Romania.
Una sfida per un futuro prossimo
di Rosangela Vegetti
La Romania è un paese vicino a noi, vanta radici culturali latine a partire dalla conquista dell’imperatore Traiano, è membro della comunità europea, assorbe parecchie attività italiane “delocalizzate” e faticosamente sta ricostruendo la propria vita sociale e politica dopo il lungo periodo comunista, per noi però è ancora da scoprire nelle sue varie connotazioni, a partire dalla sua profonda tradizione religiosa. Potrebbe essere un terreno di proficue esperienze ecumeniche di incontro e dialogo in vista di progetti nuovi di amicizia e solidarietà in questo tempo di ricostruzione e apertura al futuro, e questo è l’intento che si sono dati da tempo i responsabili degli uffici di ecumenismo delle diocesi di Lombardia con capofila Milano.
Capofila perché già il cardinale Martini aveva aperto il cammino con, scambi di visite con il patriarca di Bucarest e altri metropoliti, e inaugurato un metodo di “intervento” per progetti di solidarietà connotato da ampie intese di collaborazione per evitare ogni ingerenza o presenze fuori misura. Tale è infatti il timore di chi si trova nella necessità e vede sorgere opere e iniziative che superano ogni possibile gestione locale (ospedali, scuole, chiese, seminari, case religiose, strutture di servizio) e assumono il carattere di “imprese straniere”.
In un recente viaggio, una delegazione lombarda di incaricati ecumenici diocesani, giornalisti e operatori pastorali, con monsignor Coccopalmerio, vescovo delegato per l’ecumenismo della Cei (ora presidente del Pontificio consiglio per le leggi), ha incontrato esponenti della Chiesa ortodossa e insieme valutato quanto si possa fare per il prossimo futuro, sia in vista della III Assemblea ecumenica europea, che culminerà a Sibiu nel prossimo settembre, sia per conoscere la realtà della Chiesa sorella cui appartiene il gruppo più numeroso di immigrati est-europei in Lombardia. I metropoliti hanno manifestato le molteplici difficoltà ed esigenze di vita cui stanno cercando di rispondere perché la popolazione romena molto cammino ha ancora da fare e molto si attende dal sostegno dei popoli europei. Si è parlato di possibili gemellaggi tra parrocchie - in alcune città lombarde esiste già tale forma di collaborazione con parrocchie romene - tra diocesi e istituzioni, magari anche enti locali, e si sono visitati centri diocesani e monasteri.
Attenzione ai gravi bisogni sociali
La Chiesa ortodossa romena conta sei metropolie autonome, ognuna con il suo sinodo dei vescovi, ma solo dopo, il 1989 ha potuto organizzare un dipartimento per l’assistenza «sociale, perché nel periodo comunista non poteva svolgere alcuna attività filantropica. Ora lo Stato non è più in grado di rispondere alle svariate necessità ed è la Chiesa che deve intraprendere iniziative idonee, che vanno dalle mense per i poveri, al sostegno ai disoccupati, a forme di aiuto e protezione per i minori, a interventi contro il dilagare della droga tra i giovani, violenze in famiglia, anziani soli, ecc. «Sono stato 4 anni responsabile del dipartimento dei problemi sociali a Craiova», spiega monsignor Nicodim, vescovo di Severin e Strehaia, «quando ero vescovo vicario del vescovo Teofan. Siccome ero stato quattro anni in Grecia, ho visto il loro sistema messo a punto da tempo, qui invece abbiamo dovuto prima attrezzare gli uffici, poi stabilire i progetti e formare personale; abbiamo assunto assistenti sociali dalla nostra facoltà di teologia ma abbiamo avuto scarsità di spazi; abbiamo ottenuto diversi finanziamenti da ong estere, cercando di stare nei limitati spazi disponibili». In pochi anni si è passati da una vita religiosa circoscritta a monasteri e liturgie al compito complesso di organizzare risposte a gravi bisogni sociali.
«Oggi il rapporto Stato-Chiesa soffre di una certa tensione», spiega il vescovo Nicolae di Timisoara, la seconda città del Paese con 276 parrocchie ortodosse, 300 sacerdoti, e 650.000 fedeli, «perché la Chiesa desidera recuperare le proprietà che le sono state confiscate negli anni passati. Lo stato comunista aveva infatti nazionalizzato e acquisito tutti i beni ecclesiali, e per decine ne ha usufruito, oggi lo Stato dice che la Chiesa è autonoma e può fare quello che vuole, però dimentica come era prima, non sostiene l’attività della Chiesa se non su richiesta e in piccola misura. Il finanziamento ci viene dai fedeli. Circa l’attività sociale-caritativa, nella nostra diocesi, abbiamo un settoreche si occupa di questo .ed è coordinato da un responsabile amministrativo; si volgono attività in particolare per i bambini, che provengono da famiglie sciolte e abitano in strada o in orfanotrofi statali; la diocesi ha cinque case di tipo familiare, dove questi bambini sono presi in affido,e alcuni rappresentanti della diocesi si occupano dei bambini ammalati di Aids per la loro integrazione nella società; lavoriamo anche con i rispettivi genitori e abbiamo una casa che si occupa delle persone che vengono dal traffico degli esseri umani per prostituzione. Attraverso rappresentanti della Chiesa assicuriamo assistenza liturgica, religiosa ed educativa negli asili, nelle scuole e nei licei di Timisoara, abbiamo insegnanti di religione. (uomini e donne) per una minima catechesi nelle scuole. Dopo il 1989 nelle scuole si sono manifestati problemi nuovi come droga e prostituzione, così cerchiamo di assistere questi casi nelle scuole. Adesso ci prepariamo ad aprire un servizio in soccorso agli anziani per assicurare assistenza a domicilio».
La situazione generale è di grande speranza, ma certamente difficile e complessa perché i fedeli non raggiungono il 10% dell’intera popolazione e necessitano di una formazione che vada oltre la sola devozione inoltre i più giovani sono spesso costretti ad emigrare per trovare - sostentamento alle famiglie ed interi paesi sono spopolati; solo la prospettiva di nuove infrastrutture create con l’appoggio europeo fanno sperare nel ritorno di tanti lavoratori emigrati e di donne romene attualmente lontane dalla. famiglia.
Apertura ecumenica
La Chiesa ortodossa romena è comunque interpellata dal corso dell’evangelizzazione dei tempi presenti, secolarizzati e attratti dal progresso materiale, dalla proposta di maggiore apertura ecumenica verso le altre Chiese cristiane e di mediazione tra antiche tradizioni e modernità: «In Romania da molti secoli abbiamo la stessa lingua per la liturgia e la vita quotidiana, per cui il linguaggio liturgico non è distante dal linguaggio parlato; avete sentito che la Chiesa ortodossa è conservatrice ed è così. È difficile introdurre elementi totalmente diversi nella vita e nell’espressione della Chiesa; è impossibile cambiare alcune preghiere della liturgia, portare musica strumentale in chiesa, allontanare la ricchezza iconografica per soddisfare chi vorrebbe uno stile artistico più sobrio, introdurre certe danze nelle celebrazioni. Secondo il mio parere», afferma il vescovo Teofan, metropolita dell’Oltenia e arcivescovo di Craiova, «è un’opera che non va fatta, col rischio di non rispondere alle esigenze di alcune categorie di fedeli.
«L’esperienza storica mostra che il cristiano ha bisogno di cambiare il meno possibile nell’espressione della vita religiosa. Così un’esperienza come il Vaticano Il non pensiamo possa essere necessaria o possibile nella Chiesa ortodossa. Ciò non vuoI dire escludere l’uso di elementi più moderni come i mass media per la diffusione della fede. Certo molti giovani non comprendono il linguaggio della Chiesa e ne vorrebbero un’attualizzazione a loro favore, facciamo poco questo e comunque, se si cambia qualcosa, è solo nelle cose meno essenziali». Qui si collocano le grandi sfide per il futuro.(da Vita Pastorale, 6, 2007)