che questa ondata, che rinfresca dappertutto e che purifica le nostre secolari impalcature e i nostri freni nella via dello spirito, non si fermerà neppure di fronte a un possibile yoga occidentale o yoga orientale, ma ci porterà verso lo yoga dell'umanità, come simbolicamente ci ha fatto gioiosamente intravedere, e sognare, il felice incontro di Assisi, per la pace nel mondo, quando tutti i capi delle religioni mondiali si sono incontrati per una preghiera comune, ognuno col suo stile, ciascuno recitando preghiere bellissime.

Grazie della vostra accoglienza e buona navigazione.

CENTRO RUSSIA ECUMENICA


Bibliografia

Ricordi, sogni, riflessioni di K G. Jung, Raccolti ed editi da Aniela Jaffé, Rizzoli, 1992.

F. Capra, Il Tao della fisica, Adelphi, 1993.

N. Drury, Le potenzialità umane, Crisalide, 1993

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Sabato, 30 Giugno 2007 02:05

Il sacerdozio universale dei laici

Il sacerdozio universale dei laici


Le traduzioni greche del testo ebraico dell’Antico Testamento (così la versione di Aquila), applicano il termine laikos, laico, non agli uomini ma alle cose. Per esempio un “viaggio laico”, una “terra laica”, il pane laico (1 Sam. 21,4) (bebelos, nei Settanta, laices panes nella Vulgata) sono le cose “profane” che non sono destinate al servizio del Tempio (1 Sam. 21, 5-6; Ez. 48, 15).

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IL MONTE ATHOS

Dalla terra al cielo

di Jean-François Colosimo


“Talanton, tatalanton, tatatatalanton…”. Nella notte fonda il martelletto urta, risalta, danza sul legno della simandra. È così, dice la tradizione, che Noè convocò gli animali nell’arca. È così, dice la regola, che i fratelli sono chiamati a riunirsi in chiesa.

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Le Chiese dell'oriente cristiano

Chiesa ortodossa della Romania

di John Nellykullen





La chiesa ortodossa rumena è unica fra le chiese ortodosse perché è la sola ad esistere all'interno di una coltura latina. Il rumeno è una lingua romanza, che discende direttamente dalla lingua dei soldati romani e dei colonizzatori che avevano occupato la Dacia e si erano sposati con gli abitanti del luogo a seguito della conquista dell’Imperatore Traiano nel 106 d.C.

Il cristianesimo della zona risale ai tempi apostolici ma la storia del suo sviluppo durante il millennio dopo la fine dell’occupazione romana nel 271 è oscura. Certamente sia i missionari latini che quelli bizantini furono attivi nel territorio. In ogni caso nel momento in cui i principati rumeni di Moldavia e Valacchia emergono come entità politiche, nel quattordicesimo secolo, l’identità etnica rumena si era già identificata con la fede cristiana ortodossa.

I seguenti secoli hanno testimoniato lo sviluppo di una specifica tradizione teologica rumena nonostante il fatto che Valacchia e Moldavia fossero vassalle dell’impero ottomano dal 16mo al 19mo secolo. I due principati furono riuniti sotto un solo principe nel 1859 e la Romania divenne completamente indipendente nel 1878. Di conseguenza, il Patriarcato di Costantinopoli, che aveva esercitato la giurisdizione sui Rumeni mentre facevano parte dell’impero ottomano, riconobbe nel 1885 alla Chiesa Rumena lo stato di autocefalia . La Transilvania che comprendeva un elevato numero di ortodossi fu integrata nel regno rumeno dopo la prima guerra mondiale e la Chiesa Rumena fu elevata al rango di Patriarcato nel 1925.

L'istallarsi di un governo comunista in Romania dopo la seconda guerra mondiale creò un nuovo modus vivendi tra chiesa e stato. ed in generale la Chiesa Ortodossa Rumena adottò una politica di stretta collaborazione con il governo. Quali che possono essere stati i meriti di quella decisione la chiesa potette realizzare un'esistenza attiva e piena di significato nel paese. Un movimento spirituale forte di rinnovamento ebbe vita verso la fine degli anni 50. Tantissime chiese erano aperte e vi erano in funzione molti monasteri anche se tutta l'attività della chiesa era sotto il rigoroso controllo del governo. Vi erano sei seminari e due istituti teologici (a Sibiu ed a Bucarest). Periodici teologici di alta qualità erano regolarmente pubblicati, tre dallo stesso Patriarcato ed uno per ognuna delle 5 metropolie, come pure venivano pubblicati altri importanti lavori teologici

A seguito della caduta del regime di Nicolae Ceausescu nel dicembre del 1989 la gerarchia ortodossa fu aspramente criticata per la collaborazione data al regime comunista: Il Patriarca Teoctist dette le dimissioni nel gennaio 1990 ma il Santo Sinodo lo reintegrò nel mese di aprile. Da allora la Chiesa Ortodossa Rumena ha preso una sua posizione di equilibrio ed ha sperimentato uno sviluppo continuo della sua attività. Ci sono attualmente in atto dei programmi per la costruzione di una enorme Cattedrale della Salvezza della Patria a Bucarest. Programma abbastanza contestato a livello laicale, sembra per motivi ecologici. Purtroppo la Chiesa Ortodossa Rumena è ancora in stato di conflitto con la Chiesa Greco Cattolica per il problema della restituzione a questa delle varie chiese confiscatele nel 1948 dal governo comunista e consegnate alla Chiesa Ortodossa. I cattolici ne chiedono la restituzione ma gli Ortodossi oppongono una forte resistenza.

All'inizio del 2003 la Chiesa Ortodossa Rumena ha comunicato di avere 23 diocesi e 12.761 parrocchie. Ugualmente ha detto di avere 373 monasteri e 181 sketes (piccoli monasteri) con un totale di 3.368 monaci e di 4.661 monache. La chiesa era servita da 12173 preti e diaconi; 229 preti erano in servizio come cappellani di ospedale, 39 nelle prigioni e 90 nelle forze armate. Vi erano inoltre 38 seminari con un totale di 4.715 allievi, comprendendo tra gli studenti le monache ed i laici. Gli studi superiori di teologia erano ormai integrati nel sistema universitario statale, con 15 facoltà di teologia ortodossa nel contesto della nazione. Complessivamente vi erano 11.063 allievi di teologia. In più vanno considerate 21 scuole per i cantori della chiesa con 884 allievi. Cinque nazionali e 49 diocesani sono i giornali che si è iniziato a pubblicare.

Secondo il censimento rumeno effettuato nel 2002, ben l’ 86.7% della popolazione si è dichiarato ortodosso. I sondaggi di opinione hanno indicato costantemente che la popolazione rumena tiene la chiesa in alta considerazione, con 86% che nel 1997 definiva l’attività della Chiesa Ortodossa buona o molto buona.



In 1993 il Patriarcato rumeno ha ristabilito le giurisdizioni nella zone che facevano parte della Romania nel periodo tra le due guerre. Nel nord della Bucovina, ora Ucraina, ed in Bessarabia che ora per la maggior parte del territorio è parte delle repubblica indipendente di Moldova. La chiesa ortodossa in Moldova aveva fatta parte della chiesa ortodossa russa a partire dalla seconda guerra mondiale e le era stato appena riconosciuto la stato di autonomia da Mosca. Così gli ortodossi in Moldova sono stati divisi in due giurisdizioni. Il governo di Moldova ha sostenuto la giurisdizione collegata a Mosca (la chiesa ortodossa di Moldova) e non ha riconosciuto la nuova giurisdizione rumena (la chiesa ortodossa di Bessarabia) non concedendo la registrazione ufficiale. Il 27 settembre 2001, il governo di Moldova ha dichiarato che la Chiesa ortodossa di Moldova aveva più di 1.000 parrocchie, questo allo scopo di riconoscerne il possesso dei beni. Nessun tentativo è stato fatto, tuttavia, di confiscare le proprietà della Chiesa Ortodossa di Bessarabia.

Il 13 dicembre 2001, la corte europea dei Diritti dell'Uomo ha dichiarato che il governo della Moldova aveva violato gli articoli della Convenzione europea rifiutando di registrare la chiesa di Bessarabia. Il governo si è appellato contro la sentenza nel febbraio del 2002 ma la Corte ha respinto il ricorso. Nel Luglio del 2002 il governo di Moldova per mezzo dell’Ufficio per Affari del Culto ha registrato la Chiesa di Bessarabia malgrado le proteste della Chiesa Ortodossa di Moldova. Diretta dal Metropolita Petru, la chiesa ortodossa di Bessarabia a quel tempo aveva esattamente 75 prieti e 68 parrocchie.. La maggior parte delle parrocchie non aveva una chiesa adeguata, perciò ci si doveva accontentare di cappelle o di radunarsi in case private.

La più alta autorità nella Chiesa Ortodossa Rumena, per le questioni spirituali e canoniche è il Santo Sinodo composto da tutti i vescovi in carica nel paese. rumeno Le riunioni hanno luogo almeno una volta all'anno. Negli altri momenti la gestione normale della Chiesa è competenza del Santo Sinodo permanente composto dal Patriarca, dai Metropoliti in carica e dal segretario del Santo Sinodo. Per i problemi finanziarii ed amministrativi la più alta autorità è l’Assemblea Nazionale composto da un chierico e due laici per ogni diocesi e dai membri del Santo Sinodo Il supremo organo amministrativo del Santo Sinodo e dell'Assemblea nazionale è il Consiglio Nazionale della Chiesa, composto di tre chierici e sei laici scelti dall’Assemblea Nazionale della Chiesa per un periodo di quattro anni insieme con, come membri permanenti dei consiglieri amministrativi patriarcali.

Complessivamente il Patriarcato Rumeno ha all’estero tre metropolie, un’arcidiocesi, e due dioecesi. Un’arcidiocesi in America del Nord affidata all’Arcivescovo Nicolae Condrea (P.O. Box 27, Skokie, Illinois 60076). Essa ha 25 parrocchie e missioni negli S.U.A. e 18 nel Canada. Fedeli ortodossi rumeni sono in Gran Bretagna ed in Irlanda sono sotto la giurisdizione dellìArcivescovoo Joseph Metropolita dell’ Europa occidentale e del sud, con sede a Parigi. La Comunità rumena in Australia, ha quattro parrocchie. Il Metropolita Nicolae Corneanu del Banat è stato nominato dal Santo Sinodo Esarca di tutti gli ortodossi rumeni della diaspora.


Un'altra giurisdizione ortodossa rumena parte della chiesa ortodossa in America è presieduta dal vescovo Nathaniel Popp (Romanian Orthodox Episcopate of America, 2535 Grey Tower Road, Grass Lake, Michigan 49201-9120). Vi sono 56 parrocchie negli S.U.A. e 19 nel Canada. In 1993 le due giurisdizioni ortodosse rumene in America del Nord hanno accosentito a stabilire dei normali rapporti ecclesiali completi chiudendo così decenni di ostilità.







TERRITORIO:
La Romania, l'Europa occidentale e l'America del Nord

GUIDA:
Patriarca Daniel

TITOLO:
Arcivescovo di Bucarest, metropolita della Ungro-Walacchia, patriarca della Chiesa Ortodossa Rumena

RESIDENZA:
Bucarest, Romania


MEMBRI: 18.817.975 in Romania (censimento del 2002)

WEB SITE:
http://www.patriarhia.ro


Pubblicato in Chiese Cristiane
Mercoledì, 14 Marzo 2007 02:09

XIII. La chiesa ortodossa Serba (John Nellykullen)

Le Chiese dell'oriente cristiano

XIII. La chiesa ortodossa Serba

di John Nellykullen

Le origini della Cristianità in Serbia sono oscure. Si sa che i missionari Latini furono attivi nel secolo VII lungo la costa dalmata e che durante il secolo IX vi erano missionari greci attivi in Serbia, mandati dall’imperatore Basilio I il macedone. Fu così che il popolo serbo divenne interamente cristiano.

Fu in parte per la sua posizione geografica che la Chiesa serba oscillò per un po’ di tempo tra Roma e Costantinopoli, ma finì per gravitare verso i bizantini Nel 1219 San Sava fu consacrato prima Arcivescovo dell’Autonoma Chiesa Ortodossa Serba dal patriarca di Costantinopoli, allora residente a Nicea durante l’occupazione latina della sua città.

Il regno serbo raggiunse il suo apogeo durante il regno di Stefan Dushan, il quale estese il potere serbo all’Albania, Tessaglia, Epiro e Macedonia. Dushan fu incoronato imperatore dei Serbi e stabilì un Patriarcato serbo in Peč nel 1346. Questo assetto fu riconosciuto da Costantinopoli nel 1375.

I Serbi furono battuti dei Turchi nel 1389 e, in seguito, gradualmente integrati nell’Impero Ottomano. I turchi soppressero il Patriarcato serbo nel 1459 ma venne ripristinato nel 1557, venne nuovamente soppresso nel 1766 quando tutti i vescovi in Serbia furono rimpiazzati da vescovi Greci, soggetti al Patriarcato di Costantinopoli.

L’emergere di uno stato autonomo nel 1830 fu accompagnato dalla creazione di un episcopato metropolitano con base a Belgrado e dalla sostituzione dei vescovi greci con quelli serbi. Nel 1878 la Serbia guadagnò il riconoscimento internazionale di nazione indipendente e nel 1879 il Patriarcato di Costantinopoli riconobbe la chiesa serba come autocefala. Nel 1918 lo stato multinazionale di Jugoslavia era formato, e ciò favorì l’amalgama di varie giurisdizioni ortodosse con la Jugoslavia (i precedentemente autonomi, metropoliti serbi di Belgrado, Karlovci, Bosnia, Montenegro, e la diocesi di Dalmazia), in una singola chiesa ortodossa serba. Nel 1920 Costantinopoli riconobbe quest’unione e innalzò la chiesa serba a rango di patriarcato. La Chiesa Serba ebbe molto a soffrire durante la Seconda Guerra Mondiale, specialmente nelle regioni sotto il controllo dello stato fascista croato. Nel complesso, ha perso il 25% delle sue chiese e monasteri e circa 1/5 del suo clero. Nel 1945, con l’avvento del governo comunista jugoslavo la chiesa serba dovette approntare un nuovo tipo di relazioni con lo stato ufficialmente ateo. Furono confiscate molte proprietà ecclesiastiche, dalle scuole fu bandita l’educazione religiosa e vi fu un forte disaccordo sul ruolo della Serbia nella Jugoslavia multietnica. La rottura di Tito con l’unione sovietica del 1948 e il miglioramento delle relazioni con l’occidente portò a maggior tolleranza nei confronti della religione e al miglioramento della situazione per la Chiesa. Tuttavia continuarono forme sottili di persecuzione, con il governo che incoraggiava lo scisma all’interno della chiesa serba ortodossa.

Con il crollo della Jugoslavia, la Chiesa Serba si trovò maggiormente coinvolta in questioni politiche. Denunciò fortemente la politica antireligiosa dei passati regimi comunisti e nel maggio 1992 cominciò a distanziarsi dal governo di Milosevic. Ma, benché con frequenza invocasse la pace, durante la guerra in Bosnia-Erzegovina, la gerarchia ecclesiastica sostenne con vigore gli sforzi della minoranza serba in quel paese e in Croazia, per l’unione politica con la stessa Serbia. Nel 1994 i vescovi ortodossi Serbi si sono incontrati in Banja Luka, nella sezione della Bosnia in mano ai serbi. Nell’incontro essi asserirono che, poiché molti serbi si erano trovati in nuove repubbliche fuori della Serbia per i confini artificialmente imposti dai regimi totalitari per scopi amministrativi, quei confini non potevano essere accettati come definitivi. Essi rigettarono sia le sanzioni internazionali poste sulla Jugoslavia, sia le sanzioni poste dal governo jugoslavo sui serbi in Bosnia. Essi si impegnavano a rimanere con il popolo serbo sulla croce sulla quale essi sono crocifissi.

Nel 1996 i Vescovi serbi invitavano il popolo serbo ad un rinnovamento morale, ma dicevano che tale processo era impedito dal sistema educativo, ancora marxista nello spirito. Denunciavano anche il riapparire dei vecchi metodi totalitari nella società e lamentavano che l’azione della comunità internazionale in Bosnia e il Tribunale Hague penalizzavano la Serbia. Nel gennaio 1997 il Santo Sinodo Serbo condannava con parole forti gli sforzi del governo di Milosevic di annullare i risultati delle elezioni locali del novembre 1996 e ammoniva le autorità di rispettare i principi democratici. Alla fine di gennaio il Patriarca Pavle capeggiava più di 300 mila dimostranti per le strade di Belgrado a sostegno del movimento “per la democrazia”.

A metà del 1997 una assemblea di tutti i Vescovi Serbi incoraggiava i serbi esiliati dalla Croazia e dalla Bosnia a ritornare a casa e chiedevano che i governi di quei paesi garantissero la loro incolumità. Invitavano inoltre il governo jugoslavo a discutere la restituzione delle proprietà ecclesiastiche prese dopo il 1945 e a reintrodurre l’insegnamento del catechismo nelle scuole pubbliche. Sulla questione dell’ecumenismo i Vescovi affermavano che le loro Chiese erano come sempre aperta al dialogo e facevano quanto possibile per promuovere la riconciliazione e l’unità tra cristiani. Richiedevano una consultazione pan-ortodossa sul movimento ecumenico e una partecipazione ortodossa al Consiglio Mondiale delle Chiese. L’assemblea si riuniva nel novembre 1997 per parlare della riorganizzazione del sistema educativo della Chiesa. I vescovi ripetevano la richiesta dell’introduzione dell’educazione religiosa nelle scuole pubbliche e della promozione dei valori etici cristiani tra il popolo.

La più alta autorità il nella Chiesa Serba è la Santa Assemblea dei Vescovi composta da tutti i Vescovi diocesani. S’incontrano una volta all’anno, a maggio. Il Santo Sinodo dei Vescovi, formato dal Patriarca e da quattro Vescovi, governa la Chiesa nella quotidianità. C’è un Istituto Teologico in Belgrado (fondato nel 1921), quattro seminari ed una scuola di preparazione per monaci. Quindici pubblicazioni religiose sono sponsorizzate dal Patriarcato e da altre diocesi.

Diocesi per Ortodossi Serbi sono stati creati nel Nord-America, nell’Europa Occidentale e in Australia. La comunità in diaspora ha sperimentato una spaccatura nel 1963 nelle relazioni tra il Patriarcato Serbo e il governo comunista jugoslavo. Coloro che pensavano che la relazione implicava interferenze inaccettabili negli affari della chiesa hanno formato la Chiesa Serba Ortodossa libera, più tardi conosciuta come Nuova Metropolia Gracamica, che ha rotto ogni legame canonico con Belgrado. È solo nel 1991 che è avvenuta una riconciliazione tra i due gruppi sotto il Patriarca Pavle, sebbene per un po’ di tempo ambedue le strutture ecclesiastiche hanno continuato ad esistere parallelamente. I due gruppi hanno adottato una costituzione comune nel 1998, preparando la strada alla futura unità amministrativa.

La nuova giurisdizione gracramica era guidata dal Metropolita Ireney sino a che il Santo Sinodo Serbo ha nominato, essendo Ireney malato, il Vescovo Longin di Dalmazia come amministratore nel maggio 1998. Negli USA guida la gerarchia delle tre diocesi che sono rimaste legate al patriarcato serbo il metropolita Christofer. La diocesi del Canada è sotto le cure pastorali delle vescovo Georgije. Nel complesso ci sono 73 parrocchie o missioni negli USA e 20 in Canada. Ancora, il Vescovo Luka presiede 17 parrocchie in Australia e nuova Zelanda. In Gran Bretagna vi sono 22 comunità ortodosse serbe sotto la giurisdizione delle Vescovo Dositej di Bretagna e Scandinavia, il quale risiede in Svezia.



Territorio: Serbia-Montenegro, Europa occidentale, Nord-America, Australia.

Guida: Patriarca Pavle I (nato 1914, eletto 1990).

Titolo: Arcivescovo di Peč, Metropolita di Belgrado e Karlovči, Patriarca di Serbi.

Residenza: Belgrado, Serbia

Membri: 8.000.000

Sito web: http://www.spc.org.yu

Pubblicato in Chiese Cristiane
Si fa presto a dire “Chiese Ortodosse”

di Giovanni Giovini


Presentazione dell'opera di J. Binns dedicata a “Le Chiese Ortodosse”.

Si fa presto a dire “chiese ortodosse”; o a ricordare le sciagurate date del 1054 (rottura ufficiale tra le chiese di Roma e Costantinopoli) o del 1204 (conquista e saccheggio feroce di questa città da parte dei nostri crociati); o a ripetere che il primato del papa sia il vero o addirittura unico pomo della discordia tra cattolici e ortodossi; o a lagnarsi perché il cammino ecumenico ora ristagni e deluda un po’ tutti ecc. Dalle solite frasi fatte, dalle semplificazioni, dalle prospettive preconcette o dai semplici lamenti si potrebbe passare a una conoscenza più approfondita della realtà e quindi a un nuovo interesse e a una ripresa di un cammino paziente e fraterno verso un futuro un po’ diverso dall’attuale dolorosa divisione? Ma verso “quale” unione? Attenti a non predefinirla.

A rispondere a tutte queste domande spinose già tante voci tentarono una risposta, sia cattoliche sia protestanti che ortodosse (cf. le bibliografe a pag. 10s e 259-267 del volume in recensione). Ma il ponderoso lavoro dell’anglicano John Binns mi sembra straordinario. (1) Frutto di una prolungata e anche diretta competenza, esso “introduce” (ma in verità fa assai di più) innanzitutto nella storia di quel fiorito ginepraio che sono le chiese ortodosse, dagli inizi ad oggi, rilevandone i loro aspetti specifici e spesso diversi, più o meno legati a un proprio ascolto dell’Evangelo e delle tradizioni universali o locali, ma anche alle situazioni esistenziali di quelle chiese: basti pensare al loro legame con Bisanzio, alla sottomissione (pur variegata) all’Islam e agli ottomani, alle lacerazioni per l’iconoclastia, alle polemiche con l’occidente (non solo per il “Filioque”), agli urti con il mondo moderno occidentale (dall’illuminismo all’ordinazione delle donne e degli omosessuali), ai lunghi periodi di persecuzione, con, tra l’altro, esempi mirabili di santità eroica (cap. I).

Negli altri capitoli, ancora interessantissimi, l’autore esamina: la comune e fondamentale importanza data da tali chiese alla liturgia specialmente eucaristica della chiesa locale, pur con le varianti anche notevoli dei suoi riti; i punti uguali oppure specifici della dottrina di ogni chiesa ortodossa, sempre con l’occhio alla loro storia; il posto prezioso attribuito da molte chiese (non da tutte) alle famose “icone”; il monachesimo e la sua posizione vitale; le forme della pietà popolare; le imprese apostolico-missionarie di varie comunità ortodosse e la loro perdurante presenza; la questione forse davvero cruciale del rapporto tra regno di Dio, chiesa, società, impero o stato nazionale o nazionalistico o addirittura ateo: problema che ebbe varie o almeno sfaccettate soluzioni nei diversi periodi storici.

Due ultimi capitoli (X-XI) rivedono in sintesi il lungo, tormentato ma ricchissimo cammino di tutte le chiese orientali, ortodosse e cattolico-romane (tra queste gli “uniati”): une e varie, sante e peccatrici, apostoliche per l’origine unica e per la missionarietà, “cattoliche” perché tutte “calcedonesi”, ossia professanti il medesimo e anche nostro trinitario e cristologico Credo (a parte il “Filioque”); ma è bello risentire che anche varie chiese non calcedonesi, al di là di formule differenti, si ritrovano in una medesima sostanziale cristologia (pag. 235)!

Inoltre, l’autore traccia brevemente le tappe di tutto il cammino ecumenico interecclesiale in atto, con le sue luci e le sue ombre, le delusioni e le speranze, quello ufficiale (in difficoltà) e quello a livello popolare (forse più promettente). Su questo punto merita attenzione anche la prefazione di Enzo Bianchi, il priore di Bose. Utili anche la pur sintetica tavola cronologica (pag. 257s) e l’indice dei nomi che, con quello generale, facilita la consultazione del ricchissimo volume.

Qualche domanda-proposta. Mi sembrerebbe davvero utile sottolineare nella nostra pastorale liturgica che tutti (cattolici-romani, protestanti, anglicani e ortodossi) professiamo il medesimo Credo (a parte il “Filioque”, che potrebbe essere omesso, come già avvenne anche a Roma recentemente); meglio ancora: usare di più il medesimo Credo cosiddetto “apostolico” non potrebbe favorire ancor meglio l’unità nella fede essenziale e fondamentale per tutti?

Ancora: sottolineare che tutti, pur con riti e interpretazioni diverse, celebriamo l’eucaristia «in memoria di Gesù». E qui riprendo la domanda già di S. Bulgakov (pag. 236): in che senso per partecipare all’eucaristia occorre una “piena comunione” col Signore e con la sua chiesa? Chi stabilisce quando quella è “piena”? Forse che i commensali di Gesù nell’ultima cena erano in piena comunione con lui e tra loro? Pare proprio di no.

Infine, una domanda da cattolico-romano e biblista: quale importanza effettiva attribuiscono le chiese ortodosse alla Parola biblica? E la paura verso le ricerche bibliche moderne a frenarle - come mi sembra - o l’accento molto forte sulle tradizioni post-bibliche? Una volta un prete ortodosso, dopo la mia riesposizione della Dei verbum, disse: «Anche noi ortodossi possiamo trovarci d’accordo con il concilio, con la sua articolata e unitaria visione del rapporto tra azione dello Spirito Santo, Bibbia, tradizione, vita di chiese, liturgia, magistero». Ma dalla teoria alla prassi corre sempre qualche fossato, anche nel cattolicesimo-romano, anzi addirittura in quello protestante attuale, dove la lettura della Bibbia è andata in crisi.

Nonostante tutto, ci direbbero specialmente le chiese ortodosse, lo Spirito Santo ci sta tutti guidando verso quella pienezza di chiesa che c’è “già e non ancora”.



1) Binns J., Le chiese ortodosse, Un’introduzione, ed. San Paolo, Cinisello B. (MI) 2005; pp. 280, € 28,00.
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Domenica, 14 Gennaio 2007 20:40

XII Chiesa Ortodossa Russa (John Nellykullen)

Le Chiese dell'oriente cristiano

XII. Chiesa ortodossa russa

di John Nellykullen

Verso la fine del decimo secolo, secondo la leggenda, il grande principe pagano Vladimir di Kiev inviò degli ambasciatori in diverse parti del mondo per esaminare le religioni locali e perché gli consigliassero quale di esse sarebbe stata la migliore per il suo regno. Quando gli ambasciatori fecero ritorno, suggerirono la religione dei Greci, raccontando che quando avevano assistito alla Divina Liturgia nella cattedrale di Santa Sofia a Costantinopoli: "non riuscivamo a capire se eravamo in cielo o sulla terra”. Dopo il battesimo del principe Vladimir, molti dei suoi sudditi vennero battezzati nelle acque del fiume Dniepr nel 988. Così il cristianesimo bizantino divenne il credo religioso dei tre popoli che fanno risalire le proprie origini alla Rus’ di Kiev: russi, ucraini, bielorussi.

La Kiev cristiana fiorì per un certo tempo, ma poi iniziò un periodo di declino, culminato nel 1240, quando la città venne distrutta durante le invasioni mongole. Come conseguenza della distruzione arrecata dai mongoli, tantissima gente si trasferì al nord. Nel quattordicesimo secolo, un nuovo centro si sviluppò intorno al principato di Mosca, e i metropoliti di Kiev si stabilirono in quel posto. Successivamente, Mosca fu dichiarata sede metropolita.

Quando Costantinopoli cadde in mano ai Turchi nel 1453, la Russia si stava sganciando dalla dominazione mongola per diventare uno stato indipendente. Poiché si diceva che la “prima” Roma fosse caduta nell’eresia, e che la Nuova Roma fosse caduta sotto il dominio dei turchi, alcuni Russi (di cui la prima espressione “chiara” fu il monaco Philotheos all’inizio del sedicesimo secolo) cominciarono a parlare di Mosca come della “terza” Roma", che avrebbe portato avanti le tradizioni dell’ortodossia e della civiltà romana (bizantina). Nel 1547, con l’incoronazione di Ivan IV come primo zar (l’equivalente slavo del termine Caesar), e con l’insediamento del metropolita Job come primo Patriarca di Mosca da parte del patriarca ecumenico Jeremia nel 1589, in Russia furono ricreate le due principali istituzioni bizantine. Gli zar arrivarono a considerarsi paladini e protettori della ortodossia, così come lo era stato una volta l’imperatore bizantino.

La chiesa russa sviluppò progressivamente un proprio stile nell’ambito dell’iconografia e dell’architettura religiosa, e proprie tradizioni teologiche e spirituali. A metà del diciassettesimo secolo, ci fu uno scisma nella chiesa russa quando il patriarca Nikon riformò un certo numero di riti religiosi per renderli conformi a quelli della chiesa greca.

Coloro che si rifiutarono di sottomettersi alla riforma, e che continuarono a coltivare le tradizioni tipicamente russe vennero in seguito chiamati “vecchi credenti”.

Il patriarcato russo venne abolito da Pietro il Grande nel 1721. Per i 196 anni successivi, la chiesa fu retta dal Santo Sinodo mediante regole che portarono la chiesa sotto la supervisione dello stato. Durante questo periodo, specialmente nel XIX secolo, ci fu una grande ripresa della teologia, della spiritualità e del monachesimo russo ortodosso. Ci fu inoltre un’intensa attività missionaria che si estese largamente attraverso i territori russi nella parte orientale, arrivando fino all’Alaska e alla costa della California del Nord.

Nell’agosto del 1917, sotto il governo provvisorio di Alexander Kerensky (dopo l'abdicazione dello zar, ma prima della rivoluzione bolscevica), a Mosca si tenne un Sinodo della chiesa ortodossa russa. Il Sinodo ristabilì il Patriarcato Russo, elesse a capo di esso il metropolita Tikon di Mosca e prese in considerazione un certo numero di riforme riguardanti la vita all’interno della chiesa. Ma prima che il sinodo avesse termine, si venne a sapere che il metropolita di Kiev era stato assassinato e che erano iniziate le persecuzioni. Il patriarca Tikon criticò esplicitamente i comunisti durante i primi anni del suo patriarcato, ma poi, dopo un anno di carcere, dovette moderare la sua posizione pubblica . Il patriarca Tikon e il suo successore, il patriarca Sergij, elaborarono un modus vivendi, con il governo, che regolò le relazioni tra la chiesa e lo stato durante il comunismo: la Chiesa russa ortodossa appoggiò pubblicamente il governo in tutte le questioni, e lo stato concesse alla chiesa una sfera di autonomia molto limitata, che si riduceva alle pratiche riguardanti il culto liturgico.

La persecuzione assunse forme differenti nei diversi periodi: quasi tutti i teologi e i capi della chiesa furono esiliati negli anni Venti, o vennero giustiziati nel corso degli anni Trenta. Solamente nel 1937 vennero arrestati 136mila religiosi, e ne furono uccisi 85mila. Nel periodo compreso tra il 1917 e il 1939, tra l’80% e l’85% del clero pre-rivoluzionario della Russia ortodossa fu tolto di mezzo. La situazione migliorò in qualche modo durante la seconda guerra mondiale, e negli ultimi anni di Stalin, finché Krushev non riprese ad intensificare le persecuzioni nel 1959.

Molte chiese vennero chiuse dopo la rivoluzione, e ci fu un’altra ondata di chiusura delle chiese sotto Krushev, tra il 1959 e il 1962. Mentre nel 1917, la chiesa ortodossa russa aveva 77.767 chiese (delle parrocchie e dei conventi), verso la fine degli anni 70 ne erano rimaste soltanto circa 6.800. Il numero di conventi attivi (1.498 nel 1914) scese a 12, e i 57 seminari teologici che funzionavano nel 1914 furono ridotti a tre a Mosca, Leningrado (San Pietroburgo) ed Odessa, con accademie teologiche per gli studi superiori nelle prime due città.

Dopo il 1990, tuttavia, grazie alle riforme attuate dal presidente Mikhail Gorbachev, la situazione della chiesa russa ortodossa ha cominciato a migliorare enormemente, riprendendosi dal periodo delle persecuzioni. Nel marzo del 2003, il patriarca Aleksij II ha dichiarato che la chiesa aveva 16.195 parrocchie, in cui svolgevano servizio 17.480 preti e diaconi. Aveva inoltre 131 diocesi con 155 vescovi, vi erano 614 conventi, di cui 295 per gli uomini e 319 per le donne. Inoltre, c’erano 160 “metochia” monastici e 38 eremi. La Chiesa Ortodossa Russa inoltre aveva 43 pre-seminari, 32 seminari, sei corsi preparatori per sacerdoti, cinque accademie teologiche, due università ortodosse, due pre-seminari diocesani femminili e un istituto teologico. C’erano inoltre molte scuole di iconografia e per la direzione dei coro, inoltre 135 scuole domenicali nella sola Mosca. Nell’ottobre del 1992, venne inaugurato l’istituto teologico San Tikon di Mosca per la formazione del laicato ortodosso. Gli allievi, divisi più o meno in modo uniforme tra donne ed uomini, raggiunsero il considerevole numero di 650 durante il primo anno. Il 24 febbraio 1993, la chiesa ortodossa russa istituì a Mosca l’università teologica ortodossa di San Giovanni per continuare la tradizione educativa umanista russa e per offrire uno studio approfondito delle discipline teologiche.

Nel dicembre del 1993 l'Università del Centro di Ricerca Nazionale di Chicago ha pubblicato i risultati di un’inchiesta che ha documentato lo sviluppo straordinario della fede religiosa in Russia. Ha mostrato che, in base a come veniva formulata la domanda, una percentuale variabile tra la metà e i tre quarti della popolazione russa credeva in Dio. Sebbene l’11% avesse detto di avere abbracciato la religione ortodossa solo divenuti adulti, il 28% si dichiarò ortodosso, indicando così che la chiesa russa ortodossa aveva più che raddoppiato i suoi seguaci. La tendenza alla religiosità era più marcata nei gruppi di età compresa tra i 17 e i 24 anni, dove il 30% era passato dall’ateismo al credere in Dio. Uno stupefacente 75% di coloro che sono stati sottoposti al sondaggio ha dichiarato di avere “una grande confidenza con la chiesa”. Ma un’indagine condotta dal Centro Russo degli Studi sull’Opinione Pubblica nell’agosto del 1994 ha rivelato che, del 52% di quelli sottoposti all’inchiesta che si consideravano credenti, solo il 2% partecipava ai riti religiosi almeno una volta alla settimana. In un altro sondaggio condotto dalla stessa organizzazione verso la fine del 1997, il 46% delle persone intervistate si è dichiarato non credente, e il 45% si è dichiarato cristiano ortodosso.

Inchieste più recenti indicano che circa metà della popolazione russa si considera ortodossa, anche se solo una piccola minoranza è effettivamente praticante. Ciò significherebbe che oggigiorno 75 milioni di persone si identificano nella chiesa ortodossa russa. Data la mancanza di dati attendibili in merito agli aderenti ortodossi nelle altre ex repubbliche sovietiche in cui le minoranze russe sono molto diffuse, e data la frammentazione della chiesa ortodossa in Ucraina, il totale dei membri del patriarcato di Mosca riportato qui sotto è solo approssimativo.

Nel campo della dottrina e dell’ordine canonico, oggi nella chiesa ortodossa russa il potere supremo è detenuto dal Consiglio Locale, che si riunisce periodicamente, e che è costituito da tutti i vescovi, da tutti i delegati eletti tra i sacerdoti, i monaci e i laici. Il Consiglio Locale inoltre elegge il patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Il Consiglio dei vescovi, che raccoglie l’intero episcopato, i “capi” dei dipartimenti del Santo Sinodo, i rettori delle accademie teologiche e dei seminari, si deve riunire almeno ogni quattro anni e anche alla vigilia del Consiglio locale. La gestione ordinaria della chiesa è curata dal Santo Sinodo, composto dal patriarca e da sei vescovi diocesani, tre dei quali sono membri permanenti, mentre gli altri si avvicendano essendo temporanei.

Nell’autunno del 1994, il governo russo ha deciso di contribuire al finanziamento per la ricostruzione della cattedrale dello SPAS, Cristo Salvatore, una struttura imponente del XIX secolo che era stata fatta radere al suolo da Stalin nel 1931, e che un tempo dominava l’orizzonte di Mosca. Il patriarca Aleksij ha posto la nuova prima pietra il 7 Gennaio 1995, e le funzioni di Pasqua si sono tenute in quella struttura per la prima volta nel 1996. È stata ufficialmente consacrata il 19 agosto 2000.

Nella riunione del Consiglio Ortodosso Russo dei Vescovi tenutasi verso la fine del 1994 , il patriarca Aleksij ha dichiarato che la chiesa aveva attraversato un periodo difficile nel periodo successivo al precedente incontro del 1992. Essa aveva dovuto affrontare problemi relativi alla pratica liturgica, all’adeguata formazione teologica e pastorale, e al servizio ecclesiale nei riguardi della società. L’assemblea ha rifiutato la richiesta, fatta da alcuni membri conservatori del Patriarcato di Mosca, di ritirarsi da tutte le organizzazioni ecumeniche, ma ha condannato l'attività missionaria svolta in Russia da gruppi metodisti, evangelici e presbiteriani americani e da alcuni protestanti sud coreani. I vescovi hanno deciso l’inizio di un ingente sforzo per catechizzare ed evangelizzare la popolazione russa, e per istituire una commissione speciale che rivedesse la pratica e i testi liturgici, al fine di rendere la liturgia più comprensibile per i fedeli.

Il Consiglio dei vescovi si è riunito di nuovo nel febbraio del 1997 ed in tale occasione si è dichiarato contrario all’ipotesi di canonizzare lo zar Nicola II e la sua famiglia. I vescovi hanno rifiutato nuovamente i tentativi di provocare il ritiro della chiesa russa dal concilio mondiale delle chiese, e hanno richiesto di dibattere su un piano pan-ortodosso l’opportunità di una partecipazione al Concilio Mondiale delle Chiese. I vescovi hanno tenuto in considerazione il dialogo bilaterale con la chiesa cattolica, hanno affrontato in modo deciso ciò che percepivano come proselitismo cattolico tra gli ortodossi, e hanno chiesto alla commissione teologica sinodale di studiare il Documento di Balamand, un prodotto del dialogo cattolico-ortodosso internazionale. Delegazioni di alto livello del Vaticano e del Patriarcato di Mosca si riunivano infatti regolarmente due volte all’anno. I vescovi inoltre hanno riconosciuto ed apprezzato i progressi nelle relazioni con le chiese ortodosse orientali, e hanno richiesto maggiore chiarezza nelle formulazioni cristologiche prodotte dal dialogo.

La minaccia, seriamente sentita, derivante dall’azione dei gruppi religiosi stranieri è stata uno dei motivi che hanno spinto la chiesa ortodossa russa a fornire il suo potente appoggio a una nuova legge sulla religione, siglata dal presidente Eltsin il 26 settembre 1997. La legge riconosce l’Ortodossia, l’Islam, il Buddismo, l’Ebraismo e il Cristianesimo come religioni tradizionali, e pone restrizioni alle attività di alcuni gruppi, includendo in esse un periodo di attesa di 15 anni per essere “registrati”; limita l’agire dei gruppi non registrati a pratiche informali e private; pone severe restrizioni all’attività dei missionari stranieri. Le restrizioni apportate da questa legge hanno suscitato forti preoccupazioni nell’occidente, anche se sembra che all’interno della società russa abbiano ottenuto un ampio consenso. Alcuni documenti dimostrano che la nuova legge viene applicata, più o meno rigorosamente, in diverse aree del paese.

Un evento importante nella vita della chiesa ortodossa è stato la riunione del Consiglio di giubileo dei vescovi, svoltasi dal 13 al 16 agosto 2000 a Mosca. In quell’occasione, i vescovi hanno deciso di canonizzare 1.154 persone, tra cui 1.090 nuovi martiri e confessori morti nel XX secolo. I vescovi si sono inoltre pronunciati, questa volta a favore, sulla canonizzazione dello zar Nicola II e della sua famiglia, uccisi dai comunisti nel 1918. Sono stati canonizzati come “martiri”, non in riferimento al loro ruolo politico in Russia ma al modo con cui hanno sopportato le loro sofferenze finali in maniera cristiana. I vescovi hanno inoltre redatto un lungo documento, il Concetto di dottrina sociale della chiesa russa ortodossa, che definisce la posizione della chiesa in merito ad un’ampia gamma di questioni sociali. Inoltre, i vescovi hanno riveduto e adottato un nuovo Statuto della chiesa russa ortodossa, e hanno prodotto un importante documento ecumenico: Principi di base dell’atteggiamento nei confronti della non ortodossia da parte della chiesa ortodossa russa.

Con questo ultimo documento, la chiesa ortodossa russa si impegna a partecipare al movimento ecumenico, e questa sembra essere una vittoria su coloro che volevano promuovere il ritiro della chiesa dagli impegni ecumenici. Da quel momento, in risposta alle preoccupazioni della chiesa russa e delle altre chiese ortodosse, nel 2002 è stato raggiunto un accordo con il Consiglio Mondiale delle Chiese (CMC) per sostituire le procedure di voto di tipo parlamentare con un nuovo modello di consenso , per distinguere più nettamente tra il culto“confessionale” e quello “interconfessionale”, e per creare due categorie di partecipazione al CMC: membri e chiese in associazione. Questo accordo sembra assicurare la partecipazione continuativa della chiesa russa ortodossa nell’organizzazione. Tuttavia, le relazioni con la chiesa cattolica si sono ampiamente deteriorate. Il patriarcato di Mosca ha reagito con sdegno quando la Santa Sede ha stabilito quattro diocesi in Russia, nel febbraio 2002, ed ha, di conseguenza, interrotto le riunioni che si svolgevano periodicamente con i rappresentanti del Vaticano.


Dalla fine del comunismo, il Patriarcato di Mosca ha severamente vietato la partecipazione del clero alla vita politica, ma ha anche siglato numerosi accordi di collaborazione con governo. Un accordo firmato il 30 agosto 1996 con il Ministero degli Affari interni ha assicurato la presenza pastorale ortodossa nelle prigione del paese e anche nelle forze di polizia. Ha concluso un accordo di cooperazione con il ministero della difesa russa, il 30 aprile 1997, che impegnava entrambe le parti a “collaborare per ravvivare le tradizioni ortodosse dell’esercito e della marina russi”. Sono state costruite moltissime chiese nelle basi militari. Il 2 agosto 1999 è stato concluso un accordo di cooperazione col ministero dell’istruzione con cui entrambe le parti si sono impegnate alla cooperazione per educare/istruire i giovani “nello spirito degli alti valori morali”.

La disintegrazione del sistema comunista e dell’Unione Sovietica ha generato forze centrifughe che hanno minacciato l'unità del Patriarcato di Mosca. Nel gennaio del 1990, quando le circostanze stavano già cambiando, il Consiglio ortodosso russo dei vescovi si è riunito a Mosca e ha deciso di garantire una certa autonomia alle chiese ortodosse in Ucraina ed in Bielorussia. Ciascuna è divenuta un esarcato del patriarcato di Mosca, con i nomi di "chiesa ortodossa ucraina" e di “chiesa ortodossa bielorussa”. In seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, il 25 dicembre 1991,e all'indipendenza dei vari stati che ne sono derivati , il Patriarcato ha garantito simile status autonomo alle chiese ortodosse in Estonia, Lituania e Moldavia.

Venendo incontro alle richieste di maggiore autonomia fatte il 27 ottobre 1990, il Consiglio dei vescovi ha garantito “indipendenza e auto-governo” alla chiesa ortodossa ucraina e ne ha abolito l’esarcato. Ma la chiesa è rimasta legata a Mosca, e il Metropolita di Kiev è ancora membro del Santo Sinodo del Patriarcato di Mosca. Dopo che l'Ucraina ha dichiarato l’indipendenza il 24 agosto 1991, il Metropolita Filaret di Kiev ha ccrcato di ottenere la separazione completa della sua chiesa dal Patriarcato di Mosca. Il Consiglio dei vescovi russo ortodossi ha respinto questa richiesta nell’Aprile del 1992. Ma Filaret ha continuato a volere l’autonomia per la sua chiesa, alla fine la questione ha avuto termine nel mese di maggio 1992, quando il Patriarcato di Mosca ha deposto Filaret e ha nominato il Metropolita Volodymyr (Sabodan) di Rostov come nuovo Metropolita di Kiev. A giugno, il Patriarcato ha sospeso a divinis Filaret, riducendolo allo stato laicale. Successivamente, Filaret ha dato vita alla chiesa ucraina autocefala non-canonica, e il 20 febbraio 1997 ne è stato eletto patriarca . Il Consiglio ortodosso russo dei vescovi ha reagito scomunicando Filaret il 23 febbraio.

Un altro problema è nato nella repubblica da poco indipendente di Moldavia, che aveva fatto parte della Romania prima del 1812 e ancora dal 1918 al 1944. Nonostante il fatto che il Patriarcato di Mosca avesse riconosciuto lo status autonomo alla diocesi moldava, il Santo Sinodo della chiesa ortodossa rumena nel dicembre del 1992 ha deciso di stabilire un proprio metropolita, detto di Bessarabia, nello stesso territorio. In questo modo, gli ortodossi in Moldavia sono divisi fra le due giurisdizioni rivali. Il Patriarcato rumeno e quello russo hanno dibattuto a lungo per risolvere la disputa, ma ancora nel 2003 i tentativi erano risultati inutili. Il governo moldavo ha sostenuto la giurisdizione di Mosca e fino al 2002 non ha concesso la registrazione al Metropolita di Bessarabia, legato a Bucarest.

In Estonia era esistita una chiesa ortodossa autonoma sotto il Patriarcato di Costantinopoli dal 1923 fino al 1945, quando era stata assorbita dal Patriarcato di Mosca dopo che il paese era stato annesso all'Unione Sovietica. In seguito all’indipendenza dell’Estonia nel 1991, ci sono state richieste di ristabilire tale chiesa, che in esilio aveva mantenuto la propria sede centrale a Stoccolma. Il governo estone da poco indipendente l’ha riconosciuta ufficialmente come continuazione legale della Chiesa ortodossa dell’Estonia, che era esistita nel periodo tra le due guerre. Il 20 febbraio 1996, il Patriarcato Ecumenico ha ricostituito formalmente, sotto la propria giurisdizione, la Chiesa Ortodossa estone, provocando così una grande crisi nelle relazioni col Patriarcato di Mosca, che ha rifiutato di commemorare il Patriarca ecumenico nei dittici. La crisi è stata risolta il 16 maggio del 1996, quando i due Santi Sinodi hanno annunciato un accordo che sanciva l’esistenza di due giurisdizioni separate in Estonia. La maggior parte delle parrocchie ortodosse si è unita alla chiesa autonoma recentemente ristabilita sotto Costantinopoli, ma la maggior parte dei fedeli ha optato per la diocesi dipendente da Mosca. Tuttavia dopo la visita in Estonia del patriarca ecumenico Bartolomeo, svoltasi nell’ottobre del 2000, il Santo Sinodo della chiesa ortodossa russa ha reagito dichiarando inaccettabili alcuni commenti fatti dal Patriarca in Estonia, e ha deciso che il Patriarcato di Mosca non avrebbe più partecipato ad incontri in cui fossero presenti il patriarca Bartolomeo, l’Arcivescovo John della Finlandia o il metropolita Stephan (capo della giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli in Estonia).

Le 31 parrocchie degli Stati Uniti sotto il Patriarcato di Mosca sono amministrate dal Vescovo Mercurius di Zaraisk . Alla cura pastorale del vescovo Mark di Kashira sono affidate le 25 parrocchie canadesi (tutte ad Alberta e nel Saskatchewan). I 20 luoghi di culto del Patriarcato in Gran-Bretagna sono presieduti dal vescovo Basil di Sergievo . In Australia ci sono due parrocchie patriarcali, a Parkville (Melbourne) e a Blacktown (Sydney). Il pastore a Melbourne è padre Igor Filianovsky.


LUOGO: Russia, Ucraina, Bielorussia, Kazakstan, altre ex repubbliche sovietiche, diaspora

CAPO: Patriarca Aleksy II (nato nel 1929, eletto nel 1990)

TITOLO: Patriarca di Mosca e di tutte le Russie

RESIDENZA: Mosca, Russia

MEMBRI: 90.000.000

SITO WEB: http://www.mospat.ru

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Le Chiese dell'oriente cristiano
XI. Il Patriarcato di Gerusalemme
di P. John Nellykullen

Data l’associazione con la vita di Gesù e con la comunità dei suoi primi discepoli, Gerusalememe è sempre stata di grande importanza per i cristiani. Data la grande accoglienza che la fede cristiana ha avuto nell’impero Romano, anche il prestigio di Gerusalemme è cresciuto in relazione. L’imperatore Costantino , che era molto favorevole al cristianesimo, fece costruire nel IV secolo delle magnifiche Basiliche nei luoghi sacri della Città Santa. La vita monastica giunse in Palestina immediatemente dopo la fondazione della prima communità in Egitto ed i monasteri hanno prosperato nella regione, specialmente nel deserto tra Gerusalemme ed il Mar Morto.

Nel 451 il Concilio di Calcedonia decise di elevare la Chiesa di Gerusalemme al rango di Patriarcato. Per questo motivo, tre provincie ecclesiastiche con 60 diocesi furono distaccate dal Patriarcato di Antiochia, cui avevano appartenuto fino ad allora. Sotto il dominio Greco-Bizantino, Gerusalemme continuò a crescere a causa dei numerosi pellegrinaggi verso“La Chiesa Madre”. Le invasioni dei Persiani nel 614 e degli Arabi nel 637 portarono questa prosperità verso la fine . Tante chiese e tanti monasteri furono distrutti. Una gran parte della popolazione si convertì all’Islam.

Nel 1099, i crociati presero Gerusalemme ed istituirono un Regno Latino che sarebbe durato un secolo. Durante questo periodo Roma creò un patriarcato latino in Gerusalemme. La linea dei patriarchi Greci continuò in esilio, di solito risiedendo in Constantinopoli. I patriarchi Greci tornarono poi alla loro residenza di Gerusalemme dopo la caduta del regno dei crociati.

Gerusalemme cadde in mano ai Turchi Selgiuchidi nel1187. Ma fu poi conquistata dai Mamelucchi Egiziani. I Turchi Ottomani ebbero il controllo della città nel 1516. Durante i 400 anni del dominio degli Ottomani vi furono molti conflitti tra i gruppi cristiani per il possesso dei Luoghi Santi. Nella metà del 19 secolo i Turchi confermarono il controllo greco su molti di questi luoghi. Questa situazione continuò senza cambiamenti durante il mandato della Gran Bretagna, iniziato nel 1917, e anche durante le amminastrazioni Giordana e Israeliana.

Il Patriarcato è governato da un Santo Sinodo presieduto dal Patriarca. I membri di questo Sinodo sono membri del clero nominati dal patriarca. Il loro numero non deve essere superiore ai diciotto, esiste inoltre un concilio misto che permette la partecipazione laica nel processo di presa delle decisioni da parte del patricato.

Il fatto che la gerarchia del patriarcato sia greca mentre i fedeli sono Arabi è stato occasione di contese anche in tempi recentissimi. Dal 1534 tutti i Patriarchi di Gerusalemme sono Greci, Adesso il Patriarca e i vescovi sono presi dalla Fraternità del Santo Sepolcro, una comunità monastica esistente in Gerusalemme fondata nel 16mo secolo. Essa ha 90 membri greci e 4 arabi. Il clero sposato proviene dalla popolazione araba locale. Quindi la liturgia Bizantina è celebrata in greco nei monasteri ed in arabo nelle parrocchie.

Le tensioni esistenti da lungo tempo, risultato di questa situazione, sono venute ancora una volta alla luce nel maggio 1992 per iniziativa del Comitato ortosio arabo per spingere verso l’arabizzazione del Patriarcato come unico modo di preservare un’autentica testimonianza ortodossa in questa regione. In quest’ultimo tempo nuove forti contestazioni sono nate dal problema dell’alienazione di proprietà ecclesiastiche, avvenuta a giudizio dei fedeli in modo ambiguo e lesivo del bene della Patriarcato e si è avanzata la richiesta che tutte le attività finanziarie del Patriarcato avessero carattere publico. Un’accusa è stata rivolta alla gerarchia greca e cioè quella di non avere veramente a cuore il bene della communità ortodossa araba, fatto reso evidente dalla costatazione che le scuole del patriarcato da 6 del 1967 si erano ridotte a tre nel 1994

Le tensioni e le contestazioni sono andate crescendo con le accuse al Patriarca di malversazione economica, di accordi e facilitazioni immobiliari segrete fatte al governo israeliano fino a che nel 1995, dopo gravi conflitti, il Patriarca Ecumenico con il suo Sinodo hanno deposto il Patriarca in carica sotituiendolo con l’attuale Theophilos III

Il patriarcato di Gerusalemme ha preso posizioni negative verso il movimento ecumenico. Nel 1989 ha ritirato i suoi delegati dai tutti i dialoghi teologici bilaterali in cui la Chiesa ortodossa era impegnato. Il Patriarca ha dichiarato che altri cristiani usavano i dialogi come mezzi per il proselitismo. Poiché la chiesa ortodossa ha già il possesso della pienezza della verità cristiana, ella non ha alcun bisogno di partecipare a tali discussioni.

Comunque, il patriarcato di Gerusalemme continua per far parte delle attività del del Concilio Mondiale delle Chiese e il Concilio delle Chiese in Medio Oriente. Il Patriarca Diodoros, predecessore del patriarca deposto Irinaios ha sottoscritto volontariamente nel 1993 la dichiarazione comune di responsabili delle Chiese locali, specialmente riguardo alla situazione dei cristiani della Terra Santa

Queste iniziative ecumeniche locali hanno preparato la strada alla stesura di un memorandum comune “Il significato dei cristiani di Gerusalemme”, che è stato sottoscritto dai Patriarchi e dai Capi di tutte le Chiese tradizionali presenti in Gerusalemme, il 23 Novembre 1994.Da questo periodo, i capi delle Chiese si radunano in ogni due mesi nel patriarcato Greco ortodosso sotto la presidenza del Patriarca in carica.


TERRITORIO: Israele, Giordania e Territori sottoposti al controllo dell’Autortà Palestinese

GUIDA: Theophilos III

TITOLO: Patriarca Greco-Ortodosso di Gerusalemme

SEDE: Gerusalemme

MEMBRI: 130.000

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