La morte di Gesù nel vangelo secondo Matteo
di Luciano Manicardi
La prima parte della narrazione della morte di Gesù secondo Matteo è piuttosto simile a quella di Marco. Matteo, che a differenza di Marco non aveva annotato l’ora della crocifissione di Gesù ( cfr. Mc 15,25), ora indica le ore della durata delle tenebre: re ore da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Tre ore di silenzio, di immobilità, in cui l’evangelista non registra né parole né azioni. “Verso” le tre Gesù grida con voce forte le parole che danno inizio al Salmo 22. questo grido paradossale esprime bene il senso della relazione con Dio da parte del credente ebreo, dunque anche di Gesù.
Noi siamo abituati a definire il rapporto con Dio una “fede” il cui oggetto è l’uomo. Un uomo crede, oppure no, in Dio. Ma il rapporto con Dio come emerge nei salmi (e Gesù sta pregando un salmo) e in genere nella preghiera biblica, è diverso. Là, il soggetto è Dio. E il rapporto con Dio sgorga da Dio stesso. Sicché anche quando l’uomo dispera di Dio, non può staccarsi da lui. Qui Gesù si sente abbandonato da Dio, e il suo grido dice tale angoscia, ma al tempo stesso egli non può par altro che rivolgersi a quello che rimane il suo Dio. Gesù appare il credente anche nel momento supremo della sofferenza e della morte. E appare anche l’obbediente. Come appare dall’espressione utilizzata per indicare il morire di Gesù: “emise (lett. “lasciò andare”) lo spirito” (Mt 27,50). La morte come gesto di obbedienza! Questa espressione che può significare semplicemente il morire di Gesù, ma dato che il termine pneǔma (spirito) in Matteo non ha mai valore antropologico, non si può escludere un riferimento allo Spirito Santo e a un senso teologico dell’espressione non distante da quello che troveremo nella narrazione della morte di Gesù secondo Giovanni (Gv 19,30).
Questa valenza teologica della morte di Gesù e l’eventuale dono dello Spirito sono in linea con la valenza rivelativi di tale morte che Matteo mette in luce. Morte che comunque è preceduta, come in marco, dall’incomprensione del grido di Gesù che viene inteso come invocazione di salvezza da parte di Elia (Mt 27,47-49).
Ma ecco la parte più originale della narrazione di Matteo. La morte di Gesù è accompagnata da una serie di eventi sconvolgenti (Mt 27,51-53). Se la lacerazione del velo del tempio era già ricordata da Marco, non così gli altri segni: la terra scossa; le rocce spezzate; i sepolcri aperti; la resurrezione di molti morti; la loro uscita dalle tombe e la loro apparizione a molti in Gerusalemme. Anzitutto va rilevato che i verbi usati per descrivere questi eventi sono al passivo: si tratta di una forma linguistica particolare, per indicare che il vero soggetto di quanto avviene è Dio. Nella morte di Gesù avviene qualcosa di divino, dice Matteo. La morte di Gesù è l’”ora” finale della storia, è l’evento escatologico per eccellenza. In effetti Matteo riesce a radunare con mirabili sintesi, nel momento della morte di Gesù, sia la menzione della sua resurrezione che della resurrezione dei giusti. Nel momento della morte ecco i segni della vittoria della vita; al cuore della tenebra si fa strada la luce. La terra intera è riguardata da ciò che avviene sulla croce.
Come la nascita di Gesù secondo Matteo (Mt 2,1-11), era stata salutata da una stella, così la sua morte è accompagnata dallo scuotimento della terra. Come al momento del battesimo di Gesù nel Giordano si erano aperti i cieli (Mt 3,16), ora, al momento della sua morte, si aprono le tombe. Gli eventi elencati da Matteo non vanno intesi in senso storico, ma come segni del significato profondo dell’evento: la morte di Gesù è il crinale della storia umana; essa investe tutto il mondo e apre gli ultimi tempi, i tempi escatologici. E questa morte è indissolubile dalla resurrezione di Gesù (“dopo la sua resurrezione”: Mt 27,53) e dalla resurrezione dei morti. Caratteristica peculiare della narrazione matteana della morte di Gesù è dunque l’anticipazione della resurrezione dei morti. Tutta la storia umana, fino alla consumazione dei secoli (cfr. Mt 28,20), trova la sua chiave di lettura nell’evento pasquale, nella morte e nella resurrezione di Gesù. Questa morte è giudizio e salvezza!.
I fenomeni naturali elencati da Matteo sono posti in una sequenza logica: la prima il terremoto, quindi le rocce che si spaccano, poi le tombe che si aprono, i santi morti che risuscitano, escono dalle tombe e sono visti nella città santa. Certamente Matteo sta affermando che nella morte di Gesù vi è il compimento di profezie veterotestamentarie. Forse vi è l’eco annuncio di Daniele della resurrezione, negli ultimi giorni, di “molti che dormono nella polvere” (Dn 12,2), ma certamente vi è il riferimento alla profezia di Ezechiele 37,11-14. in quella pagina si parla di Dio che soffia il suo Spirito sulle ossa inaridite che rappresentano i figli d’Israele. Dio annuncia tramite il profeta: “Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, popolo mio, e vi riconduco nel paese d’Israele” (Ez 37,12). La morte di Gesù è evento che anticipa e rivela la fine della storia. In questo senso, è “apocalisse”, cioè, non tanto catastrofe o0 disgrazia, ma rivelazione, svelamento del senso profondo della storia. Possiamo pensare che quando, più tardi, Ignazio di Antiochia scriverà che Gesù “fu veramente crocifisso e morì mentre quelli nei cieli, sulla terra e sotto terra stavano a guardare” (Ai Tralliani 9,1), egli avesse presente la narrazione di Matteo che elenca in successione segni nei cieli (tenebre), sulla terra (velo del tempio, terra scossa e rocce spezzate) e sotto terra (tombe aperte e morti che escono). Coloro che deridevano Gesù attendendo la venuta di Elia per salvarlo, ora sono smentiti da una risposta di Dio infinitamente più potente.
I morti (il testo usa l’eufemismo “addormentati”) dei santi (ovvero i giusti dell’AT) escono dai sepolcri ed entrano in Gerusalemme, dove furono visti da molti. Cioè, mentre descrive la morte di Gesù, Matteo ne annuncia anche la resurrezione e annuncia anche la resurrezione dei santi morti.
Davvero la morte di Gesù è la fine della storia, ma è anche ciò che dischiude il senso di tutta la storia. L’annuncio basilare della fede cristiana per cui Gesù Cristo è morto, risorto e apparso a molti, è il saldo fondamento della fede cristiana nella resurrezione dei morti.
Non a caso il centurione e l’intero corpo di guardia fecero la loro confessione di fede in Gesù “Figlio di Dio” avendo visto il terremoto e tutto ciò che accadeva. La confessione di fede non è individuale, ma collettiva, e non nasce semplicemente dalla visione della morte di Gesù (come in Marco: Mc 15,39), ma dalla constatazione dei segni che hanno accompagnato tale morte. Il timore che si impadronisce di loro è tipico della reazione davanti al manifestarsi di Dio (Mt 27,54) e la loro confessione di fede parte dalla presa d’atto della potenza di Dio manifestatasi nella debolezza del crocifisso, mentre in Marco è l’esatto contrario. In marco è la debolezza di Cristo (“vedendo che spirò così”: Mc 125,39) che svela la potenza di Dio.
Ma siamo sempre di fronte all’unico e medesimo mistero della debolezza della croce che rivela la potenza di Dio e il mistero della salvezza.
(da L'ancora, 9/10, 2005)