La censura non è un'invenzione moderna. Fin dall'antichità i detentori del potere hanno sempre cercato di controllare le informazioni, soprattutto quelle sgradite o sfavorevoli al potere stesso. Essa è diventata determinante con i poteri dispotici moderni. L'arte del governo si pratica attraverso il pieno esercizio della censura. Ed in tempi di guerra una censura palese ed estesa viene esercitata anche dai regimi democratici.
La censura di fatto svela la debolezza dei regimi non democratici, che si basano non sul consenso, ma sulla forza e che hanno il bisogno assoluto di controllare ogni voce non allineata con la narrazione del regime, pena il decadimento e la rapida dissoluzione del regime stesso. Ma questa forma di censura produce un effetto non voluto: il rafforzamento di un'opposizione che, anche se in tempi lunghi, porta alla crisi del regime dispotico.
L'epoca contemporanea ha visto, però, l'affermarsi di un'altra forma di censura, più subdola e difficile da percepire. Una censura che permette l'apparente libera circolazione delle informazioni, ma che, di fatto, la vanifica. Questo avviene attraverso diversi strumenti e principalmente:
1. nella quantità di disinformazione. Una persona non è più in grado (soprattutto se non ha un'adeguata formazione a riguardo) di discernere, nella massa di dati offerti oggi, le fake news dalle narrazioni aderenti alla realtà dei fatti. Si genera una sorta di stato confusionale nell'informazione e si finisce con l'accettare la narrazione che risulti maggioritaria, non perché aderente alla realtà dei fatti, ma perché comune e maggiormente omogenea.
2. nel rendere insignificante ogni voce discordante dalla narrazione ufficiale. Non viene lasciato alcuno spazio (o quasi nullo) sui mass media. Le notizie discordanti, anche quelle estremamente importanti, non vengono riprese e non vengono rilanciate. Si attende solo che la brevissima memoria odierna le lasci cadere nell'oblio.
3. nel mettere in risalto aspetti esteriori legati alla persona piuttosto che le idee o i concetti espressi dalla persona. Spesso si tratta di un evidenziare aspetti ridicoli o caricaturali della stessa persona (veri o inventati, non importa) purché restino in ombra le sue idee. Oppure, nel rilanciare elementi marginali delle idee manifestate, purché espresse in linea con la narrazione comune.
4. nel rendere omogenea ogni narrazione. Le voci discordanti ammesse sono quelle folcloristiche o estremistiche. Queste ultime si rivelano rafforzative del sentire comune. L'estremismo è sempre numericamente marginale, ma produce un rafforzamento ed un compattamento nel sentire comune.
5. nella demonizzazione delle voci discordi. Ma questo processo è rivolto soltanto nei confronti di alcune voci. Le persone con evidenti disturbi psichici e sociali possono continuare con le proprie narrazioni allucinate (e spesso ottenere risalto mediatico) poiché non rappresentano un vero pericolo per la narrazione comune. Sono le persone capaci di un pensiero originale e critico che subiscono il processo della demonizzazione. Attraverso la gogna mediatica e le macchine del fango. Ma anche attraverso la rimozione dai posti occupati o dai palinsesti televisivi o la decadenza dalle cattedre universitarie.
Questa forma di censura, apparentemente debole, si dimostra invece capace di una forza straordinaria. È abile, infatti, nell'imporsi non attraverso la forza, ma con il consenso. Si è posti costantemente davanti ad un continuo processo di semplificazione. La realtà odierna, sempre più complessa e disomogenea, viene narrata in un sentire comune semplificato e uniforme. Si continua a credersi liberi, quando ormai si è stati trasformati in clienti che esercitano la propria libertà nell'esprimere una preferenza su candidati già selezionati in qualche turno di votazione e, soprattutto, nella scelta tra alcune diverse marche dei medesimi prodotti.
Questa censura democratica ha un gioco facile perché costantemente addita per il proprio pubblico la censura esercitata dai regimi dispotici. Come nel racconto zen, si guarda il dito che indica la luna. Si considera solamente l'aperta censura esercitata dagli altri regimi senza rendersi conto di ciò che sta avvenendo all'interno della nostra società.
Alla fine, la sorte migliore che si può sperimentare è l'impressione di essere tra i pochi ad essere portatori di un sentire non comune e di un pensiero non omogeneo, di fronte ad una narrazione ufficiale capace di far percepire, a livello individuale, una tale sensazione. Ci si consola nel sentirsi diversi, non uguali agli altri. Identificandosi così con uno degli aspetti fondamentali di questa narrazione comune: si è diversi perché clienti e consumatori.
C'è allora da domandarsi: è ancora possibile oggi l'esercizio di un pensiero critico?
p.s. Il fatto che in un regime democratico si possono esprimere queste idee non conferma automaticamente la democraticità del regime. Può confermare, invece, la marginalità di una simile narrazione, che può al massimo catturare qualche decina di like sui social, un immediato oblio e nulla più.
Faustino Ferrari