Gli inviti di Dio
Benedettine di S. Maria di Rosano
"Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio (Mt 22.2).
"Il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli su questo monte un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati" (Is 25,6). La nota pagina di Isaia fin dall'Antico Testamento ha presentato il regno dei cieli e alimentato la fede nella beatitudine eterna con l'immagine del banchetto, che immediatamente fa pensare alla condivisione, all'intimità e alla gioia di quanti vi sono invitati.
Anche Gesù riprende nel suo insegnamento il tema conviviale, divenuto simbolo delle gioie e delle promesse messianiche, anzi lo arricchisce precisando che è un banchetto di nozze, ben sapendo quale magnificenza, fasto e gaudio esso porta con sé. Racconta quindi un giorno la parabola del banchetto nuziale, certo di non poter essere frainteso nemmeno dai principi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo.
Il Crisostomo coglie la bellezza della nuova similitudine del regno dei cieli e nel suo commento non nasconde una stupita compiacenza quando esclama: "Quale uomo sulla terra non sarebbe particolarmente felice di partecipare a una festa di nozze, festa organizzata da un re per il proprio figlio?". E pensando stupiti anche i suoi fedeli: "Ma perché, voi mi chiederete, si parla di nozze?", prosegue con una riflessione pregna di sapienza:
"Perché noi possiamo comprendere meglio la sollecitudine di Dio, il suo amore per noi, la gioia del suo invito e lo splendore di ciò che Egli ha preparato: niente, infatti, qui appare triste ed oscuro, ma tutto trabocca di gaudio spirituale".
Siamo dunque invitati dal Signore stesso ad entrare nella Sua casa per partecipare alla Sua stessa mensa. Se il possibile invito da parte di un re della terra ci meraviglierebbe fino all'incredibile, consideriamo quale sia la sublimità del reale invito di Dio, a quale dignità ci chiami ed elevi facendoci suoi figli e promettendoci in eredità il regno dei cieli.
Allora comprendiamo, come rileva S. Gregorio in una sua Omelia, la preoccupazione per la veste: "Si sa, fratelli, che quando uno è invitato a un rito di nozze cambia il vestito, per mostrare anche con l'eleganza dell'abito di condividere la gioia dello sposo e della sposa, perché si vergognerebbe di comparire con vesti dimesse tra gente felice e che celebra una festa". Ed aggiunge: "Noi partecipiamo a nozze divine e non ci preoccupiamo di mutare la veste del cuore?", portando l'attenzione sull'essenziale della parola del Signore.
La parabola, infatti, ha un andamento drammatico per l'inspiegabile superficialità del rifiuto del dono e per l'insistenza del re a inviare i suoi servi a chiamare altri, anche sconosciuti, di qualsiasi condizione, anzi di supplicarli a partecipare alla sua festa, per la quale ha preparato tutto con magnanimità. Il culmine però del racconto di Gesù, quasi impensabile visto che i partecipanti erano stati forzati ad entrare, è l'atto finale: il,re, entrato per vedere i commensali, scorge un tale che non indossa l'abito nuziale e di fronte all'ammutolimento dell'ospite che egli chiama sempre "amico", ordina ai suoi di legargli mani e piedi e di gettarlo fuori nelle tenebre.
Anche la nostra prima reazione è un ammutolimento, tanto severa e senza scampo è la decisione presa dal re, ma proprio perché è il Signore che la propone, dobbiamo comprendere il senso profondo di tutto questo.
I Padri si sono domandati che cosa rappresenti quella veste, alla quale è legata la sorte ultima della vita e noi godiamo di trovare nelle loro pagine interpretazioni concordi nella sostanza.
S. Girolamo dice: "La veste nuziale sono i precetti del Signore e le opere che si compiono nello spirito della Legge del Vangelo. Essi sono l'abito dell'uomo nuovo. Se qualcuno che porta il nome di cristiano, nel momento del giudizio sarà trovato senza l'abito di nozze, cioè l'abito dell'uomo celeste, e indosserà invece l'abito macchiato, ossia l'abito dell'uomo vecchio, costui sarà immediatamente ripreso e gli verrà detto: Amico come sei entrato?".
S. Gregorio, dopo aver detto che ognuno giunto alla fede è già partecipe del banchetto di nozze, nel quale non ha però la veste nuziale, se non custodisce la grazia della carità, di fronte alla penosa conclusione della parabola passa all'esortazione: "Chiedetevi, vi prego, se siete venuti a questo convito con l'abito nuziale e sottoponete i vostri pensieri ad un sollecito esame. Scrutate i vostri cuori su ogni cosa, chiedendovi se nutrite odio contro qualcuno, se vi fate bruciare dal fuoco dell'invidia di fronte all'altrui felicità, se cercate di fare del male a qualcuno con trame segrete contro di lui". È quanto S. Agostino riassume felicemente in una parola: la veste nuziale è la carità.
(Beata Pacis Visio, n. 9, 2005)