Vita nello Spirito

Domenica, 29 Giugno 2008 00:51

Gente di strada (Frei Betto)

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di Frei Betto

Forse coloro che scrivono poesie anonime sui muri delle nostre città sono accattoni con una vena poetica.

Il preconcetto sociale c'induce a non distinguere tra raccoglitori di rifiuti riciclabili, mendicanti e ladri. Tendiamo a guardare ai primi due come potenziali terzi. In verità, il ladro ruba, il mendicante chiede la carità, il raccoglitore di rifiuti lavora.

 

Lo stato deve prendersi cura di tutti e tre: prevenendo che un cittadino diventi un criminale (e, se lo diventa, "punendolo", sì, ma in vista di una sua rieducazione e un suo reinserimento nella società), offrendo al mendicante una rete di servizi sociali, riconoscendo e garantendo i diritti del cenciaiolo. Nel contempo, deve aiutare l'intera società a capire il mondo della gente di strada: sono persone che, come tutte le altre, hanno diritto alle cure sanitarie, ai documenti, alla protezione fisica, al riconoscimento della proprio dignità, a un'abitazione (se non ce l'hanno), ad adeguati spazi per le espressioni artistiche e il divertimento; in una parola: alla piena cittadinanza.

Nel 1928, il britannico Eric Arthur Blair si recò a Parigi, dove sperava di osservare con i propri occhi i bassifondi delle grandi metropoli europee. Mentre scriveva, lavoravo come sguattero in alcuni ristoranti. Riuscì a sopravvivere solo grazie alla carità dell'Esercito della Salvezza e sobbarcandosi lavori umilissimi. Tornato in patria, proseguì l'esperienza, che gli servì come ispirazione per il suo primo libro, Down and Out in Paris and London, pubblicato nel 1933 con lo pseudonimo George Orwell (trad. it.: Senza un soldo e  Parigi e Londra, Mondadori, Milano 1966. Più tardi, sarebbe diventato famoso con 1984 e La fattoria degli animali). Cito ampiamente dalla sua prima opera.

"Vale la pena dire qualcosa sulla posizione sociale degli accattoni. Quando hai condiviso la loro vita e scoperta che sono persone umane del tutto ordinarie, non puoi fare a meno di essere colpito dallo strano atteggiamento che la società ha nei loro confronti. La gente sembra pensare che esista uno differenza essenziale tra lavoratori" comuni e mendicanti: questi sarebbero una razza a parte - reietti, come i criminali e le prostitute. Mentre i lavoratori lavorano", gli accattoni "non lavorano": sono parassiti, inutili per loro stessa natura. Si dà per scontato che un mendicante non "si guadagni" da vivere, come invece fa un muratore o un critico letterario: è una mera escrescenza sociale, essenzialmente disprezzabile, anche se la si tollera perché viviamo in un'epoca umanitaria.

Eppure, se si osserva attentamente, non c'è alcuna differenza essenziale tra il modo di vivere dell'accattone e quella di molti rispettabili individui. "I mendicanti non lavorano", si va ripetendo. Ma... che cosa è "lavoro"? Uno sterratore lavora manovrando un piccone; un ragioniere, sommando numeri. Un mendicante, invece, lavora all'aperto, nel bello e nel cattivo tempo, buscandosi bronchiti croniche e ritrovandosi alla fine con le vene varicose. Il suo è un lavoro come tutti gli altri. Del tutto inutile, lo ammetto. Ma quanti altri lavori, considerati rispettabili, sono in realtà del tutto inutili? Come tipo sociale, l'accattone non sfigura affatto, se la si raffronta con decine e decine di altri tipi. Paragonato a un farmacista, è lui a fare la figura dell'onesto. Al confronto con l'editore di un giornale domenicale, appare di principi ben più elevati. Raffrontato con un esperto di vendite a rate, è addirittura un tipo gradevole.

In breve: l'accattone è un parassita, ma un parassita alquanto innocuo. Raramente pretende dalla comunità più di quanto gli serve per un minima di vita, e paga mille volte di più di quanta riceve in termini di sofferenza (e questo dovrebbe ampiamente giustificarlo, stando alle nostre idee etiche). Non pensa che ci sia alcunché in un mendico che lo collochi in una categoria diversa, da quella delle altre persone, o che dia alla maggioranza delle persone il diritta di disprezzarlo.

Sorge, allora, la domanda: perché gli accattoni sono disprezzati? (Perché lo sono davvero, e dovunque). Credo che sia per la semplice ragione che non sono in grado di guadagnare sufficiente denaro per condurre una vita decente. In fondo in fondo, però, nessuno si preoccupa davvero se il lavoro che fa è utile o inutile, produttivo o parassitico. L'unica cosa che tutti vogliono è che il lavora sia vantaggioso. Si parla tanto oggi di energia, efficienza, servizi sociali e altre cose simili. Ma in tutto questo, che altro c'è se non l'idea di "fare soldi, farli legalmente e farne tanti"? Fare soldi è diventato il test della virtù. Secondo questo paradigma, gli accattoni sono dei falliti; per questo sono disprezzati. Se fosse possibile racimolare dieci sterline la settimana chiedendo l'elemosina, sono certo che mendicare diventerebbe subito una professione rispettabilissima.

Parliamoci chiaro: un mendicante è semplicemente un commerciante che si guadagna da vivere, come ogni altro commerciante, nel miglior modo che ha a disposizione. Ma non ha svenduto la propria onorabilità più di ogni altra persona. Ha fatto solo l'errore di scegliere un'attività che gli impedisce di diventare ricco".

Un giorno, sul muro di una città, è apparsa questa scritta: "A dire il vero, / non ho mai avuta un pigiama. / E perché dovrei, / se non ha un letto? / Altra verità: / non ho mai avuto un balocco; / ho sempre e solo avuto paura. / Ma oggi fa tanto freddo ed è così umido, /che mi invento una coperta di sole / e un pigiama da sogno in un letto caldo. / Bello giocare e sognare che sono una persona!".

Chi può dirlo? Forse un accattone, con una vocazione di poeta, ha concepito questi versi e li ha urlati al mondo intero, scrivendoli su quel muro.

(da Nigrizia, gennaio 200)

Letto 1242 volte Ultima modifica il Domenica, 31 Ottobre 2010 20:00
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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