Maria Vergine e Madre di Dio
Verginità e maternità di Maria sono un depositum fidei registrato nei simboli, le formule del credo, che indelebilmente le collegano con il Cristo. Verginità e maternità sono inscindibilmente connesse. La ragione che concreta e avvince maternità e verginità è il cristocentrismo: Cristo le avvalora, senzadi lui né l’una né l’altra sarebbero sussistite anche se una donna di nome Maria fosse esistita.
Un dogma non proclamato
verginità di Maria l’assenza di proclamazione dogmatica da parte del magistero solenne. Mai è stata impegnata l’infallibilità di concili né di papi. Solo il magistero ordinario si è pronunciato a favore della formulazione di Maria sempre vergine; ha insistito nella Catechesi sulla verginità perpetua della madre di Cristo.
L’omologazione dogmatica scaturisce dal sensus fidelium, ossia il consenso ecclesiale costante (semper), universale (ubique), generale (ab omnibus) di pastori e fedeli. Si tratta dell’applicazione del criterio di verità non statistico ma qualitativo, non culturale ma pneumatologico, non sociologico ma ecclesiale, formulato dal monaco Vincenzo di Lerino (+450 ca) e riaffermate dal Vaticano II (LG 12).
Questo principio di autorità per l’affermazione d’una verità etica o teologica è affascinante. Scaturisce dalla garanzia di Gesù che lo Spirito introduce la chiesa popolo di Dio alla conoscenza della verità intera (Gv 16,25). L’assenso è guidato dallo Spirito, indenne da pilotaggi e manipolazioni, costrizioni e facilonerie, opportunismi di segni opposti. Anche la difficoltosa e problematica verità della perpetua verginità di Maria è garantita dalla tradizione.
La teologia dotta ha precisato la verginità di Maria nel segno dell’integrità biofisiologica sessuale femminile, insistendo sulla formula schematica di virginitas ante partu, post partum . Dicitura piana, chiara, semplice. Sennonché il pregio lessicale non è in grado di snodare tutti i grovigli, segnatamente gli interrogativi legittimi avanzati da cultura e sensibilità attuali. La tradizione popolare o ecclesiale ha tacitamente e continuativamente accettato quella definizione scultorea della teologia. La sente vera agli alti, o profondi, livelli di percezione, ispirazione, nostalgia: la verissima logica della fede, la condivisione dell’esperienza mariana che nulla è impossibile a Dio. Tuttavia, la logica della ragione e dell’esperienza storica hanno legittime attese cui dare tranquillità.
Il messaggio delle Scritture
Interrogando la Bibbia, territorio di verità, l’indagatore ritorna con sorprese e certezze, scoperte negli angusti circuiti della verginità. La verginità è un momento della verità dogmatica, completata dalla maternità. La due situazioni sono inconciliabili nell’esperienza storica universale e nella logica della razionalità.
La Bibbia situa il proprio messaggio entro questi argini. Esalta con sommo onore la maternità (e la paternità); riconosce via via il valore della verginità. La verginità nella mens biblica consiste nell’assenza di sponsalità e di maternità, evidenziata con l’astinenza dalle potenzialità sessuali e con il segno dell’integrità femminile (rarissima è l’attenzione della verginità maschile dentro e fuori la Bibbia).
Il Nuovo Testamento situa il messaggio sulla verginità nell’orbita dei carismi, dono dello Spirito per il regno di Dio, ossia per la costruzione di esso (dimensione ecclesiale) e per il raggiungimento di esso (dimensione escatologica individuale).
La possibilità di capire e restare nella verginità è assodata. Motivazioni intuibili sono i magnalia Dei, ai quali le Scritture fanno saggio di libertà e fantasia, potenza e onnipotenza; sono l’azione dello Spirito e l’opzione personale di Cristo; sono la prossimità della parusia e la valenza di ascesi, nonché la significazione dello status sponsale della chiesa verso Cristo e non-sponsale nell’escatologia. Solo Gesù (Mt 19,12) e Paolo (lCor7 passim) esplicitano il valore di una motivata opzione verso la verginità come stato esistenziale permanente. Anche il Nuovo, come l’Antico Testamento, apprezza situazioni contigue alla verginità ma non identiche, come la castità o la continenza e rettitudini analoghe.
I vangeli dell’infanzia, appena, narrano la verginità di Maria, interpretando anche pericopi veterotestamentarie (in Mt 1,22-23 su Is 7,14; in Mt 2,2 su Mi 5,1 e poi contesto). La condivisa esegesi attuale ha rimosso gli ostacoli culturali e lessicali nei confronti d’una verginità perpetua da parte di Maria.
Le citazioni bibliche, nemmeno quelle più esplicite, sono però apodittiche: costituiscono un supporto alla fede nella verginità perpetua, non interrotta dall’autentica maternità. La Bibbia dice che la verginità perpetua della madre di Cristo non contraddice alcun proprio messaggio. La Bibbia illumina la singolare situazione di Maria vergine e madre per opera dello Spirito santo.
La parola della tradizione
La tradizione ecclesiale prende il volo da esplicito e implicito della Bibbia per affinare la fede nella verginità perpetua di Maria. La parola della tradizione è più evidente che non quella biblica sulla verginità prima, durante, dopo il parto. Più precisa di Paolo apostolo (GaI 4,4) è l’affermazione dei simboli di fede (dal sec. III) e dei padri primitivi. Cristo nacque veramente da una vergine, portato in grembo da Maria secondo il progetto di Dio (Ignazio +110); nessuno, tranne Cristo, fu generato da una vergine (Giustino, + 165). E via via tutti i padri, minori e maggiori, concordano sulla fede nella perpetua verginità della madre di cristo.
Le eresie cristologiche, le polemiche verso i cristiani, posizioni antifemministe e pessimiste verso la sessualità provocano reazioni difensive anche della verginità mariana. La letteratura apocrifa sbriglia la fantasia per raccontare, perfino con sorprendente realismo (protovangelo di Giacomo, sec. Il), l’incredibile maternità verginale di Maria; perfino per ipotizzare un voto di castità da parte della fanciulla nazarena, retrodatando sensibilità monastiche e ascetiche.
L’arte a poco è riuscita per figurare l’indicibile intima situazione verginale di Maria: giusto la poesia l’ha cantata. La mistica ha contemplato il dono verginale tentando di dire l’ineffabile. L’ascetica ha instradato verso un’ispirazione obliqua rispetto alla verginità, ossia su itinerari di castità, di purezza, di costruzione d’una personalità «verginale», d’inseguimento di nostalgie, di forzati avvicinamenti tra immacolata e vergine.
L’eucologia non ha prodotto né riti né celebrazioni peculiari intorno alla verginità (a differenza delle altre realtà mariane); nemmeno le proposte liturgiche attuali (compreso il messale mariano 1987) isolano una memoria della verginità: essa entra come appellativo pressoché immancabile vicino alle denominazioni di Maria o di madre.
Teologi, magistero e concili
I teologi fanno coro e tramandano la posizione acquisita in abbondanza crescente da sparse enunciazioni a omelie occasionali, dal commenti biblici ai trattati tematici. Vieppiù cari chi ed entusiastici, chi porta un raggio di novità esplicativa, chi racimola precedenti posizioni favorevoli e soluzioni di obiezioni, chi sciorina stravaganze e futilità ed effimeri, chi accentua significati mistici, chi indaga su crudi dati fisiologici (tanto che nel 1961) il S. Uffizio inibisce la continuazione della ricerca di spiegazioni a livello ginecologico).
In ambito della teologia dotta la tendenza attuale è il diniego (prevalenza dell’obiezione secolare protestante), motivato su basi antropologiche (irrilevanza del tema rispetto alla gravità di problematiche sociali, diminuzione di verità della maternità, allontanamento da verace umanità...). Nell’angolo della teologia cattolica la verginità perpetua di Maria pare ovattata in obliosa distanza, in rispettoso disinteresse, in meccanica ripetizione d’una formula. La mentalità popolare corrente preferisce lasciar perdere, non impegnarsi, propende per il diniego pressappochista, il mantenimento verbale come esclamazione o come tradizione di preghiera.
Il magistero esce allo scoperto come tale già nei primi secoli, ma mai con intenti espliciti di definizione dogmatica, cioè di insegnamento ex cathedra. Papa Siricio, nella lettera al vescovo di Tessalonica (392), difende ufficialmente la verginità di Maria adducendo argomenti di convenienza con la funzione di madre di Cristo. Leone Magno nel natale 449 esalta l’”inviolata verginità di Maria”. Su contenuti e forme analoghe si attesta il magistero successivo fino all’attuale, generoso in ammirazione anche della verginità di Maria.
I concili affermano volentieri e con decisione la perpetua verginità di Maria, ma la recepiscono e la tramandano come patrimonio acquisito. I grandi concili cristologici come Efeso (431), Calcedonia (451), Costantinopoli (553) conoscono, ripetono, spiegano la verginità equivalente a maternità per opera dello Spinto santo. Il concilio non ecumenico Lateranense del 649 afferma la perpetua verginità e condanna come «anatema» chiunque la nega. Papa Martino (649-653) in concilio e in circolari ai vescovi d’oriente e d’occidente chiede a tutti l’accettazione di quella «pia definizione della fede ortodossa». Si tratta di alto magistero ma non solenne e quindi non fu pronunciamento dogmatico.
Il Vaticano Il enuclea la dottrina mariologica tradizionale e perciò riafferma la verginità di Maria. Tuttavia non utilizza in proprio la formula recepita «sempre vergine» (solo citazioni dal canone romano e di contesti dei «fratelli separati»: LG 52.69). Il concilio apre la lungimirante prospettiva tipologica: Maria icona della chiesa vergine e madre.
Verginità e maternità sono inscindibilmente connesse. Sono dono dello Spirito a Maria: sono proposta alla fede e all’ispirazione della chiesa. Il seguente intervento, oltre la panoramica storico-teologica, tenterà spiragli di lettura attualizzata di quell’evento mariano di perpetua verginità e autentica maternità, unità inseparabile personale, cristologica, ecclesiologica.
Luigi De Candido OSM