Ecumenismo protestante
Capitolo quarto
Sulla cattolicità del cattolicesimo
di Renzo Bertalot
Nel contesto di quanto abbiamo detto finora del protestantesimo italiano non rientra certamente la corrente di pensiero che si è sviluppata sulla direttiva del Prof. Vittorio Subilia docente della Facoltà Valdese di teologia. Le più forti contestazioni ai rapporti ecumenici con Roma trovano, nei suoi scritti, la loro motivazione e il loro orientamento. Ci soffermeremo ad esaminare un suo volume uscito recentemente, La Nuova Cattolicità del Cattolicesimo . (1)
Nel contesto di quanto abbiamo detto finora del protestantesimo italiano non rientra certamente la corrente di pensiero che si è sviluppata sulla direttiva del Prof. Vittorio Subilia docente della Facoltà Valdese di teologia. Le più forti contestazioni ai rapporti ecumenici con Roma trovano, nei suoi scritti, la loro motivazione e il loro orientamento. Ci soffermeremo ad esaminare un suo volume uscito recentemente, La . (1) Nel contesto di quanto abbiamo detto finora del protestantesimo italiano non rientra certamente la corrente di pensiero che si è sviluppata sulla direttiva del Prof. Vittorio Subilia docente della Facoltà Valdese di teologia. Le più forti contestazioni ai rapporti ecumenici con Roma trovano, nei suoi scritti, la loro motivazione e il loro orientamento. Ci soffermeremo ad esaminare un suo volume uscito recentemente, La . (1)
Faremo le nostre osservazioni come le possono fare i dissidenti, i dissidenti in famiglia, presi da un lato dal desiderio di passare oltre e dall'altro dal dovere di render ragione del proprio dissenso per motivi di vocazione. Vi sono, infatti, dei motivi teologici che non ci permettono di far nostra la prospettiva che il Subilia ha voluto dare all'attuale volto del cattolicesimo. Vi sono anche dei motivi non teologici in senso diretto, dei motivi che tengono presenti le esperienze del dialogo svoltosi fino ad oggi.
Questioni di forma
È noto che il Concilio Vaticano II ha impegnato l'attenzione ed il lavoro degli uomini significativi della teologia protestante deI nostro tempo. Citiamo tra gli altri: Lukas Vischer, Oscar Cullmann, Jean Bosc e, per quanto riguarda il protestantesimo italiano, Valdo Vinay. Ora, quello che colpisce a prima vista, nelle pagine del Subilia, è il giudizio severo che egli ritiene di dover pronunciare sul loro metodo di lavoro: «... riteniamo al di qua della più elementare possibilità di comprensione del cattolicesimo questo metodo interpretativo del fenomeno cattolico che si è largamente affermato in campo protestante in questi ultimi anni». (2) Queste indicazioni ritornano spesso, per cui il dissenso s'afferma nei confronti di Cullmann, dell'astrattezza di Vischer, delle indicazioni del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Gli esponenti della comunità di Taizé sono considerati “fuori del campo protestante”. Non è difficile trovar da ridire sulle posizioni della comunità di Taizé, (3) ma ciò non toglie che il giudizio di Subilia sia molto severo, fin tanto che il lavoro di questi uomini si svolge all'interno di una Chiesa Riformata. Non tocca certamente a noi per primi di tagliarli fuori dal mondo della Riforma.
A parte quest'ultimo caso, si ha l'impressione, leggendo Subilia, che la sua posizione sia sempre più unica, sia rispetto ai teologi citati, sia nei confronti delle organizzazioni ecumeniche.
Karl Barth è chiamato in causa, a difesa delle tesi della Nuova Cattolicità del Cattolicesimo, (4) ma non si può non notare che si citano i giudizi del teologo di Basilea anteriori al pontificato di Giovanni XXIII. Mancano, infatti, riferimenti chiari alle sue ultime pubblicazioni che trattano, appunto, del Concilio Vaticano II. (5) I lettori della rivista “Protestantesimo” ricordano che anche Karl Barth viene preso di mira per il suo modo di pronunciarsi sulle prospettive ecumeniche di Roma. “... ci pare che il giudizio di Barth... sia esageratamente positivo nel valutare la vitalità presente del cattolicesimo”. “... i giudizi espressi in queste pagine sembrano privi di prudenza critica e sanno per lo meno di prematuro”. (6)
Allo stesso modo si citano degli uomini che si son pronunciati criticamente sul cattolicesimo nel 1958, ancora nel clima del pontificato dì Pio XII. (7)
Un caso del tutto particolare è il riferimento a Gerhard Ebeling. Subilia ne richiama volentieri le critiche all'ermeneutica cattolica facendole sue. (8) Ora le osservazioni dello Ebeling si rifacevano ad un cattolicesimo anteriore alla Divino afflante Spiritu e, al momento della comparsa di quest'ultimo documento pontificio, lo stesso Ebeling sente il dovere di riesaminare buona parte delle sue posizioni nei confronti di Roma, citandola persino ad esempio, anche se per questo il protestantesimo non abbia a disarmare nei suoi confronti. (9)
Insomma, si tratta di un metodo di lavoro che lascia fortemente perplessi e che difficilmente, a causa delle scelte fatte, incoraggia a non pensare che si tratti di una pregiudiziale alle tesi stesse del libro.
Non si tratta soltanto dì citazione, ma anche del modo d'interpretazione delle posizioni altrui. Notiamo, per esempio, che vien fatta due volte menzione di un in-nominato “giovane amico dal sorprendente intuito spirituale” (10) il quale sembra essere all'origine dì alcune scelte che chiarificano sì la posizione dell'autore, ma che non tendono giustizia al lavoro ecumenico. Pur ammettendo che nella nostra epoca, a causa del rinnovamento verso l'unità della Chiesa, si sia particolarmente sensibili alla portata del termine biblico Emanuele, Dio con noi, che ci ricorda la venuta del Signore in mezzo al suo popolo, non per questo ci sembra lecito tradurlo con il Gott mit uns di infausta e hitleriana memoria. (11) Così ancora la relativizzazione degli strumenti di lavoro, che sta dietro ai discorsi del “giovane amico”, non può essere incautamente intesa come una relativizzazione della fede, dono di Dio, o come una superficialità a carattere sincretistico. Si tratta, semmai, di relativizzare il nostro modo di ricevere il Cristo, non mai di relativizzare il Cristo. Lo stesso Subilia sembra avvedersi, ad un dato momento, di queste cose, ma non si sofferma più a riprendere il suo “giovane amico”. (12)
Subilia si presenta come un uomo contro corrente, non certo in Italia, ma nei confronti del Movimento Ecumenico in generale e del protestantesimo in particolare. In forte contrasto con l'abbondanza dì citazioni, si nota la mancanza dì riferimenti alle dichiarazioni del Consiglio Ecumenico e dell’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate. Ora la scelta dei testi ha un carattere così marcatamente unilaterale che impressiona il lettore anche non abituato alla discussione teologica.
Se siamo perplessi non è certo perché uno non abbia il diritto dì lavorare contro corrente (abbiamo degli esempi abbondantissimi nelle pagine profetiche dell'Antico Testamento e nella storia della Chiesa), e non certo perché la nostra situazione dì diaspora protestante ci costringa ad essere molto cauti. Non contestiamo al Subilia il diritto di operare delle scelte anche se non condividiamo il modo di qualificate quelle degli altri “abbagli d'interpretazione”, “ingenuità acritica”. (13) Contestiamo, invece, il suo tipo di scelta. Quella del Subilia è, infatti, tendenzialmente una scelta malevola, che legge l'altro nella chiave peggiore e che non tien conto del suo poter e voler essere. E un errore grave dì metodo e di contenuto, ci avvertono gli studiosi contemporanei. (14)
Questioni sostanziali
A differenza di scritti precedenti, Subilia non riprende, in questo suo ultimo lavoro, le tesi di Käsemann a proposito dell'unità della Chiesa nel Nuovo Testamento. (15) Vi sono - si diceva - degli scritti secondari, come le Epistole Pastorali o l'Epistola di Giacomo, che hanno dirottato la Chiesa su linee marginali e che sono all'origine di teologie diverse tra cui quella del protocattolicesimo. La divisione della Chiesa non sarebbe indipendente da questa diversità di teologie e bisognerebbe pertanto essere molto fermi nel dare il primo posto al nucleo centrale dell'evangelo relegando in sottordine ciò che è secondario. Hans Küng nell'esaminare queste tesi ha rilevato che il protestantesimo si pone con esse di fronte all'alternativa: o mantenere il principio della Riforma: sola Scriptura, e con esso accettare gli elementi protocattolici che il testo biblico contiene, oppure rifiutare l'uno e gli altri. Nel secondo caso, però, il sola Scriptura diventerebbe evidentemente sola pars Scripturae, generando, a sua volta, una visione ecclesiologica come sola pars Ecclesiae. Küng commenta: “un desolante caos nella dottrina” ed “una progressiva scissione del protestantesimo”. (16)
Il pericolo grave inerente alle tesi del Käsemann consiste nel fatto che la decisione ecclesiastica, concernente il nucleo primario dell'evangelo, acquisti il carattere dì una norma normans nei confronti della scrittura scaduta a norma normata. Si assisterebbe così ad un rovesciamento totale delle posizioni tradizionali del protestantesimo. La norma ecclesiologica di Roma, comunque intesa, troverebbe il suo contrapposto in una norma ecclesiologica protestante, ossia in un criterio di scelta, tra gli scritti biblici, proposto da dottori in teologia. (17) Non a caso Visser't Hooft diceva in proposito: “Negare l'unità della Bibbia è negare la necessità dell'unità della Chiesa. Una Bibbia concepita come una collezione di scritti diversi di cristologia e di ecclesiologia non può essere il fondamento della nostra vocazione all'unità”. (18)
Il Käsemann, che aveva riscosso il favore del Subilia, non viene più citato ne La Nuova Cattolicità del Cattolicesimo. Bisognerà forse dedurne il superamento o l'abbandono. Quando, ad esempio, il Subilia propone la formula: “tutto l'Evangelo ma solo l'Evangelo”, (19) abbiamo nettamente la sensazione di un trapasso e, al contempo, dell'annuncio di un nuovo programma. Le indicazioni del Käsemann verrebbero a trovarsi, infatti, sotto il giudizio: tutto l'Evangelo, mentre il nuovo programma si prospetterebbe con l'insistenza su: solo l'Evangelo.
Veniamo dunque al solo Evangelo.
Il dissenso tra cattolicesimo e protestantesimo è ricondotto, dal Subilia, ad una varietà dì definizioni.
V'è la questione ecclesiologica, che, già in articoli apparsi sulla rivista “Protestantesimo”, era stata definita la radice del cattolicesimo, (20) l'abbandono dell'aut aut (esclusivo) a favore dell'et et e l'una cum (inclusivi), l'oggettività del divino, la scelta tra il tempo del silenzio ed il tempo della Parola, la confusione tra Cristo e la Chiesa, e l'alternativa Chiesa o Evangelo. (21) Diamo queste indicazioni a mero titolo esemplificativo, senza la pretesa di essere esaurienti.
Si può tuttavia tentare dì riassumere il discorso, senza tema di far torto all'autore, dicendo che oggi più che mai il cattolicesimo ha sostituito le formule protestanti: sola fede, sola Scrittura, solo Cristo, con quella prettamente cattolica: solo magistero. Subilia ritorna, nelle prime trecento pagine del suo scritto, su questo errore fondamentale del pensiero cattolico. Nella sua interpretazione dei documenti conciliati, la nuova cattolicità del cattolicesimo può essere ricondotta a questo punto cruciale, nonostante un linguaggio più moderno e più ricco di riferimenti biblici. Che il linguaggio fosse una mimetizzazione non è stato colto dal protestantesimo ufficiale. Esso infatti si è troppo facilmente abbandonato a considerazioni “acritiche” e sentimentali, lasciandosi abbagliare da una forma “aggiornata”, voluta appositamente per servire da esca e per facilitare l'assorbimento di tutto il cristianesimo nell'alveo del papato.
La contestazione di un simile stato di cose è certamente accorata e persistente.
Abbiamo detto che il discorso dì Subilia si prolunga così per ben trecento pagine. E infatti soltanto nelle due ultime che dobbiamo registrare una violenta virata di timone, la quale lascia disorientato il lettore che ha già posto l'occhio alla fine del volume. Egli scrive: “D'altra parte: il richiamo del protestante all'autorità della Scrittura non è più semplice come nel passato, ma si è rivestito di una problematica critica sconosciuta alle epoche precedenti: è irrealistico pensare ad un'interpretazione senza presupposti, il protestante non può più pretendere con troppa sicurezza o illudersi con troppa facilità che i suoi giudizi, anche se appaiono formalmente fondati sui testi scritturali, coincidano senz'altro con la Parola di Dio, nella coscienza che, pur rifiutando per principio la tradizione, la sua mentalità risente di tutta una tradizione interpretativa, di un contesto ecclesiastico, di una inquadratura culturale, filosofica e sociologica, che bisogna risottoporre continuamente dì nuovo a un confronto critico con l'Evangelo. Egli non può, come ha fatto troppo spesso nei secoli posteriori alla Riforma, contrapporre a una sicurezza autoritaria una sicurezza fondamentalistica o soggettivistica: l'oggettivazione biblicistica da parte protestante non ha maggiore validità dell'oggettivazione dogmatico-istituzionale da parte cattolica e la pretesa di disporre della rivelazione è infondata nei due casi. Il Protestantesimo non può quindi evitare di lasciarsi mettere in questione proprio da quella Chiesa di Roma che esso ha sempre criticato come antibiblica e che ora si serve dei suoi stessi strumenti per contestargli il suo fondamento biblico, non solo nel senso di operare una riduzione dell'Evangelo che ne impoverisce la pienezza, ma anche nel senso che gli aspetti considerati più sicuramente e indiscutibilmente biblici del suo messaggio, ridimensionati nel contesto dell'Evangelo, che è più ampio dei suoi loci dogmatici, assumono un significato che sposta il loro equilibrio e può modificare in parte il loro contenuto stesso. Prima di criticare e per aver l'autorità di farlo, è necessario essere critici verso le proprie convinzioni considerate più sicure e incontestabili e lasciarle mettere in movimento da quell'Evangelo che s'intende predicare agli altri”. (22)
È un peccato che questa bella pagina non costituisca la premessa fondamentale del libro e che i vari documenti del Concilio Vaticano II, con le relative critiche e valutazioni, non siano stati esaminati alla luce dì quest'ultime affermazioni. È un peccato che troppo tardi, all'ultima ora, ci venga offerto questo richiamo, valido per noi e per gli altri, a non cedere alle indicazioni oggettivizzanti e a non chiudersi alla possibilità che tutto assuma un aspetto nuovo e sostanzialmente evangelico. È un peccato perché questo discorso egli l'aveva avviato in Italia prima del Concilio. In fondo, Subilia ha insistito eccessivamente nel voler convincere se stesso e gli altri che esiste una sola prospettiva del cattolicesimo e nel voler provare la sua tesi con i dati di una storia ecclesiastica immobile nelle sue impalcature post-tridentine.
V'è un nostro modo di vedere la storia che non è condizionato dalle impostazioni cattoliche tradizionali. Anche se Roma si sentisse legata, nel suo modo di fare la storia, ad una linea dì continuità che va dall'implicazione all'esplicitazione, (23) noi non saremmo pertanto tenuti a pronunciare il nostro giudizio sul cattolicesimo servendoci dì quella stessa prospettiva. Evidentemente bisognerebbe tenerla presente come una componente per il nostro verdetto, ma senza arrenderci a tale testimonianza. Può darsi benissimo che, per esempio, dal punto di vista cattolico si senta l'esigenza di presentare in linea di continuità l'evolversi del problema della libertà religiosa. Può darsi che si cerchi dì esplicitate ciò che era implicito. Ma in una prospettiva non condizionata è possibile, se non addirittura doveroso, parlare dì un mutamento radicale dai tempi di Gregorio XVI. Allo stesso modo può darsi che certi studiosi desiderino presentare il decreto De Ecumenismo come un'esplicitazione della enciclica Mortalium animos di Pio XI, non per questo siamo tenuti come protestanti a prestarci al gioco. Può darsi che il cattolicesimo venga a trovarsi, obtorto collo, (24) a dover vivere una pagina inattesa di storia, ma certamente lo storico protestante non è condizionato da questa eventuale psicologia dì origine dogmatica ed è libero di parlare apertamente, se lo ritiene opportuno, di cambiamenti e anche di cambiamenti radicali.
Tutto il libro dì Subilia, fino alla penultima pagina, si presenta come un tentativo di individuare l'oggettività del cattolicesimo nell'espressione: solo magistero. (25) Ma nella nostra epoca le categorie dell'oggettivo diventano sempre più problematiche per lo storico e il filosofo, sino a confondersi con quelle del soggettivo si da non poterne più essere liberate. Il contesto dogmatico non è più sufficiente a garantire l'oggettività del dato perché s'inserisce in essa tutta la problematica del significato, la quale da Vico a Croce, a Collingwood, a J. M. Robinson, a Bultmann e a Pannenberg non può più essere scartata con disattenzione. Si sa che il ricercatore del dato finisce per trovarvi quello che ha voluto cercare e che, in fondo, non sarà molto più avvantaggiato di chi avrà invece voluto abbandonarsi alla propria intuizione soggettiva. Questo è quanto è accaduto con la ricerca del dato nel testo biblico - Subilia ce lo ricorda nella pagina che abbiamo citato - e siamo caduti nel fondamentalismo. E quanto è ancora accaduto con la ricerca del Cristo storico.
Quando noi diciamo che il cattolicesimo è questo o quello sbagliamo non solo perché, secondo quanto afferma Subilia, il cattolicesimo è oggi un tutto sempre più ampio e in divenire, ma anche perché non si può oggettivare da un punto di vista storico-filosofico. Per le stesse ragioni dobbiamo oggi riconsiderare le formule: sola fede, sola Scrittura e solo Cristo. Siamo giunti cioè alla consapevolezza che, nel determinare ciò che appartiene alla categoria del solo, noi ci serviamo dei nostri strumenti non sterilizzati e attuiamo le nostre scelte in base a degli inevitabili presupposti ambientali e tradizionali. Questo, Subilia sembra intuirlo in chiusura al suo libro, in quella bella pagina che abbiamo ripreso, ma non lo tiene presente nelle pagine precedenti.
Inoltre, anche il solo magistero, concetto che dovrebbe essere la chiave interpretativa della nuova cattolicità del cattolicesimo, non sfuggirebbe alla problematica dell'oggetto. Non si supererebbe certamente l'ostacolo servendosi di dichiarazioni pontificie alle quali lo storico non è legato. È un fatto che l'oggetto ci sfugge. Di qui la difficoltà dì un lavoro di ricerca vero e proprio. Ci accorgiamo che il lavoro storico-filosofico, preoccupato innanzi tutto del dato oggettivo, ha esaurito il suo interesse per la nostra epoca.
Rovesciamento dei termini
dispone secondo la sua elezione. Da Lutero fino a Barth il discorso di Paolo ha avuto delle risonanze varie e pertinenti nella distinzione operata tra Legge ed Evangelo. Non è possibile confonderli o separarli senza incorrere nell'opera del tentatore.
Ora4 se tutto il cristianesimo ha conosciuto la tentazione dì oggettivare, non è forse perché ha perso il senso del passo che abbiamo citato? Ma allora giungiamo ad un netto rovesciamento dei termini. Come protestanti non possiamo più continuare a farci i sostenitori di una netta separazione che lasci da un lato il puro Evangelo e dall'altro l'incriminato vaso di terra. Non possiamo risolvere il problerna5 conformemente alla nostra tradizione, servendoci di un aut aut perché l'Evangelo lo abbiamo insieme al suo recipiente, cioè lo abbiamo una cum. Abbiamo et l'uno et l'altro. Il predicatore cristiano sa che non può tracciare egli stesso il confine perché è condizionato al suo tempo e al suo ambiente. Il problema può certamente essere posto per richiamare la nostra attenzione teologica sugli elementi che entrano in gioco, ma non può essere risolto dalla tecnica di coloro che s'affaticano ad intelligere le cose grandi di Dio. Se, come protestanti, parliamo del miracolo della predicazione, è perché confidiamo che il puro Evangelo rimane un segreto nella mano del Signore che governa la Chiesa e trasmette la buona novella.
Nel servirci oggi delle formule tradizionali - solus Christus, sola fides, sola Scriptura, sola gratia - dobbiamo renderci conto che esse contengono un et et che non possiamo dimenticare a meno di dimenticare che il Regno di Dio non è ancora stabilito sulla terra. Nel presentarci puri con i nostri soli non ci accorgiamo del nostro fariseismo, da un lato, e di certe tendenze docetiche, dall'altro. In altre parole sì rischia di proporre qualcosa di se stesso, del vaso dì terra, come se fosse totalmente altro da sé: tutto l'Evangelo, solo l'Evangelo, nient'altro che l'Evangelo. Questa inavvertita parte di se stessi che si propone all'altro, come Evangelo e quindi come unità di misura, ricorda l'homo incurvatus dì Lutero. Essa è la radice dell'integrismo. Oggi, se vi dev'essere contestazione, è appunto l'integrismo che dev'essere contestato.
Certo questo discorso è polivalente. Infatti chi, per ragioni storiche o confessionali, è fermo alla problematica del vero e del falso, del dato che non richiede altro se non di essere contrapposto ad un altro dato, dirà che La Nuova Cattolicità del Cattolicesimo esprime una situazione dogmatica del nostro tempo. Questo non lo contestiamo. Ma se la nostra epoca ci ha insegnato a tenere presente la problematica del significato; se Croce e l'esistenzialismo ci impediscono di far nostre le esigenze oggettive del XIX secolo, se soprattutto, dal punto di vista della fede, Dio ci pone di fronte ad un nuovo atto del suo agire e ci strappa dai nostri schemi vecchi per farci pregustare la sua misericordia unificante, allora si sente la carenza di qualsiasi tesi, cattolica o protestante, in cui una confessione si offre come unità di misura, come centro gravitazionale. Questo non vuol dire certamente che la verità è ripartita un po' ovunque nei vari settori del cristianesimo, ma esclusivamente che essa è concentrata in Cristo.
Non sì può pensare al domani di Dio come al giorno in cui gli unì sono messi in movimento secondo i propri principi e gli altri contro i loro. (26) Vi dev'essere una conversione dai principi. Senza conversione non vi è novità.
Cristo non è diviso, (27) perciò noi siamo nella contraddizione ogni volta che i principi dei cristiani cozzano gli uni contro gli altri. La divisione è caratteristica di Satana, non di Dio. Capire questa contraddizione è frutto della grazia. Se non siamo mossi da questa convinzione siamo minacciati dal peccato ogni volta che ci incontriamo attraverso le barriere ecclesiastiche. Allora il dialogo perde la sua ragione d'essere e si trasforma in diplomazia.
Note
1) V. SUBILIA, La Nuova Cattolicità del Cattolicesimo, Claudiana, Torino 1967.
Ibidem, p. 181.
3) Ibidem, pp. 52, 142 n., 181.
Cfr. R. BERTALOT,Accordo con la dottrina evangelica della Santa Cena?, ed. it. “Concilium”, 4/’67, p. 81.
5) V. SUBILIA, op. cit., p. 293; mancano riferimenti a due opere di K.BARTH uscite dopo il Concilio: Réflexions sur le deuxième Concile du Vatican, cit., e Ad Limina Apostolorum, cit., quest'ultima uscita però contemporaneamente.
6) V. SUBILIA, Tra le due sessioni del Concilio, « Protestantesimo», 4/'63, pp. 234s.
7) V. SUBILIA, La Nuova Cattolicità, cit., p. 289.
8) Ibidem, p. 292.
9) Cfr. G. EBELING, Word and Faith, ed. ingl., S. C. M. Press, Londra 1963, pp. 52 e 54.
10) V. SUBILIA, La Nuova Cattolicità..., cit., pp. 75 e 275.
11) Ibidem, p. 75.
12) Ibidem, pp. 283 e 301.
13) Ibidem, pp. 202 e 277.
14) G. M. BERTIN, Educazione alla Socialità, Armando Armando, Roma 19662 , pp. 85 e 262; simili perplessità, a proposito di una precedente pubblicazione del Subilia, sono state sollevate in termini abbastanza forti nella loro chiarezza da M. CUMINETTI, Riflessioni Ecclesiologiche, « La Scuola Cattolica», supplemento bibliografico n. 3, 1966. Egli nota che le citazioni del Subilia sono incomplete e fuori contesto per cui si desidera «una maggior fedeltà nelle citazioni» (p. 240 n. 110). Inoltre si rileva che le interpretazioni del Subilia sono “false o parziali” e che in esse «la negatività è assunta a tesi». Cfr. supplemento bibliografico n. 1 della stessa rivista, 1967, pp. 3s.
15) V. SUBILIA, Il Problema del Cattolicesimo, Claudiana, Torino 1962, pp. 126ss. L'unità della Chiesa secondo il Nuovo Testamento, «Protestantesimo», 3/'64, pp. 129ss.
16) H. KÜNG, Strutture della Chiesa, Borla, Torino 1965, p. 164.
17) Cfr. K. BARTH. Dogmatique, I, 1, +, cit., p. 247ss.; O. CULLMANN, La Tradition, cit., pp. 38ss.; K. BARTH, Dogmatique I, 2, +++, pp. 144ss.; M. CUMINETTI, art . cit., p. 14.
18) Cfr. «S.OE.P.I.» (Service Oecuménique de Presse et Information), Ginevra, n. 4/66.
19) V. SUBILIA, La Nuova Cattolicità..., cit., p. 283. Ci esprimiamo al condizionale perché si potrebbe facilmente obiettare: non tutto nella Bibbia è Evangelo, e riprendere quindi le tesi del Käsemann. È comunque un fatto che il Käsemann non è più citato.
20) V. SUBILIA, Il mistero dello Spirito, « Protestantesimo» 1/'66, p. 13.
21) V. SUBILIA, La Nuova Cattolicità cit.; cfr. rispettivamente pp. 206s., 86, 200, 210, 288 e 205.
22) Ibidem, pp. 301ss.
23) Cfr. Ibidem, pp. 204 e 222.
24) Ibidem, p. 258.
25) Ibidem, p. 205.
26) Ibidem, p. 300.
27) Cfr. 1Cor. 1, 13.