I Dossier

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Il valore pastorale del Messale di Paolo VI


di Rinaldo Falsini



Chiariti i motivi di principio sull’uso dei due messali, passiamo ad analizzare i contenuti pastorali.


L’uso contemporaneo dei due messali, di Giovanni XXIII del 1952 e di Paolo VI del 1970, ci permette di cogliere senza difficoltà non solo la differenza, ma la caratteristica tipica, cioè il valore pastorale del Messale del Concilio. Una caratteristica che va ben oltre la lingua latina - evita cioè di fatto il problema del linguaggio della Chiesa cattolica -, ma coinvolge l’impianto strutturale e la finalità dello strumento di preghiera.

Biofilia: un approccio etico
che lega economia ed ecologia

di Giannino Piana

Riscaldamento del pianeta, desertificazione, innalzamento dei mari e dei delta dei fiumi, riduzione dell’acqua, perdita sempre più consistente della biodiversità, sovrapopolazione e distruzione di risorse non rinnovabili sono alcuni dei fenomeni inquietanti che denunciano la grave situazione in cui versa oggi l’ambiente. La crisi ecologica ha raggiunto livelli drammatici e rapporti più recenti - da quello degli scienziati dell’Onu a quello dell’ultimo summit mondiale dei meteorologi tenutosi a Parigi la scorsa primavera - non mancano di avanzare previsioni fortemente allarmanti per un futuro ormai ravvicinato.

Alle colpe dell’Occidente, che continua a essere il maggiore responsabile dello sperpero di energie e dei processi di inquinamento, si assommano oggi quelle di alcuni Paesi in via di sviluppo - si pensi soltanto alla Cina e all’India- il cui modello di crescita economica tende a ricalcare le logiche occidentali. Lo stesso Protocollo di Kyoto - peraltro non sottoscritto dalla maggiore potenza mondiale, gli Usa, che è anche la prima responsabile dello spreco energetico attuale - presenta, a tale riguardo, alcuni lati deboli: mentre, infatti, chiede ai Paesi occidentali una riduzione del fabbisogno energetico secondo una percentuale proporzionale all’entità del loro consumo pro copite, non pone alcun limite ai Paesi in via di sviluppo, che rischiano, in tempi brevi anche a causa dell’enorme incremento della popolazione, di diventare i maggiori consumatori di risorse e i più grandi inquinatori. Al di là del dato oggettivo, sempre più allarmante per le enormi proporzioni assunte, a preoccupare è tuttavia soprattutto la scarsa reazione delle coscienze. La terra, che è la casa di tutti, è vissuta come la casa di nessuno. La crescita esponenziale dei consumi non è dettata soltanto dall’aumento della popolazione, ma dalla moltiplicazione dei bisogni, spesso semplicemente indotti dalla pressione sociale e destinati a incrementare la produzione di beni materiali, a scapito di quelli relazionali e spirituali che favoriscono il miglioramento qualitativo della vita; mentre, d’altro canto, si accentuano gli sprechi e le inutili dilapidazioni di energie vitali che rappresentano un prezioso patrimonio per il futuro.

Nonostante i giustificati allarmi degli scienziati, la crisi ambientale non sembra suscitare, nella stragrande maggioranza della popolazione, particolari sentimenti di paura: basti pensare che, mentre si accettano molti controlli alla libertà individuale, con una consistente riduzione della sfera della privacy - il terrorismo internazionale ha costretto, in questi anni, a moltiplicarli senza che questo abbia determinato forti reazioni nell’opinione pubblica - non sussiste di fatto alcun controllo sulla tecnica e sull’economia, che sono le principali responsabili degli attuali processi degenerativi in ambito ambientale. L’abitudine a vivere sempre più nell’artificiale non solo ci distanzia dalla natura, ma ci pone nell’impossibilità di percepirne il valore e pertanto di difenderla come un bene da proteggere con cura mediante l’utilizzo di tutti i mezzi disponibili.

In questo contesto diviene urgente l’elaborazione di una “nuova etica” - così la definisce E.O. Wilson, uno dei padri della sociobiologia, nel suo recente volume Il futuro della vita (Codice Edizioni, Milano 2006) - che adotti il paradigma della conservazione” come criterio di valutazione delle scelte, sia personali che sociali, fissando limiti precisi all’intervento dell’uomo sull’ambiente. Ciò comporta anzitutto che si cominci a calcolare la ricchezza di una nazione non basandosi esclusivamente sul Pil (prodotto interno lordo) ma considerando le condizioni della biosfera e dei costi che devono essere messi in conto se si intende preservarne l’identità anche per le generazioni future. A dover essere seriamente ripensato è qui il rapporto tra economia ed ecologia, collegando strettamente sviluppo produttivo e attenzione alle risorse disponibili e ai processi di inquinamento che mettono decisamente a repentaglio beni fondamentali per Io sviluppo della vita quali l’aria, l’acqua e la terra.

Ma questo non basta. È necessario soprattutto che cresca, nelle coscienze, la convinzione della necessità di dare vita a nuovi modelli comportamentali ispirati - come suggerisce o stesso Wilson - a una forma di biofilia, che si alimenti della percezione di essere parte della natura e sviluppi un’attitudine di rispetto e di cura nei suoi confronti. Solo a queste condizioni è infatti possibile vincere la pressione delle forze tecnoscientifiche, creando un argine consistente al loro dilagare e promuovendo, in positivo, un rapporto di comunione vitale con l’ambiente, tale da concorrere alla sua piena valorizzazione.

(da Jesus, gennaio 2008)

Lunedì, 09 Giugno 2008 23:35

Punire (Faustino Ferrari)

L’ufficiale uncinato m’insegue ogni notte fin dentro il baratro dell’angoscia. Ed anche se gli pongo incessantemente la medesima domanda – Com’è stato possibile? – sghignazzando mi risponde che basta eseguire gli ordini.

Burundese, di etnia tutsi, Marguerite Barankitse, detta Maggie, è una figura di primo piano nella difesa dei diritti dei bambini e ragazzi, emarginati per vari motivi dalla società, e per il suo indomabile e coraggioso impegno a favore della pace e riconciliazione.

L’inesauribile creatività dello Spirito

Carismi antichi e nuovi per una Chiesa "bella”

di Fabio Ciardi


Dall’inizio del secolo scorso, ma soprattutto dopo il Concilio, hanno cominciato a sorgere nuove fondazioni con caratteristiche spesso completamente diverse da quelle tradizionali. Esse nascono da un comune vasto movimento di ritorno alle fonti (bibliche, liturgiche, patristiche, ecumeniche) e da esperienze di ecumenismo pratico.

«Lo Spirito, che in tempi diversi ha suscitato numerose forme di vita consacrata, non cessa di assistere la Chiesa, sia alimentando negli Istituti già esistenti l’impegno del rinnovamento nella fedeltà al carisma originario, sia distribuendo nuovi carismi a uomini e donne del nostro tempo, perché diano vita a istituzioni rispondenti alle sfide di oggi. Segno di questo intervento divino sono le cosiddette nuove Fondazioni, con caratteri in qualche modo originali rispetto a quelle tradizionali» (VC 62).

Nelle molteplici forme di vita evangelica nate lungo la storia della Chiesa lo Spirito sembra sbizzarrire la sua inesauribile creatività. Anche per i nostri tempi egli ci ha riservato nuove sorprese.

Le realtà del XX secolo

All’inizio del ‘900, a Vallendar in Germania, nasce l’Opera di Schönstatt, fondata da padre Kentenich per far presente in una società scristianizzata la vita evangelica secondo l’esempio di Maria, la prima cristiana. Nel 1921, la Legio Mariae, ispirata da un laico, Frank Duff, prende forma in Irlanda dilagando rapidamente nel mondo.

Le ceneri causate dalla seconda guerra mondiale si rivelano il suolo adatto sul quale fioriscono nuove spiritualità, come quella del Movimento dei Focolari che nel 1943 trascende il conflitto mondiale e le sue conseguenze per puntare sull’unità di tutti gli uomini. In Francia, le Equipes Notre-Dame, fin dal ‘39 offrono una spiritualità coniugale, una grande novità a quel tempo.

In Spagna nel 1949 l’esperienza dei Cursillos de cristiandad risveglia l’impegno cristiano attraverso un cammino comunitario. Agli anni ‘50, in Polonia, risalgono le origini del movimento Luce-Vita che supera il divieto fatto alla Chiesa di promuovere organizzazioni per la gioventù. In Ungheria, Regnurn Marianum aiuta la gente a sopravvivere alla violenza del sistema politico. In Italia, padre Lombardi fonda il Movimento per un Mondo Migliore. Contemporaneamente prende vita, con padre Rotondi, il Movimento Oasi per la formazione spirituale e apostolica.

Nell’ambiente universitario di Milano, nel 1954, il carismatico don Giussani è ispirato a dar vita a una iniziativa che sarà la matrice della futura Comunione e Liberazione. Durante il Concilio i Padri riconoscono che è avviata «una nuova stagione aggregativa dei fedeli laici». Col passare del tempo i protagonisti in prima linea per attuare la nuova visione della Chiesa conciliare sarebbero stati i nuovi movimenti, che negli anni post-conciliari prendono sempre più vigore.

Nel 1964, in Spagna, il giovane laico Kiko Argüello insieme a una giovane ragazza, Carmen Hernàndez, inizia un’esperienza di pastorale nuova per le parrocchie: è il Cammino neo-catecumenale. Nello stesso anno, a Trosly, nel nord della Francia, il canadese Jean Vanier realizza la prima comunità deIl’Arche dove le persone handicappate mentali e altri condividono la vita pienamente, vivendo e lavorando insieme.

Nel 1967, il Movimento carismatico, un fenomeno già presente da vari secoli nelle Chiese protestanti, espIode nella Chiesa cattolica negli Stati Uniti. Oggi tocca la vita di oltre 80 milioni di cattolici in tutto il mondo. Nel contesto delle rivolte studentesche del ‘68, germogliano i primi semi della Comunità di Sant’Egidio: leggendo il Vangelo, Andrea Riccardi e i suoi amici si sentono chiamati a vivere la Chiesa là dove c’è la violenza, l’emarginazione e la povertà.

Con l’avvento del sinodo sui laici del 1987, la Chiesa prende atto delle dimensioni mondiali e interculturali dei movimenti. Giovanni Paolo Il porta oltre 60 movimenti a celebrare la Pentecoste del 1998 insieme a lui, in un fine secolo testimonianza dell’unità nella diversità e nella ricchezza di carismi che lo Spirito Santo elargisce nella Chiesa alle soglie del terzo millennio. «Voi qui presenti siete la prova tangibile di questa effusione dello Spirito».

Le nuove forme

Assieme ai movimenti ecclesiali (quando non addirittura in seno agli stessi movimenti) fioriscono “nuove forme di vita consacrata” e “nuove comunità”. Possiamo ricordare la Tenda del Magnificat, la comunità Nôtre-Dame de l’Alliance, la Communauté de l’Emmanuel, la Fraternité de la Résurrection, la comunità Pain de Vie, la Comunità missionaria di Villaregia...

«L’originalità, delle nuove comunità», leggiamo in Vita consecrata 62, «consiste spesso nel fatto che si tratta di gruppi composti da uomini e donne, da chierici e laici, da coniugati e celibi, che seguono un particolare stile di vita, talvolta ispirato all’una o all’altra forma tradizionale o adattato alle esigenze della società di oggi».

Le caratteristiche di queste nuove esperienze di vita evangelica sono: una forte insistenza sulla vita comunitaria; l’ospitalità e l’accoglienza di quanti vogliono condividere la gioia della vita comune, della preghiera, del servizio; l’ecumenismo inteso come apertura alla grande tradizione cristiana così come viene espressa dalle differenti Chiese; la composizione mista di uomini e donne, che spesso comprende anche gli sposati con l’intera famiglia; la riscoperta dei valori della gioia e dell’amicizia.

Un tipo particolare di “nuove comunità” è quello di indole monastica. Pur scegliendo di appartenere all’ordo monasticus tradizionale, esse intendono realizzare un monachesimo nella Chiesa locale, senza alcuna esenzione canonica dall’autorità episcopale. Basterà accennare alla Comunità di Bose, che è diventata luogo di ispirazione per altre analoghe comunità, alla Comunità di Monteveglio, alla Comunità monastica di Gerusalemme...

Tra le caratteristiche di questo “nuovo monachesimo”, il forte ancoraggio alla Scrittura, il riferimento alle molteplici tradizioni monastiche antiche, comprese quelle orientali, una liturgia comprensibile a tutti, la sobrietà e la semplicità dello stile di vita, l’affiato ecumenico, l’accoglienza e la condivisione della vita con gli ospiti, la riscoperta della laicità e del lavoro...

Il grande “movimento”

Per capire le nuove forme di vita carismatica, evangelica e di consacrazione presenti oggi nella Chiesa occorre tuttavia tenere presente il più ampio ambiente ecclesiale in cui esse sono maturate e la sensibilità nuova venutasi a creare. Esse nascono infatti da un comune vasto “movimento” di ritorno alle fonti (movimento biblico, liturgico, patristico, ecumenico...) e di apertura al mondo contemporaneo che lo Spirito Santo ha impresso a tutta la Chiesa del nostro tempo. Esse sono il frutto di una nuova spiritualità, non più di minoranze, quasi elitistica (legata a ordini e congregazioni religiose) ma aperta a tutti (vocazione universale alla santità); una spiritualità comunitaria ed ecclesiale, subentrata a una spiritualità coltivata in funzione della propria relazione personale con Dio; una spiritualità della vita e dell’impegno nel mondo e nella storia come luogo della presenza e dell’amore di Dio.

Da qui derivano gli aspetti che caratterizzano le nuove esperienze ecclesiali, i movimenti in modo particolare:

1 - La laicità. Anche se nel loro seno vi sono persone consacrate, la maggior parte dei membri dei movimenti sono laici. Viene messa in evidenza soprattutto la consacrazione battesimale e il sacerdozio comune. Si è parlato in proposito di una “Pentecoste laica”.

2 - Nello stesso tempo si presentano come luogo d’incontro e di comunione tra tutte le vocazioni della Chiesa, quasi a ricreare un bozzetto di Chiesa. In esso convergono, almeno potenzialmente quando non praticamente, tutte le vocazioni del popolo di Dio.

3 - La varietà di vocazioni implica - ed è un’altra caratteristica - l’elasticità e la varietà nelle forme di appartenenza e di impegno. Essa è richiesta anche dalla grande diversità di situazioni in cui vivono i fedeli laici e in cui continuano a vivere quando aderiscono al movimento.

4 - La partecipazione attiva alla missione della Chiesa, sgorgante dalla vocazione battesimale, è riscoperta nella sua specificità: portare lo Spirito di Cristo in tutte le realtà sociali, politiche, economiche, culturali, una missione aperta a innumerevoli iniziative personali e comunitarie.

5 - La novità portata dai movimenti è infine data da una profonda carica spirituale, evangelica, comunionale che fa rivivere gli elementi della vita cristiana con insolita genuinità, freschezza e semplicità.

Siamo nell’alveo della grande tradizione della Chiesa, che ha visto sorgere nel suo seno sempre nuovi “movimenti” di spiritualità, di pensiero, di azione («La Chiesa stessa è un movimento», ha detto Giovanni Paolo Il). Nel medesimo tempo siamo davanti a qualcosa di nuovo, della novità dello Spirito. Carismi antichi e carismi nuovi chiamati a una comunione sempre più profonda perché la Chiesa possa splendere in tutta la sua bellezza e compiere la sua missione sacramentale di unità degli uomini tra loro e con Dio.

(da Vita Pastorale, aprile 2006)

Bibliografia

AA. VV., Movimenti ecclesiali contemporanei. Dimensioni storiche, teologico spirituali ed apostoliche, a cura di Favale A., LAS 1991, Roma; I movimenti nella Chiesa. Atti del Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali. Roma 27-29 maggio 1998, “Laici oggi” 1999; Castellano J., Carismi per il terzo millennio. I movimenti ecclesiali e le nuove comunità, Edizioni OCD 2001, Roma; Torcivia M., Guida alle nuove comunità monastiche italiane, Piemme 2001, Casale Monferrato; Favale A., Comunità nuove nella Chiesa, Messaggero 2003, Padova.

di Antonio Gentili

Dobbiamo renderci conto che nel cuore dell’uomo vive Dio. Non abbiamo dunque che da riconoscere e coltivare questa presenza, immanente e trascendente a un tempo.

I veri e più pericolosi ostacoli

Benedettine di S. Maria di Rosano

“È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo” (Mt 18,7).

Il prolungato discorso di Gesù riguardo all'accoglienza dei bambini, con l'esortazione ad acquistare il loro spirito di semplicità e d'innocenza per entrare nel regno dei cieli, prosegue severo sfociando su un tema particolarmente grave e purtroppo oggi più che mai attuale: lo scandalo.

La parola del Signore risuona con piena autorità, ma non nasconde l'accorata, profonda apprensione del Maestro, che sembra avvertire e prevedere il ripetersi senza fine, nella storia umana, di situazioni incresciose e spesso irreparabili, che, invece di favorire e sostenere la crescita della famiglia di Dio, creano difficoltà, fomentano angosce, dividono i cuori, disgregano le piccole e grandi comunità.

Scandalo equivale ad un pericolo, ad un ostacolo frapposto lungo il cammino dei fratelli e questo troppe volte per soddisfare il proprio piacere e soprattutto il proprio egoismo.

Il castigo stesso che Gesù propone per l'autore di uno scandalo – “Sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare" (Mt 18,6) non lascia dubbi sull'immane colpevolezza di chi osasse essere di scandalo ed esserlo soprattutto nei confronti di chi non ha sufficiente luce per intuire il male e la forza per superarlo. Infatti, un ostacolo diviene tanto più pericoloso se chi lo incontra è in condizione di limitate possibilità fisiche o morali per affrontarlo.

San Beda, volendo restare aderente al contesto del discorso di Gesù, sottolinea proprio questo aspetto e, dopo aver notato che l'avvertimento del Signore può riguardare tutti coloro che scandalizzano qualcuno, non esita a ritenere che tali parole possano essere state dette contro gli stessi apostoli, i quali discutendo tra loro su chi fosse il più grande, sembravano litigare per una questione di primato. "Se avessero insistito in questo errore, dice il santo, avrebbero potuto dare scandalo e perdere coloro che essi conducevano alla fede, poiché questi avrebbero visto gli apostoli troppo spesso in litigio per questioni di primato".

Poi il grande monaco offre anche una splendida precisazione, affermando che giustamente viene chiamato “piccolo" chi non può e non sa rifiutare e affrontare lo scandalo: “Chi è grande non viene mai meno nella fede, qualunque cosa abbia visto e qualunque violenza abbia subito. Per questo dobbiamo soprattutto aiutare coloro che sono piccoli nella fede, affinché non rimangano offesi per colpa nostra, non si allontanino dalla fede e non smarriscano così la salvezza". San Beda avverte in modo acutissimo l'incidenza, positiva o negativa, dell'esempio che spesso si dà a chi vive accanto a noi. La vita comunitaria è una scuola specializzata per affinare gli animi alle delicatezze, alla sollecitudine della carità, fino a prevenire ogni motivo di disagio ed a gareggiare nel rendersi onore, realtà di cui il capitolo 72 della Regola di S. Benedetto può considerarsi lo specchio luminoso.

Il Crisostomo invece, più che sul male fatto, porta la riflessione sullo squili­brio interiore che si crea in chi dà scandalo e provoca turbamenti o disagi nelle comuni relazioni. Egli cerca di convincere questo malato che può guarire, anche se. come afferma il Signore stesso, è inevitabile che gli scandali avvengano. 'E come se un medico dicesse: È inevitabile che tu sia colpito da questa malattia,ma non è affatto inevitabile che tu muoia, se ti curi'. Gli scandali risvegliano gli uomini, li rendono più circospetti e vigilanti, e non solo servono a chi vegli dili­gentemente su se stesso, ma anche a colui che è già caduto, in quanto lo spingono a rialzarsi prontamente, lo rendono più cauto e più difficilmente attaccabile". Nello stesso commento insiste: "Non darti pena di sapere e discutere qual è l'origine del male, ma, riconoscendo che proviene solo dalla tua negligenza, evitalo e fuggilo".

Riflettendo sull'amarissima parola del Signore, che sembra agghiacciare i no­stri cuori, poveri ma desiderosi di bontà, il grande vescovo aggiunge: "Il Maestro preannunzia che gli scandali purtroppo avverranno inevitabilmente, affinché non sorprendano nessun uomo tiepido e negligente. E accresce il nostro timore con l'aggiunta di paragoni e indica la via per cui possiamo fuggire gli scandali. Che via, che modo? Tronca ogni amicizia con i malvagi, anche se ti sono molto cari. Se noi spesso tagliamo le nostre membra quando sono ammalate incurabilmente e potrebbero recare danno anche alle altre, tanto più dovremmo fare ciò con gli amici, se essi ci corrompono".

(da Il sacro speco di S. Benedetto, 5, 2005, pp.98-99)
Sabato, 07 Giugno 2008 02:05

Chiamata dei dodici (Giovanni Vannucci)

Chiamata dei dodici

di Giovanni Vannucci



I dodici prescelti erano destinati ad apprendere direttamente dal Maestro l’insegnamento essenziale di una verità destinata a rinnovare il mondo.

Il primo di loro fu Simone, che Cristo chiamerà Cefa, Pietra. Pescatore dal cuore generoso e forte, guidato più dal sentimento impetuoso che dalla lucida ragione.

Di Andrea, suo fratello, sappiamo molto dalle leggende che si sono formate attorno al suo nome, ma la Scrittura non dice niente.

Giacomo, il fratello di Giovanni, è menzionato nei Vangeli, insieme a Pietro e Giovanni, come testimone della risurrezione della figlia di Giairo, della trasfigurazione e dell’agonia nel Giardino del Getsemani (Mc 5,37; 9,2; 14,33). Chiamato insieme a Giovanni col soprannome di Boanerges, figlio del tuono, forse per il carattere impetuoso e ardente. Negli Atti è ricordato il suo martirio per opera di Erode Agrippa, probabilmente l’anno 42 d.C. (At 12,2). Una tradizione che rimonta al secolo VII d.C. afferma che l’Apostolo annunciò il Vangelo in Spagna; il suo corpo sarebbe sepolto a Compostella.

Giovanni, il discepolo prediletto, colse l’aspetto segreto del Maestro che seguì con mente aperta e avida, con cuore fermo e fedele. È l’unico discepolo che seguì Cristo sul Calvario.

Filippo, folgorato dalla grazia (Gv 1,43), nell’Ultima Cena chiede a Cristo: «Signore, mostraci il Padre, e non avremo bisogno di altro» (Gv 14,8).

Bartolomeo è nelle liste dei dodici dei primi tre Vangeli; di lui nulla sappiamo. La tradizione posteriore del quarto secolo lo presenta come annunciatore del Vangelo in varie regioni dell’Asia minore; sarebbe morto martire nell’Armenia, scorticato vivo.

Tommaso lotterà tutta la lunga notte della vita con l’angelo del dubbio e ne meriterà all’alba la benedizione. Il suo compito fu di essere il documentatore della Risurrezione del Maestro, tanto più convinto quanto più restio a lasciarsi convincere (Gv 20,24-28).

Matteo, l’obbediente che abbandona i suoi traffici per seguire il Maestro (Mt 9, 9).

Giacomo figlio d’Alfeo, chiamato Giacomo il Minore, preposto alla Chiesa di Gerusalemme, fu sottoposto al martirio nell’anno 62 d.C. dalle autorità di Gerusalemme. A lui è attribuita la Lettera che porta il suo nome.

Taddeo, chiamato anche Giuda e Lebbeo, designato anche come fratello del Signore (Mt 13,55), e fratello di Giacomo il Minore (Lc 6,16). Alla Cena chiese a Gesù: «Signore, come mai ti sei rivelato a noi e non al mondo?». Il Maestro rispose: «Se uno mi ama, custodisce la mia parola, e il Padre mio l’amerà e verremo a lui e in lui dimoreremo» (Gv 14,22-23). A lui è attribuita l’ultima delle lettere cattoliche.

Simone il Cananeo, che vien tradotto «lo zelante».

Giuda, il più tragico di tutti gli Apostoli; il suo destino fu di consegnare il Maestro nelle mani dei suoi carnefici.

Ai dodici Gesù dà due direttive: «Non andate fra i Gentili e non entrate in nessuna città dei Samaritani» (Mt 10,5). Gli Apostoli, uomini di limitata cultura, non ancora saldi nell’assoluto della fede, sarebbero stati facilmente sconfitti nelle dispute che avrebbero incontrato presso gli abitanti di quelle terre. «Andate piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Annunciate che il Regno dei cieli è vicino. Sanate chi è ammalato, richiamate alla vita i morti, allontanate i demoni. Tutto ciò l’avete ricevuto in dono, datelo anche voi in dono» (Mt 10,6-8).

Indubbiamente Gesù ha dato qualcosa di suo ai dodici. Le forze che ha risvegliato in ciascuno di loro sono forze dell’anima, che Lui ha risvegliato con lo stesso suo potere, e che per giungere all’effettuazione richiedono uno stato di tensione continua, di vibrazione appassionata; per questo invia i dodici ai poveri, agli emarginati, a coloro che, non aspettando più nulla, sono pronti ad accogliere il miracoloso annunzio della venuta del Regno. Nelle classi ricche e colte, fra gente raffinata e istruita avrebbero risvegliato una curiosità più o meno benevola, ma nelle classi infime, fra i diseredati avrebbero risvegliato una sopita speranza di salvezza, di miracolo. Chi più degli smarriti, degli emarginati da Israele era pronto ad accogliere la novità della predicazione evangelica? Il potere ricevuto di compiere delle guarigioni, di liberare gli ossessi, di ridare fiducia ai peccatori, vien dato ai dodici, perché offrendolo alla povera gente, questa ritrovasse la fede, la fiducia, l’intensificazione della vita. «Questo potere l’avete ricevuto in dono, come dono non vostro offritelo. Non portate provvisioni di oro, d’argento, di rame nelle vostre cinture, né sacca per il viaggio, né due tuniche, ne calzari o bastoni da viaggio» (Mt 10,8-10).

«Chiamata dei Dodici», XIa domenica del tempo ordinario, Anno A; in Risveglio della coscienza, ed. CENS, Milano 1984, pp. 120-122.

GIM Pesaro

«Il Vangelo di Giovanni è molto chiaro: il sogno di Dio è quello di formare casa dentro la storia e Dio condivide il suo sogno in noi. La storia si trasfigura se noi facciamo gesti di familiarità e di casa come il perdono che può fermare il male».

Non ha dubbi Antonietta Potente: la sua affermazione suona così semplice eppure così straordinaria. È nata in Liguria nel 1958, ha vissuto gli anni della politica durante gli studi superiori, poi ha deciso repentinamente di entrare nell’unione delle suore Domenicane San Tommaso d’Aquino.

Ecumenismo pastorale

Un terreno d'incontro
su Bibbia e matrimonio

di Valdo Bertalot *

 

Le discussioni cattedratiche sull’ecumenismo sono e restano teoria, se non si calano nella realtà di tutti i giorni. Così è avvenuto in primo luogo a proposito della collaborazione nella traduzione e diffusione della Bibbia e poi per quanto riguarda a dichiarazione comune tra Chiesa cattolica, Valdesi e Metodisti circa il problema dei “matrimoni misti”.

Se oggi la Bibbia è considerata il testo ecumenico per eccellenza, nel secondo millennio ha rappresentato, soprattutto dal 1500, un elemento di divisione fra le Chiese per quanto riguarda il suo ruolo nelle Chiese stesse e nella testimonianza cristiana da rendere al mondo. Essa è divenuta parte dell’affermazione dell’identità confessionale, come per esempio nelle espressioni “Sola Scriptura”, “Bibbia e Magistero”. Ma nel XIX e XX secolo essa ha posto le basi del dialogo fra le Chiese, contribuendovi enormemente. Infatti, se molti affermano che il XX secolo è il secolo della Chiesa o meglio dell’ecumenismo, ciò è vero perché il XIX secolo è stato soprattutto il secolo della Bibbia.

Nel XIX secolo assistiamo a un profondo rinnovamento degli studi biblici, proseguito e sviluppatosi ulteriormente nel XX, che ha rivoluzionato il nostro approccio ai testi. La ricerca e l’applicazione di nuovi metodi di analisi letteraria, l’affermazione di nuove scienze come l’archeologia del Vicino Oriente antico e la linguistica hanno contribuito a delineare molto più precisamente il contesto storico, geografico e culturale della Bibbia. Tale impegno di ricerca ha visto progressivamente prima il convergere e poi la reciproca comunicazione e collaborazione da parte di studiosi appartenenti alle diverse confessioni cristiane. Dunque nel XIX secolo sono state poste storicamente le premesse per un incontro comune intorno allo studio della Bibbia: essa non era più solo un elemento di divisione, ma diveniva oggetto di una ricerca “scientifica” possibilmente condivisibile.

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