Si fa presto a dire “Chiese Ortodosse”
di Giovanni Giovini
Presentazione dell'opera di J. Binns dedicata a “Le Chiese Ortodosse”.
Si fa presto a dire “chiese ortodosse”; o a ricordare le sciagurate date del 1054 (rottura ufficiale tra le chiese di Roma e Costantinopoli) o del 1204 (conquista e saccheggio feroce di questa città da parte dei nostri crociati); o a ripetere che il primato del papa sia il vero o addirittura unico pomo della discordia tra cattolici e ortodossi; o a lagnarsi perché il cammino ecumenico ora ristagni e deluda un po’ tutti ecc. Dalle solite frasi fatte, dalle semplificazioni, dalle prospettive preconcette o dai semplici lamenti si potrebbe passare a una conoscenza più approfondita della realtà e quindi a un nuovo interesse e a una ripresa di un cammino paziente e fraterno verso un futuro un po’ diverso dall’attuale dolorosa divisione? Ma verso “quale” unione? Attenti a non predefinirla.
A rispondere a tutte queste domande spinose già tante voci tentarono una risposta, sia cattoliche sia protestanti che ortodosse (cf. le bibliografe a pag. 10s e 259-267 del volume in recensione). Ma il ponderoso lavoro dell’anglicano John Binns mi sembra straordinario. (1) Frutto di una prolungata e anche diretta competenza, esso “introduce” (ma in verità fa assai di più) innanzitutto nella storia di quel fiorito ginepraio che sono le chiese ortodosse, dagli inizi ad oggi, rilevandone i loro aspetti specifici e spesso diversi, più o meno legati a un proprio ascolto dell’Evangelo e delle tradizioni universali o locali, ma anche alle situazioni esistenziali di quelle chiese: basti pensare al loro legame con Bisanzio, alla sottomissione (pur variegata) all’Islam e agli ottomani, alle lacerazioni per l’iconoclastia, alle polemiche con l’occidente (non solo per il “Filioque”), agli urti con il mondo moderno occidentale (dall’illuminismo all’ordinazione delle donne e degli omosessuali), ai lunghi periodi di persecuzione, con, tra l’altro, esempi mirabili di santità eroica (cap. I).Negli altri capitoli, ancora interessantissimi, l’autore esamina: la comune e fondamentale importanza data da tali chiese alla liturgia specialmente eucaristica della chiesa locale, pur con le varianti anche notevoli dei suoi riti; i punti uguali oppure specifici della dottrina di ogni chiesa ortodossa, sempre con l’occhio alla loro storia; il posto prezioso attribuito da molte chiese (non da tutte) alle famose “icone”; il monachesimo e la sua posizione vitale; le forme della pietà popolare; le imprese apostolico-missionarie di varie comunità ortodosse e la loro perdurante presenza; la questione forse davvero cruciale del rapporto tra regno di Dio, chiesa, società, impero o stato nazionale o nazionalistico o addirittura ateo: problema che ebbe varie o almeno sfaccettate soluzioni nei diversi periodi storici.
Due ultimi capitoli (X-XI) rivedono in sintesi il lungo, tormentato ma ricchissimo cammino di tutte le chiese orientali, ortodosse e cattolico-romane (tra queste gli “uniati”): une e varie, sante e peccatrici, apostoliche per l’origine unica e per la missionarietà, “cattoliche” perché tutte “calcedonesi”, ossia professanti il medesimo e anche nostro trinitario e cristologico Credo (a parte il “Filioque”); ma è bello risentire che anche varie chiese non calcedonesi, al di là di formule differenti, si ritrovano in una medesima sostanziale cristologia (pag. 235)!
Inoltre, l’autore traccia brevemente le tappe di tutto il cammino ecumenico interecclesiale in atto, con le sue luci e le sue ombre, le delusioni e le speranze, quello ufficiale (in difficoltà) e quello a livello popolare (forse più promettente). Su questo punto merita attenzione anche la prefazione di Enzo Bianchi, il priore di Bose. Utili anche la pur sintetica tavola cronologica (pag. 257s) e l’indice dei nomi che, con quello generale, facilita la consultazione del ricchissimo volume.
Qualche domanda-proposta. Mi sembrerebbe davvero utile sottolineare nella nostra pastorale liturgica che tutti (cattolici-romani, protestanti, anglicani e ortodossi) professiamo il medesimo Credo (a parte il “Filioque”, che potrebbe essere omesso, come già avvenne anche a Roma recentemente); meglio ancora: usare di più il medesimo Credo cosiddetto “apostolico” non potrebbe favorire ancor meglio l’unità nella fede essenziale e fondamentale per tutti?
Ancora: sottolineare che tutti, pur con riti e interpretazioni diverse, celebriamo l’eucaristia «in memoria di Gesù». E qui riprendo la domanda già di S. Bulgakov (pag. 236): in che senso per partecipare all’eucaristia occorre una “piena comunione” col Signore e con la sua chiesa? Chi stabilisce quando quella è “piena”? Forse che i commensali di Gesù nell’ultima cena erano in piena comunione con lui e tra loro? Pare proprio di no.
Infine, una domanda da cattolico-romano e biblista: quale importanza effettiva attribuiscono le chiese ortodosse alla Parola biblica? E la paura verso le ricerche bibliche moderne a frenarle - come mi sembra - o l’accento molto forte sulle tradizioni post-bibliche? Una volta un prete ortodosso, dopo la mia riesposizione della Dei verbum, disse: «Anche noi ortodossi possiamo trovarci d’accordo con il concilio, con la sua articolata e unitaria visione del rapporto tra azione dello Spirito Santo, Bibbia, tradizione, vita di chiese, liturgia, magistero». Ma dalla teoria alla prassi corre sempre qualche fossato, anche nel cattolicesimo-romano, anzi addirittura in quello protestante attuale, dove la lettura della Bibbia è andata in crisi.
Nonostante tutto, ci direbbero specialmente le chiese ortodosse, lo Spirito Santo ci sta tutti guidando verso quella pienezza di chiesa che c’è “già e non ancora”.
1) Binns J., Le chiese ortodosse, Un’introduzione, ed. San Paolo, Cinisello B. (MI) 2005; pp. 280, € 28,00.