Anche questo contributo,come il precedente, vuole avere un taglio spirituale e pastorale nell’affrontare quel passaggio delicato e doloroso che è la separazione. Come accostarsi alle persone che stanno soffrendo per questa ferita della loro vita matrimoniale? È possibile offrire un servizio di accompagnamento cristiano? Situazioni e stati d’animo. I passaggi interiori da affrontare. La necessità del perdono.
Dopo aver posto l'attenzione alla prevenzione e alle situazioni di crisi nel matrimonio (cf. Sett. n. 20/04 pp. 8-9), l’attenzione si porta ora a quel passaggio doloroso e delicato che è la separazione. Non si può non fare ascolto e discernimento delle domande più popolari che trovano ingiusta la severità della chiesa oppure che vorrebbero un trattamento diverso per il coniuge innocente rispetto al coniuge colpevole, oppure un Tribunale ecclesiastico più accessibile e rapido ecc. Ma ci sembrano domande che esulano dallo scopo di questo intervento. Altri forse potranno affrontare il tema da un punto di vista teologico, storico e giuridico.
Noi vogliamo cogliere invece un’altra domanda: «Stante questa situazione, con queste esplicite indicazioni della chiesa, come ci si può accostare alle persone che sono ferite nella loro vita matrimoniale e offrire un servizio di accompagnamento cristiano? Abbiamo la possibilità di offrire un aiuto valido oppure dovremo aspettare soltanto che cambino le istituzioni?». Il nostro vuol essere un taglio spirituale e pastorale.
Situazione e stato d’animo
Accostandoci con sensibilità e amore, ci accorgiamo che anche questa situazione presenta momenti e stati d’animo differenti.
- Innanzitutto bisogna comprendere se la persona sta vivendo quella fase (che avviene soprattutto all’inizio) in cui ci può essere la speranza della riunificazione; in cui si possono fare tentativi per superare gli ostacoli e approdare a una guarigione ancora possibile. Non ci si può rassegnare subito come davanti a una situazione definitiva: non solo per un imperativo morale che ci sospinge, ma anche perché spesso gli stessi coniugi, momentaneamente separati, hanno fatto tale passo, non con gioia e allegria, ma come sconfitti dalla loro incapacità di convivere bene e saper risolvere le loro divergenze. Sono sfiduciati nelle loro forze, ma non sono affatto contrari a che avvenga “il miracolo”. In questa fase occorre perciò mettere in atto tentativi concreti, quali abbiamo descritto nell’articolo precedente.
- Possiamo trovarci invece nell’altra situazione, quella della separazione che appare ormai come “quasi” definitiva; in cui il sogno è infranto, il coccio sembra rotto in mille pezzi.
Che tipo di proposte può allora fare la comunità cristiana ai coniugi «stabilmente separati», che si trovano ora in quella che la chiesa definisce «situazione matrimoniale difficile»... (difficile, non irregolare!)?
La prima cosa da fare è avere un atteggiamento di accoglienza e buon ascolto per comprendere la persona e ciò che sta vivendo. Per riuscirci è essenziale saperla accostare con delicatezza, senza farla sentire giudicata, esclusa o etichettata.
È anche utile avere la consapevolezza di quali siano i principali sentimenti e passaggi interiori spirituali che la maggior parte delle persone separate vive e la gradualità del pas-saggio dall’una all'altra fase di questo cammino. Si tratta di un’evoluzione che può anche bloccarsi in uno degli stadi iniziali o intermedi e che, per il raggiungimento delle sue fasi più avanzate, comporta spesso un cammino di accettazione della croce che richiede una particolare vicinanza a Dio e un valido aiuto e accompagnamento da parte della comunità di cui la persona fa parte.
I passaggi interiori affrontati dalle persone separate sono spesso i seguenti.
Dolore e rabbia
Di fronte alla rottura di un rapporto sul quale si era investito abbastanza e di un sogno che svanisce per sempre, sulla persona si abbatte il senso di fallimento, di sconfitta, più spesso forti sentimenti di rabbia e rancore profondo: è un’esperienza alla quale è molto difficile sfuggire.
È quindi importante accostarsi a chi vive questa realtà abbandonando il pregiudizio che potrebbe farcelo vedere come un «gaudente irresponsabile» a cui si dovrebbe fare la predica dicendogli: «Ci dovevi pensare prima...».
Molte persone si separano per scelta imposta dolorosamente dall’altro coniuge (che decide di andarsene o chiede di chiudere la convivenza coniugale), oppure per scoraggiamento e disperazione (cioè perché hanno perso la speranza che i loro sforzi e il loro impegno possano servire a migliorare una situazione che causa delle grandi sofferenze).
Perfino chi ha scelto la separazione con leggerezza e per motivi “frivoli” si trova poi comunque ad affrontare la divisione, le sofferenze dei figli, l’avvocato e le lotte nel tribunale: sono esperienze che segnano dentro per sempre.
Di fronte a questa situazione occorre aiutare a fare dei passaggi di liberazione, prima ancora di affrontare proposte pratiche per il futuro.
- Accettare il fallimento.È doloroso ammetterlo, perché nessuno vuol essere un perdente, ma è il primo passaggio necessario. Altri pensatori parlano della “grazia del punto zero”. Il fallito non ha più nulla da perdere,. ma può incominciare qualcosa di nuovo. È l'esperienza di molti. Questo fa male, ci vuole del tempo per riconoscere dentro di sé la sconfitta, perché l’istinto fa recalcitrare: ma, quando la si è accettata, si è disponibili a un secondo passaggio.
- Fare pace con se stessi e con i propri sensi di colpa.Questi si abbattono sull’animo e finiscono per bloccare e sfiancare. Quando si riuscirà a guardarli senza sentirsi paralizzati, essi diventeranno una risorsa; si avrà una strategia in più per impostare meglio il futuro.
- Accettare il tempo.La ferita è talmente viva che si vorrebbe trovare subito il rimedio e la guarigione. Se non arriva presto, ci si scoraggia. Si dice: «È finita... per sempre; è finito tutto». Per la frattura di un arto è importante sapere che c’è un tempo necessario per la guarigione e la riabilitazione. Questo aiuta a vincere la paura che il trauma possa aver rovinato per sempre. Il processo di guarigione ha bisogno di tempo: generalmente ci vogliono uno-due anni di tempo perché il fallito ritrovi una nuova strada. Alcuni impazienti cercheranno scorciatoie, ma con esito spesso infelice.
- Il bisogno di trovare un senso.Di fronte al dolore e alla sensazione di aver fallito in qualcosa di così importante per la propria vita, emerge nelle persone il bisogno forte di trovare un senso a questa loro sofferenza; la risposta al “perché" di questo dolore può essere trovata con più facilità grazie all’aiuto della fede e della preghiera, attingendo alla Bibbia come fonte di conoscenza e di conforto. «Mi sono arresa a Dio – dice una donna separata – ed è stata la mia salvezza». Un altro racconta: «Non avrei mai immaginato quanto grande potesse essere la sofferenza: un evento che mi ha interiormente lacerato. Tuttavia quello stesso evento ha segnato, per me e per molti altri, l'inizio di un cammino di fede radicalmente diverso».
- L’immagine del Crocifissopuò venire in soccorso. La sua preghiera sulla croce («Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?») può anche assomigliare a un grido di sconforto o a una mancanza di fiducia, ma è comunque una preghiera. come lo sono tanti salmi di lamentazione per sofferenze private e pubbliche. La contemplazione del Crocifisso innocente la spiritualità che ne promana, il beneficio scaturito misteriosamente da quel supremo sacrificio possono contribuire a dar forza interiore, pazienza e costanza; mentre la tentazione sollecita a perdere fiducia nel bene, nella fedeltà, nella bontà...La solitudine è pesante
La persona si sente sola perché non è più parte di una coppia; poi perché spesso non si sente più capita e accettata dalla comunità in cui vive; a volte perfino dagli amici e dai familiari più stretti, magari anche dalla comunità cristiana di cui ha fatto parte fino a quel momento; questo è fonte di altro dolore e può portare le persone a rinchiudersi in se stesse o a cercare sostegno in esperienze e scelte “meno valide” nel tentativo di uscire il prima possibile da questo tunnel. Per gli uomini la situazione interiore può essere più grave perché nella maggioranza dei casi sono privati dei figli, i quali sono affidati generalmente dal tribunale alla madre: la solitudine pesa ancora di più.
- Il gruppo è una risorsa. È una risorsa fondamentale (insieme alla preghiera) per superare i momenti di difficoltà e la tentazione di ripiegarsi su se stessi tipica della precedente fase: il gruppo può offrire sostegno, occasione di condivisione e confronto della propria esperienza, un terreno favorevole per sperimentarsi di nuovo nell’apertura agli altri e nella ricostruzione di una nuova rete di rapporti umani positivi in un contesto “sicuro” e accogliente. Questa è una proposta pastorale molto pratica e realizzabile facilmente nelle nostre comunità cristiane perché gruppi di preghiera o di altro genere esistono o possono facilmente nascere, come riscontrato in tanti luoghi.
- In questa fase sarebbe utile la presenza di qualche persona disponibilela visita fraterna e delicata di un sacerdote, di una religiosa, di amici e parenti che abbiano la pazienza di ascoltare le logorroiche lamentazioni o i pianti disperati. Potrebbe essere preziosa anche la presenza di una persona separata che abbia già fatto un certo cammino, possibilmente dello stesso sesso. Non sempre è necessario avere parole, risposte o ricette da dare. Spesso l’ascolto stesso è terapeutico!* Ma la vita non può dipendere dagli altri.Nessuno può essere guaritore: Dio è il Salvatore mediante un cammino personale e interiore. Il miglior compagno di cammino non sarà colui che dà soluzioni teoriche o colui che vorrà diventare il salvatore, ma colui che aiuterà il separato a camminare da solo, attivando le sue energie interiori. Senza perdono non c’è futuro
Il vero perdono è un altro passaggio vitale che la chiesa può offrire e favorire. Perdonare non significa solo rinunciare all’odio e alla vendetta verso l’altro ma soprattutto raggiungere una “guarigione di sé” che permette di aprirsi nuovamente alta vita. Non perdonare significa restare "intrappolati” nel rancore, rischiando di portare con sé la rabbia e la sfiducia verso tutto e tutti: gli altri, se stessi, Dio, la vita. È necessario il distacco dalle forti emozioni precedenti per poter percorrere una nuova via. Restare arrabbiati e come schiacciati l’uno dall'altro non fa bene, perché ci sarà sempre un fantasma che non lascia in pace.
Allora il "lasciarsi con dignità e serenità” diventa un passaggio importante, ma che difficilmente potrà realizzarsi prima di un tempo adeguato, almeno un anno o due. Non è tanto il lasciarsi in senso fisico quello che conta: infatti, molti, anche dopo la separazione o il divorzio, restano arrabbiati e condizionati l'uno dall’altro al punto che si potrebbe dire che non si sono lasciati, ma sono ancora come perversamente uniti dall'odio e incapaci di districarsi.
Quando realisticamente non si può che prendere atto della «definitiva partenza» del coniuge, può essere utile questo passaggio che consente la sedimentazione di tutto quel polverone che si era sollevato e favorisce la capacità di ritrovare in sé e nel Signore le energie per capire e cercare la volontà di Dio nel nuovo corso di vita.
Cercare nuove piste
Questo non vuol dire sciogliere il matrimonio precedente per essere liberi di farne un secondo, ma scoprire dentro di sé possibilità nuove di vita. Nuove non nel senso di «seconda volta» o ripetizione della stessa esperienza. Nuove nel senso biblico, cioè con un animo nuovo, con una forza e grazia nuova: «Non ricordate più le cose passate. Ecco, faccio una cosa nuova; proprio ora, non ve ne accorgete?» (Is 43,18).
Forse proprio la sconfitta di certe capacità e sicurezze accettata ormai serenamente apre a una fiducia nuova che viene da Dio: «Deponete l’uomo vecchio con la condotta di prima. Rinnovatevi nello spirito della mente e rivestite l'uomo nuovo, creato secondo Dio...» (Ef 4,22). La storia di molti santi, di tante umili, nascoste o famose personalità, spesso (o quasi sempre) inizia da un fallimento. Il fallimento, preso per il verso giusto, può segnare l'inizio di qualcosa perfino migliore.
- Il dono di sé. Quando si vive f un'esperienza di difficoltà e di dolore può esserci la tentazione di fermarsi alla propria necessità di “prendere” (aiuto, appoggio, ascolto, conforto...) dagli altri, nel tentativo di sentirsi meglio; la verità, però, è che gli altri (chiunque altro) non possono “guarirci”: solo noi, con l'aiuto c di Dio, possiamo "guarire” noi stessi, e una delle vie maestre per riuscirci è proprio il "dono di sé”, la riscoperta della propria capacità non solo di ricevere ma anche di dare ancora agli altri (nella chiesa e nella società) qualcosa di valido, utile e buono. Questo permette di ritrovare più rapidamente la propria autostima, il senso del proprio valore personale, lo scopo “positivo” della propria vita e delle proprie esperienze (anche di quelle dolorose) e anche di continuare a sentirsi collaboratori vivi e cattivi della costruzione del regno di Dio.
- Il valore della fedeltà. Dopo aver fatto questo cammino, la persona sarà in grado di capire da sé la volontà di Dio sulla propria vita, la propria “vocazione”, e di rispondere ad essa. Quando l'animo è guarito, è possibile arrivare a sentire la fedeltà come un valore forte: fedeltà a se stessi e alla parola data, fedeltà a Dio, a lui che è fedele.Ci sarà allora chi sentirà la vocazione a continuare a vivere la fedeltà al proprio impegno matrimoniale anche da separato: si tratta indubbiamente di abbracciare una croce, di accettare – in un certo senso – una forma di “martirio”; la via dei martiri è una di quelle che Dio può chiedere al cristiano di percorrere, con il suo aiuto e con il sostegno della sua forza.
Se, invece, la scelta finale fosse quella di passare ad una nuova unione, la chiesa non potrà convalidarla e approvarla, ma non per questo chiuderà in faccia i tesori che le sono offerti dal suo Salvatore; cercherà in ogni caso di offrire un accompagnamento spirituale a quelli che resteranno comunque e sempre suoi membri e suoi “figli”.
Dal “Direttorio di pastorale familiare” possiamo trarre qualche cenno del pensiero ufficiale della chiesa:
- Stima della chiesa...La comunità cristiana, a iniziare dai sacerdoti e dalle coppie di sposi più sensibili,
- si faccia loro vicina con attenzione, discrezione e solidarietà;
- riconosca il valore della testimonianza di fedeltà di cui soprattutto il coniuge innocente si fa portatore, accettando anche la sofferenza e la solitudine che la nuova situazione
comporta;
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- sostenga il coniuge separato, soprattutto se innocente, nella sua pena e solitudine e lo inviti con carità e prudenza a partecipare alla vita della comunità: gli sarà così più facile superare la non infrequente tentazione di ritirarsi da tutto e da tutti li per ripiegarsi su se stesso;
- prodighi loro stima, comprensione, cordiale solidarietà e aiuti concreti, specialmente nei momenti in cui si fa più forte in essi la tentazione di passare dalla solitudine al divorzio e al matrimonio civile;
- li aiuti a «coltivare l’esigenza del perdono propria dell’amore cristiano e la disponibilità all’eventuale ripresa della vita coniugale anteriore».
- Sacramenti.La loro situazione di vita non li preclude dall’ammissione ai sacramenti. Ovviamente, proprio la loro partecipazione ai sacramenti li impegna anche ad essere sinceramente pronti al perdono e disponibili a interrogarsi sull’opportunità o meno di riprendere la vita coniugale....Sul divorzio.Solo per gravissimi motivi può adattarsi a subire e accettare il divorzio o a farvi ricorso... Circa l'ammissione ai sacramenti, non esistono di per sé ostacoli: se il divorzio civile rimane l’unico modo possibile di assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio, può essere tollerato, senza che costituisca una colpa morale: l'essere stato costretto a subire il divorzio significa aver ricevuto una violenza e un'umiliazione, che rendono più necessaria, da parte della chiesa, la testimonianza del suo amore e aiuto. Perché possa accedere ai sacramenti, il coniuge che è moralmente responsabile del divorzio ma non si è risposato deve pentirsi sinceramente e riparare concretamente il male compiuto....Sul battesimo dei figli:Si celebri comunque il battesimo se, con il consenso dei genitori, l’impegno di educare cristianamente il bambino viene assunto dal padrino o dalla madrina o da un parente prossimo, come pure da una persona qualificata della comunità cristiana.
Il cammino di accompagnamento necessariamente si estende (lo vedremo in un prossimo articolo) a quanti si trovano nella situazione che la chiesa qualifica come "irregolare”. Dovremo anche qui domandarci: fermi restando i capisaldi della morale cattolica, quali cammini e proposte sono possibili?
Settimana 26, 2005
Comunità di Caresto