Formazione Religiosa

Sabato, 30 Giugno 2007 00:29

Maria nella fede e nella vita della Chiesa. Maria oltre il devozionismo (Giorgio Gozzelino)

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Maria nella fede e nella vita della
Chiesa

Maria oltre il devozionismo

di Giorgio Gozzelino


La liturgia della chiesa mette sulle labbra degli angeli che accolgono Maria in cielo una domanda piena di ammirazione: «Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati?» (Ct 6,10).

Anche noi ci poniamo questa domanda, ma tendiamo a modularla in modo diverso. Segnati dalla prevalenza dell’interesse per l’utile e il conveniente, ci chiediamo prima di tutto due cose:

— quale importanza abbia la riflessione sul mistero di Maria per la comprensione della fede

— quale utilità possegga per l’attuazione concreta della fede nella vita

È la strada che intendiamo percorrere, desumendo la risposta da tre fonti di disuguale portata: una, negativa, consistente nel mettere a frutto le lezioni che provengono dalle contestazioni della dottrina e del culto mariano; e due, positive, derivate dalle indicazioni del Vaticano TI e dai preziosi suggerimenti contenuti nei dogmi mariani proposti dalla storia della tradizione cattolica.

I suggerimenti delle contestazioni

Parlando delle lezioni delle contestazioni non intendo riferirmi alle critiche ottuse o viscerali ma solo a quelle intelligenti.

Chiamo critiche ottuse le contestazioni che nascono dalla semplice ignoranza della dottrina della chiesa: quelle, per intenderci, che talora si costatano in preti che non hanno mai fatto uno studio serio della mariologia, né nei corsi istituzionali del seminario, né dopo.

Ritengo viscerali gli atteggiamenti fondamentalmente adolescenziali di chi rifiuta o disattende la teologia e il culto mariano per la sola ragione della loro scarsa compatibilità con i criteri di giudizio e di vita delle culture oggi dominanti. Non v’è dubbio che il vino forte del pensiero mariano non si contempera facilmente con i toni del pensiero debole proposto dal laicismo d’oggi.

Chiamo critiche intelligenti, invece, le riserve o i dinieghi avanzati da chi si oppone, non affatto per ignoranza o per la convinzione che il vero si identifichi con l’opinione prevalente del momento, bensì per ragioni teologiche precise, magari discutibili, ma comunque rigorose: come succede, ad esempio, nel contenzioso che separa il pensiero cattolico da quello delle altre confessioni cristiane.

Limitandoci all’area delle contestazioni motivate, prendiamo il pensiero protestante luterano.

A che cosa si debbono le difficoltà del pensiero riformato nei confronti del pensiero e della pratica cattolica riguardanti la Madonna? Certamente non ad una pregiudiziale antipatia per la Vergine di Nazaret, e neppure ad una scarsa sensibilità per l’importanza che la fede ha avuto nella sua vita. A cominciare da Lutero, la teologia evangelica non fa mistero della sua ammirazione per la santità di Maria, al punto da consentire a Giovanni Paolo Il di rallegrarsi del fatto che le comunità di occidente «convengano con la chiesa cattolica in punti fondamentali della fede cristiana anche per quanto concerne la vergine Maria» (RM 30).

Il contrasto nasce quando dall’ammirazione, aperta al riconoscimento di un eventuale ruolo di esemplarità nella chiesa, si passa alla supplica e all’affidamento, i quali suppongono la presenza di un’azione salvifica della Madonna a vantaggio dell’umanità. Qui infatti scattano inesorabilmente i meccanismi di difesa delle concezioni riguardanti punti nodali quali la dottrina della giustificazione (antropologia), l’idea di Dio (trattato su Dio), e l’interpretazione della missione della chiesa (ecclesiologia).

La qualifica mariana che suscita le più accese reazioni delle confessioni evangeliche, e di chi più o meno avvertitamente ne ha assunto le idee, non è tanto quella della verginità (per lo meno quando venga intesa, nella sua accezione più ampia, quale semplice sinonimo di amore e di disponibilità nei confronti di Dio) e neppure quella della maternità divina, bensì la proprietà di ausiliatrice, o anche - per dirla con il concilio - di avvocata, soccorritrice, “mediatrice” (LG 62). Perché essa suppone e propone una concezione antropologica, teologica ed ecclesiologica quasi antitetica a quella luterana.

Quale che sia la valutazione da dare alla contestazione di questi fratelli separati, bisogna riconoscerle il merito dell’impartire una lezione irrinunciabile: la mariologia implica e porta al limite le questioni essenziali del rapporto della creatura con il creatore; lungi dall’essere un discorso di appendice, essa rappresenta un pettine in cui si incagliano impietosamente i nodi dei più importanti problemi della fede.

La dottrina luterana della giustificazione è obbligata a proporre l’idea di un Dio che anziché coinvolgere l’uomo nell’opera della propria autenticazione e costruzione, gli impone il ruolo di un oggetto immoto, tanto più genuino quanto più inerte; di un Dio, dunque, che non promuove ma accantona.

E toglie alla santa chiesa di Dio la possibilità di essere vera ecclesia congregans, segno efficace di grazia, madre feconda di vita spirituale, per conservarle solo la qualità di ecclesia congregata, frutto felice dell’opera esclusiva di Dio in Cristo. Le mediazioni cadono.

Ebbene, la mariologia cattolica fa esattamente l’opposto. Come hanno ripetuto i maestri stessi del pensiero riformato, essa addita in Maria l’attestazione fattuale del coinvolgimento dell’umano creaturale nell’opera divina del creatore. Per ciò stesso mette in discussione l’intero impianto della teologia luterana.

Il contenzioso tuttora in atto con i nostri fratelli separati conferma con singolare chiarezza la dichiarazione del Vaticano II per il quale la dottrina mariana, ben lontana dal ridursi a un terreno di mero sentimentalismo, «riunisce in qualche modo e riverbera in sé i massimi dati della fede» (LO 65).

Le ragioni del concilio

La chiarificazione al negativo fin qui prospettata prepara ed esige l’approccio decisivo determinato dalla lettura autentica delle Scritture compiuta dalla chiesa.

Sulla base della messe di testimonianze neotestamentarie su Maria, che senso e quale giustificazione posseggono, secondo la tradizione della chiesa, la riflessione e la devozione mariana?

Desumo la risposta dapprima dal capitolo VIII della Lumen gentium. II concilio dedica alla mariologia un capitolo intero della sua più importante costituzione dogmatica. E già una prova che non la ritiene affatto un dato marginale, bensì un elemento irrinunciabile dell’autointerpretazione della Chiesa.

Il concilio intitola il capitolo dedicato alla Madonna: “La beata vergine Maria, madre di Dio, nel mistero di Cristo e della chiesa”, definendo la sua identità entro un duplice riferimento: l’uno, primario, rivolto al Cristo; e l’altro, subordinato, rivolto alla chiesa. È un invito a mantenere ben fermo il legame della mariologia con la cristologia e con l’ecclesiologia.

Il concilio parla della Madonna all’interno della costituzione sulla chiesa e le dedica il capitolo che chiude la successione dei suoi temi. Per ciò stesso sottolinea l’appartenenza di Maria alla costituzione della chiesa e suggerisce (per il naturale rimando dell’ultimo capitolo al primo) che la specificità di Maria va considerata, anziché sul piano dell’istituzionale, su quello della santità.

La prima costatazione aiuta a prendere coscienza di un fatto capitale che tronca in radice ogni discussione sulla necessità della presenza di Maria nel pensiero teologico e nella pietà della chiesa: la Madonna non è una scelta dell’uomo, ma di Dio, non è un elemento di un progetto della creatura bensì una parte integrante del concreto disegno di Dio sul mondo; da accogliere come, quanto e perché si deve accogliere questo disegno stesso.

La seconda costatazione favorisce la percezione di un ulteriore motivo di accettazione del rapporto a Maria, di pari importanza del primo. Il riferimento a Cristo della Madonna è talmente profondo da entrare nella definizione non solo di Maria ma anche dello stesso Gesù. Il Verbo è infatti tale in rapporto al Padre e allo Spirito; ed è incarnato, precisamente in rapporto a Maria. In accordo con quanto le prime generazioni cristiane hanno immediatamente compreso e formulato nei simboli della fede, l’identità di Gesù, vero uomo che è infinitamente di più di un semplice uomo, si racchiude nella semplice dichiarazione che egli è «concepito di Spirito santo e nato da Maria vergine».

Per dirla in altri termini Gesù è assieme e indisgiungibilmente il filius Patris e il filius Mariae. Dunque, come e perché lo è Gesù, anche il cristiano deve essere egli pure vero figlio del Padre e vero figlio di Maria. Da questo punto di vista la vera devozione mariana rettifica esistenzialmente la ricorrente inclinazione a dividere il Cristo della fede (ossia della propria personale interpretazione) dal Gesù della storia, a costruirsi un’immagine arbitraria e ideologica del Signore che reinventa ogni volta da capo il cristianesimo facendo leva sul fatuo principio del “secondo me” (secondo me, il Cristo è questo o quest’altro).

La terza costatazione, infine, ci obbliga a concludere che l’accettazione della chiesa comporta per forza di cose l’accettazione anche di Maria, e viceversa. L’una rimanda all’altra con tale verità che il disattendere l’una significa compromettere al contempo la vitalità dell’altra.


Letto 2468 volte Ultima modifica il Sabato, 29 Settembre 2007 01:00
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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