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Questa presenza attiva della Vergine nella Chiesa è misteriosa e sfugge a indagini precise. E’ possibile solo evocarla attraverso qualche tema biblico. Ne scelgo tre: Vergine-Madre, Tempio di Dio, Strumento di salvezza.

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Il rapporto Chiesa-Maria, colto prima in modo globale, va ora contemplato più attentamente nei vari momenti della avventura di fede che Maria ha vissuto. Lo sguardo deve anzi spingersi ancora più in là...

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Il tema Maria-Chiesa va visto in questa sede con taglio nettamente liturgico: si tratta cioè di vedere come è vissuto nella liturgia.

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Venerdì, 21 Dicembre 2007 00:11

Madre di Dio (Luigi De Candido)

La divina maternità è stato il primo dei dogmi mariologici a essere definito. Il Vaticano II si concentra intorno al significato ecclesiale della verginale maternità di Maria.

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Sabato, 24 Novembre 2007 20:50

Verginità di Maria (Luigi De Candido)

Non esiste per questa verità mariana una proclamazione dogmatica solenne. Eppure pastori e fedeli hanno sempre onorato Maria con questo titolo. La sensibilità odierna per questo appellativo mariano.

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Maria nostra guida perché possiamo incontrare Dio Uno e Trino.

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Sabato, 29 Settembre 2007 01:14

Maria interpella una fede adulta (Lilia Sebastiani)

Molta gente nel rapporto con la beata Vergine cerca spesso più il sensazionale e il miracolistico che non un culto della madre di Gesù correttamente fondato sulla Bibbia e la sana tradizione della chiesa. Bisogna rifarsi a queste fonti se si vuole che questo culto si muova sicuro e sia teologicamente fondato.

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Sabato, 11 Agosto 2007 02:04

Maria incontra Gesù nell'annunciazione

Nell’incontro, nell’alterità più assoluta e nella comunione più stretta, si creano a vicenda: Maria accoglie e dona a Gesù la realtà di figlio, il figlio dona a Maria la realtà di madre.

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Maria nella fede e nella vita della Chiesa

Devozione Mariana nella tradizione

di Giorgio Gozzelino

La sintesi dottrinale del Vaticano II in campo mariologico suppone e richiama i risultati del lungo cammino della tradizione della chiesa, sfociato nella progressiva esplicitazione delle prerogative mariane.

Immediatamente esaltata quale donna di incomparabile santità e come vergine e madre del Salvatore, Maria è stata via via riconosciuta nelle sue qualità di “corredentrice” e di sostegno del popolo cristiano e dell’umanità; poi, dopo secoli di intenso dibattito, come immacolata concezione, e infine come assunta e archetipo della chiesa. La comprensione dell’importanza e del valore del rapporto che ci unisce a lei richiede che si considerino anche e specialmente queste sue proprietà.

Anzitutto la concezione immacolata, che designa il punto di avvio dell’esistenza di Maria, cui si associa la santità totale come risposta a una proposta.

Immacolata concezione vuoi dire donna senza peccato (immacolata) fin dal suo concepimento (concezione): donna che viene all’esistenza in tale prossimità a Gesù da risultare del tutto sottratta, pur appartenendo realmente ad una umanità peccatrice, da qualsiasi condeterminazione nel male. E’ molto importante rilevare che questa situazione eccezionale non è stata prodotta da Maria ma da altri, a suo vantaggio; che ella, cioè, non si è fatta immacolata concezione ma si è trovata tale. Chi ha preparato questo suo inaudito punto di partenza non fu lei stessa, ma l’antico Israele, nella catena dei «poveri di Jahvé» culminanti, come insegna il vangelo dell’infanzia di Luca, precisamente in lei, la più santa tra tutte le creature, punta e apice della santità della chiesa come comunità vincolata al Cristo.

La concezione immacolata rievoca, in forza del suo statuto di proposta, l’esaltante mistero della predestinazione in Cristo, interpretandolo rettamente come verità della destinazione previa di ogni uomo alla ricapitolazione in Gesù risorto. Guardando alla condizione nativa di Maria, si comprende che nulla è assurdo all’infuori del peccato, che per nessuno la vita si prospetta nella modalità di un cammino verso l’ignoto, che tutto possiede un senso preciso: Gesù Cristo; nella gravitazione verso l’immacolatezza, intesa per l’appunto quale prossimità a Gesù e a Dio.

A sua volta, la santità eminente di Maria insegna, grazie al proprio statuto di risposta, che la vita umana in ultima istanza riesce o fallisce in quanto sviluppa o arresta la predestinazione all’unità col Cristo, null’altro. La madre di Dio si impone come la creatura più riuscita della storia sul piano del rapporto con Dio, non della realizzazione di qualche valore profano. La sua grandezza rivela che la chiave di volta del successo di un’esistenza va cercata nell’assimilazione dei valori tipici del vangelo; a tal punto che ogni altra realizzazione mantiene il proprio senso e la propria consistenza solo a condizione di integrarsi a questa assimilazione.

Vergine e madre. Mentre la concezione immacolata inaugura l’esistenza di Maria, e la santità totale comincia a delinearsi con i primi atti della sua libertà, per poi estendersi al resto della sua vita terrena e concludere nell’eternità, la maternità divina e la verginità perpetua cominciano a far parte della sua identità con l’arcana fecondazione dello Spirito svelata da Luca nel racconto dell’annunciazione. Anch’esse debbono essere viste congiuntamente, nel senso suggerito dal titolo classico: vergine e madre.

Riflettendo sulla maternità divina, i Padri amavano ripetere che ella ha concepito Gesù ben prima mediante la fede che attraverso il suo grembo di madre: prius mente quam ventre concepit. La loro asserzione è ineccepibile, perché l’evento biologico della maternità fisica di Maria è veramente umano, e dunque assai più che biologico; eppure si muove sul terreno d’una straordinaria integrazione del salvifico col biologico.

Resta il fatto, tuttavia, che la maternità di Maria differisce dalla nostra per la ragione di non essere solo salvifica ma anche biologica; e che la possibilità della nostra generazione da Gesù dipende dalla completezza della sua maternità, in cui viene alla luce lo straordinario spessore dell’essere cristiano, realizzato da lei allo stato puro.

Verginità è parola che per sé significa amore e santità (cf. 2Cor 11,12). Ma esiste un’accezione più stretta, per la quale si chiama verginità una situazione oggettiva capace di conferire una speciale visibilità ed efficacia all’attuazione dell’amore.

In questo secondo senso (che è quello designato dall’attribuzione del titolo di «vergine» alla Madonna), la verginità di Maria suppone l’asserzione della sua santità, e precisa che essa è maturata entro un contesto esistenziale oggettivo specificato dalla concentrazione su Cristo. Si parla, come è noto, di una verginità prima del parto (detta pure concezione verginale), nel parto, e dopo il parto.

La maternità divina documenta esistenzialmente che l’uomo salvato è e deve essere salvatore di se stesso e degli altri, a tal punto da contribuire a dare carne (la propria e quella dei fratelli), a colui che lo ha salvato facendosi carne come lui.

La verginità perpetua precisa che ciò si compie nell’ambito esclusivo dell’amore, nella necessaria subordinazione della fecondità alla recezione di Dio (come la maternità divina dipende dalla impregnazione dello Spirito e non viceversa, così la fecondità dell’apostolato dipende dalla santità personale e non viceversa), e con modalità oggettive diverse.

Glorificazione totale. Il rapporto essenziale di Maria col Figlio, sviluppato nella sua santità e visibilizzato con particolare intensità della verginità perpetua, si è tradotto in quel reale contributo di amore e di sofferenza all’opera di Gesù che viene tradizionalmente designato col nome, per alcuni versi controverso, di corredenzione.

Anche la corredenzione connota un tratto distintive del volto di Maria emerso progressivamente nel corso della sua vita. L’assunzione, invece, dice qualcosa che ella ha acquisito con la conclusione della sua vicenda terrena; e quindi rappresenta l’antefatto immediato della sua situazione attuale di Triade universale dell’umanità. In Maria assunta la gloria è già ora totalizzata, così come sarà al termine della storia per l’intera umanità.

Il dogma asserisce che nel caso della Vergine la glorificazione ha coinvolto anche il corpo. Perciò stesso addita in lei l’anticipazione di quanto succederà alla fine della storia, riconoscendole la capacità di ricapitolare anche sul versante del compimento l’umanità. Questo attesta che il successo del progetto di Dio sul mondo è oramai un fatto acquisito; anzitutto in Gesù, e poi derivatamente in Maria, ricapitolazione della chiesa e dell’umanità

Archetipo della chiesa. Ed eccoci alle due ultime proprietà di Maria, la sua maternità spirituale universale e l’esemplarità suprema che fa di lei l’archetipo della chiesa.

Come e perché la risurrezione ha collocato Gesù al cuore del mondo facendolo Signore della storia di tutti e di ciascuno, così l’assunzione ha reso Maria signora e regina degli uomini (Nostra Signora), aiuto, consolazione e sostegno permanente di ogni creatura.

Questo apporto di Mafia, che la coinvolge nell’attuale azione di salvezza del Cristo risorto sul mondo, viene detta da alcuni «mediazione universale» da altri «distribuzione di tutte le grazie», da altri ancora «intercessione universale». Il più delle volte si parla di «maternità spirituale universale», e sovente si passa dall’astratto al concreto parlando di Maria «ausiliatrice, soccorritrice, consolatrice, mediatrice, ecc.». Optando per questa impostazione, il Vaticano Il ha fatto ricorso a quattro termini correlati: «avvocata, ausiliatrice, soccorritrice e mediatrice» (LG 62).

L’aiuto di Maria, inoltre, comprende tanto l’ambito dell’efficacia quanto il piano dell’esemplarità. Ella è assieme sostegno e luce, spinta a procedere nel doloroso cammino della santità e manifestazione eminente dei suoi caratteri concreti. La vita di Maria costituisce l’illustrazione esistenziale più grande della realtà della grazia cristiana, e risponde pienarnente agli interrogativi sull’esito della santità.

Sulla linea della scelta ecclesiologica del Vaticano II, ci sembra dunque che la prospettiva più promettente sia quella dell’antropologia, che vede nella Madonna la chiave di lettura dei valori della chiesa e dell’uomo.

In sostanza, per ciascuno dei privilegi di Maria si fa luce una parallela proprietà del cristiano che ne riproduce i contenuti, sia pure a livello inferiore, traendo sostanza da esso. E questo significa che la Madonna verifica un principio strutturale ecclesiologico che potremmo chiamare dell’eminenza nella comunanza, da formulare più o meno così: nella chiesa tutti hanno tutto, ma ciascuno possiede i suoi valori a modo proprio; e per ogni valore esiste un apice (singola persona o gruppo) che invera quel valore in forma eminente, a beneficio di tutti. Nel caso: se nella chiesa tutti posseggono i contenuti sostanziali delle proprietà di Maria, ognuno li realizza a modo proprio; ed esiste un vertice, precisamente lei, che attua quelle proprietà nella modalità di una pienezza che arreca vantaggio a tutti.

Maria dunque è più di noi quello che noi siamo, a nostro servizio. Ella si impone non semplicemente alla ammirazione ma alla feconda imitazione. E la ragione che la fa madre e sorella, capofila dei molti fratelli della comunità umana in cammino verso Dio, sotto la guida dello Spirito di Gesù.

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Maria nella fede e nella vita della
Chiesa

Maria oltre il devozionismo

di Giorgio Gozzelino


La liturgia della chiesa mette sulle labbra degli angeli che accolgono Maria in cielo una domanda piena di ammirazione: «Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati?» (Ct 6,10).

Anche noi ci poniamo questa domanda, ma tendiamo a modularla in modo diverso. Segnati dalla prevalenza dell’interesse per l’utile e il conveniente, ci chiediamo prima di tutto due cose:

— quale importanza abbia la riflessione sul mistero di Maria per la comprensione della fede

— quale utilità possegga per l’attuazione concreta della fede nella vita

È la strada che intendiamo percorrere, desumendo la risposta da tre fonti di disuguale portata: una, negativa, consistente nel mettere a frutto le lezioni che provengono dalle contestazioni della dottrina e del culto mariano; e due, positive, derivate dalle indicazioni del Vaticano TI e dai preziosi suggerimenti contenuti nei dogmi mariani proposti dalla storia della tradizione cattolica.

I suggerimenti delle contestazioni

Parlando delle lezioni delle contestazioni non intendo riferirmi alle critiche ottuse o viscerali ma solo a quelle intelligenti.

Chiamo critiche ottuse le contestazioni che nascono dalla semplice ignoranza della dottrina della chiesa: quelle, per intenderci, che talora si costatano in preti che non hanno mai fatto uno studio serio della mariologia, né nei corsi istituzionali del seminario, né dopo.

Ritengo viscerali gli atteggiamenti fondamentalmente adolescenziali di chi rifiuta o disattende la teologia e il culto mariano per la sola ragione della loro scarsa compatibilità con i criteri di giudizio e di vita delle culture oggi dominanti. Non v’è dubbio che il vino forte del pensiero mariano non si contempera facilmente con i toni del pensiero debole proposto dal laicismo d’oggi.

Chiamo critiche intelligenti, invece, le riserve o i dinieghi avanzati da chi si oppone, non affatto per ignoranza o per la convinzione che il vero si identifichi con l’opinione prevalente del momento, bensì per ragioni teologiche precise, magari discutibili, ma comunque rigorose: come succede, ad esempio, nel contenzioso che separa il pensiero cattolico da quello delle altre confessioni cristiane.

Limitandoci all’area delle contestazioni motivate, prendiamo il pensiero protestante luterano.

A che cosa si debbono le difficoltà del pensiero riformato nei confronti del pensiero e della pratica cattolica riguardanti la Madonna? Certamente non ad una pregiudiziale antipatia per la Vergine di Nazaret, e neppure ad una scarsa sensibilità per l’importanza che la fede ha avuto nella sua vita. A cominciare da Lutero, la teologia evangelica non fa mistero della sua ammirazione per la santità di Maria, al punto da consentire a Giovanni Paolo Il di rallegrarsi del fatto che le comunità di occidente «convengano con la chiesa cattolica in punti fondamentali della fede cristiana anche per quanto concerne la vergine Maria» (RM 30).

Il contrasto nasce quando dall’ammirazione, aperta al riconoscimento di un eventuale ruolo di esemplarità nella chiesa, si passa alla supplica e all’affidamento, i quali suppongono la presenza di un’azione salvifica della Madonna a vantaggio dell’umanità. Qui infatti scattano inesorabilmente i meccanismi di difesa delle concezioni riguardanti punti nodali quali la dottrina della giustificazione (antropologia), l’idea di Dio (trattato su Dio), e l’interpretazione della missione della chiesa (ecclesiologia).

La qualifica mariana che suscita le più accese reazioni delle confessioni evangeliche, e di chi più o meno avvertitamente ne ha assunto le idee, non è tanto quella della verginità (per lo meno quando venga intesa, nella sua accezione più ampia, quale semplice sinonimo di amore e di disponibilità nei confronti di Dio) e neppure quella della maternità divina, bensì la proprietà di ausiliatrice, o anche - per dirla con il concilio - di avvocata, soccorritrice, “mediatrice” (LG 62). Perché essa suppone e propone una concezione antropologica, teologica ed ecclesiologica quasi antitetica a quella luterana.

Quale che sia la valutazione da dare alla contestazione di questi fratelli separati, bisogna riconoscerle il merito dell’impartire una lezione irrinunciabile: la mariologia implica e porta al limite le questioni essenziali del rapporto della creatura con il creatore; lungi dall’essere un discorso di appendice, essa rappresenta un pettine in cui si incagliano impietosamente i nodi dei più importanti problemi della fede.

La dottrina luterana della giustificazione è obbligata a proporre l’idea di un Dio che anziché coinvolgere l’uomo nell’opera della propria autenticazione e costruzione, gli impone il ruolo di un oggetto immoto, tanto più genuino quanto più inerte; di un Dio, dunque, che non promuove ma accantona.

E toglie alla santa chiesa di Dio la possibilità di essere vera ecclesia congregans, segno efficace di grazia, madre feconda di vita spirituale, per conservarle solo la qualità di ecclesia congregata, frutto felice dell’opera esclusiva di Dio in Cristo. Le mediazioni cadono.

Ebbene, la mariologia cattolica fa esattamente l’opposto. Come hanno ripetuto i maestri stessi del pensiero riformato, essa addita in Maria l’attestazione fattuale del coinvolgimento dell’umano creaturale nell’opera divina del creatore. Per ciò stesso mette in discussione l’intero impianto della teologia luterana.

Il contenzioso tuttora in atto con i nostri fratelli separati conferma con singolare chiarezza la dichiarazione del Vaticano II per il quale la dottrina mariana, ben lontana dal ridursi a un terreno di mero sentimentalismo, «riunisce in qualche modo e riverbera in sé i massimi dati della fede» (LO 65).

Le ragioni del concilio

La chiarificazione al negativo fin qui prospettata prepara ed esige l’approccio decisivo determinato dalla lettura autentica delle Scritture compiuta dalla chiesa.

Sulla base della messe di testimonianze neotestamentarie su Maria, che senso e quale giustificazione posseggono, secondo la tradizione della chiesa, la riflessione e la devozione mariana?

Desumo la risposta dapprima dal capitolo VIII della Lumen gentium. II concilio dedica alla mariologia un capitolo intero della sua più importante costituzione dogmatica. E già una prova che non la ritiene affatto un dato marginale, bensì un elemento irrinunciabile dell’autointerpretazione della Chiesa.

Il concilio intitola il capitolo dedicato alla Madonna: “La beata vergine Maria, madre di Dio, nel mistero di Cristo e della chiesa”, definendo la sua identità entro un duplice riferimento: l’uno, primario, rivolto al Cristo; e l’altro, subordinato, rivolto alla chiesa. È un invito a mantenere ben fermo il legame della mariologia con la cristologia e con l’ecclesiologia.

Il concilio parla della Madonna all’interno della costituzione sulla chiesa e le dedica il capitolo che chiude la successione dei suoi temi. Per ciò stesso sottolinea l’appartenenza di Maria alla costituzione della chiesa e suggerisce (per il naturale rimando dell’ultimo capitolo al primo) che la specificità di Maria va considerata, anziché sul piano dell’istituzionale, su quello della santità.

La prima costatazione aiuta a prendere coscienza di un fatto capitale che tronca in radice ogni discussione sulla necessità della presenza di Maria nel pensiero teologico e nella pietà della chiesa: la Madonna non è una scelta dell’uomo, ma di Dio, non è un elemento di un progetto della creatura bensì una parte integrante del concreto disegno di Dio sul mondo; da accogliere come, quanto e perché si deve accogliere questo disegno stesso.

La seconda costatazione favorisce la percezione di un ulteriore motivo di accettazione del rapporto a Maria, di pari importanza del primo. Il riferimento a Cristo della Madonna è talmente profondo da entrare nella definizione non solo di Maria ma anche dello stesso Gesù. Il Verbo è infatti tale in rapporto al Padre e allo Spirito; ed è incarnato, precisamente in rapporto a Maria. In accordo con quanto le prime generazioni cristiane hanno immediatamente compreso e formulato nei simboli della fede, l’identità di Gesù, vero uomo che è infinitamente di più di un semplice uomo, si racchiude nella semplice dichiarazione che egli è «concepito di Spirito santo e nato da Maria vergine».

Per dirla in altri termini Gesù è assieme e indisgiungibilmente il filius Patris e il filius Mariae. Dunque, come e perché lo è Gesù, anche il cristiano deve essere egli pure vero figlio del Padre e vero figlio di Maria. Da questo punto di vista la vera devozione mariana rettifica esistenzialmente la ricorrente inclinazione a dividere il Cristo della fede (ossia della propria personale interpretazione) dal Gesù della storia, a costruirsi un’immagine arbitraria e ideologica del Signore che reinventa ogni volta da capo il cristianesimo facendo leva sul fatuo principio del “secondo me” (secondo me, il Cristo è questo o quest’altro).

La terza costatazione, infine, ci obbliga a concludere che l’accettazione della chiesa comporta per forza di cose l’accettazione anche di Maria, e viceversa. L’una rimanda all’altra con tale verità che il disattendere l’una significa compromettere al contempo la vitalità dell’altra.


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