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Visualizza articoli per tag: Geopolitico, geopolitica

Martedì, 24 Marzo 2009 20:24

IL PROGETTO DELLA SPERANZA

IL PROGETTO DELLA SPERANZA

di Enzo Mani
CARTA n. 42 – novembre 2008

Ci voleva ancora una volta una realtà connotata al femminile, Carta, per affermare il valore della disobbedienza alla «riforma» Gelmini e del dissenso creativo. Non è solo il nome che porta il segno della femminilità ma la cultura da cui Carta è pervasa, che è la cultura dell’autonomia da qualsiasi sistema di potere e di alienazione e in particolare da quello patriarcale.

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Martedì, 24 Marzo 2009 20:23

INDEBITAMENTO FORMATIVO

INDEBITAMENTO FORMATIVO

di Jeffery Williams
Carta n. 42 novembre 2008

I mutui studenteschi sono la nuova modalità di finanziamento per la maggior parte di coloro che frequentano il college. L’indebitamento studentesco è diventato il nuovo paradigma della vita dei giovani. Sono finiti i tempi in cui l’università statale era accessibile a tutti e considerata un diritto, come l’istruzione secondaria. Oggi l’istruzione superiore, come la maggior parte dei servizi sociali statunitensi, è ampiamente privatizzata, e i mutui sono la più diffusa modalità di accesso.

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Martedì, 24 Marzo 2009 20:21

L’ONDA IN TRE PUNTI

L’ONDA IN TRE PUNTI

di Claudia Bernardi e Mariateresa Curcio
Laboratorio deII’autoformazione, Lettere La Sapienza
Carta n. 42 novembre 2008

Pensavamo che fossimo in pochi, una minoranza esigua e ignorante, pensavano che ci avrebbero fermati con le minacce e con la paura, che ci saremmo accontentati di finti tavoli di trattative e di timide mediazioni, Non è stato cosi. L’onda anomala è sempre più alta e diffusa, non arretra, non si infrange sugli scogli, non diventa risacca ma anzi rilancia. Dopo la grande mareggiata del 30 ottobre ha continuato ad attraversare e a riprendersi le strade delle metropoli, a praticare blocchi selvaggi come strumento di sabotaggio dei flussi produttivi: non solo non vogliamo pagare la crisi, ma articoliamo questo slogan attraverso la generalizzazione dello sciopero, bloccando le città.

Il movimento non si è certo accontentato delle «astuzie comunicative» del governo: differenziazione dei finanziamenti per gli atenei secondo la logica dell’efficienza produttiva, dequalificazione del sapere, costruzione di gerarchie nel mercato del lavoro, introduzione del numero chiuso, qualche spicciolo per le borse di studio e per i prestiti d’onore. Di fatto restano invariati il taglio al Fondo di Finanziamento ordinario, la previsione dell’aumento delle tasse negli atenei, la possibilità - escogitata da Tremonti quasi come un percorso obbligato - di trasformare le università in fondazioni private, ma soprattutto viene potenziato il processo di precarizzazione degli studenti attraverso il meccanismo dei prestiti d’onore e il conseguente indebitamento per migliaia di euro. Il risultato d sistema di indebitamento americano è sotto gli occhi di tutti: la crisi globale non è affatto un problema momentaneo.

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Martedì, 24 Marzo 2009 20:20

ELOGIO DELLO SPRECO UNIVERSITARIO

ELOGIO DELLO SPRECO UNIVERSITARIO

di Marcello W. Bruno
docente al Dams Università della Calabria
Carta n. 42 2008

La destra sa quel che dice quando annuncia che la ricreazione è finita. La propaganda televisiva è già in azione: si fanno programmi sui premi Ignobel per dimostrare che si danno soldi pubblici a ricerche ridicole. Il preteso movimento studenti-docenti, se non vuole esaurirsi in un meccanismo stimolo-risposta, deve cominciare a produrre metateoria. Cioè spiegarsi e spiegare cosa sono state e cosa siano oggi la scuola e l’università, pubblica e privata, nell’occidente tardocapitalistico in generale (sul pensiero-spazzatura statunitense è appena uscito il libro di Susan Jacoby «The age of american unreason») e nell’Italia postmoderna in particolare.

Sui danni dell’università marketing-oriented si può utilmente rileggere il classico di Max Weber «La scienza come professione», che nel 1918 vide lucidamente l’americanizzazione del lavoro intellettuale [inventando per i giovani ricercatori l’epiteto di «proletaroidi»] e la follia dei corsi di massa, in una Germania in cui i liberi docenti erano pagati dalle tasse d’iscrizione degli studenti. Se già in epoca pre-radiofonica Weber paventava un sistema dominato «dall’idea fissa della benedizione e del valore incommensurabili del numeroso uditorio», cosciente che alle volte ciò che funziona non è la preparazione ma «l’inflessione della voce», pensate cosa toccherà fare ai docenti proletaroidi dell’era neotelevisiva per aumentare l’audience. Infine, si tenga conto che novant’anni fa era già evidente la distinzione tra le facoltà scientifiche e quelle che il mio dermatologo chiama le facoltà «umanitarie»: se queste ultime producono ricerche il cui budget consiste essenzialmente nell’acquisto di libri e in qualche viaggio, le prime configurano quella che Weber chiama «impresa universitaria capitalistica», in cui lo scienziato diventa il prototipo di ciò che Ortega y Gasset chiama «uomo-massa».

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Martedì, 24 Marzo 2009 20:18

AUTORIFORMA

AUTORIFORMA

da Carta n. 42 2008

Il Governo ha scelto, suo malgrado, la scuola come terreno per sperimentare appieno il populismo repressivo che è la cifra dell’esecutivo Berlusconi 2.0. Da un lato - al di là dei deliri polizieschi di Francesco Cossiga - si tenta di costruire una cornice comunicativa per inquadrare la protesta studentesca: strumentalizzazione della «sinistra»; «bugie» dei giornali; cattiva «comunicazione» di una riforma comunque buona; minacce di arresto e di intervento della polizia e via dicendo.

Dall’altro lato, con i fotoritocchi al testo originale dei decreti Gelmini approvati nel consiglio dei ministri del 7 novembre, si cerca di scompaginare la protesta, di costruire un frangiflutti capace di isolare l’onda e frantumarla in rivoli. Il governo ha scelto di stralciare dall’impianto della controriforma i provvedimenti percepiti come «secondari»: accorpamento delle scuole con meno di 500 alunni; blocco dei concorsi già avviati; chiusura delle scuole con meno di 50; ammorbidimento del blocco del turn-over.

«Il decreto non incide sul corpo della riforma che contestiamo», ha commentato Domenico Pantaleo, segretario nazionale della Flc-Cgil cogliendo il senso di una retromarcia che è servita solo a mostrare che l’onda sta erodendo il senso di invincibilità del governo e della sua maggioranza.

«Se il governo frena, l’Onda accelera»: lo sciopero del 14 novembre e la successiva assemblea nazionale a Roma, il 15 e 16 serviranno a precisare meglio le aspirazioni di un movimento che sta scoprendo il piacere dell’ambizione. Un’ambizione che travolge anche le offerte di «dialogo» in cambio del ritiro dei decreti che Walter Veltroni usa per cercare di fare surf sull’Onda.

Un’ambizione - e un piacere - che spingono a discutere le basi culturali della controriforma Gelmini, il suo senso profondo e a interrogarsi su due punti tra gli altri: è possibile autoriformare l’università? Come disobbedire alla controriforma? Nelle pagine successive Marcello Walter Bruno, un docente, Claudia Bernardi e Mariateresa Curcio, due studentesse, cercano di rispondere alla prima domanda. Enzo Mani, invece, racconta e rilancia un’esperienza di scuola «altra», quella della Comunità dell’Isolotto, a Firenze. Jeffrey Williams, della rete internazionale EduFactory, spiega invece come il meccanismo dell’indebitamento studentesco, che Gelmini e Tremonti vorrebbero importare in Italia, abbia trasformato l’università statunitense, esponendo anche gli studenti ai venti della crisi finanziaria.

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Ddl Sicurezza” e immigrazione:non solo medici-spia

di Gabriele Russo
(Comunità Roma 15 del MASCI)

 

Il voto del Senato per abolire l’art. 35 comma 5 del T.U. sull’Immigrazione (esplicito divieto ai sanitari di denunciare un clandestino che si fosse rivolto loro per questioni di salute) ha suscitato vivaci proteste ma ha focalizzato l’attenzione mediatica solo un aspetto dell’intero nuovo impianto legislativo in materia di immigrazione. Ora il provvedimento “DDL Sicurezza” (Disegni di Legge n. 733, 242, 391 e 583 in materia di sicurezza pubblica) attende di essere discusso alla Camera dei Deputati (con la sigla A.C. 2180), ma è importante che sia prima compreso, e per tempo discusso, tra coloro che dicono di appartenere alla cosiddetta “società civile”.

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Mercoledì, 04 Marzo 2009 11:54

NO AL DILAGANTE RAZZISMO IN ITALIA

NO AL DILAGANTE RAZZISMO IN ITALIA

 

di AIex ZanotelliNigrizia luglio-agosto 2008

È agghiacciante quello che sto avvenendo sotto i nostri occhi in questo nostro paese. I campi rom di Ponticelli (Napoli) in fiamme, il nuovo pacchetto di sicurezza del ministro Maroni, il montante razzismo e la pervasiva xenofobia, la caccia al diverso, la fobia della sicurezza, la nascita delle ronde notturne.., offrono un’agghiacciante fotografia dell’Italia 2008.

“Mi vergogno di essere italiano e cristiano”, fu Ia mia reazione da poco rientrato in Italia da Korogocho (Kenya), all’approvazione della legge Bossi-Fini (2002), Questi sei anni hanno visto un notevole peggioramento del razzismo e della xenofobia nello società italiana, cavalcati dalla Lega la vera vincitrice delle elezioni 2008 e incarnati oggi nel governo Berlusconi. Posso dire questo, perché sono stato altrettanto duro con Il governo Prodi e con i sindaci di sinistra, da Cofferati o Dominici. Oggi doppiamente mi vergogno di essere italiano e cristiano.

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Mercoledì, 04 Marzo 2009 11:41

SUDAFRICA SEMPRE PIÙ POTENZA CONTINENTALE

SUDAFRICA SEMPRE PIÙ POTENZA CONTINENTALE
L’AFRICA PRETORIANA

di Marco Leofrigio
da Nigrizia luglio-agosto 2008

Il Sudafrica, secondo il presidente Thabo Mbeki, è il motore ideologico per far uscire il continente africano dalla marginalità in cui si trova.

La dirigenza storica dell’African National Congress (Anc) considera il proprio paese un unicum, rispetto agli altri stati africani, a motivo della sua peculiare storia e della lotta di liberazione, che ha condotto alla fine de dominio dell’etnia bianca sudafricana. Dopo le prime elezioni libere del 1994, la geopolitica di Pretoria si può dividere in due fasi. La prima, con la prudente gestione di Nelson Mandela, ha consentito l’inserimento del paese nella comunità statuale africana: un passo inevitabile per una nazione reduce dall’isolamento internazionale dovuto al sistema di sanzioni applicato al precedente regime. La nomina, nel 1996, di Mandela alla presidenza della Sadc (Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe) e il contributo dato nella gestione della crisi dell’allora ex-Zaire sono stati tra i passaggi più importanti per far accettare il nuovo Sudafrica.

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Mercoledì, 11 Febbraio 2009 22:21

Razzismo

Razzismo
da www.unaltrogiro.it

Secondo l’opinione di molti politici italiani si tratta di un termine improprio, possibilmente da evitare sia nel linguaggio comune che nell’informazione. Il detto, infatti, vuole che gli italiani siano brava gente. Il razzismo – sempre secondo questi politici – non è proprio della cultura e della tradizione italiana. Si può parlare, di fronte ad alcuni episodi, di maleducazione, di mancanza di valori, di bravate giovanili – ma assolutamente non si può tirare in ballo il razzismo.

Il razzismo, infatti, è un fenomeno che riguarda il sud degli Stati Uniti – ma ora che è stato eletto come presidente Barak Obama si può dire che anche per quel paese sia stato superato. Al pari del Sud Africa – anche lì l’apartheid è stato abolito da anni ormai. Il razzismo è qualcosa da leggere sui libri o sui giornali. Qualcosa che capita sempre lontano da casa nostra – che riguarda altre culture, altri popoli. Noi siamo un popolo di navigatori, di inventori, di santi… Dunque, sempre secondo queste luminose intelligenze, non è esatto parlare oggi di razzismo – non fosse altro che siamo ormai entrati nell’epoca della globalizzazione.

Italiani brava gente. Espressione tutta autoreferenziale. Siamo noi a dirci tali. Noi non ci riteniamo come gli altri. Come gli inglesi ed i francesi con il colonialismo. O come i tedeschi con i campi di sterminio. Noi ci siamo comportati bene. Sia con le colonie – vi abbiamo costruito strade e ponti. Sia durante la seconda guerra mondiale – pur essendo dalla parte dei tedeschi e dei giapponesi non abbiamo compiuto le nefandezze di cui si sono macchiati i nostri alleati. È quello che abbiamo studiato sui banchi di scuola, nei nostri libri di storia.

L’Italia è l’unico paese europeo che non ha ancora fatto i conti con la propria storia coloniale L’argomento resta tuttora tabù. Sbrigativamente si afferma che siamo stati bravi. E poi ci vantiamo di aver restituito la stele di Axum agli etiopici. Ed il nostro presidente del Consiglio recentemente ha siglato con la Libia un trattato nel quale l’Italia s’impegna in vent’anni a pagare un risarcimento per il periodo coloniale di 5 miliardi di euro. Cose che non tutti sono stati capaci di fare con le loro ex-colonie…

Sono pochi quelli che finora hanno cercato di raccontare un’altra storia. Ci ha provato don Lorenzo Milani (in maniera molto veloce e succinta) in quel suo testo (che aveva scritto a sua difesa quando già era minato dal male e nell’impossibilità a presentarsi in tribunale in quanto sotto processo per essersi espresso a favore degli obiettori di coscienza) che è conosciuto con il titolo di Lettera ai giudici. Scriveva don Milani nel 1965: «Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l'Impero. I nostri maestri s'erano dimenticati di dirci che gli etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla. (…) [L’ordine] che ricevette Badoglio e trasmise ai suoi soldati di mirare anche agli ospedali (telegramma di Mussolini 28-3-1936). (…) Che gli italiani in Etiopia abbiano usato gas è un fatto su cui è inutile chiuder gli occhi. Il Protocollo di Ginevra del 17-5-1925 ratificato dall'Italia il 3-4-1928 fu violato dall'Italia per prima il 23-12-1935 sul Tacazz. L'Enciclopedia Britannica lo dà per pacifico. Lo denunciano oramai anche i giornali cattolici (…). Abbiamo letto i telegrammi di Mussolini a Graziani: "autorizzo impiego gas" (telegramma numero 12409 del 27-10-1935), di Mussolini a Badoglio: "rinnovo autorizzazione impiego gas qualunque specie e su qualunque scala" (29-3-1936). (…) Quegli ufficiali e quei soldati obbedienti che buttavano barili d'iprite sono criminali di guerra e non son ancora stati processati».

Recentemente si è occupato della faccenda Angelo Del Boca nel suo Italiani, brava gente? (Editore Neri Pozza 2005). Le pagine più interessanti sono quelle dedicate alla strage che seguì il tentativo di uccidere Graziani in Etiopia nel febbraio del 1937. Il quadro che ne emerge – documentato – è che non fummo migliori, ma che siamo riusciti a tenere nascoste, almeno ai nostri stessi occhi, tutte le porcherie di cui siamo stati capaci.

Ne aveva parlato anche Paolo Borruso nel suo libro L'ultimo impero cristiano. Politica e religione nell'Etiopia contemporanea (1916-1974) (Guerini e Associati, Milano 2002), che documenta la «barbarie della colonizzazione fascista in Etiopia» provocata dal generale Graziani, quando furono fucilati l'abuna Petròs, tre vescovi, abati di monasteri e barbaramente uccisi 297 monaci e oltre 150 diaconi della Chiesa ortodossa etiopica.

Pochi finora ne hanno scritto o parlato. Il quadro che emerge è impressionante. Il periodo coloniale italiano – pur se relativamente breve – è stato accompagnato da frequenti bagni di sangue. Eppure restano nell’immaginario collettivo pochi elementi. La canzone Faccetta nera, gli africani rappresentati attraverso lo stereotipo del selvaggio Bingo Bongo o i fumetti de Il Corriere dei piccoli, con la figura del bambino africano Bilbolbul (le vicende di Bilbolbul erano narrate e illustrate in linea con la cultura coloniale da diffondere: un’Africa deformata, primitiva, immaginaria e guardata in maniera molto paternalistica. Il personaggio viene creato nel 1908, tre anni appena prima della guerra in Libia).

Insomma, se appena si comincia a rileggere la recente storia dello stato unitario italiano ci possiamo rendere conto che i fenomeni di razzismo si sono manifestati in continuazione e che sarebbe ora di smetterla di ripeterci che siamo brava gente.

Eppure, nella nostra sicurezza di restare indenni al razzismo, assistiamo ad una serie di episodi che vengono diversamente qualificati - (stiamo sempre riferendoci ad alcuni dei nostri uomini politici).

La notte del 19-10-2008 a Desenzano, in provincia di Brescia, viene annegato un immigrato marocchino di quarant’anni. Le indagini successive da parte delle forze dell’ordine porteranno all’arresto di tre giovani: un ragazzo di 21 anni e due minorenni (all’epoca del fatto). L’immigrato venne spinto nelle acque del lago e tenuto sott’acqua finché non morì. Non si è trattato di un fenomeno di razzismo, ma semplicemente di una bravata da parte di ragazzi.

La notte del 31-01-2009 a Nettuno (provincia di Roma) un immigrato di origine indiana di trentacinque anni viene pestato a sangue e bruciato. Anche in questo caso sono protagonisti alcuni giovani (uno minorenne). Ci si affretta a ripetere che non si tratta di razzismo. Si deve invece parlare di mancanza di valori, di perdita di valori da parte di una generazione annoiata.

Sempre la mattina del 31-01-2009 a Civitavecchia (provincia di Roma) un agente di polizia (responsabile dell’Ufficio immigrazione) spara con un fucile a pompa ad un suo vicino di casa senegalese di 42 anni. Il poliziotto «non voleva vederli in giardino». L’episodio è stato liquidato come una semplice lite tra vicini di casa. Anche qui il razzismo non c’entra niente.

A Milano la mattina del 14-03-2008 un negoziante uccide a sprangate Abdoul William, un ragazzo (cittadino italiano) di origine burkinambe, reo di aver sottratto solo un pacchetto di biscotti. Anche in questo caso non si è trattato di un episodio di razzismo. Evidentemente era la prima volta che qualcuno rubava in quel negozio poiché c’è da immaginare che il proprietario, non essendo razzista, avrebbe preso a sprangate anche un cittadino italiano dalla pelle chiara qualora lo avesse colto sul fatto.

Nel giugno 2008 una coppia di veronesi uccide e brucia un operaio rumeno per incassare 900 mila euro di assicurazione sulla vita. La vittima si chiamava Adrian Komsin, di appena 28 anni e di mestiere faceva l'autostrasportatore presso una ditta della zona. Sicuramente la giovane coppia veronese era convinta che della vita di un giovane straniero (rumeno) nessuno si sarebbe mai interessato.

Potremmo ricordare tanti altri fatti. Lo scrittore francese di origine marocchina Tahar Ben Jelloun lo fa puntigliosamente, rispetto ad una serie di episodi successi in Francia negli anni ’80, nel suo libro Ospitalità francese.

Potremmo ricordare l’operaio rumeno arso vivo dal suo datore di lavoro. La vittima, quarant'anni, ingegnere, lavorava in nero in un cantiere edile. È successo a Gallarate, il 14-03-2000. Si chiamava Ion e con cinque suoi compatrioti aveva chiesto di essere almeno pagato a giornata e non per ogni metro di pavimento posato. La risposta è stata violentissima. L'ingegnere romeno stava ancora bruciando in un angolo del cucinino quando C.I. alzava il dito contro i cinque testimoni: «Chi parla, lo faccio buttare fuori dall' Italia. Chi sta zitto, becca qualche soldo». (Dal Corriere della Sera del 24-03-2000)

Oppure potremmo ricordare il marocchino di 37 anni ucciso da un vigilante in borghese a Milano, il 28-02-2006. Un colpo esploso accidentalmente durante una colluttazione. Un incidente.

Ed ancora la mattanza del 19-09-2008, compiuta dal clan dei casalesi, nel napoletano. Sei nigeriani uccisi per avvertimento – perché i loro connazionali se ne stiano lontani dal traffico dei stupefacenti. Per ricordare un po’ a tutti chi comanda nella zona.

Tahar Ben Jelloun in Il razzismo spiegato a mia figlia definisce in questo modo il razzismo: «Tra le cose che ci sono al mondo, il razzismo è la meglio distribuita. È un comportamento piuttosto diffuso, comune a tutte le società tanto da diventare, ahimè, banale. Esso consiste nel manifestare diffidenza e poi disprezzo per le persone che hanno caratteristiche fisiche e culturali diverse dalle nostre».

Diffidenza e disprezzo. Se questi sono gli elementi che fanno da base al razzismo dovremmo chiederci se la società italiana in questo momento non stia attraversando un pericoloso clima di diffidenza e di disprezzo. Se nel linguaggio e nel comportamento di tanti uomini politici italiani (gli stessi che si affrettano a proclamarsi indenni dal razzismo) non ci sia la virulenza del disprezzo e della diffidenza.

Anche i nazisti, quando presero il potere in Germania nel 1933, ritenevano di non essere razzisti. Essi volevano purificare la propria nazione dal lordume massonico-comunista-ebraico. Anzi, volevano preservare la propria razza dalla contaminazione. Avevano la soluzione al problema. Anzi, la soluzione finale.

Historia magistra vitae (La storia è maestra di vita). Ma sembra che non si abbia più memoria. Sembra che non si abbia nulla da imparare, anche dalla storia recente dell’Italia – quando gli emigranti partivano dai nostri paesi verso l’Argentina, gli Stati Uniti, il Canada, la Svizzera, il Belgio, l’Australia, il Sud Africa… - quando il razzismo si indirizzava contro i meridionali (banditi, briganti, lavativi, perenni assistiti…).

C’è da avere paura. Non degli stranieri e della diversità che portano con le loro storie di immigrazione.

Ma di noi stessi. Del lato oscuro che alberga in noi – dell’ombra, secondo la terminologia junghiana – che sta emergendo – prepotentemente, irrazionalmente – avvelenandoci tutti gli spazi della convivenza civile.

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Lunedì, 09 Febbraio 2009 13:16

GARANTE DELLA VITA

GARANTE DELLA VITA
di Mariuccia Ciotta - da "Il manifesto", domenica 8 febbraio 2009
(abstract)

Il mio potere "garantisce la vita", è questo che ci dice Silvio Berlusconi aprendo il conflitto con il Quirinale e la magistratura. E per farlo è pronto a sfidare le istituzioni così come le conosciamo. E' pronto al grande spettacolo che in queste ore divide gli italiani in una corsa contro il tempo, una specie di thriller offerto alla sua platea di telespettatori, educati al gioco di chi vince e chi perde. Un gioco macabro per "fermare il boia" tra preghiere, invocazioni, attese di un miracolo perché "tra 48 ore non ci sarà più nulla da fare".
E' uno scarto, uno slittamento simbolico dal sistema di regole democratiche, divisioni di poteri e competenze a un'interpretazione della politica come incarnazione di un'entità che controlla i cittadini, non si limita più a difenderli dalla morte ma concede loro la vita, la felicità. A chi si chiede il perché di un comportamento politico inspiegabile e al limite dell'autolesionismo, Berlusconi risponde che ha dovuto fermare "una vera e propria uccisione", e per questo è pronto a licenziare i ministri dissidenti, a rompere con l'alleato presidente della camera, a entrare in rotta di collisione con Napolitano, a negare una sentenza della Corte di Cassazione e a cambiare la Costituzione.
Berlusconi si presenta "umano" quando i giudici non lo sono, disposto per la prima volta a ignorare i sondaggi, anzi a mettersi contro l'opinione pubblica perché il popolo deve affidarsi a lui, prendere atto che non è più rappresentato dalla "cultura dello statalismo e della morte" ma dalla "cultura della verità e della vita", la sua. Il ruolo del Vaticano, il suo pressing martellante, sarà pure stato importante, ma non decisivo.
Già in altre occasioni Berlusconi ha lasciato "libere le coscienze" dei suoi in un misto di laico-anarchismo che teneva fuori le questioni etiche. Adesso no, adesso è lui il "papa" che propone una drastica riconversione della morale pubblica guidata da un principio di autorità totalizzante. Solo attraverso l'assunzione del biopotere, il potere che ha accesso al corpo, Berlusconi può scardinare le istituzioni che gli stanno strette, fare quel salto necessario per liberarsi dai lacci giuridici, governare a colpi di decreti, saltare il parlamento, essere il re.
Eluana è il terreno di questa sfida, Eluana che ha "un bell'aspetto" e mantiene "il ciclo mestruale", tanto da poter generare figli in una proiezione immaginaria aberrante della ragazza incosciente da 17 anni, privata di una vita di relazione, affetto e linguaggio, privata cioè della capacità di resistenza contro l'invasione di un dominio che trae vantaggio dalla sua persona.
E' un'operazione che sconfina nell'horror, mascherata da pietà e che sollecita i sentimenti peggiori, contro la "crudeltà dei medici", contro il padre di Eluana che "vuole togliersi una scomodità", contro il capo dello stato e il suo subdolo tentativo di sdoganare l'eutanasia. Non importa se il decreto prima e ora il disegno di legge non arriveranno in tempo a "salvare la condannata a morte", Berlusconi passerà il week-end a Cagliari in campagna elettorale e convocherà le camere lunedì, a dimostrazione del suo cinismo e della sua strumentalità. Quel che conta è l'aver disegnato uno scenario su misura per le sue aspirazioni e costretto sulla difensiva chi davvero sta dalla parte della vita intesa come espressione di una natura umana fatta di rapporti, cooperazione, amore.
Uno scenario popolato dai teo-con sconfitti dalla storia, i crociati della "guerra infinita", sferrata in questi giorni contro immigrati e clochard, e che attraverso Eluana, trofeo e simbolo di conquista, sperano di possedere i vivi.

 

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