Carismi,
una tema diventato familiare
di Dario Vitali
A giudicare dalla frequenza con cui il termine carisma ricorre nell'attuale koiné linguistica ecclesiale, si dovrebbe concludere che, almeno su questo punto, il dettato conciliare ha conosciuto una recezione felice. Senza dubbio il tema è diventato familiare; ma l'inflazione del termine ha finito di fatto per svuotarlo, al limite per connotarlo in senso peggiorativo. D'altronde, complice un uso profano del termine che esalta uomini di ogni genere come carismatici, purché eccellano nei campi in cui si trovano ad agire - dalla politica allo spettacolo allo sport -, il processo di recezione sembra riportare la questione dei carismi al punto di partenza. Nonostante il dettato conciliare, infatti, anche in ambito ecclesiale "carismatico" è tornato a essere sinonimo di "straordinario". E se la straordinarietà non sta anzitutto nel dono concesso da Dio, ma nella persona, alla quale si è disposti a concedere credito e a riconoscere autorevolezza come uomo o donna di Dio, l'esito è comunque opposto a quello inteso da LG 12, quando parlava di «carismi, straordinari ma anche più semplici e più largamente diffusi».
Per varie ragioni, l'idea conciliare di una partecipazione dei battezzati alla funzione profetica di Cristo attraverso l'esercizio diffuso dei carismi di tutti ha lasciato il posto a una massa amorfa di fedeli alla continua ricerca di carismatici veri o presunti, ai quali è riconosciuta una capacità di mediazione tra Dio e l'uomo. A questo piano inclinato ha contribuito anche il fenomeno post-conciliare dei movimenti ecclesiali, dove si è particolarmente messo in risalto il carisma dei fondatori, per ovvie ragioni considerato come manifestazione straordinaria dello Spirito. Nel frattempo pure la percezione dei carismi è radicalmente cambiata, come dimostra la tendenza diffusa a misurare le cose e le persone, compresi i papi, dal loro tasso (mi si passi il termine) di "carismaticità". Ma se essere carismatico coincide con l'essere aperto, simpatico, capace di parlare ai giovani, come sapeva fare papa Wojtyla e come non saprebbe fare papa Ratzinger, allora il carisma è scaduto a elemento decorativo di carattere estetico, con buona pace di un rinnovamento della Chiesa attraverso l'azione dello Spirito, il quale distribuisce i suoi doni come vuole, per l'utilità del corpo ecclesiale.
I motivi di una tale deriva possono essere molteplici. Certo, contrapporre il carisma all'istituzione, come ha fatto certa teologia, ha seriamente pregiudicato la maturazione della consapevolezza che lo Spirito rinnova la Chiesa anche oggi, e non solo ai suoi inizi, mediante l'abbondanza dei suoi doni e carismi. La polemica ha armato la volontà di chi era deciso a ostacolare il disegno conciliare di un popolo di Dio come soggetto attivo della vita ecclesiale. L'idea di partecipazione, affermata nei documenti ma non dovutamente sostenuta da una educazione alla corresponsabilità, è rimasta di fatto lettera morta, lasciando il campo a una pratica formale della vita ecclesiale, dove l'identità cristiana risulta spesso incerta e l'appartenenza debole. Il timore del dissenso ha spinto nella direzione di un cristianesimo acquiescente, incapace di grandi ideali, confuso nelle forme di presenza nel mondo, sempre bisognoso di tutela.
Paradossalmente, anche l'esperienza del Rinnovamento carismatico ha contribuito a questo rinforzo dell'idea di carisma come dono straordinario. Per quanto l'esercizio diffuso dei carismi costituisca uno dei tratti più caratterizzanti del movimento, l'esperienza ha sortito nell'opinione pubblica un esito diametralmente opposto, probabilmente per l'enfasi posta sui carismi straordinari, soprattutto quelli di guarigione. A questo si aggiunga un atteggiamento di riserva quando non di sospetto da parte di larghi settori istituzionali della Chiesa che, vedendo nel Rinnovamento una proposta di vita cristiana a dir poco eccentrica, hanno impedito il travaso di questa corrente di grazia e della sua esperienza dei carismi nel vissuto della Chiesa. Ma, forse, tutto questo è solo effetto o meglio sintomo, non causa di una situazione ecclesiale refrattaria ai carismi. Senza una capacità e una volontà di riconoscerli come doni dello Spirito, i carismi risultano elementi di disturbo e di sovvertimento dello status quo ecclesiale. Giustamente LG 12 si concludeva con l'affermazione che «il giudizio sulla genuinità e sull'esercizio ordinato dei carismi appartiene a quelli che presiedono nella Chiesa, ai quali spetta specialmente non di spegnere lo Spirito, ma di esaminare ogni cosa e di ritenere ciò che è buono». Tale compito, lungi dal limitarsi a stigmatizzare e stroncare gli eccessi, esige un esercizio costante del discernimento ecclesiale.
(da Vita Pastorale, n. 4, 2010)