Formazione Religiosa

Sabato, 29 Settembre 2007 01:14

Maria interpella una fede adulta (Lilia Sebastiani)

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Molta gente nel rapporto con la beata Vergine cerca spesso più il sensazionale e il miracolistico che non un culto della madre di Gesù correttamente fondato sulla Bibbia e la sana tradizione della chiesa. Bisogna rifarsi a queste fonti se si vuole che questo culto si muova sicuro e sia teologicamente fondato.

 Mariologia tra passato e futuro

Molta gente nel rapporto con la beata Vergine cerca spesso più il sensazionale e il miracolistico che non un culto della madre di Gesù correttamente fondato sulla Bibbia e la sana tradizione della chiesa. Bisogna rifarsi a queste fonti se si vuole che questo culto si muova sicuro e sia teologicamente fondato.

Come cattolici, abbiamo alle spalle una tradizione mariologica e devozionale troppo rivolta a sottolineare in Maria gli aspetti di perfezione, potenza e quasi-divinità. Una tradizione che difficilmente poteva valorizzare, nel riflettere su di lei, l’aspetto considerato con più interesse dalla mariologia moderna: la sua crescita nello spirito, l’evoluzione della sua fede.

Secondo alcuni, il crescere, essendo una forma di “divenire”, mal si accorda con l’essere di una creatura perfetta. Perciò ammettere oscurità di comprensione, limiti umani, reazioni semplicemente umane in Maria era come sminuire la perfezione della madre di Cristo. Mentre si continuava a proporla come modello - un modello però irraggiungibile per definizione -, non si considerava che tenere Maria al di là di ogni relatività e debolezza umana impediva di sentirla realmente vicina (non si considerano qui le sdolcinate e inconsistenti “vicinanze” di ordine sentimental-devozionale), e quindi anche di assumerla come modello per la vita di fede.

UN DIFFICILE CAMMINO DI EVOLUZIONE

Da una mariologia fin troppo lussureggiante. dalle accensioni liriche dei predicatori (sontuose, stile Bossuet, o alla buona, stile parroco di campagna, da questo punto di vista non fa differenza). Dalle ”vite di Maria” che furono scritte con troppa disinvoltura tra ottocento e novecento, e che purtroppo costituivano per i devoti un pascolo spirituale ben più diffuso degli stessi vangeli, si generava la pre-convinzione di sapere tante cose su Maria; si dimenticava quanto poco in realtà si sapesse di lei in termini autentici, scritturistici. Nel nuovo Testamento le menzioni esplicite di Maria sono assai poche, se escludiamo i vangeli dell’infanzia, i quali hanno caratteristiche, interessi, storicità molto diversi rispetto al resto dei vangeli. Anzi. da una lettura “piana” dei vangeli - cioè non particolarmente approfondita in senso teologico e misterico, ma neppure filtrata attraverso le certezze previe della tradizione - può emergere l’impressione che sia stata associata alla vicenda di Gesù in modo abbastanza sporadico.

Molto più della sua è attestata la presenza di altre donne; soprattutto quella di Maria di Magdala. discepola di Gesù fin dai primi tempi e testimone della sua morte, sepoltura e risurrezione secondo tutti e quattro i vangeli (molto discordanti fra loro su quasi tutti i particolari della morte e risurrezione di Gesù, tranne questo).

In contrasto con le esaltazioni liriche ed estatiche di lei sorte nel corso dei secoli, non si può fare a meno di rilevare la grande sobrietà dei vangeli a suo riguardo, e anche il fatto che Gesù non esalta in alcun modo sua madre. Anzi, le poche parole di Gesù che i vangeli ricordano come riguardanti la madre o rivolte a lei, al di là della portata teologica o misterica che vi si può riconoscere, sembrano mosse da un’intenzione “relativizzante”.

Talvolta, secondo i nostri criteri moderni e il nostro stile, Gesù sembra perfino poco affettuoso, o comunque singolarmente sbrigativo. Questo è uno degli aspetti dei vangeli che maggiormente possono turbare, in un approccio moderno non filtrato dalla tradizione né biblicamente sostenuto. Infatti urta sia con l’immagine di Maria plasmata da secoli e secoli di devozione amorosa ed estatica. sia con i nostri più tradizionali parametri di figlio esemplare. In realtà, chi riesce a sintonizzarsi sufficientemente con lo spirito dei vangeli comprende subito che la questione non si pone in termini psicologico-affettivi, che agli evangelisti di solito interessano pochissimo, bensì su un piano teologico. E’ necessario assumere in modo serio il silenzio dei vangeli a riguardo di Maria, sia nella sua letteralità sia nel suo spessore misterico, evitando di colmare i vuoti con speculazioni gratuite e non disinteressate.

CHI É MIA MADRE?

Il vangelo secondo Marco. il più antico dei quattro, ricorda la madre di Gesù in due passi piuttosto problematici, soprattutto per il ruolo attribuito a Maria. che suonava poco onorifico agli esegeti tradizionali. Nel cap. 6, la gente di Nazaret ricorda la madre di Gesù (e i suoi fratelli e le sue sorelle) volendo intendere che si tratta di persone qualunque, tutt’altro che illustri. Vi è in precedenza un rapido accenno ai parenti di Gesù, che vorrebbero portarlo via perché pensano “è fuori di sé” (Mc 3,20-21; cf Gv 7,5); insomma, perché si sta esponendo troppo. Gesù, quando gli viene riferito “tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano”, risponde: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”, aggiungendo poi ’’... chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc 3,31-35; cf Mt 12,46-50; Lc 8,19-21).

Questa è probabilmente la più antica testimonianza che si riferisca a Maria. Secondo alcuni, invece, la più antica testimonianza mariana di tutto il NT si trova nell’epistola ai Galati (scritta forse attorno al 50 d. C.; secondo altri più tardi, intorno al 53-57): “… Quando venne la pienezza del tempo. Dio mandò il suo Figlio nato da donna, nato sotto la legge…” (Gal 4,4). Ma vi sono dubbi proprio sulla possibilità di considerare questa una testimonianza “mariana”. Vi sono esegeti secondo cui questo passo mostra la madre di Gesù intimamente connessa con il progetto di salvezza di Dio; ma altri affermano che l’espressione “nato da donna” sia da intendere nell’accezione generale, più o meno nel senso di “nato come noi tutti nasciamo”.

VANGELI DELL’INFANZIA E LUCA

(com’è noto, il vangelo di Marco e una seconda fonte chiamata dai biblisti fonte Q, che doveva essere una raccolta di detti di Gesù). sono diversissimi tra loro per caratteristiche teologiche e anche per quanto concerne l’attenzione alle figure femminili.

Nel vangelo dell’infanzia secondo Matteo (Mt 1-2). il racconto, organizzato in modo da mostrare in Gesù l’adempimento delle promesse veterotestamentarie, è interamente nella prospettiva di Giuseppe; è Giuseppe a ricevere l’annuncio di un angelo relativo alla nascita di Gesù, e di Maria vi è solo il nome.

Anche la genealogia con cui il primo vangelo si apre. e che nonostante l’aridità apparente risponde all’importante scopo di mostrare l’inserimento reale di Gesù nella storia della salvezza, è in sostanza la genealogia di Giuseppe, benché Giuseppe (secondo Matteo e secondo Luca) non abbia con Gesù una parentela di sangue. In questa genealogia compaiono anche cinque donne, accomunate dal fatto di essere tutte portatrici, in modo diverso. di una sfumatura di “irregolarità salvifica”, e l’ultima delle cinque è Maria “dalla quale è nato Gesù chiamato il Cristo” (Mt 1,16).

Invece il vangelo dell’infanzia secondo Luca (Lc 1-2) è condotto nella prospettiva di Maria ed è risultato fondamentale negli sviluppi successivi della mariologia e della devozione mariana. Oggi sappiamo che molti importanti passi evangelici sono stati a lungo travisati da questo punto di vista poiché li si è voluti intendere come riferiti a Maria, come fonte di informazioni su di lei, mentre al centro dell’attenzione dell’evangelista si trovano sempre la persona e la missione di Gesù. Maria ha questa collateralità di primo piano nel cap. 1 di Luca (racconti dell’annunciazione e della visita a Elisabetta) e nel cap. 2, con il racconto della nascita di Gesù e dell’adorazione dei pastori, della presentazione di Gesù al tempio e del suo ritrovamento nel tempio a dodici anni.

11,27-28: mentre Gesù parla, una donna in mezzo alla folla, trascinata dall’entusiasmo, esclama “beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!”, e Gesù risponde non tanto rettificando quanto dilatando la beatitudine: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”. Nel primo e nel secondo membro di questo passo, ci colpisce l’implicito riferimento alle parole di Elisabetta: “Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! (...) E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. Anche qui, Gesù si preoccupa di sottolineare la superiorità del rapporto discepolare rispetto ai legami di sangue.

Il terzo evangelista è senz’altro il più “mariano” dei quattro. Una piccola notazione statistica può essere significativa: all’interno del NT sono stati contati più o meno 152 versetti che parlano di Maria, o che presuppongono la sua presenza, o che in qualche modo vengono riferiti a lei; di questi. circa 90 appartengono a Luca. Uno solo si trova nel libro degli Atti (1,14), gli altri nel vangelo.

MARIA NEL VANGELO DI GIOVANNI

Il quarto vangelo ricorda Maria in due luoghi soltanto. ma si tratta di due menzioni estremamente importanti e significative.

Nel cap. 2 è raccontato il primo miracolo di Gesù (alle nozze di Cana). compiuto in seguito a un intervento di Maria tanto apparentemente semplice quanto misterioso, la cui portata precisa continua a sfuggirci. Gesù sembra disapprovare l’intervento materno o prenderne le distanze (“che c’è fra me e te, o donna?...” ); eppure agisce nel senso che Maria ha richiesto. E dal punto di vista di Maria e del suo ruolo nella vita del credente, l’espressione chiave dell’episodio è “fate quello che vi dirà”.

Nel cap. 19, la madre di Gesù viene ricordata sotto la croce, insieme alla “sorella” (da taluni identificata con Maria di Cleofa, da altri no). a Maria di Magdala e al discepolo amato. Si nota che qui Gesù non ha neppure una parola di addio o di arrivederci per sua madre o di conforto per il suo dolore: cose tutte di cui la nostra sensibilità moderna avverte il bisogno, ma che risultano secondarie nella prospettiva degli evangelisti: invece affida a lei il discepolo amato, e lei a lui, con ciò stabilendo per sempre un legame di appartenenza reciproca tra Maria e la comunità dei credenti.

E noto che soprattutto su Gv 19,16-28 si fonda la nozione teologica di Maria come “madre della chiesa”. anche se l’espressione è stata ufficializzata solo da Paolo VI durante il concilio.

Secondo il quarto evangelista. dunque. la madre di Gesù è presente alla crocifissione, e questa tesi è stata sempre prediletta dall’affettività dei credenti e dall’arte sacra; secondo i sinottici, invece, non vi era. Un silenzio non costituisce per sé argomento di esclusione. ma omettere la presenza della madre fra le altre donne sarebbe stranissimo; soprattutto poi da parte di un evangelista così attento alle figure femminili e alla madre di Gesù, quale è Luca.

E’ difficile pronunciarsi sul modo in cui storicamente andarono le cose, ma appare evidente che nel racconto giovanneo l’intenzione teologica predomina su quella storica, intesa in senso “cronistico”.

In entrambi gli episodi giovannei. Maria viene nominata dall’evangelista come “la madre di Gesù”, non con il suo nome proprio, e in tutt’e due i casi Gesù si rivolge a lei chiamandola non madre, ma donna. E’ sempre stato un piccolo enigma esegetico, ma di questo appellativo si può ipotizzare una duplice lettura, anche simultanea: su un piano personale- esistenziale. Gesù tende a relativizzare il ruolo di Maria come madre per valorizzare invece la sua fisionomia di discepola come forse ha fatto costantemente nell’arco della sua vita terrena: su un piano più teologico, qui Maria viene associata intimamente alla comunità di quelli che crederanno in suo figlio e diviene simbolicamente, come la prima donna creata da Dio, tramite di una nuova creazione e madre dei viventi.

La stessa idea risulta dal capitolo iniziale del libro degli Atti, in cui si dice che gli apostoli “erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù. e con i fratelli di lui” (At 1.14). Nella visione “ecclesializzante” di Maria possiamo far rientrare anche l’identificazione con lei della mulier amicta sole dell’Apocalisse (Ap 12,1-6), che in senso proprio è una personificazione della chiesa minacciata, ma è entrata nella tradizione e nella liturgia mariana.

SPUNTI DI RIFLESSIONE SUL CULTO DI MARIA

Agli inizi della chiesa il culto di Maria non appare ancora così sviluppato come lo sarà in seguito, e lo dimostra fra l’altro l’estrema sobrietà degli scritti del NT a suo riguardo, come già si è detto. Anche nei secoli successivi il suo culto, pur affermandosi notevolmente, come è documentato sia dall’eucologia sia dagli scritti dei padri (e anche dai vangeli apocrifi più tardivi, che spesso sembrano rispondere alla curiosità del popolo cristiano a riguardo della madre di Gesù), risulta complessivamente assai più contenuto di quanto apparirà fra tardo medioevo ed età moderna. Un grande rilievo storico viene attribuito generalmente al concilio di Efeso (431) che proclamò Maria “madre di Dio” (una definizione tra l’altro che oggi è stata notevolmente posta tra parentesi perché genera un comprensibile disagio nei teologi e in ogni credente consapevole), ma questo fatto forse appartiene alla storia delle controversie cristologiche dei primi secoli assai più che alla storia del culto mariano.

In occidente il secolo di massima espansione del culto di Maria è il XII. e il suo principale promotore è san Bernardo. Quindi l’intensificazione del culto mariano è contemporanea alla civiltà cortese e alle crociate, e queste coincidenze non sono prive di significato. E’ difficile sottrarsi all’impressione che attraverso i secoli spesso l’esaltazione di Maria e l’intensificazione del suo culto siano stati usati in funzione antifemminile, consapevolmente o no. Certo non può fare a meno di colpirci il fatto che alcuni fra i devoti più ardenti di Maria siano stati autentici nemici delle donne. Un esempio illustre è proprio il già ricordato Bernardo di Chiaravalle. Nell’esaltazione di Maria egli ha accenti amorosi fra mistici e trovadorici, ma quando si trova a parlare delle donne senza maiuscole lo fa con una durezza preconcetta che talvolta sconfina nel livore. La storia della mariologia fino a tempi recenti costituisce l’esaltazione del principio della sottomissione e della “ricettività”, insomma del più tipico stereotipo femminile, purificato da qualsiasi relazione con la femminilità sessuale.

MARIA VERGINE E MADRE

L’uso sottilmente svalutativo della devozione mariana ha luogo soprattutto quando Maria viene proposta come modello di comportamento “per le donne”. Questo processo mentale, in sé piuttosto vuoto e gratuito (perché la vita di Maria, il suo agire e quella che oggi si chiamerebbe la sua psicologia sono misteriosi per noi quanto il suo viso) è stato rivolto essenzialmente - lo sapesse oppure no chi lo metteva in atto - a ribadire nelle donne la coscienza della propria costituzionale irrimediabile inferiorità, e a rafforzare negli uomini la “cautela”, il sospetto previo nei confronti delle donne. L’esclusione delle donne dalla realtà sacra-superiore veniva legittimato. ma anche compensato, con il riferimento all’unica donna che meritasse amore e devozione senza riserve. Maria, la “vergine” e la “madre”, riassumeva in sé gli unici due tipi di femminilità accettabili per l’uomo di chiesa. Nell’essere vergine e madre insieme si esplicava la sua eccellenza, e proprio qui si delineava l’irrimediabile inferiorità di ogni donna rispetto a lei. Infatti le altre donne, per quanto irreprensibili e sante, devono scegliere: se vergini non sono madri, se madri non sono vergini. In Maria invece la verginità è feconda e la maternità è verginale. Questo è in assoluto il “privilegio” su cui maggiormente ha insistito la mariologia tradizionale e che più spesso appare nelle esaltazioni dei predicatori.

Ma questo privilegio era interamente frutto della grazia divina, era il risultato di un miracolo, e ciò rendeva improponibile per definizione l’esempio di Maria nei confronti delle donne comuni.

E’ oggi abbastanza chiaro che verginità e maternità sono essenzialmente simboli archetipi. prima di essere possibili opzioni di esistenza. E’ anche abbastanza chiaro che il valore di questi due stati o figure è essenzialmente spirituale-simbolico e che sarebbe assurdo oltre che profondamente riduttivo e quindi offensivo assumerli come “bivio” di scelta esistenziale per le donne storiche concrete. A parte il fatto che molte donne non sono né vergini né madri e anche queste hanno diritto alla considerazione, ridurre a due le possibilità di progettare se stesse e il proprio apporto restringe in modo inaccettabile l’infinito che caratterizza la persona umana nel piano di Dio. Inoltre verginità e maternità definiscono la donna solo in base al sesso e in relazione all’uomo, ignorando la sua specifica fisionomia di persona.

Anche l’uomo può essere vergine e può essere padre. ma, molto significativamente, nessuno penserebbe mai a definirlo nella sua intima essenza a partire da questi due possibili modi di essere.

Comincia a farsi evidente oggi nelle riflessioni dei biblisti, ma non era altrettanto chiara in passato, la consapevolezza che la verginità di Maria nel concepimento di Gesù ha significato e importanza teologica (nulla è impossibile a Dio). non morale. In passato l’interpretazione morale della verginità di Maria ha avuto invece il sopravvento - determinata dall’innegabile sessuofobia della chiesa, soprattutto in certi periodi -, e l’idea sottintesa era che sarebbe stato “sconveniente”, “meno santo”, “meno nobile” se la nascita di Gesù avesse avuto qualcosa a che fare con l’uso del matrimonio e del sesso, come quella di tutti gli altri uomini.

PER FEMINAM MORS PER FEMINAM VITA

Nelle omelie pasquali dei padri della chiesa nei primi secoli e nei commentari ai racconti della risurrezione torna spesso il tema del “per feminam mors per feminam vita”: come le parole di una donna (Eva, nel racconto di Gen 2 interpretato alla lettera) mediarono per il genere umano la “morte”, cioè il peccato, la trasgressione, così le parole di una donna mediarono la vita, il compimento della redenzione.

E interessante osservare che nei primi tempi la donna della vita non è la madre di Gesù, bensì Maria di Magdala , testimone della risurrezione secondo il racconto di tutti e quattro gli evangelisti. Dopo i primi secoli, però, questo tema viene riferito sempre più spesso e in modo sempre più esclusivo, alla madre di Gesù, e in particolare al suo assenso espresso nell’annunciazione; mentre progressivamente Maria di Magdala viene oscurata nella sua dimensione evangelica autentica di discepola , ed enfatizzata oltre ogni limite in quella immaginaria di prostituta penitente.

Maria madre di Gesù tende a concentrare in se stessa ogni possibile positività femminile.

Una positività eccelsa, senza ombre, pressoché divina (i teologi per la verità hanno sempre posto una certa attenzione, magari con accorti giochi di gradazioni e sfumature, a non divinizzare una creatura umana: invece mistici e devozione popolare talvolta smarrivano la distinzione), ma assolutamente ineguagliabile. In teoria, la “nuova Eva” offriva una possibilità di riscatto e di speranza per tutte le donne: in realtà; poteva anche funzionare in senso opposto, sopratutto nelle speculazioni moralistiche che si accumulavano sul dato teologico: Eva, debole e caduta, tentata e tentatrice, rappresentava tutte le donne, Maria nella sua perfezione senza ombre poteva rappresentare solo se stessa.

Celio Sedulio, in un suo lungo componimento in versi intitolato Carmen paschale. ha un distico molto significativo: Nec primam similem visa est, nec habere sequentem, / tu sola sine exemplo placuisti femina Christo (mai si vide nessuna simile a te né prima né dopo I unica fra le donne senza altro esempio sei piaciuta a Cristo).

BISOGNO DI UN DIVINO DAL VOLTO ANCHE FEMMINILE

Oggi, alla luce di conoscenze storiche e antropologiche che il tempo ha affinato, dobbiamo forse anche riconoscere che il culto cristiano della Theotòkos (= la madre di Dio), dal concilio di Efeso in poi. ha anche svolto una funzione positiva o comunque ha risposto a un bisogno umano autentico, nonostante tutte le ambiguità e le potenzialità idolatriche che vi si possono riconoscere.

A uno sguardo moderno rispettoso, ma consapevole. certi eccessi da parte della religiosità popolare e dei mistici non aiutano certo a meglio comprendere la fisionomia autentica di Maria di Nazaret (fisionomia che risultava, ancor più che sublimata, “scavalcata”); ma rivelano chiaramente il bisogno di avere un divino dai tratti anche femminili e materni. Cioè di smussare, per questa via, la rigidità angosciante di un Dio sovrano e giudice, pensato con caratteri di “potenza” esclusivamente maschili.

In un modo quasi interamente sottratto alla consapevolezza, il culto della vergine Maria ha contribuito a perpetuare una certa idea di femminilità associata al divino. Ha reagito, in modo affettivo simbolico, precosciente, contro quella maschilizzazione assoluta della trascendenza che era propria della tradizione ufficiale giudaica e cristiana. Gli effetti certo sono stati spuri e ambigui, e nessuno oggi potrebbe più negarlo. Il fenomeno in sé è però molto significativo ed eloquente e riserva forse altre scoperte interessanti, soprattutto a un approccio diversificato e multidisciplinare.

LA SVOLTA CONCILIARE

a) La difficile storia del documento mariologico

Anche per quanto riguarda la considerazione di Maria nella vita del popolo cristiano, il concilio ha segnato una svolta storica, non proprio dirompente. forse, ma fondamentale e non ignorabile; e anche a proposito di Maria si può osservare nei documenti conciliari (il più importante in assoluto è la costituzione dogmatica Lurnen gentium) una singolare duplicità di tono, sospesa fra tradizionalismo e innovazione.

i padri conciliari furono chiamati a votare sull’opportunità di unire o no lo schema mariano a quello de ecclesia. e la maggioranza (molto ristretta: 1.114 votanti su 2.193) si espresse a favore dell’unificazione.

La tensione, comprensibilmente, fu notevole. Il papa neoeletto, Paolo VI, cercò di accordare le due correnti conciliari fornendo alcuni orientamenti di fondo: inserire la trattazione mariana nel documento sulla chiesa, enunciare chiaramente la posizione privilegiata di Maria all’interno del popolo di Dio, infine indicare con la maggior chiarezza possibile il suo ruolo nella storia della salvezza (rinunciando tuttavia a parlare di mediazione e di corredenzione, come sarebbe stato desiderato da alcuni padri).

Inoltre espresse il proprio desiderio che a Maria venisse dato il titolo, comunque già abbastanza tradizionale se non ufficiale. di Mater ecclesiae.

b) Il cap. VIII della Lumen gentium

Il principale testo conciliare riguardante Maria è dunque il cap. VIII della costituzione dogmatica sulla chiesa Lumen gentium, promulgata il 21 novembre 1964. Questa parte. che reca il titolo “De beata Maria virgine Deipara in mysterio Christi et ecclesiae” (nn. 52-69), è quella conclusiva di LG, ma per molti aspetti potrebbe costituire quasi un documento a sé.

Il valore storico e teologico non è trascurabile, ma non è neppure trascurabile un certo carattere di compromesso, che si spiega facilmente considerando la genesi del documento e la necessità di accordare le correnti che numericamente quasi si equivalevano. Anche la metodologia soggiacente appare piuttosto composita. Sono comunque riconoscibili e correttamente utilizzati il criterio biblico, quello antropologico, quello ecumenico (in particolare è evitata la definizione, richiesta da molti. di Maria “mediatrice” o “corredentrice”, perché risultava inaccettabile per le chiese protestanti) e quello pastorale, che in seguito saranno ripresi e chiariti dall’esortazione Marialis cultus. Viene anche sottolineato che il concilio non intende proporre una dottrina esauriente su Maria né dirimere le questioni che i teologi non hanno ancora risolto (cf LG 54). Fitta di citazioni e di rimandi sia scritturistici sia patristici, la prima parte del cap. VIII presenta Maria all’economia della salvezza. Nella seconda parte. sempre fittamente sostenuta da rimandi a padri della chiesa, teologi medievali e correnti mariologiche contemporanee, si esamina il rapporto tra Maria e la chiesa. Nell’ultima parte, che è forse la più significativa dal punto di vista del rinnovamento (ma anche la meno compiuta e meno sostenuta da note), si parla del culto e degli aspetti che appare urgente riformare e purificare.

Anche se è molto apprezzabile la volontà di fondazione biblica del discorso, alla luce della scienza biblica moderna non si può più affermare che a Maria si riferiscano passi quali Gen 3,15 (“porrò inimicizia fra te e la donna ), in cui la donna è chiaramente Eva e la sua stirpe il genere umano tutto intero; né La profezia dell’Emmanuele (Is 7,14), in cui il bambino atteso è Ezechia figlio di Acaz e sua madre non è una “vergine” (betulah) bensì una “giovane donna” (‘almah). la sposa del re; e forse alla luce dell’esegesi moderna dei vangeli può anche apparire come un’affermazione nobile ma poco supportata scritturisticamente affermare che Maria “... serbò fedelmente la sua unione col figlio sino alla croce…soffrendo profondamente col suo unigenito e associandosi con animo materno al suo sacrificio, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata” (LG 58).

La notazione secondo cui Maria “avanzò nella peregrinazione della fede” (ib.) è stata ripresa e sviluppata in molti modi dalla migliore mariologia contemporanea.

Si ricorda che l’unico mediatore fra Dio e gli uomini è Gesù (n. 60) e che la “funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo”. Evitando l’impegnativo e discutibile termine di “corredentrice”, si parla invece di cooperazione alla redenzione (n. 61), e in genere di una funzione salvifica reale ma subordinata (62); cosa che potrebbe affermarsi in un certo senso anche per ogni discepolo o discepola di Cristo.

A proposito del culto, le esortazioni possono risultare fondamentali o generiche, contenere moltissimo o nulla, secondo il punto di vista e la mens soggiacente. Dopo aver raccomandato di tenere in grande stima (che significa? “non disprezzare” oppure “continuare a praticare”?) le pratiche e gli esercizi di pietà tradizionali, si raccomanda ai teologi e ai predicatori. con una sobrietà che risulta piuttosto enigmatica. di “astenersi con ogni cura da qualunque falsa esagerazione come pure da una eccessiva grettezza di spirito, nel considerare la singolare dignità della madre di Dio”.

Si raccomanda. cosa fondamentale, che il culto mariano sia cristocentrico, e si ricorda ai fedeli che “la vera devozione non consiste né in uno sterile e passeggero sentimentalismo, né in una certa qual vana credulità, bensì procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della madre di Dio e siamo spinti al filiale amore verso la Madre nostra e all’imitazione delle sue virtù”, il che potrebbe leggersi sia come critica agli eccessi devozionali, sia come loro ratifica in nome della vera fede (n. 67).

c) L’esortazione apostolica Marialis cultus

Il più importante frutto del concilio per quanto concerne la mariologia ufficiale della chiesa, giunta circa 10 anni dopo il Vaticano Il, è l’esortazione apostolica Marialis cultus di Paolo VI, pubblicata il 2 febbraio 1974. Il documento è molto ampio e evidentemente si propone anche di integrare la troppo rapida trattazione conciliare e di offrire le basi magisteriali per una mariologia rinnovata.

Una delle intuizioni più interessanti della MC è l’apertura simbolico-ecclesiale della figura di Maria; il culto di lei non più incentrato sui suoi privilegi, ovvero su ciò che maggiormente la distacca dalla comune umanità, bensì sull’intuizione del destino futuro di tutto intero il popolo di Dio.

Insomma nella MC. documento fondamentale nella fondazione della mariologia contemporanea, la tradizionale lettura ancillare di Maria arretra in favore di una lettura “discepolare”. La lettura ancillare, così chiamata dalla parola chiave della sua risposta all’annunciazione, “Ecce ancilla Domini”, sottolineava in lei, in modo quasi esclusivo, aspetti quali l’umiltà, l’obbedienza e il silenzio, oltre all’onnipresente verginità, e, quantunque nel suo essere “serva” risiedesse la sua gloria, il modello da lei rappresentato quando si applicava ad altre donne che non potevano vantare i suoi stessi divini privilegi, diventava subito svalutativo e oppressivo.

Un servo o una serva, nella considerazione tradizionale, possono essere buoni, utili, devoti, ma difficilmente ricoprono un ruolo di modello o di leader, difficilmente costituiscono una figura entusiasmante da seguire e da imitare. E’ vero che nella Scrittura i servi del Signore sono figure eroiche, primizie di un tempo nuovo (pensiamo al servo del Signore nel libro di Isaia, letto dai cristiani come anticipazione di Gesù stesso); ma quando la figura ancillare viene applicata a una donna, sembra indivisibile dal silenzio (inteso come rinuncia alla parola propria, autorevole), dal nascondimento (non-incisività nella vita sociale), dall’umiltà intesa come autosvalutazione.

Maria nella tradizione è stata anche intesa come modello di sapienza, ma in quanto “conservava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2.19.51).

Per una donna la sapienza non poteva essere altro che silenziosa meditazione, mentre per un uomo sarebbe stato logico abbinarla alla parola autorevole, alla parola che insegna.

La nuova visione di Maria ha come spunto evangelico soprattutto le parole di Elisabetta: “Beata colei che ha creduto”. Sì. Maria si è fidata di Dio. ma è una persona. Una vera persona umana, non un’astrazione teologica né un disincarnato modello edificante. Se la sua fede fosse stata intera e piena fin dal primo momento, accompagnata da una conoscenza perfetta del piano di Dio, non vi sarebbe stato nessun merito nel suo assenso e nessuna possibilità per i credenti di assumerla come modello.

Dalle poche testimonianze mariane dei vangeli. se considerate senza pregiudizi. risultano forse più numerosi i momenti di difficoltà a capire che i momenti di illuminazione e di gloria. La vicenda di fede di Maria è come la nostra: un cammino, una fede che diviene.

Benché alcuni aspetti della MC siano meno felici di altri (ad esempio, nell’introduzione si afferma che Dio “ha collocato nella sua famiglia - la chiesa -. come in ogni focolare domestico, la figura di donna, che nascostamente e in spirito di servizio veglia per essa”, e con ciò, senza nulla aggiungere a una retta comprensione di Maria, poeticamente si ribadisce il più tradizionale stereotipo femminile), l’insieme risulta abbastanza nuovo nello spirito del concilio Vaticano Il. In particolare si preoccupa di situare liturgicamente il culto mariano. prima tendente a fiorire per proprio conto in un ambito, nel migliore dei casi paraliturgico se non consuetudinario-superstizioso.

Maria viene indicata come “la vergine in ascolto” (n. 17). “la vergine in preghiera” (n. 8), “la vergine madre” (n. 19), “la vergine offerente” (n. 20). e come maestra di vita spirituale per i singoli cristiani.

E’ particolarmente importante il richiamo alla nota trinitaria, cristologica ed ecclesiale del culto alla Vergine (n. 25) e ai quattro orientamenti di fondo per il suo culto: biblico, liturgico, ecumenico, antropologico (n. 29), che aprono la strada agli studi successivi. Con un felice e suggestivo richiamo a Lc 11,17-28 (il passo. già ricordato, in cui all’esclamazione “Beato il seno che ti ha portato e le mammelle da cui hai preso il latte!”, viene contrapposto da Gesù ‘beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”), con l’intenzione di sottolineare che il culto di Maria non è fine a se stesso, e il suo scopo ultimo non è tanto di esaltare la madre di Gesù, ma piuttosto quello di aiutare i credenti a condurre un’esistenza sempre più degna della loro vocazione.

Nell’ultima parte (nn. 42-52) si forniscono dei chiarimenti sui due “pii esercizi” tradizionalissimi, cioè l’Angelus e soprattutto il rosario, raccomandandone la pratica ma anche una seria fondazione cristologica, quindi evangelica e storico-salvifica.

UN’OSSERVAZIONE CONCLUSIVA SULLA PREGHIERA MARIANA

Per molto tempo i cristiani hanno pregato Maria. Senza voler rinnegare per principio le grandi ricchezze di fede, di affetto e di umanità, di teologia e di poesia che sono state riversate nella preghiera mariana, il nostro tempo richiede forse una capacità di evoluzione ulteriore.

A un livello più alto del “pregare Maria” si trova il “pregare con Maria”. Questo secondo livello è anche più impegnativo in senso morale, perché significa considerarla non più modello astratto e irraggiungibile, dea madre esente da debolezze e relatività, impermeabile a tutto quanto è umano, solo astrattamente pietosa dei peccatori e dei sofferenti, ma sentirsi inseriti personalmente in un cammino di fede in cui Maria è modello ma anche compagna di strada. Nei secoli passati il fatto che fossero rivolte a Maria tante preghiere soprattutto di domanda (leggi “richiesta di grazie”, preghiera comunque umanissima e non disprezzabile, in quanto significa mettere dinanzi a Dio una situazione di bisogno) sottintendeva una certa “mancanza di confidenza” con Dio e una visione gerarchica che dalle realtà sociali sconfinava in quelle spirituali; chi ha bisogno di un favore da parte di qualcuno molto potente, ma anche molto temibile, ha maggiori possibilità di successo se gli fa inoltrare la richiesta da qualcuno che gode di credito presso di lui. Oggi noi sappiamo di non aver bisogno di intermediari in questo senso; che Dio è più vicino a noi di noi stessi, e che il Mediatore, inteso come colui che mette in comunicazione la natura umana e quella divina, è Gesù stesso e solo lui. Si può quindi recuperare in modo più corretto più profondo, pur nella rinuncia a certi orpelli di dubbia autenticità teologico-spirituale, il rapporto filiale e fraterno con la prima donna del NT, senza farne né una specie di dea madre né un’avvocata di difesa: Dio non è il nostro avversario in tribunale né il nostro giudice. e noi abbiamo lo Spirito che “intercede per noi”, ma nell’intimo della nostra natura umana.

Se non si ha troppo timore di mettere in discussione quanto è stato sacralizzato e considerato indiscutibile (spesso indebitamente) da secoli di prassi ecclesiale e di devozione popolare, si scopre che è possibile riconoscere a Maria una fisionomia più autentica e, per così dire, più autenticamente salvifica.

Anche nel culto di Maria che il nostro tempo richiede, come in tutti gli altri aspetti del vivere cristiano, le due coordinate fondamentali devono essere la fedeltà e la speranza. Ma anche questi due concetti fondamentali chiedono di essere riconsiderati. Di solito si pensa alla fedeltà come a qualcosa di rivolto al passato. alla speranza come a qualcosa che guardi il futuro. Ma in prospettiva teologica ed escatologica non è impossibile invertire la considerazione. La speranza deve entrare nel nostro modo di guardare al passato, la fedeltà non consiste nel fare ciò che si è sempre fatto, ma nel tenere dinanzi agli occhi l’altezza della nostra chiamata.

Lilia Sebastiani

 

Letto 3890 volte Ultima modifica il Domenica, 08 Dicembre 2013 07:55
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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