Accogliere e affrontare la crisi
di Luciano Manicardi
Nel linguaggio comune la "crisi" è avvertita come un momento oscuro da superare al più presto, talvolta solo passivamente, aspettando che passi. In realtà essa può costituire un momento fecondo e costruttivo, il tempo forte per generare comprensioni e cambiamenti che un piatto scorrere sulla superficie dell'esistenza non permetterebbe mai di attuare.
Il termine crisi ha per noi una connotazione unicamente negativa L'etimologia ci dice che la parola greca krìsis significa "giudizio, separazione, scelta" e il verbo krìnein "separare, passare al setaccio". Forse temiamo le crisi perché esse ci giudicano, ci vagliano, ci passano al setaccio.
Fin dall'antichità, il vocabolo è usato in medicina dove indica una repentina modificazione dello stato della malattia, in senso negativo o positivo, favorevole o sfavorevole.
Nell'idea di crisi è insito quello, anch'esso sovente temuto da noi, di cambiamento, trasformazione. Ed è importante notare che il cambiamento prodotto da una crisi, quale che ne sia il fattore scatenante, può essere sia negativo che positivo. Certamente la crisi è una situazione, più o meno lunga, di disagio, di malessere, che è sintomo o conseguenza di mutamenti profondi.
Per arrivare ad avere uno sguardo meno angosciato sulla "crisi" e per comprendere che il problema serio, nei suoi confronti, è il come gestirla, occorre percepire la potenzialità positiva in essa insita. La crisi, in verità, è vitale: è sintomo di adattamenti e cambiamenti che ci sono richiesti per vivere. Del resto, la prima e fondamentale crisi che ogni uomo vive è la nascita. La nascita è un momento critico per il bambino, che conosce il cambiamento più radicale della sua futura vita: solo la morte vi assomiglierà. Il bimbo è espulso dal grembo in cui abitava e gettato più o meno dolorosamente, certo in modo traumatico, nella vita; ma anche la madre con il parto vive un momento critico in cui al dolore indicibile segue una gioia altrettanto indicibile, all'angoscia di morte che traversa il viso della puerpera segue la gioia per aver messo al mondo un uomo (cfr. Gv 16,21). E anche il padre e il resto della famiglia vivono un momento particolarmente delicato e critico, di fronte a quell'evento.
La crisi vissuta dal neonato consiste nel fatto che la nascita è taglio, separazione corporea dalla madre, rottura vissuta carnalmente, è passaggio da uno stato di unità fusionale nel grembo materno a una nuova situazione in cui egli dovrà pervenire a un'unità relazionale, rispettosa dell'alterità. Venire al mondo è una crisi vitale.
Dall'attaccamento primario alla madre il bambino si stacca per arrivare a creare lui dei legami, legami che possono terminare con una separazione (morte, abbandono, ...); alla separazione dovrà seguire l'elaborazione del lutto per poter ricreare attaccamenti e annodare nuove relazioni e legami. "Tutte le nostre esperienze di perdita risalgono alla Perdita Originale, la perdita del legame fondamentale madre-figlio... Non abbiamo ricordi consci di essere stati nell'utero, o di essercene andati. Ma un tempo è stato nostro, e abbiamo dovuto abbandonarlo. E se il gioco crudele di lasciare ciò che amiamo per poter crescere deve essere ripetuto a ogni nuovo stadio dello sviluppo, esso costituisce anche la nostra prima, forse più dura rinuncia" (Judith Viorst).
Nella nostra vita, tante e di diverso tipo sono le crisi (gli eventi a cui diamo nome di "crisi") che possiamo incontrare. Morte di persone care, malattie nostre o di persone a noi vicine, separazioni, rotture di legami affettivi, perdita del posto di lavoro, insuccessi scolastici o professionali, ecc. Possiamo però dire che la crisi è sempre una crisi di identità. È una prova in cui siamo chiamati a rinnovare i nostri equilibri in situazioni esistenziali nuove.
Questa idea della crisi come prova va incontro al parallelismo già formulato da qualcuno tra crisi e iniziazione. Il ruolo svolto dalle crisi nelle società occidentali, che hanno perso il senso e la prassi dell'iniziazione, è analogo a quello dell'iniziazione nelle società tradizionali. Scrive Christiane Singer nel suo libro Del buon uso delle crisi: "Un amico antropologo mi ha riferito queste parole che gli ha detto un Africano: "No, signore, noi non abbiamo crisi, noi abbiamo le iniziazioni"".
Le prove e i riti iniziatici fanno sperimentare al "novizio" una morte simbolica attraverso la quale egli potrà rinascere a novità di vita. "L'iniziazione accompagna ogni esistenza umana autentica. Per due ragioni: da un parte, perché ogni vita umana autentica implica crisi in profondità, prove, angosce, perdita e riconquista dell'io "morte e resurrezione"; dall'altra parte, perché ogni esistenza, per quanto piena, a un certo momento si rivela un'esistenza fallita...
In questi momenti di crisi totale. una sola speranza sembra foriera di salvezza: quella di poter ricominciare la propria vita. Si sogna una nuova esistenza, rigenerata: piena e ricca di significato" (Mircea Eliade). Un'esperienza religiosa di conversione, è esperienza di crisi: gli equilibri precedenti della propria vita vengono sconvolti e completamente "riassestati" attorno a un nuovo centro. Spesso la crisi ci consente di prendere coscienza della realtà e ci conduce a spezzare le corazze con le quali ci difendevamo dalle asperità della vita.
Il processo di illuminazione del Buddha muove i suoi primi passi quando colui che era un principe vissuto sempre nell'isolamento dorato del palazzo regale, lontano dalle brutture dell'esistenza, decide di uscire: una prima volta il giovane è sconvolto dalla visione di un vecchio, quindi dalla visione di un malato, infine di un morto. Ed entra in crisi una visione fasulla del mondo, ovattata, ideale, irreale, per fare spazio, dolorosamente, a una visione reale. Le crisi, scrive Cristiane Singer, "avvengono per evitarci il peggio. Come esprimere che cos'è il peggio? Il peggio è di aver traversato la vita senza naufragi, è essere restato alla superficie delle cose, aver galleggiato nelle paludi dei "si dice", delle apparenze, di non essere mai sprofondato in una dimensione altra e più profonda". Dobbiamo riconoscere che in mancanza di maestri, spesso sono le crisi che possono insegnarci qualcosa circa la vita. La crisi come maestra di vita! "In una società tutta intenta a distogliere la nostra attenzione da ciò che è importante, che non indica cammini per entrare nella profondità, in cui tutto è sbarrato, non vi è che la crisi per far crollare questi muri che ci accerchiano. La crisi appare come un ariete capace di sfondare le porte di queste fortezze in cui noi restiamo rinchiusi, con tutto l'arsenale delle nostre credenze".
Anche la Scrittura ci presenta sia numerosi personaggi che vivono crisi che un'ampia gamma di crisi: la chiamata di Abramo lo porta a uscire dallo spazio del noto e delle sicurezze per un'obbedienza che non sa dove potrà portarlo; Elia, nel corso del suo ministero, si trova preda della paura, della depressione e della volontà di morte; nel deserto interiore e geografico in cui si trova, egli ha però il coraggio di non disertare, di lasciar fare il proprio lavoro alla crisi, e in questo modo egli conosce Dio in modo nuovo e la sua vocazione viene rinnovata e approfondita; così avviene per Giobbe nel disastro della sua esistenza. E si potrebbe continuare a lungo.
La crisi ci spoglia, ci fa andare a fondo, abbatte le immagini manufatte e idealizzate di noi, del mondo e di Dio e così ci fa incontrare la verità di noi stessi, della vita e di Dio. Dio agisce in noi e su di noi soprattutto attraverso eventi e massimamente eventi di crisi, eventi scardinanti. Per tutti questi motivi possiamo accogliere l'invito di Claude Monnier: "Non sprecate le crisi! Ben gestite, le crisi sono dei doni del cielo. La crisi è disordine, movimento, fluidità, rottura, e proprio per questo essa può sciogliere ciò che era legato, liberare ciò che era imprigionato. Quando insorge una crisi, spesso gli interessati, invece di cercare di trarne vantaggio, si danno da fare per chiudere le falle apertisi, per riparare ciò che non può essere riparato, per riformare la superficie e non il fondo. Il loro combattimento di retroguardia fa affondare il battello che vorrebbero salvare. E una volta che la crisi è passata, ecco che le persone, che nel momento dell’anarchia e della rottura erano pronte a cambiamenti inauditi, non solo non ne accettano più alcuno, ma difendono con le unghie o a colpi di cannone ogni millimetro di terreno, ogni privilegio... Che dite? Che la crisi vi prende di mira ingiustamente? Vi scongiuro, fate attenzione alla crisi, non sprecatela. Essa è il vostro tesoro, è la vostra possibilità, è l'avvenire del mondo".
(da L'Ancora, 12, 2003)