Vita nello Spirito

Venerdì, 28 Settembre 2007 22:51

La collera (Luciano Manicardi)

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di Luciano Manicardi


Accidia, Avarizia, Gola, Invidia, Ira, Lussuria, Superbia. Identificati come “abiti del male” da Aristotele, come “opposizione della volontà dell’uomo alla volontà divina” nel Medioevo, i “vizi capitali” ci ricordano lo spessore della nostra umanità e la bellezza di poterla realizzare sapientemente, nella comunione con Cristo risorto. Davanti alla collera si apre uno spazio attento ed equilibrato, aperto al dialogo e al perdono.
Il primo omicidio, secondo la Bibbia, nasce proprio da una collera repressa, taciuta, rimossa. “Caino fu molto irritato”.

È santa la collera che si accende di fronte all’ingiustizia, all’oppressione, alla violenza perpetrata dai prepotenti. 

La collera è un’emozione. Come tale essa non è né buona né cattiva. Eppure nella nostra tradizione culturale e religiosa l’ira gode di cattiva fama. Perché? Perché viene spesso equiparata tout court alla violenza, perché viene sentita come incompatibile con l’amore, perché è ritenuta sconveniente da una tradizione culturale che, fin dalla più antica trattatistica filosofico-morale, l’ha considerata una passione, attribuendola alla parte irrazionale dell’anima, perché è elencata tra i vizi capitali nella tradizione cristiana.

Eppure per la tradizione biblica la collera è ambivalente. Può certamente essere peccaminosa, ma anche santa. Gesù è modello di mitezza e dolcezza (Mt 11,29), ma è anche colui che «fatta una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio con le pecore e i buoi, gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi» (Gv 2,15), è colui che guarda «con ira» (Mc 3,5) coloro che stavano a vedere se avesse guarito un uomo malato in giorno di sabato per poterlo poi accusare, si adira con i discepoli che impediscono ai bambini di avvicinarsi a lui (Mc 10,14) e rivolge loro parole di fuoco (Mc 8,17-21), così come rivolge espressioni traversate dall’ira profetica nei confronti di ipocriti e menzogneri (Mt 23,13-36).

Il problema non è dunque l’andare in collera, ma che uso fare della collera, come esprimerla, e che cosa rivela di colui che si è adirato. Scrive Agostino: «Nella nostra dottrina si chiede all’anima credente non se va in collera, ma perché; non se è triste, ma da dove viene la sua tristezza; non se ha paura, ma qual è l’oggetto della sua paura» (De civitate Dei IX,5). La collera, infatti è rivelatrice di nostre vulnerabilità: essa ci consente di conoscerci.

Perché una determinata situazione o un certo gesto o atteggiamento o parola di un altro hanno suscitato collera in me? Che cosa mi dice, su di me, la mia collera? Queste domande ci mostreranno che la collera traduce ed esprime essenzialmente il senso di invasione del nostro territorio (simbolico) da parte di un altro, oppure la nostra paura di non essere riconosciuti, rispettati, compresi, oppure il nostro stato di fatica e di stress. Ovviamente è poi fondamentale il modo di espressione della collera: se la collera non è addomesticata, se il soggetto non assume la responsabilità delle proprie emozioni, e dunque della collera, essa può esplodere con quella violenza che si manifesta sia a parole che con gesti, e può uccidere. Di certo, è importante che essa trovi vie di espressione.

La collera repressa può essere ancor più mortifera di quella espressa. Scrive Gregorio Magno: «In certi casi l’ira impone all’animo agitato di non parlare e quanto meno si esprime fuori, tanto più brucia dentro e non rivolge la parola al prossimo, e così, col non parlargli, gli dice quanto non lo possa vedere... Può darsi che con l’andar del tempo l’animo irato perda completamente l’amore del prossimo... Spesso l’ira chiusa nell’animo col silenzio ribolle con più veemenza e, pur senza parlare, forma voci violente... Così avviene che l’animo turbato sente più grande strepito nel suo silenzio e la fiamma dell’ira chiusa in cuore lo consuma ancor di più» (Moralia V, 79).

Il primo omicidio, secondo la Bibbia, nasce proprio da una collera repressa, taciuta, rimossa. «Caino fu molto irritato» (lett. «a Caino bruciò molto»: Gen 4,5), ma egli non dà parola alla sua collera e non risponde a Dio che lo invita al dialogo (Gen 4,6-8). Così la collera, coltivata e nutrita interiormente, diviene rancore, odio, e l’odio è capace di fare a freddo ciò che la collera potrebbe fare solo a caldo. E Caino uccide Abele. Il testo biblico esprime molto bene sia il fatto che la collera è molto visibile e si manifesta a livello somatico (il volto di Caino fu abbattuto»: Gen 4,5), sia il fatto che la collera ha a che fare con la relazione con l’altro, con la capacità o meno di reggere il faccia a faccia. O perché ha il volto abbattuto, rivolto a terra, o perché innalza il proprio volto su suo fratello, Caino sempre sfugge all’incontro faccia a faccia con Abele e il non-incontro diviene omicidio: «Caino si innalzò contro Abele, suo fratello, e lo uccise» (Gen 4,8). Di certo, vi è una collera incontrollata che disumanizza l’uomo rendendolo simile a una bestia: la collera sfigura l’uomo e il parossismo dell’ira rende l’uomo tanto spaventoso quanto ridicolo. E soprattutto un momento di collera può rovinare il bene costruito in tanto tempo e con infinita pazienza.

Tuttavia la Scrittura e la Tradizione parlano anche di una santa collera, di una collera-virtù, di «una collera che nasce dallo zelo e che è una virtù» (Gregorio Magno, Moralia V, 82). Come definire una santa collera? Che cosa rende santa la collera?

E’ santa la collera che tiene in contatto con Dio o con l’altro uomo. La collera di Giobbe esprime la sua volontà di non fare a meno di Dio, di non staccarsi da lui; essa Io mette in un rapporto di opposizione talmente personale con Dio che non può certo accontentarsi di spiegazioni di seconda mano. Rischio della collera è quello di condurmi a troncare la relazione con la persona con cui sono adirato: non esprimo la collera, ma faccio come se l’altro non esistesse più, ne faccio un lutto anticipato.

E’ santa la collera che non si arroga il diritto di fare vendetta dando così il via a una spirale di violenze e ritorsioni senza fine.

E’ santa la collera che non ha in se stessa il proprio fine, ma tende a ritrovare la pienezza della relazione con l’altro.

E’ santa la collera che si accende di fronte all’ingiustizia, all’oppressione, alla violenza perpetrata dai prepotenti. Ed è santa la collera che mi separa da situazioni di violenza subita che rischierebbero di trascinarmi nella confusione e nell’informe, e che mi separa da persone che mi manipolano e mi usano.

E’ santa la collera che si dà un limite: «Adiratevi, ma non peccate. Non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26).

E’ santa la collera che si scaglia contro immagini colpevolizzanti o distorte di Dio e che rompe con sistemi ideologici o religiosi che contraddicono l’umano, come fa Giobbe che rifiuta il principio della retribuzione.

E’ santa la collera che tende alla purificazione del cuore: «Senza collera non vi sarebbe purità nell’uomo se egli non si irritasse contro tutto ciò che è seminato in lui dal Nemico» (abba Isaia).

Quest’ultima espressione ci porta a considerare le modalità di “terapia” della collera.

Indirizzare la collera contro i cattivi pensieri: «Durante la tentazione non metterti a pregare prima di aver pronunciato, con collera, alcune parole contro il tuo tentatore... Se rivolgerai ai demoni qualche espressione irosa, renderai vani i progetti dei tuoi avversari» (Evagrio, Praktikòs 42). La collera rientra così nella lotta spirituale.

Cercare la riconciliazione prima di coricarsi, come sta scritto in Ef 4,26: «Il sole non tramonti sulla vostra ira». Prendere una distanza, imporsi il silenzio, non reagire a caldo, ma immettere una distanza fra la causa scatenante la collera e la reazione.

Mettersi al posto dell’altro. Scrive Seneca: «Non c’è nessuno che sappia dire a se stesso. “Questa cosa che mi fa adirare o l’ho fatta anch’io o l’avrei potuta fare”; nessuno valuta l’intento di chi agisce, ma il fatto puro e semplice; eppure bisogna considerare la persona, se ha agito volontariamente o accidentalmente, se per costrizione o per inganno, se è stata spinta dall’odio o dalla mira di un vantaggio, se ha accondisceso a se stessa o s’è messa a disposizione di altri. Mettiamoci al posto di chi ci fa adirare e vedremo che è una falsa valutazione di noi stessi a renderci iracondi, cioè il non voler subire cose che vorremmo fare” (De ira 111,12,2-3).

Esprimere in modo non violento la collera, ovvero alla prima persona, non alla seconda. Se io dico all’altro «tu sei pazzo», «tu sei stupido» (cfr. Mt 5,22), lo uccido. Sono molto diversi i due seguenti modi di espressione della collera dovuta, per esempio, al ritardo a un appuntamento tra due amici: «Quando ti aspetto mezz‘ora rispetto all’ora convenuta, vado in collera perché nelle relazioni io ho bisogno di fiducia. Mi piacerebbe ora che tu mi dicessi come ti senti ascoltando queste mie parole»; «Quando tu mi fai aspettare mezz’ora rispetto all’ora convenuta mi fai arrabbiare e io esigo che tu sa puntuale la prossima volta, altrimenti non sei più mio amico».

 

Letto 1875 volte Ultima modifica il Sabato, 23 Ottobre 2010 23:09
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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