La seconda fase sì ha con l’elezione di Mbeki, grazie alla quale si è delineata una strategia più definita e coerente: gli analisti parlano della nascita di una “potenza sudafricana”. Mbeki, infatti, da protagonista di primissimo piano della lotta contro il regime dell’apartheid, ha deciso di spostare il crescente peso politico ed economico del Sudafrica dall’ambito regionale a tutta la scena politica dell’Africa subsahariana. In particolare, si propone come il propugnatore del “Rinascimento africano”.
Sulla scorta di questa ideologia, si è sviluppato il grande attivismo diplomatico di Pretoria in tutti gli organismi regionali e continentali, dal Nepad (Nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa) alla nascita della Unione africana, al rilancio della stessa Sadc. Anche la trasformazione del potente strumento militare rientra nella evidente strategia di assunzione di leadership regionale e continentale, a cui ha fatto seguito l’utilizzo di uno strumento, ormai classico, per la difesa dei propri interessi nazionali, cioè la partecipazione alle missioni di peacekeeping.
Ma le aspirazioni di Mbeki vanno ben oltre. Il presidente mira, infatti, alla costituzione di una Unione panafricana che sia la premessa per la realizzazione, in futuro, di un possibile “secolo africano”. Non è un caso che la costruzione del nuovo parlamento panafricano avverrà proprio in Sudafrica, a Midrand, presso Johannesburg.
Intanto, nella corsa alla conquista della leadership il Sudafrica non è solo. Su scala regionale, vi è lo Zimbabwe, che è però confinato in una grave crisi. Su scala continentale, invece, troviamo la Nigeria. Un nuovo soggetto emergente, in grado di contendere la leadership a Pretoria, potrebbe essere l’Angola, che è alla ricerca di spazi autonomi, nei confronti sia di Pretoria che di Lagos, e, in particolare, sta puntando a creare un club dei produttori di petrolio con Rd Congo, Gabon, Congo e Guinea Equatoriale.
Nuovi sviluppi nella politica estera ed economica sudafricana si vedranno forse dopo l’elezione, prevista per il 2009, del nuovo presidente. Alcuni osservatori ipotizzano che, dopo l’uscita di una figura storica e carismatica come quella di Thabo Mbeki, Pretoria adotterà un approccio meno ambizioso, per dedicarsi maggiormente ai tanti e gravi problemi interni.
L’ECONOMIA DOMINANTE
La vera forza del gigante sudafricano deriva dalle sue risorse naturali, dalla struttura produttiva molto diversificata e dalla felice posizione geografica. Pretoria primeggia, oltre che nel tradizionale settore minerario, nel campo dell’agro-industria, della chimica, delle telecomunicazioni, delle assicurazioni, dei trasporti e delle infrastrutture.
La proiezione della sua forza geo-economica poggia su due pilastri: uno a livello regionale, l’alto a livello continentale. Il primo è l’area monetaria del Rand, che, assieme a quella della Sacu (l’Unione doganale dell’Africa australe), ha consolidato una zona economica allargata alla Namibia, al Botswana e ai due mini-stati dello Swaziland e del Lesotho. Oltre il 75% del Pii complessivo degli stati della Sadc proviene dal gigante sudafricano e alcuni degli stati confinanti sono diventati una sorta di sub-fornitori di manodopera e di servizi e, nel contempo, anche mercati di sbocco per l’export di Pretoria.
L’altro pilastro sono le imprese, che stanno espandendosi nell’intero continente. L’ultima classifica annuale, stilata in base al fatturato del 2006, rileva che delle 500 principali aziende africane 153 sono sudafricane e pesano per il 54% del fatturato globale. Ancora più netto è il confronto sulle prime 50, di cui ben 37 sono sudafricane.
La geo-economia di Pretoria vede la presenza delle grandi multinazionali del settore minerario in Mali, Tanzania, Rd Congo, Zambia, Botswana e Namibia, mentre la compagnia di telecomunicazioni, la Mobile Telephone Networks (Mtn), è presente in una decina di paesi africani, tra cui Nigeria, Costa d’Avorio, Camerun e Uganda, da cui proviene un terzo del fatturato complessivo.
La conseguenza, però, è che il Sudafrica viene accusato di puntare solo alla conquista dei mercati africani e, nel contempo, di erigere barriere protezionistiche. Per esempio, è così fortemente presente in Tanzania, che i giornali locali definiscono un’”economia nazionale un’economia sudafricanizzata”, in considerazione dei 443 milioni di dollari che le imprese sudafricane vi hanno investito.
Contraddittoria rispetto alle politiche governative è anche la continua crescita delle esportazioni del settore della difesa. Nel campo dei veicoli anti-mine e anti-autobombe il Sudafrica, con la Alvis Omc, è il leader incontrastato a livello mondiale. Certamente, non esporta più forze mercenarie, come nel caso della nota Executive Outcomes (Eo), coinvolta in numerose guerre civili e colpi di stato e ufficialmente sciolta nel 1999.
Quella sudafricana resta comunque, un’economia che attira sempre più investimenti dall’estero, sia dalla Cina sia, ora, dalla Russia. La firma del partenariato Pechino-Pretoria, da una parte ha suggellato il forte interesse cinese per le risorse naturali sudafricane, dall’altra ha portato Pretoria a rivedere la propria posizione nei confronti di Taiwan. La presenza di Pechino, tuttavia, si sta estendendo anche in altri settori, come testimonia il grande esborso della Commercial Bank of China per acquisire, nel 2007, il 20% della prima banca sudafricana, la Standard Bank.
Nonostante l’ottima performance economica e il prestigio politico, il Sudafrica deve affrontare drammatici problemi sociali. Dopo quasi 15 anni, il fardello dell’apartheid pesa ancora tanto, visto che la transizione verso istituti più democratici non è ancora stata completata. Anzi: moltissime strutture, eredità dell’apartheid, sono perfettamente funzionanti, come nel caso di buona parte del mondo del business e di numerose università e think-tannks. I quadri superiori delle forze armate sono tuttora predominio della minoranza bianca, e lo stesso vale per le terre coltivate (per l’80% di proprietà degli agricoltori bianchi).
Sul versante sociale e sanitario vi è la piaga della tragedia dell’Hiv/aids, che colpisce, secondo i dati ufficiali, oltre il 20% della popolazione adulta; nel solo 2007 vi sono state più di 250mila persone infettate dal virus. Nel frattempo, la disoccupazione resta a livelli elevati (24,2% nel 2007) e il tenore di vita di tanta parte della popolazione di colore rimane molto basso (35% con meno di due dollari al 4 giorno). La democratizzazione delle forze dell’ordine e la riforma della normativa in materia si sono scontrate con un’altra piaga nazionale: l’inarrestabile diffusione della criminalità, che piazza il Sudafrica ai primi posti tra i paesi per numero di reati e di gang criminali.
Il governo, pertanto, cerca di conciliare le necessarie politiche sociali con le pressanti richieste di sicurezza, che impegnano voci di spesa crescenti: i nuovi budget prevedono nel triennio 2008-2010 aumenti medi del 40%, inclusi investimenti in sofisticate tecnologie. Sono già state informatizzate 446 corti di giustizia e sono previsti aumenti di organici per i magistrati e le strutture della polizia scientifica. Per le forze di polizia, dagli attuali 152mila effettivi si dovrà salire a 200mila nel 2010, l’anno dei Mondiali di calcio, che si terranno in Sudafrica.