Vita nello Spirito

Sabato, 26 Giugno 2004 11:06

La gioia e la paura di risorgere (Antonio Cecconi)

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"Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui... Andate, dite ai suoi discepoli...". Si legge sconcerto in questo chiaro annuncio di Marco.

La gioia e la paura di risorgere

di Antonio Cecconi
(riduzione a cura di C. Filippini)

Di fatto le prime destinatarie di questo messaggio – le donne – "fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e spavento. E non dissero niente a nessuno perché avevano paura". Probabilmente il vangelo di Marco termiva in questo modo un po’ sconcertante. La conclusione canonica del suo vangelo, invece, vuole tranquillizzare il lettore perché chiude con la prospettiva positiva della Parola predicata dappertutto e confermata dai prodigi.

Il confronto col testo evengelico, che ci fa riflettere sull’adesione personale di fede della comunità e anche di noi stessi, ci aiuta a verificare se e quando ci lasciamo risucchiare da nuove e vecchie paure, incredulità e durezza di cuore.

Ad un lettore attento non sfugge la diversità e la varietà dei racconti della risurrezione, dopo aver constatato l’unitarietà e concordanza dei quattro vangeli riguardo la passione. Probabilmente la novità delle risurrezione sprigiona la libertà del racconto, dà luogo a resoconti di una pluralità di esperienze pasquali. Dietro questa diversità e libertà sta la ricchezza di vita della comunità dei credenti.

Nazareno, crocifisso, risuscitato

Marco presenta Gesù come Nazareno, crocifisso, risorto.

Nazareno è riferimento alla terra e alla storia di Gesù, è la concretezza del suo farsi uomo. Nazaret significa anche la Galilea "delle genti" dove tutto è cominciato e dove tutto ricomincerà: il Risorto vi precederà i discepoli/apostoli come prima tappa di un cammino che li porterà ad annunciarlo a tutte le nazioni.

Gesù è ricordato non solo come morto, ma come Crocifisso anche dopo la sua morte. Paolo, passando dal resoconto del fatto all’interpretazione teologica parla di abbassamento e svuotamento/annichilimento del Cristo, del suo "diventare peccato". La morte di croce è il punto estremo di distanza dell’umanità da Dio e insieme il livello a cui Gesù accetta di calarsi, non c’è situazione umana – anche la più degradata e compromessa – che il Dio fatto uomo non voglia condividere, di cui non possa farsi carico per portarla con sé nel movimento di risurezione/innalzamento verso la vita a partire dall’abisso della morte.

Il Nazareno crocifisso risorge, anzi "è stato risuscitato" da un intervento di Dio Padre. La risurrezione è la novità che Dio immette nella vita degli uomini, al suo antidoto all’andare della storia verso la morte. È particolarmente forte l’annuncio di Pietro nel giorno della Pentecoste: "Voi l’avete ucciso, ma Dio l’ha risuscitato". La risurrezione è il ma che Dio immette nella vicenda umana che, abbandonata a se stessa, sarebbe inevitabile preda della morte.

Il saluto pasquale: Pace a voi!

È il saluto del Risorto. Non è un saluto di cortesia, ma è profondamente legato al significato della risurrezione. Paolo dà spessore teologico all’annuncio evangelico: "Cristo è la nostra pace"; nella sua risurrezione è fatta davvero pace tra l’umanità e Dio e anche tra i popoli e le persone. A noi trarne le conseguenze.

L’annuncio pasquale della pace dovrebbe produrre veramente nei cristiani maggior sintonia sul ripudio della guerra. Il saluto del Vescovo ai fedeli "La pace sia con voi" comunica la presenza viva ed efficace del Risorto che vuole una chiesa appassionata della pace. I vescovi – molti – sono diventati punto di riferimento sul tema della pace.

La pasqua annuale e quella settimanale

La celebrazione pasquale annuale non dovrebbe attenuare quella settimanale, ma favorirne la riscoperta e la pratica. Le prime comunità cristiane celebrarono ben presto la pasqua settimanale, e solo attraverso un cammino storico la chiesa, con l’organizzazione dell’anno liturgico, arrivò a celebrare quella annuale.

La crisi della pasqua settimanale è avvertita oggi dalla pastorale ordinaria. Ad esempio, la frequenza alla catechesi infrasettimanale è più alta della frequenza all’eucaristia domenicale. La ferializzazione della domenca è un fatto risaputo. Altri idoli distolgono dal precetto festivo, non solo il calcio e gli altri sport praticati dai giovanissimi, ma anche le notti in discoteca...

D’altra parte anche la pasqua annuale è per molti uno dei "ponti" primaverili. E non dobbiamo ipotizzare obblighi e divieti. Dobbiamo partire da più lontano. I primi cristiani vissero "il primo giorno della settimana" facendolo diventare "il giorno del Signore".

Il precetto festivo e il "comunicarsi almeno a pasqua" non deve far dimenticare che si tratta di regole fruttuosamente coltivate in una società tutta o in buona parte cristiana: più problematico è il loro impatto in tempi di secolarizzazione.

Qui si impongono alcuni interrogativi! Nelle nostre assemblee liturgiche si è consapevoli dell’incontro con il Risorto? Tutti coloro che preparano la liturgia sono consapevoli dei tesori che hanno per le mani? Come farli percepire all’assemblea? Come rendere la pasqua annuale appuntamento significativo anche per i cristiani saltuari?

Ci sono documenti che ci aiutano in questo compito difficilissimo e sono: Comunicare il vangelo in un mondo che cambia (nn. 47-49), Il giorno del Signore, in particolare Eucaristia, comunione e comunità.

Il tutto collegato non solo con l’adempimento dei doveri religiosi individuali, ma deve essere un incontro con il Risorto che sia anche scuola di appartenenza comunitaria, impulso missionario, apertura alle prospettive del Regno.

La risurrezione origine della missione

Mai come oggi, forse, ci si scontra con la fatica del credere ed è viva la paura/resistenza di fronte al Risorto. Però è anche vero che la gente ha bisogno di sentirsi scaldare il cuore come i due discepoli sulla via di Emmaus o come la Maddalena. In questi due incontri il Risorto non viene riconosciuto non per un artificio divino. Il mancato riconoscimento va meditato in profondità, così come la paura dei discepoli e la fuga silenziosa dal sepolcro delle donne. Si può non riconoscere per eccesso di abitudine, che diventa presunzione di sapere già, assuefazione limitante al già noto. Si può fare resistenza alla novità in nome di "tradizioni" che sono solo incrostazioni o, peggio, per il cedimento a poteri pagani e pratiche idolatre.

Turoldo in una sua preghiera aveva ben compreso quanto è travolgente il Risorto: "Mia chiesa amata ed infedele, / mia amarezza di ogni domenica, / chiesa che vorrei impazzita di gioia, / perché è veramente risorto. / E noi grondare luce / perché vive di noi / noi questa sola umanità bianca / a ogni festa / in questo mondo del nulla e della morte. Amen".

Bisogna che la chiesa dei fedelissimi s’interroghi seriamente su che cosa lontani, saltuari, irregolari, ecc., hanno bisogno e voglia di scoprire, di incontrare, di toccare con mano. Questa potrebbe essere la connotazione pasquale di una chiesa che vuole riscoprirsi missionaria, desiderosa e capace di comunicare il Vangelo nella società che cambia.

Bisogna che le nostre eucaristie comunichino vita come i racconti della risurrezione, con la libera e creativa diversità provocata dall’incontro con l’unico Signore, per un annuncio a tutto campo.

 

(Da A. Cecconi, La gioia e la paura di risorgere, in "Settimana", 14-15 2003, p. 1, 16, riduzione di C. Filippini).

Letto 2380 volte Ultima modifica il Martedì, 28 Gennaio 2014 14:06
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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