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La strada dell'ecumenismo,
la pazienza dell'unità

di Enzo Bianchi





Il dialogo fra cattolici e ortodossi procede a rilento ma occorre fiducia. A noi occidentali è chiesto di avere comprensione e lungimiranza, ai nostri fratelli di superare la tentazione del nazionalismo. Affinché torniamo a respirare insieme.

Pubblicato in Chiese Cristiane

Le Chiese dell'oriente cristiano

La Chiesa Ortodossa di Polonia

di John Nellykullen



Quando Polonia divenne nuovamente un paese indipendente all’inizio della prima guerrra mondiale, quasi 4.000.000 di cristiani ortodossi erano inclusi nei suoi nuovi confini. Il maggior parte di costoro erano bielorussi ed ucraini ed erano nella parte nel parte orientale del paese, sotto la giurisdizione del patriarca di Mosca.

Subito dopo sua indipendenza, comunque, il governo di Polonia cominciò a promuovere la idea secondo cui gli ortodossi della Polonia dovessero costituire una Chiesa Ortodossa autocefala indipendente da Mosca. Questa posizione era sostenuta dal primo metropolita ortodosso di Warsavia, George Yoroshevsky, che era stato nominato da Mosca ricevendo anche un certo grado di autonomia. Però questi nel 1923 fu assassinato da un monaco russo che aveva un’opinione diametralmente opposta.

Il governo di Polonia presentò allora la richiesta al Patriarcato di Constantinopoli che dopo lunga riflessione concesse lo stato di autocefalia alla Chiesa Ortodossa di Polonia il 13 novembre del 1924. Nel 1927 Constantinopoli concesse al metropolita di Warsavia il titolo di “Beatitudine”, ma il patriarcato di Mosca considerò questo come un’interferenza nelle sue competenze e prerogative è rifiutò il riconoscimento dello stato di autocefalia alla Chiesa Ortodossa Polacca.

Durante questo periodo ci furono tensioni nella Chiesa Ortodossa di Polonia derivanti dal fatto che tutti i vescovi erano russi, mentre il 70% dei fedeli erano ucraini. Infatti furono rifiutate le richieste di avere dei vescovi ucraini e di poter celebrare la Liturgia in ucraino. Durante questo periodo c’erano cinque diocesi, due seminari con 500 studenti, una facoltà di teologia in Varsavia con 150 studenti, 1624 parrochie, 16 monasteri.

Negli anni ’30 ci furono dei conflitti tra cattolici ed ortodossi, in Polonia, il Metropolita Dionysy di Varsavia protestò dicendo che i preti ortodossi erano stati obbligati a predicare in polacco, che le chiese ortodosse erano state chiuse con la violenza e tante di esse erano state distrutte, mentre i fedeli ortodossi avevano avute pressioni perché diventassero cattolici. Il metropolita cattolico dell’Ucraina Andrew Sheptytsky confermò queste accuse ed aggiunse la sua voce alle proteste ortodosse in una lettera pastorale ai suoi fedeli.

Quando l’Unione Sovietica nel 1939 occupò la parte est della Polonia la maggior parte degli ortodossi polacchi ancora una volta si trovò in Unione Sovietica e fu reincorporata nel patriarcato di Mosca. Così la Chiesa ortodossa di Polonia si ridusse numericamente.

Nel 1948, a seguito della occupazione comunista della Polonia il metropolita ortodosso di Varsavia fu deposto a causa della sua opposizione al comunismo. Nel stesso anno, secondo la richiesta dei vescovi ortodossi di Polonia, il patriarcato di Mosca dichiarò che il riconoscimento di autocefalia dato da Costantinopoli nel 1924 era nullo e dichiarò a sua volta lo stato di autocefalia della Chiesa Ortodossa Polacca. Comunque, l’ufficio di metropolita di Varsavia rimase vacante fino al 1951, quando i vescovi ortodossi di Polonia chiesero al patriarcato di Mosca di nominare un nuovo metropolita. Mosca nominò allora come metropolita l’arcivescovo Makary Oksaniuk di Lviv in Ucraina, che presiedette alla dissoluzione della chiesa greco-cattolica Ucraina negli anni 1946-1947. Da questo periodo la Chiesa Ortodossa di Polonia continuò ad avere uno stretto rapporto con il patriarcato di Mosca.

Ci sono tre piccoli monasteri ortodossi polacchi a Jableczna, Suprasl e monte Garbarka. Il monastero Suprasl è il centro della disputa tra la chiesa ortodossa e la cattolica in Polonia. Fondato nel quindicesimo secolo, il monastero ha cambiato proprietà tra cattolici romani, ortodossi e greco-cattolici tante volte. Nel 1944 una parte del complesso era stato dato agli ortodossi come monastero, nel settembre del 1993 il Consiglio dei Ministri polacco decise di dare tutto il complesso alla chiesa ortodossa. Ma il trasferimento della proprietà fu ritardato dalla protesta dei cattolici sia di rito romano che greco. Però nel febbraio del 1996 il governo polacco riaffermò la sua decisione di dare il complesso agli ortodossi.

Negli anni recenti, la chiesa ortodossa di Polonia si è maggiormente integrata con la cultura polacca, e la lingua polacca è usato più volte nella liturgia. Quattro periodici sono pubblicati, e la Chiesa è più impegnata nelle attività caritative. Attualmente la Chiesa Ortodossa Polacca ha sei diocesi e 410 chiese di cui 250 sono parrocchie servite dai 259 preti e diaconi. Il seminario telogico ortodosso in Varsavia ha circa 80 studenti, e c’è una Facoltà Ortodossa di Teologia all'Accademia di Teologia cristiana nella stessa città, con 35 studenti.


Territorio: Polonia.

Guida: Metropolita Sawa.

Titolo: Metropolita di Varsavia e di tutta la Polonia.

Residenza: Varsavia, Polonia.

Membri: 570.000.

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Come leggere la Bibbia

del Vescovo Kallistos di Diokleia

Tutta la Scrittura è ispirata da Dio (2 Tim 3:16)

"Se un re terreno, il nostro imperatore," scriveva San Tikhon di Zadonsk (1724-83), "ti scrivesse una lettera, non la leggeresti con gioia? Certamente, con grande esultanza, cura e attenzione." Ma qual'è, egli chiede, la nostra attitudine verso la lettera che ci è stata spedita niente meno che da Dio stesso? "Ti è stata spedita una lettera, non da qualche imperatore terreno, ma dal Re dei Cieli. Eppure quasi disprezzi un tale dono, un tesoro senza prezzo." Aprire e leggere questa lettera, dice San Tikhon, vuol dire entrare in una conversazione personale faccia a faccia con il Dio vivente. "Tutte le volte che leggi il Vangelo, Cristo stesso ti sta parlando. E mentre leggi, tu sei in preghiera e in conversazione con lui."

Esattamente questa è la nostra attitudine ortodossa verso la lettura delle Scritture. Devo vedere la Bibbia come la lettera personale di Dio inviata in modo specifico a me. Le parole non sono intese solo per altri, vissuti lontano e molto tempo fa, ma sono scritte particolarmente e direttamente a me, qui e ora. Ogni volta che apriamo la nostra Bibbia, entriamo in un dialogo creativo con il Salvatore. Mentre ascoltiamo, rispondiamo. "Parla, perché il tuo servo ti ascolta," rispondiamo a Dio (1 Samuele 3:10); "Eccomi" (Isaia 6:8).

Due secoli dopo San Tikhon, alla Conferenza tenuta a Mosca nel 1976 tra gli ortodossi e gli anglicani, la vera attitudine verso le Scritture è stata espressa in modo differente ma in termini ugualmente validi. Questa dichiarazione congiunta, firmata da delegati di entrambe le tradizioni, forma un eccellente riassunto del punto di vista ortodosso: "Le Scritture costituiscono un insieme coerente. Esse sono allo stesso tempo divinamente ispirate e umanamente espresse. Portano testimonianza autorevole a Dio che si rivela - nella creazione, nell'Incarnazione del Verbo, e nell'intera storia della salvezza. E come tali esprimono la parola di Dio in linguaggio umano. Noi conosciamo, riceviamo e interpretiamo le Scritture attraverso la Chiesa e nella Chiesa. Il nostro approccio alla Bibbia è un approccio di obbedienza."

Combinando le parole di San Tikhon e la dichiarazione di Mosca, si possono distinguere le quattro caratteristiche chiave che contrassegnano la "mente scritturale" ortodossa. Primo, la nostra lettura delle scritture è obbediente. Secondo, è ecclesiale, in unione alla Chiesa. Terzo, è cristocentrica. Quarto, è personale.

Leggere la Bibbia con obbedienza

Prima di tutto, vediamo le Scritture come ispirate da Dio, e ci accostiamo a loro in spirito di obbedienza. L'ispirazione divina della Bibbia è sottolineata allo stesso modo da San Tikhon e dalla Conferenza di Mosca del 1976: Le Scritture sono una "lettera" che viene dal "Re dei Cieli," scrive San Tikhon; "Cristo stesso ti sta parlando." La Bibbia, dice la Conferenza, è la "testimonianza autorevole" che Dio dà di Se stesso, che esprime "la parola di Dio in linguaggio umano." La nostra risposta a questa parola divina è, giustamente, una risposta di obbediente ricettività. Mentre leggiamo, siamo al servizio dello Spirito.

Poiché è divinamente ispirata, la Bibbia possiede un'unità fondamentale, una coerenza totale, poiché lo stesso Spirito parla in ogni pagina. Non ci riferiamo ad essa al plurale come "i libri," ta biblia. La chiamiamo "la Bibbia," "il libro," al singolare. Si tratta di un libro, una Sacra Scrittura, con lo stesso messaggio generale - una storia composita e allo stesso tempo singola dalla Genesi all'Apocalisse.

Allo stesso tempo, tuttavia, la Bibbia è anche umanamente espressa. È un'intera biblioteca di scritti distinti, composti in vari tempi, da persone differenti, in situazioni ampiamente diverse. Troviamo qui Dio che parla "in molti tempi e in molti modi" (Ebrei 1:1). Ogni libro della Bibbia riflette il carattere dell'epoca in cui fu scritto e il particolare punto di vista dell'autore. Dio infatti non abolisce la nostra individualità ma la esalta. La grazia divina coopera con la libertà umana: noi siamo "collaboratori," cooperatori di Dio (1 Corinzi 3:9). Nelle parole della Lettera a Diogneto del secondo secolo, "Dio persuade, non obbliga; la violenza è infatti contraria alla natura divina." Precisamente così avviene nella composizione delle Scritture ispirate. L'autore di ogni libro non era solo uno strumento passivo, un flauto suonato dallo Spirito, un dittafono che registra un messaggio. Ogni autore delle Scritture vi contribuisce con i propri particolari doni umani. A fianco dell'aspetto divino, c'è anche un aspetto umano nelle Scritture, e noi dobbiamo dare valore a entrambi.

Ciascuno dei quattro evangelisti, per esempio, ha il suo punto di vista particolare. Matteo è il più "ecclesiastico" e il più ebraico dei quattro, con il suo speciale interesse alla relazione tra il vangelo e la legge ebraica, e la sua comprensione del cristianesimo come "nuova legge." Marco scrive in un greco meno forbito, vicino al linguaggio della vita quotidiana, e include vividi dettagli narrativi che non si trovano negli altri Vangeli. Luca insiste sull'universalità dell'amore di Cristo, sulla sua onnicomprensiva compassione che si estende in pari misura all'ebreo e al gentile. Il quarto vangelo esprime un approccio più interiore e mistico, e fu ben definito da San Clemente di Alessandria "un vangelo spirituale." Esploriamo anche noi e godiamo pienamente questa vivifica varietà nella Bibbia.

Dato che le Scritture sono in questo modo la parola di Dio espressa in linguaggio umano, c'è spazio per un'onesta ed esigente ricerca critica quando si studia la Bibbia. Il nostro cervello e la sua facoltà di ragionamento sono un dono di Dio, e non dobbiamo avere paura di usarli pienamente quando leggiamo le Scritture. Come cristiani ortodossi, trascuriamo a nostro rischio e pericolo i risultati della ricerca accademica indipendente sulle origini, le datazioni e gli autori della Bibbia, anche se vorremo sempre mettere alla prova questi risultati alla luce della Santa Tradizione.

A fianco di questo elemento umano, tuttavia, dobbiamo sempre vedere l'aspetto divino. Questi testi non sono semplicemente opera degli autori individuali. Ciò che ascoltiamo nelle Scritture non sono semplici parole umane, caratterizzate da una maggiore o minore abilità e percezione, ma l'eterna, increata Parola di Dio stesso - il Verbo del Padre che "esce dal silenzio," per usare la frase di Sant'Ignazio di Antiochia - il Verbo divino della salvezza. Accostandoci alla Bibbia, dunque, non proveniamo da una posizione di mera curiosità, o per ottenere informazioni storiche. Veniamo con una domanda specifica: "Come posso essere salvato?"

La ricettività obbediente alla parola di Dio significa soprattutto due cose: un senso di meraviglia e un'attitudine di ascolto.

(1) La meraviglia si estingue facilmente. Non proviamo anche troppo spesso, leggendo la Bibbia, che essa è divenuta troppo familiare, perfino noiosa? Non abbiamo forse perso la nostra vigilanza, il nostro senso di aspettativa?

Dobbiamo continuamente ripulire le porte della nostra percezione e guardare con occhi nuovi, con timore reverenziale e stupore, il miracolo che ci viene proposto - il miracolo sempre presente della parola divina di salvezza espressa in linguaggio umano. Come faceva notare Platone, "l'inizio della verità è la meraviglia di fronte alle cose."

Alcuni anni fa ho fatto un sogno che ancora ricordo chiaramente. Ero di nuovo nella casa dove da bambino, per tre anni, avevo vissuto in convitto. Un amico mi portava attraverso le camere che mi erano familiari dai ricordi di vita cosciente della mia infanzia. Poi, nel sogno, entravamo in altre camere che non avevo mai visto prima - spaziose, eleganti, piene di luce. Infine, arrivammo in una cappella piccola e scura, con mosaici dorati che brillavano alla luce di candele. "Che strano," dissi al mio compagno, "che io sia vissuto qui per tanti anni, e senza mai sapere dell'esistenza di tutte queste camere." Ed egli replicò: "Ma è sempre così." Mi svegliai, e mi accorsi che era un sogno.

Non dovremmo forse reagire in presenza della Bibbia esattamente con la stessa sorpresa, con lo stesso senso di gioia e di scoperta che avevo sperimentato nel mio sogno? Ci sono così tante stanze nelle Scritture nelle quali ancora non siamo neppure entrati. C'è ancora così tanto da esplorare.

(2) Se l'obbedienza significa meraviglia, significa anche ascolto. Tale è per la verità il significato della parola "obbedire" in greco e in latino: ascoltare. Il problema è che per la maggior parte noi siamo più capaci di parlare che di ascoltare. Lo dimostra fin troppo bene un episodio del Goon Show, che io ascoltavo regolarmente alla radio nei miei giorni di studente. Suona il telefono, e uno dei personaggi alza il ricevitore. "Pronto," esclama, "pronto, pronto." Il volume della sua voce cresce. "Chi parla? Non riesco a sentire. Pronto, chi parla?" Una voce all'altro capo dice: "Ma sei tu che parli." "Ah," risponde il protagonista "ecco perché la voce mi sembrava familiare." e riappende il ricevitore.

Uno dei requisiti primari, se vogliamo acquisire una "mente scritturale," è quello di smettere di parlare e iniziare ad ascoltare. Quando entriamo in una chiesa ortodossa decorata nel modo tradizionale, e guardiamo in alto verso il santuario, vediamo nell'abside la figura della Madre di Dio con le mani levate al cielo - l'antico modo scritturale di pregare che molti usano ancora oggi. Tale deve essere la nostra attitudine verso le Scritture - un'attitudine di apertura e di attenta ricettività, con le nostre mani invisibilmente protese verso il cielo.

Leggendo la Bibbia, dunque, dobbiamo conformarci in tal modo al modello della Beata Vergine Maria, come a colei che ascolta in modo supremo. All'Annunciazione, ascoltando l'angelo, risponde con obbedienza: "Sia fatto di me secondo la tua parola" (Luca 1:38). Se non avesse prima ascoltato la parola di Dio ricevendola spiritualmente nel suo cuore, non avrebbe mai portato corporalmente la Parola di Dio nel suo grembo. L'ascolto ricettivo continua a essere la sua attitudine lungo tutta la storia dei Vangeli. Alla natività di Cristo, dopo l'adorazione da parte dei pastori, "Maria custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Luca 2:19). Dopo la visita a Gerusalemme quando Gesù aveva dodici anni, "Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore" (Luca 2:51). L'importanza vitale dell'ascolto è pure indicata nelle ultime parole attribuite alla Theotokos nelle Sacre Scritture, alla festa di nozze a Cana di Galilea: "Fate tutto quello che vi dirà" (Giovanni 2:5), ella dice ai servitori - e a tutti noi.

In tutto ciò la Vergine serve come uno specchio e un'icona vivente del cristiano biblico. Ascoltando la parola di Dio, dobbiamo essere come lei: meditare, custodire tutte queste cose nel nostro cuore, fare tutto ciò che Egli ci dice. Dobbiamo ascoltare in obbedienza mentre Dio parla.

Comprendere la Bibbia attraverso la Chiesa

Come afferma la Conferenza di Mosca, "Noi conosciamo, riceviamo e interpretiamo le Scritture attraverso la Chiesa e nella Chiesa." Il nostro approccio alla Bibbia non è solo obbediente ma ecclesiale. Le parole della Scritture, che ci sono rivolte a titolo personale, ci sono rivolte allo stesso tempo in quanto membri di una comunità. Libro e Chiesa non vanno separati.

L'interdipendenza tra Chiesa e Bibbia è evidente almeno in due modi. Dapprima, noi riceviamo le Scritture attraverso la Chiesa e nella Chiesa. È la Chiesa a dirci che cosa fa parte delle Scritture. Nei primi tre secoli di storia cristiana, fu necessario un lungo processo per passare al setaccio, mettere alla prova e distinguere ciò che era autenticamente parte delle Scritture "canoniche," e che portava un messaggio autorevole della persona e del messaggio di Cristo, e di ciò che era "apocrifo," forse utile per l'insegnamento, ma non una fonte normativa di dottrina. Perciò, è la Chiesa che ha deciso quali libri formano il Canone del Nuovo Testamento. Un libro non è parte delle Sacre Scritture a causa di qualche particolare teoria sulla sua datazione e autorevolezza, ma poiché è la chiesa che lo tratta come canonico. Supponiamo, per esempio, che potesse essere provato che il Quarto Vangelo non sia stato scritto di fatto da San Giovanni, il discepolo amato da Cristo - a mio parere, ci sono invece forti ragioni per continuare ad accettare l'attribuzione a Giovanni - e tuttavia, anche in tal caso, ciò non altererebbe il fatto che noi consideriamo il Quarto Vangelo come parte delle Scritture. Come mai? Perché il Quarto Vangelo, chiunque sia il suo autore, è accettato dalla Chiesa e nella Chiesa.

In secondo luogo, noi interpretiamo le Scritture attraverso la Chiesa e nella Chiesa. Se è la Chiesa che ci dice che cosa fa parte delle Scritture, allo stesso modo è la Chiesa che ci dice come le Scritture vanno comprese. Giungendo dall'Etiope mentre questi leggeva l'Antico Testamento nel suo carro, l'Apostolo Filippo gli chiese, "Comprendi ciò che stai leggendo?"

"E come potrei," rispose l'Etiope, "se qualcuno non mi guida?" (Atti 8:30-31).

La sua difficoltà è pure la nostra. Le parole delle Scritture non si spiegano sempre da sole. La Bibbia ha un filo conduttore di meravigliosa semplicità, ma quando è studiata in dettaglio può risultare un libro difficile. Invero, Dio parla direttamente al cuore di ciascuno di noi mentre leggiamo la nostra Bibbia - come dice San Tikhon, la nostra lettura è un dialogo personale tra ciascuno di noi e Cristo stesso - ma noi abbiamo bisogno anche di una guida. E la nostra guida è la Chiesa. Possiamo usare pienamente la nostra comprensione personale, assistita dallo Spirito. Possiamo usare pienamente i commentari biblici le scoperte della moderna ricerca. Ma sottomettiamo le opinioni individuali - siano esse le nostre o quelle degli studiosi - al giudizio della Chiesa.

Leggiamo la Bibbia in modo personale, ma non come individui isolati. Non diciamo "io", ma "noi." Leggiamo come membri di una famiglia, la famiglia della Chiesa Cattolica Ortodossa. Leggiamo in comunione con tutti gli altri membri del Corpo di Cristo in ogni parte del mondo e in tutte le generazioni. Questo approccio comunitario o cattolico è riassunto in una delle domande poste a un convertito nell'ufficio di ricezione usato nella Chiesa Russa: "Riconosci che le Sacre Scritture devono essere accettate e interpretate in accordo con la fede che è stata tramandata dai Santi Padri, fede che la Santa Chiesa Ortodossa, nostra madre, ha sempre mantenuto e tuttora mantiene?" Il criterio decisivo per la nostra comprensione del significato delle Scritture è la mente della Chiesa.

Per scoprire questa "mente della Chiesa," da dove dobbiamo incominciare? Un primo passo consiste nel vedere come le Scritture sono utilizzate nel culto. Come, in particolare, si scelgono i passi biblici da leggere nelle diverse feste? Un secondo passo consiste nel consultare gli scritti dei Padri della Chiesa, soprattutto San Giovanni Crisostomo. Com'è che essi analizzano e applicano il testo delle Scritture? Un modo ecclesiale di leggere la Bibbia è in tal modo sia liturgico che patristico.

Per illustrare che cosa significhi interpretare le Scritture in modo liturgico, consideriamo le letture dall'Antico Testamento al Vespro della Festa dell'Annunciazione (25 Marzo), e al Vespro del Sabato Santo, la prima parte dell'antica Vigilia Pasquale. All'Annunciazione ci sono cinque letture:

(1) Genesi 28:10-17: Il sogno di Giacobbe di una scala che si eleva dalla terra al cielo.

(2) Ezechiele 43:27-44:4: la visione che il profeta ha del tempio di Gerusalemme, con la porta chiusa attraverso la quale nessuno può passare, se non il Principe.

(3) Proverbi 9:1-11: uno dei grandi passi sofianici dell'Antico Testamento, che inizia con le parole "La sapienza si è costruita la casa."

(4) Esodo 3:1-8: Mosè al roveto ardente.

(5) Proverbi 8:22-30: Un altro passo sofianico, che descrive il posto della Sapienza nell'eterna provvidenza di Dio: "Dall'eternità sono stata costituita, fin dal principio, dagli inizi della terra."

In questi passi dall'Antico Testamento, abbiamo una serie di potenti immagini per indicare il ruolo della Theotokos nello sviluppo del piano di salvezza di Dio. Ella è la scala di Giacobbe, poiché per mezzo suo, Dio discende ed entra nel nostro mondo, assumendo la carne da lei fornita. Ella è sia Madre che Sempre-Vergine; Cristo è nato da lei, eppure ella rimane ancora inviolata, e la porta della sua verginità sigillata. Ella fornisce l'umanità, o la casa che Cristo la Sapienza di Dio (1 Corinzi 1:24) si prende come propria dimora; in alternativa, ella stessa va considerata come Sapienza di Dio. Ella è il roveto ardente, che contiene nel suo grembo il fuoco increato della Divinità, eppure non è consumata. Da tutta l'eternità, "dagli inizi della terra," ella fu prescelta da Dio per essere sua Madre.

Leggendo questi passi nel loro contesto originale nell'Antico Testamento, potremmo non accorgerci subito che essi prefigurano l'Incarnazione del Salvatore dalla Vergine. Ma esplorando l'uso che il lezionario della Chiesa fa dell'Antico Testamento, possiamo scoprire molteplici strati di significati che sono tutt'altro che ovvi a una prima lettura.

La stessa cosa accade quando consideriamo l'uso delle Scritture al Sabato Santo. Qui non vi sono meno di quindici letture dall'Antico Testamento. Purtroppo, in molte delle nostre parrocchie la maggioranza di queste letture viene omessa, così il popolo di Dio viene privato del suo appropriato nutrimento biblico. Questa lunga sequenza di letture ci mette di fronte il significato più profondo del "passaggio" di Cristo attraverso la morte verso la risurrezione. La prima delle letture è il resoconto della creazione (Genesi 1:1-13): la Risurrezione di Cristo è una nuova creazione (2 Corinzi 5:17; Apocalisse 21:5), l'inaugurazione di una nuova età, l'età ventura. La terza lettura descrive il rituale ebraico del pasto pasquale: Cristo crocifisso e risorto è la nuova Pasqua, l'Agnello pasquale che solo può prendere su di sé il peccato del mondo (1 Corinzi 5:7; Giovanni 1:29). La quarta lettura comprende tutto il libro di Giona: i tre giorni del profeta nel ventre del pesce prefigurano la risurrezione di Cristo dopo tre giorni nella tomba (Matteo 12:40). La sesta lettura racconta il passaggio del Mar Rosso da parte degli israeliti (Esodo 13:20-15:19), Cristo ci guida dalla schiavitù dell'Egitto (il peccato), attraverso il Mar Rosso (il battesimo), nella terra promessa (la Chiesa). La lettura finale è la storia dei tre Santi Fanciulli nella fornace infuocata (Daniele 3), ancora una volta un "tipo" o prefigurazione della risurrezione di Cristo dalla tomba.

Come possiamo sviluppare questo modo ecclesiale e liturgico di leggere le Scritture nei gruppi di studio biblico all'interno delle nostre parrocchie? A una persona si può dare il compito di notare quando un passo particolare è usato per una festività o per il giorno di un santo, e il gruppo può quindi discutere assieme le ragioni per cui è stato scelto così. Ad altri nel gruppo possono essere assegnati i compiti di ricerca tra i Padri, riferendosi soprattutto alle omelie di San Giovanni Crisostomo. All'inizio possiamo essere delusi: il modo di pensare e di parlare che hanno i Padri è spesso nettamente differente dal nostro di oggi. Ma c'è molto oro nei testi patristici, se solo abbiamo sufficiente pazienza e immaginazione per scoprirlo.

Cristo, il cuore della Bibbia

Il terzo requisito per la nostra lettura delle Scritture è che essa sia cristocentrica. Se siamo d'accordo con la Conferenza di Mosca del 1976, che dice che "le Scritture costituiscono un insieme coerente," dove dobbiamo situare la loro completezza e coerenza? Nella persona di Cristo. Egli è il motivo unificante che passa attraverso l'intera Bibbia, dalla prima all'ultima frase. Gesù si incontra con noi in ogni pagina. Tutto ha un senso a causa sua. "Tutte le cose sussistono in lui" (Colossesi 1:17).

Molto dello studio delle Scritture da parte degli studiosi occidentali moderni ha adottato un approccio analitico, scomponendo ogni libro in quelle che vengono viste come le sue fonti originarie. I legami di connessione vengono sciolti, e la Bibbia è ridotta a una serie di unità isolate. Recentemente vi è stata una reazione a questo approccio, e i critici biblici in occidente hanno dato maggiore attenzione al modo in cui queste unità primarie sono state unite assieme. A ciò, come ortodossi, possiamo sicuramente essere favorevoli. Dobbiamo vedere l'unità delle Scritture tanto quanto la diversità, la coesione globale della fine così come le dispersioni degli inizi. L'Ortodossia preferisce per la maggior parte uno stile di ermeneutica "sintetico" a uno analitico, dato che vede la Bibbia come un insieme integrato, e Cristo, ovunque, come il suo legame d'unione.

Precisamente questo, come abbiamo appena visto, è l'effetto della lettura delle Scritture nel contesto del culto della Chiesa. Come è reso chiaro dalle letture dell'Annunciazione e del Sabato Santo, ovunque nell'Antico Testamento troviamo segnali e indicazioni stradali che fanno riferimento al mistero di Cristo e di Maria sua Madre. Interpretando l'Antico Testamento alla luce del Nuovo, e il Nuovo alla luce dell'Antico - come il lezionario della Chiesa ci incoraggia a fare - scopriamo come tutta la Scrittura trovi il suo punto di convergenza nel Salvatore.

L'Ortodossia fa un uso esteso di questo metodo "tipologico" di interpretazione, in cui i "tipi" di Cristo, i segni e i simboli della Sua opera, vanno scoperti attraverso tutto l'Antico Testamento. Per esempio Melchisedek, il re-sacerdote di Salem, che offrì pane e vino ad Abramo (Genesi 14:18), è considerato un "tipo" di Cristo non solo dai Padri ma anche nel Nuovo Testamento stesso (Ebrei 5:6; 7:1). La roccia da cui fluì acqua nel deserto del Sinai (Esodo 17:6; Numeri 30:7-11) è allo stesso modo un simbolo di Cristo (1 Corinzi 10:4). La tipologia spiega la scelta delle letture, non solo al Sabato Santo, ma in tutta la seconda parte della Quaresima. Perché le letture della Genesi nella sesta settimana sono dominate dalla figura di Giuseppe? Perché si legge dal libro di Giobbe nella Settimana Santa? Perché Giuseppe e Giobbe, che soffrirono entrambi da innocenti, prefigurano la sofferenza redentiva di Cristo sulla Croce.

Possiamo scoprire molte altre corrispondenze tra l'Antico e il Nuovo Testamento usando una concordanza biblica. Spesso il miglior commentario è semplicemente una concordanza, o un'edizione della Bibbia che abbia a margine una scelta ben fatta di riferimenti incrociati. Limitandosi a connettere, tutto si lega assieme. Nelle parole di Padre Alexander Schmemann, "Un cristiano è colui che, ovunque guarda, trova Cristo e si rallegra in Lui." Ciò è vero in particolare del cristiano biblico. Dovunque guarda, in ogni pagina, dappertutto trova Cristo.

La Bibbia come lettura personale

Secondo San Marco il Monaco ("Marco l'Asceta", del quinto/sesto secolo): "Colui che è umile nei suoi pensieri e attivo nel lavoro spirituale, quando legge le Sacre Scritture, applicherà tutto a se stesso e non al suo prossimo." Dobbiamo guardare a tutte le Scritture per un'applicazione personale. La nostra domanda non è semplicemente "Che cosa significa?" ma "Che cosa significa per me?" Come insiste San Tikhon, Cristo stesso sta parlando a te. Le Scritture sono un dialogo diretto, intimo tra il Salvatore e me stesso - Cristo che si rivolge a me, e il mio cuore che risponde. Questo è il quarto criterio nella nostra lettura della Bibbia.

Devo vedere tutte le narrazioni delle Scritture come parte della mia storia personale. la descrizione della caduta di Adamo, allo stesso modo , è un resoconto di qualcosa che rientra nella mia stessa esperienza. Chi è Adamo? Il suo nome vuol dire semplicemente "uomo," "umano": Adamo sono io. E a me che Dio chiede, "Dove sei?" (Genesi 3:9). Noi spesso chiediamo "Dov'è Dio?" Ma la vera domanda è quella che Dio pone all'Adamo che è in ognuno di noi: "Dove sei tu?"

Chi è Caino, l'assassino del proprio fratello? Sono io. La sfida di Dio, "Dov'è Abele, tuo fratello?" (Genesi 4:9), è rivolta al Caino in ognuno di noi. La via a Dio passa per l'amore alle altre persone, è non c'è altra via. Rinnegando la mia sorella o il mio fratello, sostituisco l'immagine di Dio con il marchio di Caino, e nego la mia umanità essenziale.

La stessa applicazione personale è evidente negli offici quaresimali, e soprattutto nel Grande Canone di Sant'Andrea di Creta. "Io sono l'uomo caduto tra i briganti," diciamo (v. Luca 10:30) "Ero il tuo figlio più giovane, e ho sperperato le ricchezze che mi hai dato... e ora sono vuoto e affamato" (v. Luca 15:11-14). "Chi sono le pecore, e chi sono i capri?" erano soliti chiedere i Padri del Deserto d'Egitto (v. Matteo 25:31-46) "Le pecore sono note a Dio," rispondevano. "Quanto ai capri - significano me."

Ci sono tre passi da fare nella lettura delle Sacre Scritture. Per prima cosa, riflettiamo sul fatto che ciò che abbiamo nelle Scritture è storia sacra: la storia del mondo dalla Creazione, la storia del popolo eletto di Dio, la storia di Dio stesso incarnato in Palestina, la storia delle "grandi opere" (Atti 2:11) dopo Pentecoste. Non dobbiamo mai dimenticare che ciò che troviamo nella Bibbia non è un'ideologia, né una teoria filosofica, ma una fede storica.

Quindi, osserviamo la particolarità, la specificità di questa storia sacra. Nella Bibbia troviamo che Dio interviene in tempi specifici e in luoghi particolari, entrando in dialogo con esseri umani individuali. Vediamo davanti a noi le distinte chiamate fatte da Dio a ciascuna persona differente, ad Abramo, Mosè e Davide, a Rebecca e a Rut, a Isaia e ai profeti. Vediamo Dio che si incarna una sola volta, in un particolare angolo della terra, in un momento particolare e da una Madre particolare. Non dobbiamo considerare questa particolarità come uno scandalo, ma come una benedizione. L'amore divino è universale nel suo scopo, ma sempre personale nella sua espressione.

Questo senso di specificità della Bibbia è un elemento vitale nella "mente scritturale" ortodossa. Se amiamo davvero la Bibbia, ameremo le genealogie e i dettagli nella datazione e nella geografia. Uno dei migliori modi per ravvivare lo studio delle Scritture è quello di andare in pellegrinaggio in Terra Santa. Camminate dove ha camminato Cristo. Scendete presso il Mar Morto, salite sul monte delle Tentazioni, osservate le terre desolate, provate ciò che deve avere provato Cristo durante i suoi quaranta giorni di solitudine nel deserto. Bevete dal pozzo presso il quale Gesù parlò con la donna samaritana. Prendete una barca e uscite sul Mare di Galilea, chiedete ai pescatori di fermare il motore, e guardate in silenzio attraverso le acque. Andate di notte al Giardino del Getsemani, sedetevi al buio sotto gli antichi ulivi, e guardate attraverso la valle le luci della città. Gustate appieno il "sapore" caratteristico dell'ambientazione storica, e riportate quell'esperienza nella lettura quotidiana delle Scritture.

Dobbiamo quindi fare un terzo passo. Dopo avere vissuto nuovamente la storia biblica in tutta la sua particolarità, dobbiamo applicarla direttamente a noi stessi. Dobbiamo dire a noi stessi, "questi non sono solo luoghi distanti, eventi di un remoto passato. Appartengono al mio incontro con il Signore. Le storie includono me."

Il tradimento, per esempio, è parte della storia personale di ciascuno. Non abbiamo forse tradito tutti qualcuno in qualche momento della nostra vita, e non abbiamo conosciuto tutti che cosa significhi essere traditi? La memoria di questi momenti non ci lascia forse profonde e continue cicatrici sulla nostra psiche? Leggendo, pertanto, il racconto del tradimento di Cristo da parte di San Pietro, e della sua reintegrazione dopo la Risurrezione, possiamo vedere ciascuno di noi come un attore nella storia. Immaginando ciò che provarono sia Pietro che Cristo nel momento immediatamente successivo al tradimento, facciamo nostre le loro percezioni. Io sono Pietro; nella situazione del tradimento, posso anche essere Cristo? Riflettendo allo stesso modo sul processo di riconciliazione - vedendo come il Salvatore risorto, con un amore totalmente privo di sentimentalismo, reintegra dopo la sua caduta Pietro alla comunione, e vedendo come Pietro dal canto suo abbia il coraggio di accettare tale reintegrazione - chiediamoci: quanto simile a Cristo sono io, con coloro che mi hanno tradito? E, dopo i miei stessi tradimenti, quanto sono in grado di accettare il perdono degli altri: sono capace di perdonare me stesso?

Prendiamo, come un altro esempio, la "donna peccatrice," che versò il vaso d'olio sui piedi di Cristo (Luca 7:36-50), e che alcuni identificano con Santa Maria Maddalena, anche se questa non è l'interpretazione ortodossa consueta. Posso vederla rispecchiata in me stesso? Condivido la sua generosità, la sua spontaneità e la sua amorevole impulsività? "I suoi peccati, che sono molti, le sono perdonati, poiché molto ha amato." Oppure sono calcolatore, meschino, reticente, mai pronto a impegnarmi in alcunché di buono o di cattivo? Come dicono i Padri del Deserto, "Meglio qualcuno che ha peccato, se sa di avere peccato e si pente, piuttosto che una persona che non ha peccato, e pensa di essere giusta."

Un approccio personale di questo tipo significa che nel leggere la Bibbia noi non siamo semplicemente osservatori distaccati e obiettivi, che assorbono informazioni e prendono nota di fatti. La Bibbia non è meramente un'opera letteraria o una collezione di documenti storici, anche se ci si può certamente accostare ad essa a questo livello. Si tratta di qualcosa di molto più fondamentale, di un libro sacro, rivolto a credenti, da leggere con fede e amore. Non avremo un pieno profitto dalla lettura dei Vangeli se in noi non c'è amore per Cristo. "Il cuore parla al cuore:" io entro nella verità viva delle Scritture solo quando il mio cuore risponde con amore al cuore di Dio.

Leggendo le Scritture in questo modo - in obbedienza, come membri della Chiesa, trovando ovunque Cristo, e vedendo ogni cosa come parte della nostra storia personale - percepiremo qualcosa della forza e della guarigione che si trovano nella Bibbia. Eppure nel nostro viaggio biblico di esplorazione siamo sempre al principio. Siamo come persone che si lanciano in una piccola barca su un oceano senza limiti. Ma per quanto grande sia in viaggio, possiamo imbarcarci oggi, in questa stessa ora, in questo stesso momento.

Al culmine della sua crisi spirituale, mentre era in lotta con se stesso in un giardino, Sant'Agostino udì la voce di un bambino che diceva "Prendi e leggi, prendi e leggi." Egli prese la sua Bibbia e lesse, e ciò che lesse cambiò tutta la sua vita. Facciamo anche noi lo stesso: prendiamo e leggiamo.

"Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (Salmo 118 [119]:105).

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Sabato, 02 Febbraio 2008 23:39

Cristiani russi in cifre

Cristiani russi in cifre





Sotto la guida di Alessio II, eletto nel 1990 patriarca di Mosca, la Chiesa ortodossa russa conta attualmente 132 diocesi (136 con la Chiesa ortodossa autonoma del Giappone), più di 26.600 parrocchie (di cui 12.665 in Russia), 175 vescovi, 688 monasteri (di cui in Russia 207 maschili e 226 femminili); 5 Accademie teologiche, due Università ortodosse, 34 seminari.

Per quanto riguarda la Chiesa cattolica in Russia, stabilita nel 1782 con la diocesi di Moghilev per la cura pastorale dei sudditi cattolici dell’Impero russo, alla vigilia della Rivoluzione contava 150 parrocchie con più di 250 preti, per un totale di circa mezzo milione di fedeli. Attualmente la Chiesa cattolica, di cui nel 1991 veniva ristabilita la struttura gerarchica con un Amministratore apostolico (...), conta quattro arcidiocesi, 225 parrocchie (di cui circa un quarto non dispone ancora di una propria chiesa), un seminario, 270 preti e 250 religiose, in maggioranza stranieri, provenienti da 22 Paesi diversi (solo il 10 per cento del clero è di origine russa). I fedeli cattolici presenti nel territorio della Federazione russa sono circa 600 mila.

(da Mondo e Missione, gennaio 2007)

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Le Chiese dell'oriente cristiano

La Chiesa Ortodossa di Grecia

di John Nellykullen


La rivoluzione greca contro il regime turco cominciò nel 1821, e culminò, dopo l’intervento europeo, con il riconoscimento dell’indipendenza di un piccolo stato greco da parte della Turchia nel 1832. La Chiesa ortodossa ebbe un grande ruolo nella rivoluzione, e pagò un prezzo elevato per questo. Il Patriarca di Costantinopoli Gregorios V ed un certo numero dei metropoliti furono accusati di tradimento e subito dopo l’inizio della rivoluzione, furono impiccati dai turchi.

Il nuovo governo di Grecia, a dispetto della tradizionale, era riluttante al fatto che la Chiesa Ortodossa in Grecia rimanesse sotto la giurisdizione della Patriarca di Constantinopoli, la cui sede era rimasta nel territorio dell’impero ottomano. Per questo ragione nel 1833 la Chiesa di Grecia fu dichiarata autocefala, e posta sotto l’autorità di cinque membri del Sinodo dei vescovi e del re. Il re fu dichiarato come capo della chiesa. Lo stato di autocefalia della Chiesa di Grecia fu riconosciuto da Costantinopoli nel 1850 con un tomos patriarcale in cui si specificava che l’arcivescovo di Atene sarebbe stato il capo permanente del Sinodo dei vescovi.

Un nuovo territorio fu incorporato alla Grecia a spese dell’Impero Ottomano e nuove Diocesi ortodosse furono aggiunte alla nuova Chiesa di Grecia. Gli ortodossi del territorio, della parte nord, riconquistato dai turchi rimasero direttamente sotto la giurisdizione del Patriarca Ecumenico fino al 1928, quando con un accordo furono posti provvisoriamente sotto l’amministrazione della Chiesa di Grecia.

Il controllo dello stato sulla Chiesa di Grecia fu gradualmente ridotto con l’implementazione delle regolarizzazioni posteriori, benchè la costituzione del 1975 riconoscesse l’Ortodossia come la religione predominante in Grecia. Si riconosce anche il diritto delle altre religioni ad esercitare il culto senza interferenze statali. Però il culto dei non-ortodossi non deve disturbare l’ordine pubblico. Ogni proselitismo è stato proibito. Al contrario delle costituzioni passate, il Presidente della Grecia non necessariamente deve essere un cristiano ortodosso e non è più richiesto di giurare di proteggere la religione di Stato. La costituzione dice anche che la Chiesa ortodossa di Grecia è autocefala ed è governata da il Santo Sinodo dei vescovi in carica, e dal Santo Sinodo Permanente che è composto da alcuni membri del primo. La struttura rispetta le provisioni del tomos del 1850 riguardo l’autocefalia. Oggi il Santo Sinodo Permanente è composto da 13 membri, incluso l’arcivescovo di Atene che lo presiede . Nel 1955 la Chiesa e lo Stato hanno iniziato un dialogo sulla possibilità di cambiamenti nei loro rapporti. Però nel 1996 il governo annunciò che i dati costituzionali già in atto non dovevano essere cambiati. La statistica ufficiale ci mostra che il 96% della popolazione di Grecia è ortodossa, l’1% è composto di cattolici e di protestanti, ed il 2% di musulmani.

Le diocesi ortodosse in Grecia sono piccole. Ve ne sono 80 in Grecia, 8 a Creta e 4 nelle isole del Dodecanneso che è sotto la giurisdizione del Patriarca Ecumenico.

Il monachesimo, che era in costante decadenza dal dicianovessimo secolo, ha avuto recentemente una ripresa. Nel 1986 c’erano 2.000 monaci ortodossi e 2.000 monache nella chiesa di Grecia. La republica monastica del Monte Athos, benchè sia in Grecia, è sotto la giurisdizione del Patriarca Ecumenico.

C’è stato un movimento significativo di rinnovamento nella chiesa di Grecia dopo la secondo guerra mondiale. Questo è stato causato da un nuovo tipo di monachesimo, composto da fraternità di laici che sono nate all’inizio del secolo. Il più emergente di questi gruppi, Zoè, ha avuto un particolare sviluppo nella metà di 1960 anni. Ha avuto 130 membri, tutti teologi, di cui 34 preti. La comunità ha lavorato per riformare l’atteggiamento dei Greci verso la Chiesa Ortodossa dando importanza alla devozione personale. Zoè ha unito la spiritualità monastica all’apostolato attivo, e in qualche modo è stata simile alle comunità apostoliche che si sono sviluppate nella chiesa occidentale. Nel 1960 i membri di Zoè più tradizionalisti si sono separati dalla Zoè per formare una piccola nuova fratellanza, che si chiama Sotir. Benchè oggi questi movimenti siano in decadenza e tanti membri siano anziani, hanno dato un modello nuovo di vita religiosa ortodossa ed hanno avuto un’influenza profonda sulla Chiesa di Grecia.

La Chiesa Ortodossa Greca è coinvolta nell’attività filantropica, non soltanto con dichiarazioni pubbliche sulla giustizia sociale, anche avendo cura di orfanotrofi, case per anziani, ospedali, etc.

L’erudizione teologica in Grecia è centrata su due facoltà teologiche erette nelle Università di Atene e di Tessalonica. Ci sono anche altri seminari per la formazione dei preti. Un gran numero di teologi della chiesa Greca sono laici.

L’arcivescovo Christodoulos di Atene e di tutta la Grecia è stato eletto nell’aprile del 1998 per succedere all’arcivescovo Seraphim, che aveva guidato la chiesa dal 1974. Il nuovo arcivescovo è stato intronizzato il 9 maggio, ed ha subito dichiarato di voler accrescere il ruolo della chiesa nella società, di voler combattere le manifestazioni di xenofobia e di razzismo, di voler far crescere il rapporto della Chiesa con il mondo giovanile, di voler migliorare i rapporti con il Patriarca Ecumenico, e di affermare il ruolo della Grecia in Europa sostenendone il pieno ingresso nell’Unione Europea.

Gli ortodossi greci della diaspora sono sotto la giurisdizione del patriarca di Costantinopoli.


Guida: l’Arcivescovo Ieronimos II

Titolo: Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia

Residenza: Atene, Grecia

Membri: 9.025.000.

Sito Web: http://www.ecclesia.gr

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Mercoledì, 19 Dicembre 2007 21:48

L'Esicasmo, yoga cristiano (Anthony Bloom)

L'Esicasmo, yoga cristiano

di Anthony Bloom




L'ESICASMO - YOGA CRISTIANO

Nella misura in cui si può definire lo Yoga come una "tecnica spiritualizzante” è legittimo parlare di uno “Yoga cristiano”. Lo scopo del presente studio è di farne conoscere le tecniche somato-psichiche e di spiegare il significato ed il valore che ad esse attribuiscono gli ortodossi che le mettono in opera.

Per facilitare l'esposizione del soggetto si possono distinguere tre gruppi principali di esercizi ascetici:

I primi non mirano che al corpo e influenzano l'anima (psyche) e lo spirito (pneuma) solo indirettamente, nella misura in cui l'uomo "totale" se ne trova modificato; sono gli esercizi di mortificazione: il digiuno, la veglia, il lavoro massacrante, la castità, ecc.

I secondi piegano il corpo a certe esigenze che hanno ripercussioni dirette sulla vita psichica e indirette sulla vita spirituale: essi sono appena conosciuti in Occidente, e formeranno una parte essenziale di questo articolo.

Gli ultimi sono esercizi ascetici che mettono in opera le potenze psichiche dell'uomo e hanno ripercussioni corporee: sono essenzialmente la meditazione e certe forme di preghiera che escono dal quadro del nostro soggetto.

ASCESI e MORTIFICAZIONE

L' uomo è stato creato dal nulla; ecco la prima verità dinnanzi alla quale ci pone la Rivelazione biblica: egli non ha alcun fondamento ontologico in se stesso: nulla ha preceduto l'esistenza del Cosmo di cui l'uomo fa parte integrante; ed alcun legame genetico collega l'uomo al suo creatore. Il caos di cui parlava il pensiero greco non era che un nulla relativo, quello della nullità, per così dire, non proprio quello del "non – essere”. Il libro della Genesi, nel suo secondo versetto, ci parla infatti di un “essere” informe e confuso: "La terra era informe e vuota; vi erano tenebre alla superficie”. ("Ora la terra era flutto e caos; e tenebra sulla faccia dell' abisso” secondo la traduzione di Edmondo Fleg), poiché, per l'antichità, soltanto l'essere ordinato aveva una esistenza. Il nulla vero, assoluto, quello che precede la creazione della prima creatura, oltrepassa la possibilità del pensieronaturale, in quanto non è una assenza o un vuoto, oppure un essere assottigliato fino all' impercettibilità: è invece la Presenza per eccellenza dell' Unico, del Solo Reale Trascendente e Sconosciuto fino al momento in cui voglia rivelarSi; il caos è una non pienezza del creato ciò che precede l' apparizione della creatura e la pienezza del l'Increato, che Dio solo conosce e rivela.

Non vi è alcuna comune misura, non vi e alcuna filiazione naturale fra Dio e l' uomo il cui solo punto d'appoggio è la Volontà divina che, accettata, gli apre l'accesso alla vita che è partecipazione alla Vita di Dio. Ed è all'uomo intero che questa vita è offerta: corpo, anima e spirito, egli è chiamato a conoscere Dio, a comunicare con la vita divina. E' infatti l'uomo totale che è ad Immagine di Dio. Per raggiungere il suo fine ultimo, l'essere creato deve dunque aprirsi a Dio, oltrepassare la sua propria limitazione ed espandersi nella misura dell'increato. ma oltre questo compito ontologico, un altro compito gli incombe dalla caduta: divenuto un sotto-uomo, deve ridiventare ciò che era all'origine, prima di poter compiere la sua vocazione e rispondere pienamente all' appello del suo Dio.

L'armonia della natura umana comporta una gerarchia delle sue parti costitutive: il corpo deve essere sottomesso all'anima (psychè) e quest'ultima allo spirito (pneuma); quanto allo spirito dell'uomo (nephesh), esso comunica col Soffio, lo Spirito di Dio nell'uomo (rouah), potenza di vita e sorgente della sua immortalità. Finché questa gerarchia non è distrutta, l'uomo resta "conforme" a Dio, suo "simile: è capace di ricevere Dio e di manifestarLo.

Ma l’uomo è creato "sovrano,,: può determinare il suo destino; la sua contingenza stessa assicura la sua indipendenza: nessuna necessità interna ha costretto Dio a chiamarlo all' esistenza; inutile alla pienezza dell' essere divino, l'uomo é posto di fronte al suo Creatore. Se vien meno a Lui, se da Lui si distoglie, l’uomo impegna la integrità della sua natura e la mette in pericolo: può cessare d' essere simile a Dio oppure unirsi a Lui. Nel primo caso, al compito ontologico di superamento del creato si aggiungerà, per chiunque voglia realizzare la propria vocazione, un compito nuovo: ritrovare l'armonia perduta.

è interessante osservare che essa e' stata nello stesso tempo improvvisa e progressiva: " E la morte si impiantò a poco a poco ,,, dice il Libro della Genesi; d'altra parte, la caduta è stata improvvisa in questo senso che un cambiamento profondo e radicale si è prodotto fin da quel primo momento che si può definire col termine di "frammentazione": Dio e l'uomo si sono trovati ad essere staccati l'uno dall'altro; lo Spirito di Dio nell'uomo (rouah) è divenuto non solamente differente, ma estraneo allo spirito dell'uomo, (nephesh); non è più la sorgente di vita, e l'uomo, restato solo, non ha potuto far altro che morire; la triplice armonia gerarchica del corpo, dell'anima e dello spirito si è trovata spezzata fin dal momento in cui non è stato più il canale per il quale la vita si diffondeva nell'anima e vivificava il corpo; e, separato dalla sorgente divina di Vita eterna, l'uomo ha dovuto cercare un appoggio per la sua esistenza nell'ordine naturale. Leggiamo nel secondo capitolo della Genesi (v. 16): "Mangia pur d'ogni albero del giardino"; ma dopo la caduta: "La terra sarà maledetta per cagion tua: tu mangerai del frutto di essa con affanno tutti i giorni della tua vita...e mangerai l'erba dei campi.

Invece di comunicare con la vita di Dio, Adamo deve partecipare alla vita del mondo materiale e per questo fatto integrarvisi fino al giorno in cui la terra riprenderà ciò che le appartiene: " ... fino al ritorno alla terra donde sei stato preso: poiché polvere sei ed alla polvere ritornerai”.

Ma ciò non è che la prima tappa di questa integrazione dell' uomo al mondo materiale da cui avrebbe dovuto sganciarsi, meglio nel quale avrebbe dovuto integrare lo Spirito divino: "'Lo Spirito mio non contenderà in perpetuo con gli uomini; perciocché anche non sono altro che carne...,, (Genesi, VI, 3). Una volta separato da Dio, l'uomo scivola sulla china dove, lo spinge lo spirito del male di cui si è fatto schiavo:

"L'Eterno vide che la malvagità degli uomini era grande e che tutti i pensieri del loro cuore si volgevano ogni giorno unicamente verso il male,, (Genesi, VI, 5), e il diluvio sopravvenne; e quando. restarono soli sopravviventi coloro che il male non aveva corrotto, ma che tuttavia hanno ereditato la fragilità progressiva dei loro parenti, il Signore,' disse a Noè ed ai suoi figli:.... "voi sarete soggetto di timore e di spavento per ogni animale sulla terra e per tutti i pesci del mare: essi sono dati nelle vostre mani; tutto ciò che si muove e ha vita vi servirà di nutrimento; vi dò tutto ciò come l'erba verde".

Questo diritto di mangiare tutto "ciò che si muove e ha vita" appare dunque come la crudele espiazione di una crescente decadenza, non come una dignità conferita all'uomo: incapace di vivere della Grazia di Dio, senza vita intrinseca, l'uomo dipende ormai completamente dal mondo creato, dalla materia nella quale egli si ingabbia sempre di più; ne ricava la vita e la morte, una vita precaria e momentanea il cui termine è il ritorno alla polvere.

Ritornare alla polvere vorrà dunque dire, fra le altre cose, rompere col dominio della materia, ritornare "autonomo". "Ahimè! ho reso la mia carne vivace", proclama un inno ortodosso; l'opposizione di due termini, la carne e il corpo è impressionante e chiara: la carne è il corpo sprovvisto di vita divina e che non mantiene la sua esistenza che nell'ordine della materia; il corpo è la materia umana penetrata dallo Spirito di Dio, ritornata all'armonia e liberata dalle servitù che sono familiari alla sua natura decaduta, quantunque ad essa estranee in ordine alla sua vocazione.

a ciò che è per noi sorgente di vita per acquistare una nuova vita. L'ascesi di mortificazione non ha senso che nella misura stessa in cui si associ ad un'ascesi costruttiva che ci renda atti a ricevere la Vita divina ed a "vivere della Parola di Dio, in altri termini che ci apra a Dio; ciò non è possibile che se, mentre da una parte ci liberiamo dal mondo materiale, dall'altra prendiamo piede nel mondo divino; e il progresso in questo secondo senso deve precedere l'opera di rinunzia o almeno andare di pari passo con essa; mancando tale condizione la "carne" muore prima che il "corpo" sia ritornato alla vita.

I diversi elementi di questa ascesi - digiuni, veglia, continenza, lavoro - non richiedono alcun commento.

Ciascuno di essi ha un valore particolare e non può essere utilizzato promisque. Se la veglia, condotta fino ai limiti delle possibilità individuali, dà all' intelligenza un'acutezza e una folgorazione sconosciute, il digiuno riporta l'uomo in se stesso, l'aiuta a far " coincidere il suo essere psichico con i limiti del corpo; e l'ascesi della sete è una delle condizioni necessarie al progresso della preghiera interiore.

In tal modo è interessante osservare ed importante sapere che non ci si può dedicare con successo ad un esercizio ascetico senza dedicarsi simultaneamente agli altri:. non si può pregare senza digiunare e senza vegliare, ma è anche possibile digiunare e vegliare se lo spirito di preghiera non ci penetra: è questa la ragione per cui le vite dei santi misurano il progresso spirituale in termini, che a noi sembrano così strani, di lunghe veglie, di digiuni appena credibili... Si tratta appunto di " morire alla terra ,, e di rivivere in Dio, di elevarsi con uno sforzo costante concertato all'altezza della propria natura vera attraverso una lotta che raddrizzi e liberi, che uccida il germe di morte affinché la vita porti frutto e trionfi.

TECNICHE SOMATO - PSICHICHE

L'ascesi di mortificazione è comune all'Occidente e all'Oriente cristiani; quella che debbo esporre ora è propria alla Chiesa ortodossa. Essa è stata stabilita e meravigliosamente sviluppata dai maestri della tradizione esicasta.

L'ESICASMO (pace, riposo), scuola o meglio tradizione spirituale, ha avuto il suo più grande sviluppo fra l'XI e il XIV secolo nei monasteri e le solitudini del monte Athos.

Coloro che sono curiosi di conoscere le origini e la storia leggeranno con profitto i due stupendi articoli del "Monaco della Chiesa d'Oriente" che la collezione Irenikon ha pubblicato col titolo Priére de Jesus (Chevetogne, 1952); uno studio dettagliato della "Technique psychologique de l'Hésychasme byzantin", dovuto al professor Wunderle, è apparso nel 1938 in Etudes Carmelitaines; sarà sufficiente dunque dire qui che l'esicasmo pone la pace interiore come una necessità primaria e come ultima realizzazione della vita spirituale: pace terrestre intelligibile, contemporaneamente corporea e mentale, che apre la via alla pace ineffabile della contemplazione luminosa di Dio. L’ascesi esicasta verte sull'essere intero: fa uso di ogni sua potenza e unisce ciascuna di esse allo Spirito di Dio. Il posto che la pace vi occupa è lungi dal farne un quietismo orientale, come spessissimo si è creduto: la pace non è assenza di lotta, ma assenza di incertezza e di turbamento.

La caduta, come abbiamo detto, ha immerso l’uomo nella materia e lo ha sottomesso ai meccanismi delle sue leggi; non solo si è appesantito corporalmente ed è divenuto tributario del mondo che doveva dominare e guidare, ma, nel suo essere mentale stesso, l'uomo si è legato e incorporato al mondo creato e decaduto; egli non può più pensare né sentire altrimenti che nella forma di questo mondo materiale, di questo mondo fuorviato, utilizzando le immagini che esso offre, ed incapace di sfuggire alla successione, poiché il pensiero è divenuto discorsivo. Quand'anche egli cerchi di liberarsene, grazie ai meccanismi dell'astrazione, è pur sempre nel circolo vizioso del creato e dei suoi meccanismi che egli si muove, secondo il modo, divenuto normativo, del discorso. Il ritorno alla norma vera consiste dunque nello stabilire l'attenzione perfetta fuori dagli attacchi della dissipazione, nella stabilità del semplice sguardo.

Notiamo dapprima che l’attenzione è, nell’esperienza spirituale, non solamente una concentrazione delle forze divergenti dell’intelletto, la sua somma in un punto, un perfetto raccoglimento che lo libera dallo svolgimento discorsivo e lo stabilisce nell’ “eterno ora di Dio” mediante il silenzio interiore, nell’amore-adorazione. Questo punto di somma perfetta è chiamato “cuore”; quest’ultimo non è la “sede delle emozioni”, come non lo è il cuore anatomico: è il “centro” della vita umana, il luogo da dove scaturisce la vita e in cui essa si ritira in ultimo. Trovare “il luogo del cuore” vuol quindi dire stabilire la propria vita interiore, e dunque la vita senz’altro epiteto, in una perfetta stabilità ed in una sovrana ed immutabile indipendenza, e raggiungere la pace ricercata.

Tutta l’ascesi corporea, che è legata alla sua ricerca ed alla sua utilizzazione, è fondata su di una constatazione psico-fisiologica che ci sembra molto semplice, ma la cui scoperta empirica appartiene al genio: vale a dire sapere che ogni attività psichica comporta una ripercussione somatica e che inversamente gli atteggiamenti e i movimenti del corpo possono favorire, ed anche provocare, stati mentali. Il corpo, in modo sensibile o impercettibile, partecipa ad ogni movimento dell'anima - che si tratti di sentimento, di pensiero astratto, di volizione od anche d'esperienza trascendente. Questa risposta del corpo è duplice: prende parte allo sforzo d' attenzione del soggetto, e si adatta al suo tema; è universalmente noto che lo sforzo d'attenzione si accompagna con un accigliamento ed un irrigidimento della maschera; che la collera, la gioia ed ogni nostra emozione si esprime in gesti e in atteggiamenti; molti sono coloro che hanno notato che il nostro corpo intero partecipa ad attività mentali le gambe del Pensatore di Rodin "pensano” con la stessa intensità della fronte. Quanto all'adattamento corporeo al tema del pensiero, non bisogna più farne la prova: la psico-fisiologia ci ha fatto sapere che ad ogni rappresentazione corrispondono sensazioni cenestetiche, attività glandolari, una messa in tensione motrice caratteristiche. Questo duplice processo non si svolge in modo qualunque: se è vero che l'organismo intero partecipa a ciascun avvenimento mentale, non è men vero che, nei diversi casi, sono regioni differenti dell’organismo ad essere interessate in modo dominante, al punto che, all’occasione, tale regione sembra essere la sola messa in azione, e che meccanismi d’esclusione mutua intervengono, legati agli antagonismi fisiologici ben noti. D’altra parte, uno stesso tema, secondo che sia pensato o sentito, che si orienti verso l’azione o resti quiescente, che provochi tale o tal’altro giudizio di valore (e quest’ultimo carattere è importante nella pratica ascetica), mette in opera centri differenti di sommazione dell’essere, di concentrazione dell’attenzione. Il “tema traccia la propria vita”.

Soltanto il pensiero errante, non sostenuto da uno stato timico definito, è sprovvisto di luogo fisico: esso ronza nella testa e sveglia reazioni somatiche passeggere che, all’occasione, possono diventare esse stesse centri d’attrazione per il pensiero che ha dato loro nascita, e fissarlo in modo spesso inatteso. Questo pensiero errante è determinato dal meccanismo complesso delle associazioni d'idee autogene, delle impressioni ricevute dall'ambiente esteriore e delle onde subcoscienti messe in moto a caso dalla meditazione; questo pensiero ha un valore intellettuale mediocre, ma presenta nella vita ascetica pericoli reali, poiché troppo spesso si comporta come l'apprendista stregone di Goethe. Appena appare un pensiero dirigente o un sentimento centrale, ogni attività psichica vi si unifica intorno, acquista una più grande semplicità, una più grande coesione; il campo di coscienza si restringe e si illumina, e simultaneamente si definisce un luogo di concentrazione dell' attenzione. L'esperienza degli asceti ortodossi ne ha definito un certo numero e li ha specificati con caratteri somato-psichici che permettono di riconoscerli. Indichiamoli brevemente.

1. Centro cranico cerebro-frontale.

É localizzato, grosso modo, alla regione sopracciliare; forse è preferibile non andare oltre; poiché le testimonianze degli autori non forniscono alcuna base per localizzazioni più esatte; ci sembra (ma ciò è soltanto una semplice supposizione personale) che essosi situi all' intersezione degli assi orbitali quando losguardo si dirige verso la regione frontale. Questo luogo corrisponde ad un pensiero astratto di una intellettualità purissima; può essere molto intenso, molto lucido e penetrante, ma e' complesso, è instabile in quanto è retto dalle leggi dell'associazione; la sua unificazione intorno ad un tema esige un grande sforzo di concentrazione volontario che ne sospenda il libero gioco anarchico; questo sforzo comporta la fatica, poi si spezza, stremato di forze, e il pensiero si dissipa. È il modo di pensiero comunemente usato quando cerchiamo la soluzione di un problema o quando ci applichiamo a risolvere una difficoltà richiedente tutta la forza viva e tutta l'abilità del nostro intelletto.

2. Centro bucco-laringeo.

Senza abbandonare completamente la regione sopracciliare, il pensiero può legarsi ed in corporarsi alla parola che l'esprime; quest'ultima, invece di essere soltanto pensata, è evocata, sentita, assaporata; acquista una potenza evocatrice propria dell'ordine dei valori emozionali (timici), di cui si carica, e si ripercuote sui pensieri più che nel caso precedente. I termini del pensiero perdono la loro astrazione, si arricchiscono di una certa colorazione timica che mancava ad essi e acquistano un valore rappresentativo più grande; il loro dinamismo tanto più si accresce; e, tuttavia, il pensiero, essenzialmente discorsivo, fissato debolmente dall'elemento emozionale legato alla parola, resta in gran parte in balia del gioco delle associazioni irrazionali; per mantenersi nei limiti che esso s' impone, deve lottare; resta instabile, alla lunga si dissipa e muore É tuttavia la forma del pensiero più comune: quella dell' intelligenza che si esprime nella conversazione, la corrispondenza, e nei primi stadi della preghiera. É alla base dell'orazione giaculatoria. Il luogo fisico che gli corrisponde si situa nell'area bucco-laringea. Localizzazioni secondarie potrebbero essere definite.

3. Centro pettorale.

È situato nella parte superiore e mediana del petto; l'orante resta molto vicino ancora alla sua esperienza precedente: pensieri e sentimenti vi vibrano allora al tempo stesso che sono espressi e gustati dagli organi della voce (alta, sussurrata o muta); oppure egli è sulla via del progresso verso il centro d'unificazione e di concentrazione perfette, e allora la sua preghiera resta silenziosa: "Il silenzio dell'anima, ha detto Sant' Isacco il Siriaco, è il mistero del secolo a venire. La stabilità del pensiero, già palesemente colorato d'un elemento timico, è molto più grande dei casi precedenti, ma è ancora il pensiero che defluisce la colorazione emozionale e che è modificato da essa; così è ricco e variato malgrado un accrescimento d'unità; non cede spontaneamente; se alla lunga vien meno, non è per effetto di un infiacchimento dello sforzo d'attenzione intellettuale che è minore, in quanto l’intelligenza è sostenuta dalla carica emozionale del pensiero, ma per un crollo della tensione timica.

4. Centro cardiaco

È situato nella “parte superiore del cuore”, un poco al di sotto della mammella sinistra, secondo i Padri greci; “un poco al di sopra”, secondo Teofano il Recluso, il vescovo Ignazio Briantchaninoff ed altri.

Forse, tenendo conto di un insieme di indicazioni disseminate, si potrebbe rischiare di dire che il luogo del cuore sia legato al seno carotideo; ci sembra tuttavia più sicuro non cercare di stabilire corrispondenze anatomiche troppo rigorose e di accontentarci della terminologia approssimativa in uso, poiché una maggiore precisione non insegnerebbe niente a coloro che non conoscono per esperienza i luoghi di cui è questione, e l'approssimazione è più che sufficiente per coloro che sanno ciò di cui si tratta.

L'attenzione è fissata " al di sopra del cuore”, dice Teofano il Recluso, come su una torre d'osservazione da cui lo spirito sorveglia i pensieri e i sentimenti che cercano di introdursi nella cittadella sacra, nel santuario della preghiera.

Il pensiero concentrato nel cuore perviene ad una coesione completa: è sostenuto da un elemento timico indivisibile, di una tale intensità che nulla di estraneo può innestarsi su questo pensiero né penetrarlo. La potenza della carica emozionale posseduta in sé dal tema che occupa il pensiero e' sufficiente ad allontanare ogni interferenza estranea; tutta la vita interiore è " istantaneizzata", vale a dire stabilita in un Presente duraturo e così ridotta all'unità; ogni emozione potente può essere l’origine di questo modo di concentrazione: nell'ordine della vita secolare può essere una gioia intensa o un grande dolore; nell'ordine della vita spirituale, è un incontro con il Dio vivente, la percezione della Presenza reale e della realtà della Presenza personale di Dio, esperienza primordiale di ogni vita cristiana.

L'intelligenza non ha da compiere sforzo alcuno per evitare che l'attenzione si dissipi; essa adempie il suo vero compito; vede e discerne; tutte le sue attività sono aspirate dal di fuori al di dentro, fissate in questo luogo fisico da un attrazione onnipotente e colà mantenute da una forza ad esse estranea, e tuttavia più intima all'anima dell' anima stessa… (Nicola Cabasilas), che ravviva il cuore e fa l'unità nel pensiero. L' intelligenza, liberata, in virtù di questa beata captività dallo sforzo necessario per concentrarsi su un tema che le sarebbe esteriore, persiste senza fatica nella preghiera o nella meditazione. Libera da ogni lotta, da ogni incertezza da ogni preoccupazione, essa acquista una lucidità una vigilanza, una potenza e uno splendore che le erano fino allora sconosciuti Questo stato cesserà quando la grazia vivificante dello Spirito Santo sospenderà la sua azione. Insieme con queste manifestazioni della sfera noetica, la concentrazione dell'attenzione nel centro cardiaco ha ripercussioni timiche: il sentimento è vivo, fervente, purissimo, spoglio da ogni emozione e da ogni passione: è una pace ardente, inintelligibile e ineffabile; è anche una potenza per le sue esigenze e la sua ripercussione sulla sfera pratica; ed una luce. Lungi dall'oscurare il pensiero, come fanno le emozioni, essa lo sgancia interamente. L'intelligenza resta pienamente e intensamente cosciente e libera - poiché l'anima, liberata dal suo ripiegamento su se stessa e svicolata non è mai passiva, agita da una forza estranea (lo stato agito è lo stato passionale stesso). Libera, può realizzare la sua vera vocazione che è di attualizzare tutto ciò che Dio ha messo in lei; d'essere pienamente se stessa, vale a dire conforme a Dio, e di diventare il Tempio del Dio vivente: "La Volontà di Dio, scrive un teologo russo, è la libertà per gli angeli, la legge per l'umanità decaduta; non è maledizione che per i demoni". In questa sinergia di Dio che si dà e della creatura che, per riceverla ed unirsi a Lui, si abbandona attivamente, l'anima talvolta conserva la piena padronanza di sé e può a suo piacimento restare silenziosa orientare la sua preghiera, tal'altra vede sorgere dalle profondità del suo essere che comunica con la vita divina la forma della sua relazione con Dio, prende coscienza del suo essere vero in Dio e si lascia condurre dallo Spirito che la chiama e la guida. Avendo percepito la Presenza, essa dimentica il mondo intero e non vede "più che Dio, ma in Lui scopre l'amore che Dio stesso porta alle sue creature e, come sulle onde del riflusso, si trova ricondotta, piena di compassione e di tenerezza ma questa volta con Dio, verso quel mondo che aveva abbandonato per essere soltanto con Lui. Di nuovo a faccia a faccia col suo Signore, prega per questo mondo creato e amato da Dio, comunica con la sua Carità e questa partecipazione la strappa ancora al creato per immergerla in Dio. In altri casi, infine, è un silenzio ineffabile che si fa nell'uomo liberato da sé, ed egli contempla, nel riposo completo di tutte le forze del suo essere, la luce divina increata i misteri del mondo, della sua propria anima e del suo corpo (Sant'Isacco il Siriaco).

Questa esperienza può aver luogo secondo un modo estatico o non. L'estasi, il rapimento, sono, infatti, il segno di una vita mistica elevata; ma lungi dal significarne l'apogeo, traducono l' incapacità dell'uomo a vivere nella pienezza della vita divina senza perdere contatto con la sua vita individuale particolare: "L'estasi, dice San Simeone il Nuovo Teologo, non è dei perfetti, ma dei ma dei novizi. L'ideale da raggiungere è una vita d'unione perfetta che sia permanente, inalterabile e nella quale sia integrato l'uomo intero; spirito, anima e corpo, senza urti né rotture d’ equilibrio, all'immagine di Nostro Signore Gesù Cristo; stato raro e di cui Sant' Isacco ha potuto dire che appena uno su diecimila può raggiungere,,. Ogni preghiera vera, vale a dire fatta in una perfetta umiltà, con lo spogliarsi di ogni preoccupazione di sé, da un orante che ha fatto la sua pace con Dio, la sua coscienza e il Cosmo abbandonandosi a Dio senza ritorno, come pure ogni meditazione condotta nelle stesse condizioni, è presto o tardi vivificata dalla Grazia dello Spirito Santo. È allora che acquista i caratteri precedentemente citati dell’ordine timico e noetico, è allora che essa diviene il fermento di ogni azione a cui serve da criterio, che si trova ad essere il tutto della vita, che cessa di essere un'attività per diventare l'essere stesso; allora la preghiera fissa la sua dimora nel luogo cardiaco, permettendo all'orante di adorare Dio dal fondo del cuore e di unirsi a Lui; altresì, il che è fondamentale, tutte le tecniche che permettono di scoprire e di localizzare questo luogo artificialmente, non hanno lo scopo di far scaturire la preghiera, e ancor meno di far nascere complessi d'emozioni somato-psichiche che sarebbero l'oggetto illusorio dell'esperienza mistica. Esse debbono indicare al novizio, cui sono destinate, dove è situato questo centro d'attenzione optima, affinché egli possa, quando sarà venuto il momento, riconoscere che è proprio da quel luogo che nasce la sua preghiera, e fissarvisi; lo stabilirsi dell'attenzione in questo luogo, crea, d'altra parte, le più favorevoli condizioni perché la preghiera possa essere profonda e stabile; ma, se è vero che la vera preghiera mette in opera questo luogo fisico dell'attenzione, occorre dire che l'attenzione può trovarvisi fissata al di fuori di ogni preghiera: e non gli assicura alcun superamento; la preghiera nasce in un atto di fede che ci mette a confronto con l' Increato, il Dio personale e vivente: essa non dipende da alcun artificio e non può essere conquistata né con l'astuzia né con la violenza; è libero dono di sé, da una parte e l'altra. il corpo non è dunque un organo produttore, ma un criterio oggettivo; ciò che si esige da esso, come pure dal pensiero discorsivo, è il silenzio ed il ritorno all'unità; è attivo, ma non creatore: è, come tutto nell'uomo, una terra fertile in attesa del seme; parte integrante dell'uomo totale, anche esso porterà i suoi frutti di santità, poiché è chiamato alla trasfigurazione, alla resurrezione e alla vita eterna.

Per il maestro, il corpo con tutti i suoi movimenti, è un prezioso strumento di prospezione, in quanto gli permette di discriminare fin dal primo momento certi stati, pur se il loro contesto psicologico è ancora impreciso, o meglio quando il discepolo è ancora incapace di percepire le sfumature della sua vita interiore. La scienza dei Padri in questa materia non è dunque un insegnamento della preghiera e nemmeno della vita interiore, ma una ascesi e una criteriologia dell'attenzione. Ciò equivale a dire l' importanza di un maestro che guidi il debuttante al tempo stesso nella vita interiore e negli esercizi corporei, che li controlli ed impedisca al novizio di lusingarsi prendendo per effetti della grazia i risultati naturali della sua ascesi. Ogni errore di tecnica e d’interpretazione può, infatti, avere le più nefaste conseguenze, come l’ha provato l’esperienza dei monaci athoniti del XIV secolo e quella dl tutti gli imprudenti e di tutti gli orgogliosi che hanno creduto poter utilizzare senza guida le tecniche somatiche.

Immediatamente al di sotto del cuore, luogo fisico dell'attenzione in una vita spirituale sana, si trova la regione "dei reni e interiora” da dove nascono tutte le sensazioni cenestesiche che, ricevute e riprese da uno psichismo peccaminoso, conducono agli stati passionali che turbano il cuore e l'intelligenza. Al loro pieno sviluppo, questi stati si traducono in manifestazioni corporee e mentali che non possono affatto ingannare: sono i desideri sfrenati della carne e dello spirito. Ma all'inizio, queste sensazioni sono abbastanza simili a quelle che descrivono certi mistici e quindi possono sviare il novizio. L'area che le libera e permette ad esse di salire fino alla coscienza chiara o crepuscolare è molto vasta: comprende tutta la regione che è immediatamente al di sotto della mammella. Monaci ignoranti, senza guide, senza esperienza né discernimento, hanno fatto la crudele esperienza di ciò che introduce nella vita interiore la concentrazione dell' attenzione su queste zone. Sono i loro errori e le loro disgrazie che hanno, da secoli, alimentato gli argomenti di critica antiesicasta di Barlaam di Seminaria, di Gregorio Acyndinos, di Niceforo Gregoras e dei loro moderni successori più istruiti ma non più illuminati, che hanno trasmesso all' Occidente le loro vedute erronee sull'esicasmo e la teologia palamita, accusando i monaci dell'Athos di cercare, con la contemplazione del loro ombelico ed esercizi di soffocazione, la creazione di stati d'estasi che sarebbero lo scopo ultimo cui pervenire.

Se si mettono da parte I dettagli che specificano i diversi "luoghi secondari” di questa vasta regione, si può dire che la fissazione dell'attenzione su uno qualsiasi dei centri di questa zona comporti l'oscuramento progressivo del pensiero lucido e della coscienza, che può andare fino alla loro estinzione completa, provocando stati crepuscolari più o meno stabili e più o meno duraturi; l'esacerbazione delle percezioni cenestetiche e, infine, l’apparizione di manifestazioni passionali, incontrollate, corporee e mentali. Il sentimento libero e lucido, e' sostituito dall'emozione somato-psichica passiva; la pace e il riposo attivo delle forze dell'anima dal turbamento e la violenza dei desideri e degli appetiti irrazionali; il silenzio del corpo dal disordine delle passioni e degli impulsi anarchici; la padronanza di sé da uno smarrimento più o meno completo del pensiero e del sentimento che diventano incapaci di comandare i nervi e di reggere il corpo. Ed il tutto porta spesso all' alienazione mentale e ai disordini fisiologici.

L'uso degli esercizi corporei esige in modo più assoluto un Maestro sperimentato e vigilante, e, da parte del discepolo, una grande semplicità e un abbandono attivo e fiducioso; le sue difficoltà aumentano, come pure i pericoli, con la complessità psichica del novizio e con l’attitudine che dà la nostra educazione moderna a “guardarsi vivere”, invece di vivere. Questa ascesi, come abbiamo detto parecchie volte, modella una forma e non ha senso che per il contenuto che vi si trova inserito; si collega in maniera necessaria ad un ascesi mentale, cui l'articolo del professor Wunderle già citato può servire da eccellente introduzione. Dobbiamo dare ora una descrizione delle tecniche stesse.

I. TECNICA DIRETTA, FONDAMENTALE

Due Maestri ce la fanno conoscere nei loro scritti: San Gregorio Il Sinaita, che, al XVsecolo, introdusse la Preghiera di Gesù al monte Athos e ne fu l'instancabile propagatore; e San Simeone il Nuovo Teologo che fu il maestro eminente dell' XI secolo.

San Gregorio il Sinaita:

“Siedi su di un seggio basso, fa discendere la intelligenza dalla testa nel cuore e mantienila in questo luogo; poi, penosamente inclinato fino a risentire un vivo dolore nel petto, nelle spalle e nel collo per la tensione dei muscoli, grida di cuore e di spirito: Signor Gesù Cristo, abbi pietà di me ! Ciò facendo, trattieni il respiro, non respirare con troppo ardire, in quanto ciò può dissipare il pensiero. Se pensieri sopravvengono , non prestarvi attenzione quand'anche fossero semplici e buoni, e non solo vani ed impuri. Trattenendo la respirazione per quanto puoi, imprigionando la tua intelligenza nel cuore e moltiplicando pazientemente i tuoi appelli al Signore Gesù, tu spezzerai e annienterai rapidamente questi pensieri con i colpi invisibili che infligge loro il Nome Divino. San Giovanni Climaco dice: "Colpisci i tuoi avversari col Nome di Gesù; non esiste arma più; potente sulla terra o nei cieli”.

Quando il tuo pensiero verrà meno, quando il tuo corpo e il tuo cuore saranno divenuti doloranti a forza di piantare in essi con frequenza il nome di Gesù, sicché ogni occupazione avrà cessato di apportar loro il calore e la gioia necessari per sostenere lo zelo e la pazienza di colui che vi si dedica, allora (soltanto) alzati e solo o col tuo discepolo, salmodia o esercita il pensiero su tale passaggio delle Scritture o rifletti alla morte oppure leggi o dedicati al lavoro manuale o a qualche altra occupazione che faccia penare il tuo corpo.

San Simeone il Nuovo Teologo: luogo vegliare a tre cose: prima, a non avere alcuna preoccupazione, buona o cattiva; in secondo luogo, devi avere una coscienza pura in tutto che nulla ti rimproveri; e per terzo, ad avere un distacco perfetto in modo tale che il tuo pensiero non inclini verso alcuna attrazione di questo mondo.

Avendo fortemente stabilito tutte queste disposizioni nel tuo cuore, stai in un luogo ritirato, solo, in un angolo; chiudi la porta, concentra la tua intelligenza, allontana da essa ogni oggetto temporale o vano, appoggia fortemente la barba contro il petto; trattieni un po' la respirazione, fa discendere la tua intelligenza nel cuore mentre dirigi al tempo stesso su di esso gli occhi del corpo tuo, e presta attenzione a ciò che avviene; costringi l’intelligenza a restarvi legata e cerca col pensiero di trovare il luogo dove si trova il cuore affinché la tua intelligenza vi si fissi completamente. Dapprima vi incontrerai le tenebre e la pena; ma poi, se perseveri in questo esercizio d'attenzione notte e giorno, tu ne ricaverai una gioia incessante. L'intelligenza, a forza di sforzarvisi, troverà il luogo del cuore, ed allora vedrà presto cose che mai ha visto e di cui non ha nozione: si vedrà luminosa, piena di saggezza e di discernimento. Ed allora, da qualsiasi parte possa venire un pensiero illegittimo, prima ancora che penetri nel cuore e vi introduca una qualsiasi immagine, l'intelligenza lo scaccerà e l’annienterà dicendo: Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me! È a partire da questo momento che essa comincia ad avere risentimento ed odio per i demoni, li insegue, li colpisce e li annienta. In merito alle altre cose che avvengono nello stesso tempo, tu apprenderai a conoscerle più tardi con l'aiuto di Dio, da te stesso, con la tua propria esperienza, nella misura stessa in cui custodirai nel tuo cuore Gesù, vale a dire la preghiera indicata: “Signor Gesù, abbi pietà di me!”.

II. TECNICA MEDIATA ACCESSORIA

San Niceforo l’Astinenteci dice:

“Prima di tutto, che la tua vita sia libera da ogni agitazione, da ogni preoccupazione, sii in pace con tutti. Poi, ritirati nella tua cella, 'chiudi la porta dietro di te; siedi in qualche angolo e fai quanto ti dirò. Concentra il. tuo spirito e fai seguire, per raggiungere il cuore, il cammino che segue l'aria, e costringilo a discendere nel cuore con l'aria che inspiri. Abitualo a non abbandonare questo luogo" troppo presto, in quanto al principio esso soffre molto di restare così rinchiuso ed allo stretto, ma quando vi si abitua non vuol più errare al di fuori”.

III. TECNICA MISTA

Consiste nella sincronizzazione di un certo numero di battiti del cuore con ognuna delle fasi della respirazione, e nell'adattamento, ad ogni battito del cuore, di uno dei termini della Preghiera di Gesù: "Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore".

IV. ULTERIORI CONSIGLI

A coloro che non ottenessero accesso al luogo del cuore con i mezzi precedenti, San Niceforo l'Astinentedà questo consiglio: "La facoltà d'elocuzione risiede nella laringe. Utilizzala dunque a ripetere incessantemente la preghiera di Gesù. Al principio, l'attenzione vi resterà estranea: a poco a poco tuttavia l' intelligenza presterà ascolto alle parole, l'attenzione si fisserà su di esse; poi il cuore ne sarà commosso e la preghiera ti introdurrà da se stessa, senza sforzo da parte tua, nel suo santuario”.

di fronte al realismo senza reticenze dei Padri e alla loro straordinaria penetrazione: agli incapaci essi offrono una via che li condurrà alle più autentiche realizzazioni dello spirito ed essi sanno lottare contro ogni nostro nemico spirituale con le sue proprie armi: agli automatismi del pensiero, oppongono un automatismo che potrà vincere i suoi avversari, in quanto è ancora più semplice di loro; al concatenamento anarchico voluto dalle circostanze della vita di relazione, essi oppongono un ritmo autonomo poiché libera dall'ambiente colui che lo mette in moto, ma anche personale, poiché ognuno si sceglie il proprio e lo installa sui ritmi profondi del suo essere fisiologico e psicologico. La nostra esperienza, pur così povera, malgrado la sua apparente complessità, non ci insegna forse che l'attenzione analitica del nostro intelletto, molto spesso, dissipa la concentrazione, ne spezza l'unità profonda, disperdendone 'lo sforzo su una moltitudine di oggetti? Invece la ripetizione monotona, ritmica, senza fretta e senza splendore, di una formula unica, breve ma possente in virtù delle rappresentazioni mentali che vi si legano e della Presenza reale di Dio, fa il silenzio nell' intelletto, unifica l'attenzione sul piano timico e realizza in fin dei conti la piena concentrazione. È da questa esperienza che è nata l’ORAZIONE GIACULATORIA. V. CONSIGLI DI TEOFANO IL RECLUSO

Infine, Teofano il Recluso, nei consigli che dà a chiunque voglia intraprendere la vita spirituale, insegna che una delle ‘condizioni' indispensabili al successo è di non ammettere mai il lasciar andare corporeo: "Sii, egli dice, come una corda di violino regolata su di una nota giusta. Senza illanguidimento né tensione: il corpo eretto, le spalle in giù, il, portamento della testa comodo, la tensione di tutti i muscoli orientata verso il cuore”.

È particolarmente interessante notare il giudizio che dà questo grande maestro di vita interiore sui metodi classici dell'esicasmo. Essi sono, egli dice, in sostanza, il frutto e la prova di una esperienza spirituale autentica. Hanno portato ad una conoscenza preziosa delle regole e delle vie della vita interiore, e hanno mostrato in particolare con evidenza l’importanza della dignità del corpo fin da questa vita nel nell’opera della salvezza e nella via di unione. "Tuttavia, in regola generale essi sono divenuti superflui sotto il loro aspetto athonita, e costituiscono un pericolo per i novizi senza maestro poiché potrebbero soppiantare in essi l'opera spirituale stessa e indurli a prendere per carismatici stati naturali divenuti inabituali per noi.

Le tecniche classiche possono tuttavia, secondo lui, essere consigliate a coloro il cui cuore si è disseccato e chiuso nel formalismo dei riti e delle regole, e che non conoscono più che la forma senza vita della religione. La concentrazione dell'attenzione al cuore, per tutto ciò che comporta come ripercussioni somato-psichiche può far loro ritrovare l'emozione naturale e la vita, e condurli, - sotto una direzione molto sicura, - ai sentimenti apassionali della vera vita interiore.

É necessario dire una volta di più che 'tutte queste tecniche non costituiscono la vita in Dio, come non lo sono nemmeno la preghiera e la meditazione: esse fanno parte di una ricca ascesi liberatrice che abbraccia tutto l'essere e che è per natura negativa. Quando l'attenzione è stata unificata nel luogo di perfetta concentrazione e pronta a ricevere e ad elevare la sua preghiera, allora soltanto comincia l'opera spirituale.

Per la loro forma e per il loro tenore, la preghiera e la meditazione debbono essere fattori di coesione e di unità. Abbiamo consacrato al loro studio la introduzione e l'ultimo capitolo di un saggio pubblicato nel 1948 in Etudes Carmélitaines; vi rinviamo il lettore curioso di maggiori dettagli, poiché le tecniche mentali dell'esicasmo sono da loro sole un vastissimo soggetto. Tuttavia, prima di terminare questa esposizione, vogliamo dire una parola a proposito delle analogie che sono state segnalate fra il metodo esicasta e il Training Autogeno. In un articolo disgraziatamente troppo breve, il dottor Paul Zacharias cerca di stabilire un parallelismo fra i metodi psicoterapici di Autogenes Training e quelli che 'noi abbiamo descritti in questo articolo: egli trova che si è di fronte a due tecniche, non soltanto analoghe, ma quasi identiche; una sola cosa sembra mancare all'esicasmo: gli esercizi di risoluzione muscolare e nervosa. Noi non siamo certi che una intera giustizia sia stata fatta a qualcuna delle condizioni preliminari”, sia di postura e sia mentali; forse una analisi più larga e più spinta dei due termini in presenza permetterebbe di precisare le analogie e di discernere qualche differenza passata sotto silenzio. Sembra tuttavia interessante osservare che uno psicologo di mestiere riabiliti nel suo dettaglio un'ascesi che è in uso denigrare in nome della scienza.

(tit. orig.: L'Esychasme Yoga cretien - in Le Yoga Science de l'Homme integral)


BIBLIOGRAFIA

Collezione Irenikon, 1947, t. XX n. 3: La Prière de Jesus ,, di un monaco della Chiesa d'Oriente.

Lo stesso articolo: Chevetogne, 1952.

Dieu Vivant, n. 8 Signora Behr-Siegel: "La Prière de Jesus ,,, 1947.

Etudes Carmelitaines, 1948: "Technique et Contemplation: Contribution orthodoxe" A. Bloom.

Der Weg zur Seele, Heft I, 1952,' Dr. Paul Zacharias:' "Gebet und Entspannung,, (Hesychastich Mystik und Autogenes Training).

On the Invocation of the Name of Jesus by a Monk of the Eastern Church”, London S. P. C. K. 1951.

Writings from the Philokalia on the Prayer of the H,eart: Transl. from the Russian Text. Faber and Faber 1952.

The Unseen Warfare, Faber and Faber, 1952.

La Théologie Mystique de l'Eglise d'Orient, Wladimir Lossky, Aubier Paris, 1945.

Orthodox Spirituality, by "A Monk of the Eastern Orthodox Church”, London, S. P. C. K., 1945.

Collezione Irenikon, 1952: "Sur l'usage de la Prière de Jesus”, di un monaco della Chiesa d'Oriente.

Petite Philocalie de la Prière du Coeur, tradotta e presentata da Jean Gouillard, "Cahiers du Sud”, 1953.

Etudes Carmélitaines, 1938: "Technique psychologique de l'Hésychasme byzantin del prof. Wunderle.

Philocalie Russe et Patrologie grecque de Migne: passim.

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Mercoledì, 19 Dicembre 2007 00:32

XVII. La Chiesa Ortodossa di Cipro (John Nellykullen)

Le Chiese dell'oriente cristiano

La Chiesa Ortodossa di Cipro

di John Nellykullen

La Chiesa Ortodossa di Cipro ha sua origine nel tempo apostolico. Secondo gli Atti degli Apostoli San Paolo e Barnaba hanno evangelizzato l’isola (Atti, 13/ 4-13). Una volta l’isola faceva parte della provincia civile dell’Oriente, la cui capitale era Antiochia. I patriarchi Antiocheni volevano la giurisdizione sopra la Chiesa di Cipro e il diritto di nominare l’Arcivescovo. Il Concilio d’Efeso nel 431, però, riconobbe l’indipendenza di Cipro e stabilì che l’Arcivescovo di Cipro doveva essere eletto dal sinodo dei vescovi dell’isola.

Dalla metà del VII secolo fino alla metà del secolo X gli attacchi Arabi contro Cipro erano molto frequenti causando delle devastazioni enormi. Per questo l’imperatore Giustiniano II evacuò la popolazione cristiana dall’isola dal 688 al 695. Questi furono trasferiti nella nuova città di Dardiniani (Dardanelles) chiamata Giustiniana Nuova. L’arcivescovo di Cipro prese la sua residenza in questa città ed assunse come titolo Arcivescovo di Giustiniana Nuova, un titolo che ritiene ancora oggi. La vittoria dell’imperatore bizantino Niceforo II (963-969) sopra gli Arabi inaugurò un periodo di pace nell’isola e promosse la ristrutturazione delle Chiese e dei monasteri ed una nuova fioritura della Chiesa nei secoli XI e XII, Però vi fu sempre un forte risentimento contro i governatori bizantini che opprimevano la popolazione.

Nel 1191 il Re Riccardo Cuor di Leone d’Inghilterra ha conquistato l’isola, però dopo la vendette ai cavalieri Templari, che a loro volta passarono la proprietà ad un francese Guy de Lusignan nel 1192. Il Lusignan era il Re di Gerusalemme mandato in esilio dai crociati. Lui fondò una società feudale a Cipro ed una dinastia che rimase sul trono per 300 anni. Una gerarchia latina fu eretta causando difficoltà ed ingiustizie agli ortodossi. Dal 1260 i monasteri ortodossi furono sottomessi ai vescovi latini. Il numero dei vescovi ortodossi fu ridotto da 15 a quattro e furono tutti sottomessi al nuovo arcivescovo latino di Cipro. Diversi ordini monastici occidentali aprirono una loro casa in Cipro, usando le proprietà ecclesiastiche degli ortodossi che erano state confiscate. La situazione continuò anche dopo la conquista dell’isola da parte di Venezia nel 1489.

Gli Ottomani conquistarono l’isola nel 1571. Il sistema feudale fu abolito e così pure la gerarchia latina. Furono però riconosciuti gli ortodossi. Sebbene gli ortodossi avessero ottenuto il diritto di eleggere l’arcivescovo rimasero soltanto le quattro diocesi, che la gerarchia latina aveva lasciato sopravvivere. Questi vescovi ortodossi erano, contemporaneamente i capi ecclesiastici e civili dei Greci. Furono considerati colpevoli quando iniziò la rivoluzione greca nel 1821 e furono uccisi con altri membri eminenti della Chiesa. Una nuova gerarchia fu mandata sull’isola dal patriarca d’Antiochia. La situazione migliorò, però i greci soffrirono molto a causa della tassazione pesante da parte dei turchi. Nel 1878 la Gran Bretagna occupò l’isola al posto dei Turchi e nel 1914 questa divenne una colonia inglese. Un movimento politico nacque tra i greci in favore della enosis, cioè dell’unione con la Grecia. I capi religiosi ortodossi furono ovviamente coinvolti in questo movimento. Quando Cipro divenne indipendente nel 1960, l’Arcivescovo di Cipro, Makario III fu eletto come primo presidente. L’invasione turca nel 1974 e la fondazione della “Repubblica Turca di Cipro Nord” cambiò la situazione. Tanti monasteri e chiese al nord furono distrutti ed agli ortodossi fu proibito l’entrare in chiesa o nei monasteri. Solo dopo 20 anni il 30 novembre del 1994, due preti ebbero il permesso ad entrare nella Repubblica del nord per celebrare la Santa Messa nel monastero di S. Andrea a Penisola Karpas.


Nell’aprile del 1973 iniziò una crisi nella Chiesa di Cipro. Tre metropoliti dell’isola dichiararono deposto l’Arcivescovo Makario, considerando il suo ruolo di presidente incompatibile con il suo incarico di vescovo. Però un Sinodo Maggiore dei Patriarchi e dei Vescovi di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme e dalla Chiesa greca ha dichiarato deposti questi tre vescovi ciprioti nel luglio dello stesso anno, e così fu risolto il problema. Furono nominati dei nuovi vescovi aumentando il loro numero da quattro a sei.

Secondo una statistica del 1997 ci sono, a Cipro, nove monasteri maschili con 84 monaci, e 14 comunità femminile con 142 suore. La comunità maschile più importante è quello di Kykkos, un monastero sulle montagne di Troodos. I monaci di questo monastero insegnano nel seminario della Chiesa. La scuola teologica intitolata all’Apostolo Barnaba è a Nicosia.



TERRITORIO
: Cipro

GUIDA: Arcivescovo Crisostomo (nato nel 1927, eletto nel 1977)

TITOLO: Arcivescovo di Nuova Giustiniana e di tutta Cipro

RESIDENZA: Nicosia, Cipro

SITO WEB: http://www.churchofcyprus.org.cy/

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Lunedì, 19 Novembre 2007 23:16

Cristiani d'Etiopia

Cristiani d'Etiopia




Per 17 secoli il cristianesimo ha forgiato la storia dell'Etiopia, facendone l'unica nazione cristiana del continente africano. Esso è penetrato così profondamente nelle istituzioni familiari, sociali e politiche del paese, che i cristiani etiopici hanno resistito a pressioni e persecuzioni esterne ed interne fino a quella scatenata per 17 anni (1974-1991) dalla dittatura marxista.

L’introduzione del Cristianesimo in Etiopia

L'inizio del cristianesimo in Etiopia risale alla prima metà del secolo IV quando, come racconta lo scrittore Rufìno di Aquileia (345-411) nella sua Historia ecclesiastica, fu convertito il regno di Aksum. La testimonianza fu raccolta dalla bocca di Edesio, uno dei protagonisti di tale conversione. La storia di Rufino fu ripresa e talvolta raccontata con diverse varianti, alcune delle quali hanno stravolto in modo significativo il racconto.

Il Costantino etiopico

Dalla scarna narrazione di Rufìno non è facile stabilire la datazione esatta dell'inizio del cristianesimo in Etiopia. Sapendo con certezza che Atanasio fu eletto patriarca di Alessandria nel 228, il primo sbarco di Frumenzio sulla costa etiopica avvenne parecchi anni prima e la sua ordinazione episcopale dopo il 330. Rufìno riferisce ancora che Frumenzio predicò il vangelo nel regno di Aksum per 20 anni, convertendo «un numero infinito» di aksumiti. A parte l'espressione iperbolica, è certo che, verso il 345, il re Ezanà, sua madre, battezzata col nome di Sofia, la famiglia reale e la sua corte si convertirono al cristianesimo. Grandemente stimato dal popolo aksumita, Frumenzio passò alla storia col nome di Abba Salama, (padre pace), e con l'appellativo di Chesatiè Brhan (rivelatore della luce). I due fratelli Ezanà e Sezanà diventarono nella tradizione etiopica Abrahà (illuminò) e Atsbhà (fece sorgere il sole). Essi sono l'alba e la luce della nuova Etiopia, l'Etiopia cristiana.

Questi eventi si realizzarono nell'epoca di Costantino il Grande che, secondo la tradizione, illuminato dalla visione della croce, decretò la libertà del cristianesimo nell'impero romano; il parallelo è d'obbligo: Ezanà è considerato il Costantino di Etiopia e sua madre Sofia è paragonata a Elena, madre dell'imperatore romano.

Figlia di Alessandria

Essendo l’Etiopia una diocesi della chiesa d'Egitto, il suo vescovo era nominato dal patriarca di Alessandria e doveva essere un egiziano; questi assumeva il nome di abuna (nostro padre) e aveva il potere di nominare i vescovi locali.

Fin dai racconti dei primi esploratori europei la chiesa etiopica, figlia della chiesa egiziana, fu chiamata «copta monofìsita» e i cristiani d'Etiopia «copti»; ma tali termini non hanno alcun senso, dato che «copto» è un termine divulgato dagli arabi dopo la conquista dell'Egitto e significa «egiziano».

I primi passi della chiesa in Etiopia coincisero con un periodo di aspre contese nel resto della chiesa universale: Alessandria era uno dei centri principali delle polemiche teologiche.

All'inizio del V secolo si diffuse in Oriente, per opera di Eutiche, monaco greco considerato il capo morale dei religiosi di Costantinopoli, la dottrina monofìsita, secondo la quale la natura umana di Cristo era stata assorbita dalla natura divina, e solo quest'ultima vi sussisteva.

Nel 451 il concilio di Calcedonia dichiarò Eutiche eretico e stabilì che in Cristo sussistevano sia la natura umana che la divina. Alcune chiese orientali, fra cui quella egiziana, non accettarono le conclusioni del Concilio e si separarono da Roma.

E’ necessario chiarire che nessuna di queste chiese riconosce la dottrina strettamente monofisita di Eutiche, ma ritiene che in Cristo vi sia una sola natura, divina e umana allo stesso tempo. Viene affermato un monofisismo meno rigido, che ha molti punti in comune con il diofisismo delle Chiese calcedonesi. L’Etiopia, in quanto diocesi di Alessandria, ne seguì le sorti e rimase separata da Roma.

Nel V secolo il cristianesimo continuò a propagarsi anche nelle campagne, soprattutto per opera di monaci venuti dall’oriente cristiano. In Etiopia sono venerati i Nove Santi, mentre l’attuale Eritrea sarebbe stata evangelizzata dagli Tsaddecàn, i giusti, alcuni resti dei quali si trovano nella chiesa di Baracnahà.

Il cristianesimo etiopico sarebbe quindi diventato monofisita già nel V secolo ad opera di questi evangelizzatori. Alcuni studiosi tuttavia ritengono che il monofisismo sia entrato in Etiopia molto più tardi, e a riprova di ciò portano, oltre ad altre argomentazioni, il fatto che re Calèb, che regnò su Aksum nella prima metà del VI secolo, è festeggiato come Santo dalla Chiesa Cattolica il 27 ottobre.

Verso la fine del VI secolo Aksum entrò in declino e l'Etiopia fu ben presto accerchiata dall'espansione islamica. «Attorniati da ogni parte da nemici della loro religione, gli etiopi dormirono per un migliaio di anni, dimentichi del mondo che a sua volta li dimenticò» scrive lo storico Gibbon.

Oggi la Chiesa etiopica, al pari delle altre Chiese orientali non-calcedonesi, e cioè la siriana e l’armena, rifiuta il monofisismo e si dichiara miafisita, intendendo con questo termine l’unione delle due nature di Cristo in un’unica natura composita. La denominazione ufficiale della Chiesa etiopica è Chiesa Ortodossa Teuahdò d’Etiopia. Teuahdò significa «divenuto uno», ed equivale al greco «miafisita».

Inoltre, da poco più di mezzo secolo la Chiesa etiopica è diventata un patriarcato indipendente da Alessandria: nel 1951, dopo 10 anni di trattative condotte da Hailè Sellassiè, fu possibile eleggere per la prima volta un patriarca etiopico nella persona dell'Abuna Basilios.

L'Eritrea ha sempre seguito le sorti della chiesa etiopica e professa il Teuahdò. Ma nel 1994 ha ottenuto dal patriarca di Alessandria la nomina di sei vescovi eritrei, i quali nel 1996 hanno nominato il loro Patriarca.



Liturgia etiopica

Nei suoi 17 secoli di vita, la chiesa etiopica si è dovuta difendere da minacce ed invasioni esterne, ma ha conservato intatto il cristianesimo dei primi secoli. Secondo una definizione cara agli etiopici, l’Etiopia è un’isola cristiana in un mare di pagani. Scrisse Padre Giulio Barsotti nel 1939:

In poche nazioni al mondo, il pensiero religioso ha avuto tanta forza di penetrazione e di potenza come in Etiopia.... Dal secolo quarto, in cui il Vangelo penetrò nel regno di Axum, fino ad oggi, tutta la vita degli Abissini è stata dominata dal pensiero e dalla dottrina di Gesù Cristo...

La liturgia etiopica si è sviluppata da quella della Chiesa copta, ma ha introdotto forme che sono tipiche dell’animo etiopico. Le danze dei debteràimitano le danze di Davide, i loro canti sono i salmi di Davide, la musica liturgica, inventata da San Iarèd nel VI secolo, commuove i credenti. Durante la celebrazione i canti vengono accompagnati dal battere di grandi tamburi di forma ovale, i caberò, e dal tintinnio dei sistri, strumenti metallici di origine egiziana. I santi sono celebrati con poesie che descrivono le loro parti del corpo, vengono recitati i qeniè, distici a doppio senso improvvisati sul posto che solo gli amara riescono a decifrare. La Vergine è al di sopra di tutti i Santi e viene celebrata innumerevoli volte. Viene invocata nel Chidàne Mehrèt, il Patto di Misericordia, per intercedere presso Cristo per sfuggire ai tormenti dell’inferno.

I preti salgono tutti i giorni sui colli dove sorgono le chiese. Le messe durano tre ore, e tutti coloro che non sono impediti dal lavoro, dalle malattie o dall'età devono andare a messa ogni giorno. Nelle grandi solennità la celebrazione inizia a mezzanotte e dura nove ore. Nelle processioni i suonatori di masinqò, i violini a una corda,accompagnano i versi dei qeniè.

Nella messa viene recitato il credo, che ripete gli stessi dogmi della Chiesa di Roma. Viene celebrata l’eucarestia con la somministrazione del pane e del vino, i preti fanno tre volte il giro della chiesa alla lettura del Vangelo e dei Miracoli di Maria. I fedeli si raccolgono nel recinto esterno della chiesa dove danzano i debterà, gli uomini a destra le donne a sinistra. Nel recinto intermedio viene amministrata la comunione; in quello interno, il sancta santorum, il cui ingresso è permesso solo al sacerdote, viene conservato il tabòt, che è rappresentazione delle tavole della legge, che rende sacra la chiesa. Il tabòt viene portato ad una fonte nella celebrazione del Timchàt, la festa dell’Epifania, il Battesimo di Gesù secondo il rito orientale. In tempo di guerra viene portato al seguito dell’esercito per la celebrazione della messa.

In Etiopia vi sono 25.000 chiese, in genere povere capanne di ciccadecorate con immagini sacre. All’esterno di ognuna vi è la bietelehèm, la casa del pane, dove viene preparato il pane per l’eucarestia. Alla sommità della chiesa vi è la croce greca adornata di sette uova di struzzo, simbolo della passione e della morte di Cristo. Numerose sono le chiese rupestri, celebri quelle di Lalibelà e del Gheralta.

Nella chiese più importanti sono conservati antichi manoscritti fatti con pelli di capra, libri che raccontano la vita dei santi, vangeli e bibbie. Fin dai primi secoli i libri sacri del cristianesimo sono stati tradotti in gheez, l’antica lingua etiopica sopravissuta oggi solo nella liturgia. Nei testi etiopici è stato rintracciato il Libro di Enoc, che è andato perduto nella lingua originale e nella versione greca. I più antichi manoscritti rimasti sembrano risalire al XV secolo. Nel monastero del Bizen, in Eritrea, vi è un vangelo della misura di un metro e talmente pesante che deve essere trasportato a dorso di mulo. Alcune chiese storiche conservano stupendi dipinti murali, in colori semplici (giallo, blu, rosso, verde e nero), ricavati da piante o minerali. I disegni sono bizantineggianti: i buoni di fronte i cattivi di profilo. Il nome di Maria, la più eccelsa delle creature dell’universo, è scritto sempre in rosso.

Nel segno della Croce

Quando un etiopico passa davanti a una chiesa, china la testa e si segna la croce, le donne si fermano a baciarne la porta. Se incontrano un prete si inchinano in segno di rispetto, baciano la croce e si fanno benedire.

Eredità della tradizione copta sono le croci etiopiche, processionali, manuali o da collana, disegnate in centinaia di forme. Derivano dalla prima croce cristiana, la croce di San Pacomio. La croce processionale è utilizzata nelle processioni e nelle grandi ricorrenze, come la Festa della Croce, il Natale o l’Epifania; la croce manuale viene portata sotto la tunica da ogni prete o monaco e fatta baciare dai fedeli. Esiste una grande varietà di forme: la croce di Gondar, di Aksum, di Lalibelà, di Malta, la stella di Davide o sigillo di Salomone e altre. Le donne tigrine portano sulla fronte una croce dipinta con l’henna. Nelle croci etiopiche raramente è rappresentato il corpo di Cristo, perché la spiritualità orientale dà più risalto alla divinità piuttosto che all’umanità di Cristo. Sull’altare maggiore della cattedrale di Addis Abeba vi è una croce con la figura del corpo di Cristo, identico ai crocifissi cattolici.



Clero, digiuno, matrimonio

La Chiesa etiopica ha mantenuto alcune tradizioni giudaiche, come il tabòt o arca dell’alleanza, la distinzione di carne pura e impura, la circoncisione maschile a 8 giorni dalla nascita, le danze dei debterà con i tamburi, la forma delle chiese con il sancta sanctorum al centro, la bietelehèm, lo shabbath, ecc. Alcune di queste, come la circoncisione, sono semplici usanze e non prescrizioni religiose.

Un elemento diventato fondamentale nella cultura del paese è il digiuno, il più lungo e austero di tutto il mondo cristiano: 56 giorni prima di pasqua, 40 giorni per la festa degli apostoli, 16 per l'assunzione, 40 giorni prima di natale, tutti i mercoledì e venerdì della settimana, per un totale di circa 250 giorni all'anno, dei quali solo 180 strettamente obbligatori. Il digiuno consiste nell'astenersi da cibo e bevande da mezzanotte fino al primo pomeriggio o sera, in cui è permesso un pasto; in ogni caso è richiesta l'astinenza da carni, grassi, uova, pesce e latticini.

Vi sono tre forme di matrimonio, una religiosa e due civili. Il matrimonio religioso è indissolubile e viene celebrato in chiesa con la comunione, ed è chiamato ba qurbàn (con comunione). Il matrimonio civile può essere ba demòz (con soldi), che è l'acquisto della moglie, e ba cal chidàn (con patto verbale).

Preti e diaconi si possono sposare, ma ciò deve avvenire prima di essere ordinati. Vescovi e arcivescovi, ai quali è affidata l'amministrazione della chiesa nelle varie province, non possono essere sposati. Il patriarca è necessariamente un monaco. Il monachesimo ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella vita della chiesa fin dall'arrivo in Etiopia dei «Nove Santi» e degli tsaddecàn, i quali, da eremiti solitari, sono diventati fondatori di comunità, ispirandosi a san Pacomio e alle sue regole monastiche. Sono sorti così i grandi monasteri, alcuni dei quali sono arrivati a ospitare fino a 5 mila monaci: Debra Libanos, Debra Bizen, Debra Damo, Gunda Gundè, Zuquala e centinaia di altri minori, tutti arroccati in luoghi impervi e di difficile accesso. I monaci fanno tre professioni di fede, con le quali ricevono la cintura, il cappuccio e la tunica.

I monaci non si sposano e devono condurre una vita ascetica e austera, con frequenti mortificazioni corporali. La tradizione di Debra Libanos racconta che il suo fondatore rimase in una grotta per 7 anni in piedi su un piede solo, finché gli si staccò una gamba. Il priore del monastero di Debra Libanos è l'ecceghìè, il capo dei monaci.

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Le Chiese dell'oriente cristiano

Chiesa ortodossa della Georgia

di John Nellykullen


La Georgia, collocata sulle montagne del Caucaso all’estremità orientale del Mar Nero, vanta una civiltà che risale ai tempi antichi. Per merito, in larga parte, dell’attività missionaria di Santa Nino, una ragazza schiava della Cappadocia, il regno d’Iberia (Georgia dell’est) abbracciò la fede cristiana come religione di stato nel 337. La Georgia occidentale, poi parte dell’impero romano, diventò cristiana attraverso un processo graduale completatosi nel secolo V.

La liturgia gerosolimitana di San Giacomo fu adottata in Iberia, prima in greco, poi in georgiano, nel secolo VI. La liturgia bizantina venne sempre usata nella Georgia occidentale, cambiando dal greco in georgiano nel secolo VIII o IX. La Georgia orientale adottò presto la liturgia bizantina dopo che la Georgia orientale e quella occidentale formarono un unico regno nel 1008.

La Chiesa in Iberia fu all’inizio dipendente dal Patriarcato di Antiochia, ma divenne indipendente sotto il re Vakhtang Gorgaslan nel 467. Nel tempo dopo il Concilio di Calcedonia (451) i Georgiani d’Iberia s’unirono ai vicini Armeni nel rifiutare il suo insegnamento, ma nel 607 ruppero con gli Armeni e ne accettarono l’insegnamento.

Il monachesimo cominciò a fiorire in Georgia nel secolo VI e raggiunse lo zenit nei secoli VIII e IX. I monasteri divennero centri importanti d’attività missionaria e culturale. Furono i georgiani a fondare il monastero di Iviron sul monte Athos, dove molte e importanti opere religiose furono tradotte dal greco in georgiano.

Dal secolo XI al XIII la Georgia visse la sua età d’oro durante la quale una ricca letteratura cristiana venne prodotta in lingua georgiana. Ma tutto ciò finì quando il paese fu devastato dalle invasioni di Gengis Khann nel secolo XIII e di Tamerlano nel secolo XV. Nel periodo dal 1500 al 1800 la Georgia registrò una rinascenza culturale, per lo più perché i rivali Ottomani e Persiani s’impedirono a vicenda dall’avere un pieno controllo del paese. Nuovi contatti vennero stabiliti con l’Occidente e con la Russia. Nel 1801 la Georgia venne annessa alla Russia e quando il Patriarca morì nel 1811 i Russi abolirono il Patriarcato. La Chiesa georgiana fu allora amministrata da San Pietroburgo dal Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Russa attraverso uno speciale esarca. Le 30 diocesi dalle Chiesa furono inoltre ridotte a 5 e la lingua georgiana venne soppressa nei seminari e nella liturgia, rimpiazzata dal russo o slavo.

Dopo l’abdicazione dello zar Nicola II (1 marzo 1917), l’autorità della Chiesa ortodossa russa era seriamente minacciata nelle regioni non russe dell’impero. Il 12 marzo 1917, in un meeting dei vescovi georgiani, clero e laici annunciarono la ricostituzione della Chiesa autocefala. Il settembre seguente un concilio della Chiesa georgiana elesse un nuovo Patriarca; queste azioni non erano accette alla Chiesa ortodossa russa. Dopo la rivoluzione bolscevica dell’ottobre 1917 la Georgia riguadagnò in breve tempo la sua indipendenza (dal maggio 1918 al febbraio 1921); infine fu annessa all’Unione Sovietica. Ma la Chiesa georgiana mantenne la sua indipendenza nonostante l’intensa persecuzione dei sovietici. Il Patriarcato di Mosca concesse formalmente l’autocefalia alla Chiesa georgiana nel 1943.

La situazione di questa Chiesa sotto il dominio sovietico fu simile a quella della Chiesa ortodossa russa; mentre nel 1917 vi erano 2455 chiese aperte in Georgia, a metà degli anni ‘80 ve n’erano solo 80 funzionanti, con 4 o 5 monasteri e seminari. La Chiesa georgiana fu costretta a seguire il Patriarcato di Mosca nella sua politica internazionale ed ecumenica.

Ma le politiche di riforma di Gorbaciov in URSS interessarono anche la Chiesa georgiana. Molte chiese furono riaperte e nell’ottobre 1988 venne formalmente inaugurata nella capitale Tbilisi un’accademia teologica ortodossa con 150 studenti impegnati in sezioni che avevano a che fare con la teologia (antropologia cristiana e arte cristiana). Ora c’è una seconda accademia teologica in Gelati e 6 seminari nel paese, oltre ad un istituto per la formazione dei laici. Ogni diocesi ha organizzato un centro per la formazione dei catechisti e dei missionari da impiegare per la ri-evangelizzazione del paese.

Il 4 marzo 1990 il Patriarcato ecumenico ha concesso lo status autocefalia alla Chiesa di Georgia e ha confermato il suo rango di patriarcato. Per un certo tempo lo status della Chiesa georgiana è stato disputato tra Mosca e Costantinopoli: il Patriarcato ecumenico non ha riconosciuto il diritto di Mosca di conferire l’autocefalia nel 1943 e ha continuato a considerarla una Chiesa autonoma. Ciò ha regolarizzato la posizione della Chiesa georgiana nel mondo ortodosso.

Il processo di rinnovamento sì è intensificato dopo che la Georgia è diventata una nazione indipendente nel 1991. Le vocazioni al sacerdozio sono aumentate, è cominciato il rinnovamento della vita monastica e sono state aperte molte chiese nuove. Il battesimo dell’ex presidente georgiano, Eduard Shevardnadze, nella Chiesa ortodossa georgiana nel 1992, testimonia del ruolo importante che la Chiesa può giocare nella nuova repubblica indipendente. Nel 1994 la Chiesa ortodossa e il governo georgiano hanno firmato un accordo sull’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche il cui programma è stato redatto con l’apporto della Chiesa. Con l’intervento del governo è stata costruita in Tbilisi una grande cattedrale dedicata alla Santa Trinità. La prima pietra è stata posta dal Patriarca Ilia nel marzo1996.

Un concilio della Chiesa ortodossa georgiana (settembre 1995), ha visto il raduno dell’intera gerarchia con i delegati del clero e del laicato. Ha preso molte decisioni per favorire il rinnovamento pastorale e spirituale della Chiesa. Ha inoltre richiesto una chiarificazione della posizione della Chiesa georgiana nei dittici e ha canonizzato cinque nuovi santi.

Dal 1997 alcuni movimenti anti-ecumenici hanno guadagnato molto terreno in Georgia ed hanno cominciato ad apparire serie divisioni circa la partecipazione della Chiesa al movimento ecumenico. In una lettera aperta pubblicata il 17 marzo 1997 gli abati di cinque monasteri hanno minacciato di rompere la comunione col Patriarca Ilia (il quale è stato uno dei presidenti del Consiglio Mondiale delle Chiese dal 1979 al 1983), a causa della sua attività ecumenica. La tensione si andava facendo molto forte e per evitare uno scisma, il Santo Sinodo ha votato (nel maggio 1997) di ritirarsi sia dal Consiglio Mondiale delle Chiese sia dal Consiglio Europeo delle Chiese. Ciò non ha sanato interamente la situazione e qualche esponente dell’opposizione, che è in stretto contatto con i gruppi dei Vecchi Calendaristi di Grecia, hanno invitato la Chiesa a rompere la comunione con quelle Chiese ortodosse che continuano a partecipare a organizzazioni ecumeniche. In questa disputa gioca un significativo fattore politico: il Patriarca Ilia aveva stretto una forte alleanza col governo con l’allora presidente Shevardnadze mentre il gruppo antiecumenico è legato ai sostenitori del deposto presidente Zviad Gamsakhurdia.

La situazione attuale a questo livello rimane confusa. Su un totale di 5.500.000 georgiani il 65% si identifica nella Chiesa ortodossa, l’11% si dichiara musulmano, il 10% russo ortodosso e l’8% armeno apostolico. Nel 1997 le parrocchie della Chiesa ortodossa erano 500, servite più o meno da ugual numero di sacerdoti; 27 sono i monasteri.



TERRITORIO

Georgia e la piccola diaspora

GUIDA
Catholicos Ilia II (nato nel 1932, eletto nel 1977).

TITOLO
Catholicos - Patriarca di tutta la Georgia.

MEMBRI
3.500.000

RESIDENZA
Tbilisi, Georgia

WEB SITE
http://www.patriarchate.ge

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Romania.
Una sfida per un futuro prossimo

di Rosangela Vegetti


La situazione di questa nazione è di grande speranza per l’avvenire dell’Europa. Sul piano religioso (l’86% della popolazione è ortodossa), potrebbe essere un terreno di proficue esperienze ecumeniche. In un recente viaggio una delegazione di responsabili degli uffici di ecumenismo delle diocesi lombarde, ha incontrato, mesi addietro, esponenti della Chiesa ortodossa, in vista della III Assemblea ecumenica europea che è stata tenuta lo scorso settembre prossimo a Sibiu.
La Romania è un paese vicino a noi, vanta radici culturali latine a partire dalla conquista dell’imperatore Traiano, è membro della comunità europea, assorbe parecchie attività italiane “delocalizzate” e faticosamente sta ricostruendo la propria vita sociale e politica dopo il lungo periodo comunista, per noi però è ancora da scoprire nelle sue varie connotazioni, a partire dalla sua profonda tradizione religiosa. Potrebbe essere un terreno di proficue esperienze ecumeniche di incontro e dialogo in vista di progetti nuovi di amicizia e solidarietà in questo tempo di ricostruzione e apertura al futuro, e questo è l’intento che si sono dati da tempo i responsabili degli uffici di ecumenismo delle diocesi di Lombardia con capofila Milano.

Capofila perché già il cardinale Martini aveva aperto il cammino con, scambi di visite con il patriarca di Bucarest e altri metropoliti, e inaugurato un metodo di “intervento” per progetti di solidarietà connotato da ampie intese di collaborazione per evitare ogni ingerenza o presenze fuori misura. Tale è infatti il timore di chi si trova nella necessità e vede sorgere opere e iniziative che superano ogni possibile gestione locale (ospedali, scuole, chiese, seminari, case religiose, strutture di servizio) e assumono il carattere di “imprese straniere”.

In un recente viaggio, una delegazione lombarda di incaricati ecumenici diocesani, giornalisti e operatori pastorali, con monsignor Coccopalmerio, vescovo delegato per l’ecumenismo della Cei (ora presidente del Pontificio consiglio per le leggi), ha incontrato esponenti della Chiesa ortodossa e insieme valutato quanto si possa fare per il prossimo futuro, sia in vista della III Assemblea ecumenica europea, che culminerà a Sibiu nel prossimo settembre, sia per conoscere la realtà della Chiesa sorella cui appartiene il gruppo più numeroso di immigrati est-europei in Lombardia. I metropoliti hanno manifestato le molteplici difficoltà ed esigenze di vita cui stanno cercando di rispondere perché la popolazione romena molto cammino ha ancora da fare e molto si attende dal sostegno dei popoli europei. Si è parlato di possibili gemellaggi tra parrocchie - in alcune città lombarde esiste già tale forma di collaborazione con parrocchie romene - tra diocesi e istituzioni, magari anche enti locali, e si sono visitati centri diocesani e monasteri.


Attenzione ai gravi bisogni sociali

La Chiesa ortodossa romena conta sei metropolie autonome, ognuna con il suo sinodo dei vescovi, ma solo dopo, il 1989 ha potuto organizzare un dipartimento per l’assistenza «sociale, perché nel periodo comunista non poteva svolgere alcuna attività filantropica. Ora lo Stato non è più in grado di rispondere alle svariate necessità ed è la Chiesa che deve intraprendere iniziative idonee, che vanno dalle mense per i poveri, al sostegno ai disoccupati, a forme di aiuto e protezione per i minori, a interventi contro il dilagare della droga tra i giovani, violenze in famiglia, anziani soli, ecc. «Sono stato 4 anni responsabile del dipartimento dei problemi sociali a Craiova», spiega monsignor Nicodim, vescovo di Severin e Strehaia, «quando ero vescovo vicario del vescovo Teofan. Siccome ero stato quattro anni in Grecia, ho visto il loro sistema messo a punto da tempo, qui invece abbiamo dovuto prima attrezzare gli uffici, poi stabilire i progetti e formare personale; abbiamo assunto assistenti sociali dalla nostra facoltà di teologia ma abbiamo avuto scarsità di spazi; abbiamo ottenuto diversi finanziamenti da ong estere, cercando di stare nei limitati spazi disponibili». In pochi anni si è passati da una vita religiosa circoscritta a monasteri e liturgie al compito complesso di organizzare risposte a gravi bisogni sociali.

«Oggi il rapporto Stato-Chiesa soffre di una certa tensione», spiega il vescovo Nicolae di Timisoara, la seconda città del Paese con 276 parrocchie ortodosse, 300 sacerdoti, e 650.000 fedeli, «perché la Chiesa desidera recuperare le proprietà che le sono state confiscate negli anni passati. Lo stato comunista aveva infatti nazionalizzato e acquisito tutti i beni ecclesiali, e per decine ne ha usufruito, oggi lo Stato dice che la Chiesa è autonoma e può fare quello che vuole, però dimentica come era prima, non sostiene l’attività della Chiesa se non su richiesta e in piccola misura. Il finanziamento ci viene dai fedeli. Circa l’attività sociale-caritativa, nella nostra diocesi, abbiamo un settoreche si occupa di questo .ed è coordinato da un responsabile amministrativo; si volgono attività in particolare per i bambini, che provengono da famiglie sciolte e abitano in strada o in orfanotrofi statali; la diocesi ha cinque case di tipo familiare, dove questi bambini sono presi in affido,e alcuni rappresentanti della diocesi si occupano dei bambini ammalati di Aids per la loro integrazione nella società; lavoriamo anche con i rispettivi genitori e abbiamo una casa che si occupa delle persone che vengono dal traffico degli esseri umani per prostituzione. Attraverso rappresentanti della Chiesa assicuriamo assistenza liturgica, religiosa ed educativa negli asili, nelle scuole e nei licei di Timisoara, abbiamo insegnanti di religione. (uomini e donne) per una minima catechesi nelle scuole. Dopo il 1989 nelle scuole si sono manifestati problemi nuovi come droga e prostituzione, così cerchiamo di assistere questi casi nelle scuole. Adesso ci prepariamo ad aprire un servizio in soccorso agli anziani per assicurare assistenza a domicilio».

La situazione generale è di grande speranza, ma certamente difficile e complessa perché i fedeli non raggiungono il 10% dell’intera popolazione e necessitano di una formazione che vada oltre la sola devozione inoltre i più giovani sono spesso costretti ad emigrare per trovare - sostentamento alle famiglie ed interi paesi sono spopolati; solo la prospettiva di nuove infrastrutture create con l’appoggio europeo fanno sperare nel ritorno di tanti lavoratori emigrati e di donne romene attualmente lontane dalla. famiglia.

Apertura ecumenica

La Chiesa ortodossa romena è comunque interpellata dal corso dell’evangelizzazione dei tempi presenti, secolarizzati e attratti dal progresso materiale, dalla proposta di maggiore apertura ecumenica verso le altre Chiese cristiane e di mediazione tra antiche tradizioni e modernità: «In Romania da molti secoli abbiamo la stessa lingua per la liturgia e la vita quotidiana, per cui il linguaggio liturgico non è distante dal linguaggio parlato; avete sentito che la Chiesa ortodossa è conservatrice ed è così. È difficile introdurre elementi totalmente diversi nella vita e nell’espressione della Chiesa; è impossibile cambiare alcune preghiere della liturgia, portare musica strumentale in chiesa, allontanare la ricchezza iconografica per soddisfare chi vorrebbe uno stile artistico più sobrio, introdurre certe danze nelle celebrazioni. Secondo il mio parere», afferma il vescovo Teofan, metropolita dell’Oltenia e arcivescovo di Craiova, «è un’opera che non va fatta, col rischio di non rispondere alle esigenze di alcune categorie di fedeli.

«L’esperienza storica mostra che il cristiano ha bisogno di cambiare il meno possibile nell’espressione della vita religiosa. Così un’esperienza come il Vaticano Il non pensiamo possa essere necessaria o possibile nella Chiesa ortodossa. Ciò non vuoI dire escludere l’uso di elementi più moderni come i mass media per la diffusione della fede. Certo molti giovani non comprendono il linguaggio della Chiesa e ne vorrebbero un’attualizzazione a loro favore, facciamo poco questo e comunque, se si cambia qualcosa, è solo nelle cose meno essenziali». Qui si collocano le grandi sfide per il futuro.

(da Vita Pastorale, 6, 2007)
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