Vita nello Spirito

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 66

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 65

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 62

Giovedì, 11 Novembre 2004 22:49

Il dono della libertà: III°parte (Carlo Ghidelli)

Vota questo articolo
(0 Voti)
 

IL DONO DELLA LIBERTA’

(una lettura di Galati 5,25)

(Terza parte)

Il dono pasquale della libertà

Il dono pasquale della libertà

"Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi: state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo, della schiavitù" (5,1) Qui Paolo fa tre affermazioni importanti: il fatto della liberazione, con allusione chiara alla sua Pasqua; lo scopo della Pasqua di Cristo, con allusione altrettanto chiara alla nostra Pasqua; e le implicazioni pratiche della sua e nostra Pasqua. In questo modo Paolo ci aiuta a focalizzare ancor meglio l'inestimabile dono della libertà cristiana. Vediamo come. Anzitutto Paolo ci ricorda che il discorso sulla libertà cristiana è dirimente. In altri termini: non si può tenere il piede in due scarpe, non si può tergiversare tra il vecchio e il nuovo. Il suo modo di esprimersi non lascia luogo ad alcun dubbio: "Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere Cristo non vi gioverà a nulla" (5,2). Chi si volta indietro perde completamente il beneficio della liberazione pasquale: "Non avete più nulla a che fare con Cristo, voi che cercate la giustificazione nella legge: siete decaduti dalla grazia" (5,4). Non si può "passare in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di cristo a un altro vangelo" (1,6). Il disappunto dell'apostolo si trasforma in lamento: "Correvate così bene! Chi vi ha tagliato la strada che non obbedite più alla verità?" (5,7). Non solo, ma l'errore di pochi potrebbe inquinare l'intera comunità cristiana: "Un po’ di lievito, infatti,fa fermentare tutta la pasta" (5,9). Non potrebbe esprimersi in modo più chiaro! Paolo infatti si ispira non solo a quello che ha compreso, ma anche alla sua esperienza personale, oltre che alla sua esperienza di apostolo: il bene delle singole persone è superiore ad ogni dottrina e ad ogni legge.

" (5,1) Qui Paolo fa tre affermazioni importanti: il fatto della liberazione, con allusione chiara alla sua Pasqua; lo scopo della Pasqua di Cristo, con allusione altrettanto chiara alla nostra Pasqua; e le implicazioni pratiche della sua e nostra Pasqua. In questo modo Paolo ci aiuta a focalizzare ancor meglio l'inestimabile dono della libertà cristiana. Vediamo come. Anzitutto Paolo ci ricorda che il discorso sulla libertà cristiana è dirimente. In altri termini: non si può tenere il piede in due scarpe, non si può tergiversare tra il vecchio e il nuovo. Il suo modo di esprimersi non lascia luogo ad alcun dubbio: "Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere Cristo non vi gioverà a nulla" (5,2). Chi si volta indietro perde completamente il beneficio della liberazione pasquale: "Non avete più nulla a che fare con Cristo, voi che cercate la giustificazione nella legge: siete decaduti dalla grazia" (5,4). Non si può "passare in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di cristo a un altro vangelo" (1,6). Il disappunto dell'apostolo si trasforma in lamento: "Correvate così bene! Chi vi ha tagliato la strada che non obbedite più alla verità?" (5,7). Non solo, ma l'errore di pochi potrebbe inquinare l'intera comunità cristiana: "Un po’ di lievito, infatti,fa fermentare tutta la pasta" (5,9). Non potrebbe esprimersi in modo più chiaro! Paolo infatti si ispira non solo a quello che ha compreso, ma anche alla sua esperienza personale, oltre che alla sua esperienza di apostolo: il bene delle singole persone è superiore ad ogni dottrina e ad ogni legge.

In secondo luogo Paolo afferma che noi siamo chiamati a libertà (5, 1 3): è come dire che la libertà cristiana non è mi bene assicurato una volta per sempre, ma un dono da coltivare sempre con prudenza e con fedeltà. Si direbbe che per Paolo la libertà cristiana è un bene biodegradabile: occorre circondarlo con attenzioni e difese, occorre preservarlo da contaminazione e contraffazioni, occorre soprattutto orientarlo verso manifestazioni genuine ed autentiche. E così facile contrabbandare come vera una libertà falsa. È sotto gli occhi di tutti il fatto di certe persone che millantano sicurezza e libertà mentre invece sono insicuri e schiavi delle loro passioni! In terzo luogo Paolo dichiara apertamente che non è autentica quella libertà che non porta all'obbedienza (5,7). Anche questo fa parte del paradosso cristiano e non è facile accettarlo; eppure chi non si lascia condurre dentro questa verità non può dire di essere cristiano. Certo se per obbedienza si intende la mera accettazione - esecuzione di un comando estrinseco ed indesiderato, allora essa non tende a promuovere la persona umana e tanto meno si può dire che essa "libera" la libertà. Ma se per obbedienza si intende l'entrare nell'orizzonte divino di Colui che fonda solo sull'unione i comandamenti che pur ci affida (vedi Esodo 20, 1 ss; Deuteronomio 5,6) allora essa libera la persona da se stessa e dai suoi idoli perché impari a sperimentare gli interventi salvifici di Dio nella storia. E se per obbedienza si intende la condivisione della verità di Cristo e del Vangelo, allora essa libera la persona umana dalla carne, dall'egoismo e da tutto ciò che lo caratterizza, per consentirgli di seguire con slancio l'impulso dello Spirito di Cristo.

Conclusione

Conclusione

In Cristo Gesù e sotto il dominio dello Spirito di Dio siamo liberi solo se siamo disposti a diventare gli uni i servi degli altri (5,13), solo se siamo pronti portare gli uni i pesi degli altri (6,2). Prima Paolo diceva che "contro queste cose (cioè contro il frutto dello Spirito) non c'è legge" (5,23), ora invece afferma che "portando i pesi gli uni degli altri noi adempiamo alla legge di Cristo" (6,2). È Cristo che diventa legge per coloro che lo riconoscono come unico liberatore e, in forza di quello che ha patito per amore e in atteggiamento di obbedienza, come unico legislatore. Ma egli non ci dà una legge scritta su carta o su pietra, bensì offre se stesso come legge personificata. È una legge interiore, sulla linea di quella prospettata dal profeta (vedi Geremia 3 1 ,33), che prima ha ispirato la vita di Gesù stesso (vedi Filippesi 2,58) e poi quella degli apostoli (vedi Atti 4,19; 5,29), in particolare la vita di Paolo (vedi I Corinzi 9,21). Accettare questa legge significa lasciare che lo Spirito di Cristo ci conformi a lui, donandoci la "forma" di Cristo e liberandoci dallo "schema" del mondo (vedi e confronta Romani 12,2 dove Paolo contrappone appunto lo "schema" statico e mortificante di "questo secolo" alla "forma" dinamica e vivificante di Cristo).

CARLO GHIDELLI

Biblista

Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

Da "famiglia domani" 1/99

Letto 2409 volte Ultima modifica il Giovedì, 30 Dicembre 2004 20:30

Search