Vita nello Spirito

Venerdì, 22 Ottobre 2010 20:23

A proposito delle “età della vita spirituale” (Maxime Gimenez, o.s.b.)

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Una ricerca sulle “età della vita spirituale” dovrebbe venire effettuata sullo sfondo di una triplice scala del tempo: una scala mitica, secondo la quale sono determinate le età del mondo, una scala teologica, secondo la quale sono considerate o concepite le età dell’evoluzione dell’umanità attraverso il prisma della storia e una scala antropologica secondo la quale sono evocati gli aspetti biologici, psichici e sociologici dello sviluppo personale e collettivo dell’uomo.

A proposito delle “età della vita spirituale”

di Maxime Gimenez, o.s.b.

 

Testo di un intervento dato al Consiglio di orientamento de La Vie Spirituelle sul tema delle “Età della vita spirituale”. Da parte sua Christus ha consacrato due numeri a questo tema: n° 143, luglio 1989 e n° 263, luglio 2003. Si potrà anche leggere con interesse gli atti del Gruppo di Chevetogne, numero 19, editi dal P. Cyrille Vael: Si revera Deum quaerit: la vie monastique, vie au large ou à l’abri – in particolare il contributo di Dom A. Louf: Chercher Dieu pendant tous les Âges de la vie, p. 82-95 - ; Roma febbraio-marzo 2003.


Un’omelia di san Giovanni Damasceno sulla Natività ci riferisce una esperienza molto strana fatta dai Magi alla grotta di Betlemme. Tutti e tre erano venuti a prostrarsi davanti al re dei Giudei, questo Messia la cui nascita tanto attesa era stata segnalata loro dalla presenza di una stella. Ma ognuno dei tre era stato gratificato da una diversa visione di questo stesso Messia:

Si raccontavano l’un l’altro quel che avevano visto riguardo al bambino e come, sembra, era loro apparso. Così il primo disse: “Io l’ho contemplato piccolissimo”; il secondo: “Io, disse, ho visto un giovane di trent’anni”. Quanto al terzo: “Io, disse, ho visto uno molto anziano”. Mentre si meravigliavano del cambiamento di aspetto del neonato, al cader della sera, sopraggiunse davanti a loro un angelo, risplendente e dall’aspetto terribile, e disse loro: “Uscite al più presto da questo luogo perché non vi avvenga di essere coinvolti in qualche complotto”. Essi spaventati dissero: “Ma chi dunque, o capo divino, è colui che complotta contro un’età così veneranda?” Ed egli rispose: “Erode”. Udito ciò, i magi, avvertiti dall’Angelo, saltarono subito sui cavalli e ritornarono nel loro paese per un’altra strada[1].

Ci si può chiedere che cosa significano queste tre età. Si tratta della ricapitolazione in Cristo delle età dell’uomo o delle età dell’umanità? (L’idea che il Cristo sia passato per tutte le età della vita dell’uomo per santificarle si trova, per esempio, in sant’Ireneo di Lione[2].) Si tratta delle età che ritmano la crescita del Cristo nell’uomo o nel corpo dell’umanità? Checché ne sia della perplessità dei Magi di fronte alla diffrazione del mistero del Cristo attraverso le età della vita dell’uomo, e checché ne sia della nostra perplessità davanti al carattere enigmatico dell’esegesi del Damasceno, noi ci vediamo qui rinviati a una finissima intuizione dell’interpretazione delle età nella vita di un uomo. Ciò dipende dal fatto che le età dell’uomo corrono su varie scale del tempo. La stessa nozione di età ci fa uscire dalla unidimensionalità del tempo: l’età non si può ridurre né alla durata di un periodo e di una fase, né al concatenamento di una tappa e di un grado. La nozione generale di età non può essere iscritta in una linearità stretta e univoca del progresso o della crescita, a fortiori quando si tratta di età della “vita spirituale” o di “età spirituale”.

La nozione di età e la triplica scala del tempo

Una ricerca sulle “età della vita spirituale” dovrebbe venire effettuata sullo sfondo di una triplice scala del tempo: una scala mitica, secondo la quale sono determinate le età del mondo[3], una scala teologica, secondo la quale sono considerate o concepite le età dell’evoluzione dell’umanità attraverso il prisma della storia (quello che può corrispondere nella storia sacra alle tappe della “cristificazione” dell’uomo[4], della sua liberazione interiore, della sua realizzazione spirituale o della sua “divinizzazione”) e una scala antropologica secondo la quale sono evocati gli aspetti biologici, psichici e sociologici dello sviluppo personale e collettivo dell’uomo. La nozione di età combina insensibilmente fra loro queste tre scale fondamentali del tempo, perché la chiave di intellegibilità di un’età si situa sempre fra un principio (archè) e una fine (télos), cioè fra un impulso originario e una aspirazione al compimento, quale che sia la dimensione o la natura della durata compresa fra questa archè e questo télos.

Tale intuizione preliminare ci invita a fare la seguente constatazione: uno studio delle età della vita spirituale ci obbliga a sviluppare e a mantenere simultaneamente una riflessione che soggiace a ciò che si chiama una “età”. La parola greca che dà radicamento semantico alla nozione di età è quella di hèlikia: essa designa un rapporto specifico dell’uomo con il tempo, cioè ciò che lega fra loro la coscienza che l’uomo ha della sua vita e la coscienza che l’uomo ha del tempo. Ora, appunto, la coscienza che l’uomo ha del tempo della vita non è semplicemente una coscienza cronologica: è anche, e prima di tutto, la coscienza di un “potenziale”, cioè la coscienza di quel che il tempo gli consente di divenire. Un’età, insomma, rappresenta sempre un potenziale, sia da attuare, sia in fase di attuazione. L’essenziale della nozione di età non si situa nella cronaca degli avvenimenti della vita di un uomo, ma nella maniera in cui gli avvenimenti attualizzeranno o renderanno vano un potenziale di vita: la maniera in cui questi avvenimenti possono anche esaurire o arricchire lo stesso potenziale. È anche al livello del potenziale che si comprenderà il carattere specifico di un’età detta “spirituale”, perché nella vita spirituale la potenzialità si apparenta in primo luogo con la realtà prima e ultima dello spirito. Più radicalmente è persino lecito affermare che una vera esperienza dello spirito si presenta come una forma di accesso diretto al potenziale assoluto dell’uomo.

L’età spirituale: una sfida alle tracce apparenti del tempo

Se si misura la vita di un uomo col metro della sua sapienza, la sua età reale è raramente quella che si vede. Questa convinzione immemorabile dei sapienti non è soltanto un semplice motivo di retorica, essa riflette anche una certa intuizione che riguarda la vera natura dell’età spirituale: essa dipende meno dalla durata del tempo che dalla sua alchimia. Questa età infatti rimanda a una capacità dell’uomo di sfidare la finitezza del tempo, di trascenderla e di convertirla. Ecco perché il libro della Sapienza insegna questa verità paradossale:

Vecchiaia veneranda non è la longevità, né si calcola dal numero degli anni; ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza; e un'età senile è una vita senza macchia.[5].

Si dice per esempio di san Benedetto che fosse un puer senes; Questo lascia intendere san Gregorio Magno, nel secondo libro dei Dialoghi, quando parla della precoce sapienza di san Benedetto: non che Benedetto all’inizio della sua conversione monastica fosse un uomo fatto, ma gli fu dato, fin dalla giovane età, di accedere a quel senso interiore che procede dal potenziale dello spirito:

Fin dall’infanzia il suo cuore era quello di un anziano[6].

Ma quel che è notevole in Benedetto non è tanto la precocità spirituale quanto il fatto, ben più significativo, che l’età non abbia avuto ragione del suo potenziale interiore. Le prove e le tentazioni della vita di questo monaco hanno scavato un accesso sempre più profondo alle fonti dello spirito e hanno dato luogo a un vero ringiovanimento del suo essere. Non soltanto il suo potere di realizzazione e di compimento in Cristo non è stato intaccato, ma si è rinnovato a ogni crisi decisiva: Benedetto non è stato né abbattuto, né inaridito, né indurito dalla prova, ma edificato in una capacità di misericordia sempre più larga e sempre più profonda. Ora la misericordia rivela la forma massima del potenziale divino della vita, cioè la capacità che ha l’amore di far emergere tutte le cose dal nulla all’esistenza. Lo schema ternario “tentazione – vittoria – irraggiamento” esposto da Adalberto de Vogüé nel suo commentario della Vita di san Benedetto[7], è precisamente lo schema di questa crescita del potenziale della vita. Questo è lo schema che ritma i cicli della vita di Benedetto e lo condurrà, fra l’altro, a edificare dodici monasteri composti ciascuno di dodici monaci[8]. La cifra di dodici simboleggia la pienezza e la fecondità dell’età, allo stesso modo dei centoventi anni di Mosè[9]. Sarà ancora lo stesso schema che condurrà Benedetto alla visione ultima del mondo racchiuso in un solo raggio di luce:

Mentre stava così in contemplazione, accadde una cosa davvero meravigliosa, come egli stesso in seguito raccontò.             Il mondo intero, come raccolto in un unico raggio di sole, fu posto davanti ai suoi occhi. E mentre il venerabile Padre fissava con sguardo penetrante lo splendore di quella fulgida luce, vide l'anima di Germano, vescovo di Capua, portata in cielo dagli angeli dentro una sfera di fuoco[10].

Benedetto giunge alla pienezza dell’età, al compimento spirituale, quando il suo sguardo è in grado di abbracciare la totalità del mondo nella semplicità di una solo raggio di luce. È proprio la semplificazione dell’anima mediante la misericordia che rende lo sguardo di questa anima trasparente e adeguato alla semplicità dello sguardo di Dio: In qualche modo, possiamo qui dire, in un tale sguardo la perfezione spirituale dell’età dell’uomo abbraccia l’età del mondo. Con la sua visione il santo accede al potenziale divino che regge le età del mondo: di questo mondo, Benedetto non pretende esserne la causa, ma se ne dice e se ne sente responsabile davanti a Dio e con Dio.

In modo generale nulla è determinato da un’età di per sé: è l’uomo che dà un’età agli esseri, alle cose e al mondo; e lo fa, coscientemente o no, in funzione dell’età della propria vita, in funzione della misura esistenziale di un tempo di cui è interiormente l’esemplare.

Ciò che si trova nel cuore della determinazione di un’età – quale che ne sia la misura o la durata – è il nesso significativo che l’uomo mantiene fra la sua coscienza del tempo e la doppia e inevitabile esperienza della nascita e della morte. Infatti della nascita e della morte in quanto tali l’uomo non ha vera coscienza. Egli non acquisisce questa coscienza della nascita e della morte se non attraverso il prisma della coscienza del tempo. L’uomo non può focalizzare la sua coscienza sul mistero della morte e della nascita, ma questo duplice mistero struttura ugualmente la sua coscienza in quanto coscienza del tempo: si tratta di due realtà ultime che, paradossalmente, pur sfuggendo a ogni rappresentazione, costituiscono il film sensibile di questa coscienza.

Nascita e morte corrispondono a una tonalità fondamentale  della coscienza che colora tutte le realtà della vita in questo mondo, una tonalità mista fatta, insieme, di una irreprimibile chiamata alla libertà – cioè di una chiamata della libertà  - e di un confronto non meno drastico con la necessità. L’uomo è preso non nel gioco del caso e della necessità, ma negli intrecci della libertà e della necessità: la libertà determina l’ambito dei suoi valori, la necessità fa indietreggiare l’orizzonte delle sue verità. Nella sovrapposizione delle due esperienze il tempo offre all’uomo il teatro potenziale di quel che giudicherà come un progresso o un regresso. Nel campo duale di questa coscienza, il tempo si afferma come l’avanzare inesorabile di un orologio della vita che suona le ore della crescita, dell’apogeo e del declino, che batte il ritmo e la frequenza degli “avanti” e dei “dopo”. Di fronte al cammino del tempo due atteggiamenti sono possibili, che non si escludono reciprocamente: quello della volontà che mette l’accento sulle tappe pratiche di un progresso nel Bene e quello dell’intelligenza che mette l’accento sulla continuità di senso nella ricerca della Verità.

La volontà infatti potrà appropriarsi la realtà del tempo come di una scala sulla quale tenterà di procurarsi, gradino dopo gradino, il progresso di una ascensione, la fecondità di una maturazione, la beatitudine di un compimento. Le età della vita spirituale potranno essere allora considerate come le tappe di una ascensione spirituale che obbedisce al ritmo ternario di un inizio, di un progresso e di una perfezione: questo approccio sistematico compare specialmente in Origene[11]. In Cassiano[12], in Giovanni Climaco[13] o più tardi in Occidente in Guglielmo di Saint-Thierry[14].

Ma da un’altra parte, di fronte allo stesso avanzare del tempo, l’intelligenza spirituale amerà anche mettere in rilievo la linearità di una evoluzione, la continuità di una storia. Il continuo progresso nell’intelligenza del Mistero farà risaltare allora la fedeltà dell’uomo alla sua natura profonda, cioè la sua fedeltà al potenziale divino di vita e di illuminazione che rappresenta la conoscenza dello spirito.Qui l’attenzione non si porta su una classificazione di tappe propriamente dette, ma sulla logica interna dell’evoluzione o del progresso verso la perfezione, come in Filone alessandrino (De Fuga et inventione), dove l’itinerario spirituale è simboleggiato da figure bibliche che descrivono in maniera analitica tutto il processo che conduce dal pentimento alla salvezza. Nella stessa linea, nella sua Omelia I sul Cantico dei Cantici, Origene mostra come attraverso i sette cantici biblici, che vanno dal cantico di Mosè al Cantico dei Cantici, l’anima vive un processo graduale di purificazione e di illuminazione. Il più rappresentativo, in questo campo, è senza dubbio Gregorio di Nissa[15] per il quale la mozione spirituale del “desiderio”, che agisce sia nella conversione, sia nella ascesa mistica, prevale su una distinzione sistematica delle tappe della vita spirituale. Già le prime sette lettere di sant’Antonio[16] riflettono in maniera identica la ricerca di una logica interna della conversione monastica secondo la quale il monaco è condotto a ritrovare la vera natura dell’uomo divenendo sempre più ricettivo alla mozione dello Spirito santo che agisce immediatamente a livello dell’intelletto.

Il tempo impone a ogni impresa umana, a ogni aspirazione, a ogni progetto, l’irreversibile mozione in avanti di un dinamismo di vita che si presenta sotto l’aspetto della ciclicità e della periodicità. Ciò che è proprio dell’età si ritrova precisamente in una esperienza che è insieme ciclica e lineare del tempo; e la sfida di ogni età spirituale consisterà nel mantenere una coerenza fra il movimento della freccia e quello del cerchio:L’uno potrebbe simboleggiare le fughe in avanti dello spirito nel cammino di una evoluzione progressiva, e l’altro riportare il ricordo della periodicità del corpo (un aspetto al quale la medicina cinese, si trova particolarmente sensibile e attenta). La tentazione è grande, qui, di ritradurre l’apparente antagonismo di questi due movimenti con l’antagonismo troppo atavico che vediamo fra il corpo e lo spirito. Sarebbe fare come se lo spirito detenesse da solo il principio della libertà dell’essere e come se il corpo si riducesse a non significare altro che il principio della necessità. Ora, la vera libertà non è esclusivamente nella linearità del movimento della freccia più di quel che la necessità non si riduca all’“eterno ritorno”del ciclo. L’uomo deve imparare mediante la pedagogia del tempo che nel cuore di ogni libertà esiste una necessità e che nel cuore di ogni necessità esiste una libertà. Di fatto la necessità iscritta nel cuore della libertà si traduce nel fatto che ogni spirito vivente non è libero di “non essere libero”, allo stesso modo che la vita non può “non essere vita”. In modo analogo, la libertà iscritta nel cuore della necessità si traduce in una manifestazione inattesa di una trascendenza del corpo, nel punto in cui esso appare il più vulnerabile e il più distruttibile: infatti tutto quello che può attentare alla vita e all’integrità del corpo non esercita alcuna presa né alcun potere sulla inesauribile energia del voler-vivere, immanente allo stesso corpo, come se, precisamente, il corpo avesse una intelligenza spontanea della vita che dipende non dall’istinto di conservazione ma dalla stessa chiaroveggenza dello spirito. La potenza di manifestazione che caratterizza il corpo trascende infinitamente tutte le forme condizionate mediante le quali e attraverso le quali il corpo è manifestato.Troviamo una illustrazione di questo paradosso del tempo reale, libero dal gioco delle apparenze, nella polemica che oppone Gesù ai Farisei a proposito della sua età “vera”. Gesù dice loro:

Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò...

I Farisei esclamarono:.

Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?.

A questo punto Gesù rivela loro il senso reale dell’età legato non alla durata ma al potenziale:

In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono[17]

Secondo la Legge, “cinquant’anni” è l’età giubilare. La cifra di cinquanta simboleggia, con la moltiplicazione del sette per sette più uno, l’irruzione dell’eternità nel tempo o il rinnovamento del tempo: si tratta di uno spazio-tempo che equivale al ciclo di sette settimane (sette sabati) più un giorno. Ora, nel simbolismo del settuplo settenario accresciuto di una unità troviamo esattamente ciò che costituisce la congiunzione del cerchio e della freccia, del ciclo e del progresso.La periodicità del Giubileo perviene, secondo l’ordinamento della Legge, alla liberazione degli schiavi e alla remissione di tutti i debiti. In altri termini, il regime della necessità, legato al comando della Legge, non è abolito ma trasceso: esso trova il suo compimento ultimo nell’irruzione della libertà mediante l’esercizio della misericordia. Ora questo corrisponde esattamente a quel che Gesù dice di se stesso quando oppone l’età di Abramo (relativa al passato) all’età del “Io sono” (relativa al presente e al futuro). Egli si assimila al Nome divino che contiene misteriosamente il potenziale del pieno compimento della Legge. Gesù realizzerà la perfezione di questo Nome sottomettendosi liberamente a tutto il rigore del giudizio della Legge fino a che sia manifestato in lui il progetto eterno della Legge, cioè di liberare ogni uomo dalla maledizione del giudizio per condurlo alla pienezza della benedizione. Questa benedizione, che costituisce tutto il potenziale di vita misteriosamente celato nel Nome impronunciabile di Dio, è quella che Abramo ha visto in anticipo come la piena realizzazione dell’identità divina nella persona del Cristo e come la trasmissione di questa a ogni uomo. Mediante la speranza di una promessa di benedizione universale, la missione di Abramo avvia nel tempo la coscienza teologica della storia: il lungo itinerario interiore che ogni uomo deve affrontare, attraverso il fuoco della prova, per andare a incontrare se stesso. Gesù ricapitola il potenziale delle età dell’uomo mediante la coscienza che ha della propria identità profonda: è quella la sua età reale. San Paolo si farà eco di tale coscienza guardando, attraverso la pedagogia della Legge, ciò che struttura le età teologiche dell’umanità, in un vasto processo di cristificazione dell’uomo, al contempo sul piano del singolo e dell’universo

... finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura dell’età della pienezza di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli ... vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo[18]...

L’importanza della “crisi” nel discernimento di un’età spirituale

Nessun maestro spirituale, quando cerca di discernere, nel suo insegnamento, una successione di età della vita spirituale o di enunciare dei criteri che consentano di distinguere un inizio, un progresso e un compimento di questa vita, si illude che queste età possano essere racchiuse in una cronologia. Colui che ha il compito di accompagnare o di guidare i suoi discepoli su una via spirituale sa benissimo, sia per esperienza sia per intuizione, che l’essenziale di una età non si colloca nella fase temporale che la delimita, ma nella “crisi” che fa passare l’uomo da un’età all’altra. Certamente l’ideale spirituale perseguito e cercato è spesso un ideale di pienezza e di stabilità che può essere designato, per esempio, con il termine di hesichia: la pace interiore, la quiete dell’anima e la serenità dello spirito. Ma se la finalità della vita spirituale può essere concepita come una ricerca della pace, non si tratta mai in definitiva della ricerca di una tranquillità autosufficiente: nessuno spirituale può mai, in verità, dirsi liberato dal movimento né dalla lotta spirituale. Anche con la pacificazione del cuore, la lotta non è totalmente soppressa: cambia piuttosto di valenza, di senso e di natura. Infatti passato il tempo delle crisi personali, non si tratta più di battersi contro se stessi e neppure, in maniera frontale, contro le potenze del male, ma di battersi con gli altri per la vita, per l’unità, per la pace, per l’onore di Dio. In definitiva, si tratta di battersi per mantenere la rotta della speranza nella stessa opera di Dio, smascherando, con il discernimento interiore, la menzogna e l’illusione.

In questa prospettiva la “crisi” diventa l’essenziale dell’età spirituale, non perché è il luogo della “lotta”, ma perché è il motore di questa età. Paradossalmente, il senso propriamente spirituale di un’età non si trova nella tappa o nel grado al quale pensiamo di essere arrivati, ma nella transizione fra due età, in ciò che spinge l’uomo a destrutturarsi per edificarsi in maniera diversa, perché è qui che il potenziale reale dell’uomo viene alla luce. Proprio qui precisamente si esercita e si prova il movimento ineffabile di una libertà, attraverso la sinergia del corpo e dello spirito. Infatti il paradosso della “crisi” consiste nel metterci in contatto con la realtà inaspettata di un potenziale di vita e di “senso”: Nel momento stesso in cui pensiamo di aver esaurito tutte le nostre risorse, siamo portati a esercitare la nostra libertà attingendo, nell’energia della nostra fede e nel dinamismo della nostra speranza, il coraggio di “leggere” in positivo ciò che si manifesta in negativo. Qui il corpo e lo spirito si trovano infine a lavorare insieme, a un’opera di “creazione” interiore che supera l’auto-edificazione dell’uomo, in vista di ciò che considera come la perfezione, la virtù, la conoscenza, la beatitudine.

Ogni momento di rottura, ogni momento di destrutturazione può essere il luogo decisivo di una pressione della vita, e dunque dello spirito. In questi momenti si riattiva la memoria dell’archè e del telos. Questa onda d’urto ravviva in noi il ricordo di ciò che, ad ogni istante, può farci decidere a nascere e darci il coraggio di morire. La crisi ci mette in risonanza con un impulso originario – lontano o vicino, poco importa – e con l’attrazione di ciò che costituisce il compimento del tempo della nostra vita (helikia); a meno che non sia il risveglio interiore di questa memoria del principio e della fine che agisca di per sé come un fattore che determina la crisi. Comunque sia, questo risveglio della memoria del telos e dell’archè impone alla nostra coscienza la necessità di ripensare in profondità il senso della nostra storia, in funzione della qualità e non della durata del tempo; ed è così che ci diventa possibile – ma non è automatico – di aprire, nel campo della nostra coscienza, mediante la mozione creatrice del nostro spirito, un nuovo spazio di tempo o una nuova modalità del tempo, cioè una “età nuova” che ci apparirà necessariamente come una nuova tappa della nostra vita nello Spirito.

Alcuni non cambiano mai di età, per non aver colto l’impulso vitale della crisi e non essersi tuffati nelle sorgenti della propria creatività: essi vedono allora riprodursi il circolo vizioso dei cicli della vita che si sovrappongono senza il minimo progresso. È proprio invece della coscienza spirituale di una “età” il fatto di radicarci nella convinzione che ogni avvenimento della vita è insieme fondamentalmente lo stesso, cioè identico a quel che non abbiamo mai vissuto e fondamentalmente differente, cioè non riproducibile: E questo dipende dal fatto che si percepisce la vita, sempre di più, come una realtà fondamentalmente una e fondamentalmente nuova.

 

Conclusione. Le tappe di un progresso spirituale per la nostra epoca: l’integrazione cosciente del mistero della “persona”

Non esiste una lettura a priori delle età della vita spirituale, secondo criteri assolutamente “predefiniti”. La decifrazione delle tappe attraverso le quali lo Spirito ci guida e il riconoscimento dell’itinerario che, nella nostra personale libertà, noi tracciamo, non possono farsi altro che a posteriori; per conseguenza la visione spirituale di una coerenza organica fra queste tappe dipenderà dalla sensibilità che avremo acquistato in rapporto a ciò che costituisce la “nostra” storia: una storia indissociabilmente singolare e collettiva. Noi infatti distinguiamo quel che costituisce le età della vita spirituale in funzione della comprensione di una “storia sacra”. Il senso di questa storia non è né unico né univoco. Ogni generazione, lungo tutte le ere, metterà un accento diverso e specifico in funzione della sua sensibilità alle poste e alle sfide del presente. Fra la memoria della storia sacra dei testi sacri e la nostra propria storia sacra si annoda un nesso di notevole reciprocità, in modo che la lettura che abbiamo della Scrittura ci permette di decifrare le età della nostra storia, nello stesso modo che la visione delle fila provvidenziali di questa storia – quelle che danno un senso al tessuto organico dei nostri condizionamenti e delle nostre libere scelte – illumina in cambio l’intelligenza delle età spirituali della nostra umanità attraverso la trama delle Scritture.

A titolo di conclusione veniamo a ciò che, considerato attraverso il prisma della nostra epoca, mi sembra caratterizzare il cammino delle “età spirituali” della nostra umanità, sia sul piano individuale che su quello collettivo. In che senso, infatti, l’uomo contemporaneo può sperare di progredire sul piano etico e spirituale? Il processo di evoluzione spirituale nel quale siamo chiamati  a fare nuovi passi di crescita e che presenta, per gli uomini della nostra terra,  un carattere decisivo e urgente, è, a mio avviso, il processo che sollecita nei nostri contemporanei il passaggio a un grado supplementare di “interiorizzazione”, a livello della coscienza. Ora, a livello di coscienza, questo processo può essere considerato come già avviato da lunga data. In occidente i mistici reno-fiamminghi sono infatti testimoni autentici di questa rivoluzione di coscienza. In maniera molto suggestiva eppur molto misteriosa, il mistico di Strasburgo, Giovanni Taulero, evoca varie volte nella sua predicazione l’importanza che può avere la svolta della quarantina nella vita di un uomo. Egli vi vede l’età della “seconda conversione”, cioè il passaggio cosciente dalla relazione con un Dio proiettato all’esterno di sé all’incontro con un Dio interiore nella profondità del cuore[19].

Forse gli uomini si trovano collettivamente alla “svolta” della quarantina, cioè in questa lunga e laboriosa fase transitoria fra la Legge e la Grazia. L’interiorizzazione della Legge è, infatti, già ben prima della venuta di Cristo, il progetto spirituale di una buona parte della nostra umanità. Se il Cristo ci apre una via inedita di interiorizzazione del Mistero, questa via rimane ardua e non esente da scogli. Perché l’incontro del Dio interiore non è certamente l’incontro con un contenuto della nostra coscienza: è un’esperienza di incontro con la nostra coscienza in quanto tale e non con le rappresentazioni che la coscienza porta con sé. Si tratta infatti dell’emergenza e dell’edificazione nell’uomo di ciò che conviene chiamare, a rigor di termini, la “coscienza personale”, cioè la “appercezione” cosciente (e non teorica) di ogni uomo in quanto “persona”. Si tratta di una forma di coscienza inedita che non si riduce affatto al “personalismo” né a una qualsiasi filosofia. Questa coscienza deriva dall’integrazione progressiva, nell’uomo, della coscienza evangelica del Cristo. Fino ai nostri giorni l’apporto specifico della tradizione giudeo-cristiana ha svolto un ruolo capitale in questo senso, ma tale ruolo però potrebbe esserle tolto se le religioni dipendenti dalla ispirazione e dalla rivelazione biblica non superano questo grado supplementare di interiorità.

Le crisi contemporanee – che formano il teatro di ciò che, a livello umano, può apparire come una sfida della nostra evoluzione – sono come delle controprove che ci spingono a compiere il passo vitale dell’interiorità. Questo è quel che dobbiamo cogliere attraverso l’insegnamento implicito che ci offre il confronto giornaliero con gli effetti letali delle crisi identitarie, dei fanatismi religiosi e ideologici, delle globalizzazioni irresponsabili e catastrofiche. Di fronte e tutto ciò l’edificazione nell’uomo di una coscienza propriamente “personale” può offrirci una via d’uscita salutare e restituirci  una visione magnifica del senso ultimo della vita, cioè una ragione divina di sperare. Questa “coscienza personale”, cioè la coscienza di che integri l’identità dell’altro, vivente epifania del mistero della vita, corrisponde alla sensibilità fondamentale della coscienza in quanto pura apertura al mistero della alterità. Questa coscienza non ha nulla a che vedere con quel che l’Occidente ha prodotto attraverso i modi soggettivi o riflessivi della coscienza. E neppure è una negazione del soggetto dell’ego, ma, ben  di più, uno “scavamento” di questo, una “kenosi” interna dell’io verso la profondità insondabile dell’altro.

L’essere personale è, nelle circostanze attuali, il modo fondamentale di una vita spirituale mediante la quale l’uomo possa sperare di giungere a integrare, in coscienza, l’alterità nell’identità, la totalità nell’unità, la libertà nella necessità, l’infinito nella finitezza, senza sentirsi mai più né colpevole né vittima. In tale modo diviene capace di assumere il suo destino in una visione sempre più netta del fatto che una coscienza responsabile dell’evoluzione è il primo motore di questa evoluzione. Si tratta infatti della nascita continua di un uomo responsabile della sua storia, perché l’agente primo di questa storia è la coscienza che quell’uomo ne ha.

(da La Vie Spirituelle)



[1][1] Cf. Jean Damascène, Éd. B. Kotter V In Nattiv. 11,23-35, p.342.

[2] Cf. Contre les Hhérésies II, 24, 4, coll. »Sources Chrétiennes » 293 e 294.

[3] Cf. Jonathan Z. Smith, «Ages of the World», Encyclopedia of Religions, seconda edizione 2005, Farmington Hills, Thomson Gale.

[4] Si veda per esempio le età di prima della Legge, sotto la Legge e dopo la Legge in san Paolo (Rm 5,13-15 e Gal 3,22-26).

[5] Sap 4, 8-9

[6] Dial. II, I, 1, Éd. Bellefontaine, coll. “Vie monastique » 14, p. 21.

[7] Cf. idem , p. 43-49.

[8] Cf. Dial. II, III , 13; op. cit., con il commento di A. de Vogüé, p. 52 –55.

[9] Si veda lo studio di Marguerite Harl, “Les trois quarantaines de la vie de Moyse”, Revue des Études grecques, 1967, p. 407-412.

[10] Dial. II, XXXV, 3, p.195.

[11] Cf. Prologue sur le Commentaire du cantique des Cantiques; Homélies sur les Nombres, in particolare : omelia 12,3, « Sources chrétiennes » 375 e 442.

[12] Cf. Conférences III, 6-7 e IV, 19-21, “Sources chrétiennes” 42.

[13] Cf. Échelle sainte, degré XXVI, 14, 58, 62, 71, Éd. Bellefontaine, « Spiritualité orientale » 24.

[14] Si veda Paul Verdeyen ,”L’itinéraire spirituel selon Guillaume de Saint-Thierry”, Christus, n° 263, p. 331-342.

[15] Cf. La Vie de Moyse II, « Sources chrétiennes » 1 bis.

[16] Si vedano le venti lettere di sant’Antonio secondo la tradizione araba, in Matta El-Maskîne, Saint Antoine, ascète selon l’Évangile, Éd. Bellefontaine, “Spiritualité orientale” 57.

[17] Cf. Gv 8,56-58.

[18] Cf. Ef 4,13-15.

[19] Cf. Ignaz Welner, Johannes Taulers Bekehr-ungsweg, Pustet, 1961; in particolare: Altgersreife und zweite Bekehrung im Leben Taulers (p. 231-241) e Das Probrem der Lebenswende und die zweite Bekehrung (p. 245-254).

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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