MA BISOGNAVA FAR FESTA E RALLEGRARSI
Il capitolo 15 di Luca è un canto di gioia che celebra la felicità di chi ha ritrovato ciò che aveva smarrito. Allo stesso modo, il ritorno alla comunità di un fratello che si «converte» è festa di tutta la chiesa. E ancor più quale sarà la gioia del Padre per il ritorno di noi, suoi figli?
Mi sembra bene fare alcune premesse perché risalti come «la festa» sia veramente il vertice, non solo della parabola del «padre misericordioso», ma di tutto il capitolo 15 del Vangelo di Luca.
Rileviamo innanzitutto, con J. Dupont, che tale capitolo «costituisce un'unità letteraria. La sua struttura è semplice. Dopo l'introduzione (vv. 1-3), le due brevi parabole del pastore che ritrova la sua pecora (vv. 4-7) e della massaia che ritrova la sua dramma (vv. 8-10) sono perfettamente simmetriche e inseparabili l'una dall'altra. La terza parabola, molto più sviluppata (vv. 11-32), illustra l'insegnamento delle parabole precedenti: è la storia di un padre che ritrova suo figlio; e questa viene introdotta semplicemente con "Disse poi”.
Possiamo inoltre osservare che tutto il capitolo è guidato come da un filo conduttore dai verbi "perdere-perduto"', "ritrovare-ritrovato"; " rallegrarsi -far festa". Sono ripetuti rispettivamente sei - sette volte.
I vv. 7 e 10 con un efficace "Così vi dico..." dichiarano il messaggio delle due parabole: la gioia del pastore e della massaia sono pallido simbolo della gioia che "ci sarà in cielo" (v. 7), "davanti agli angeli di Dio" (v. 10) "per un solo peccatore che si converte" (id.)».
Una gioia di tutta la comunità
II particolare del pastore e della massaia che chiamano i vicini a rallegrarsi con loro (vv. 6 e 9) per aver ritrovato la pecora e la dramma perdute, ci lasciano intuire che, se Dio prende l'iniziativa di cercare instancabilmente l'uomo che si è smarrito, e quando lo ritrova esulta di gioia, questa gioia non la tiene per sé, ma vuole che tutta la comunità faccia festa con lui per il ritorno del figlio-fratello che si era perduto.
Il ritorno nella Chiesa di un fratello che si con verte è festa di tutta la Chiesa!
E questo «a differenza dei novanta-nove giusti che non hanno bisogno di conversione» (v. 7b), chiaro riferimento ai farisei che per Luca sono «coloro che presumono di essere giusti e disprezzano gli altri» (cf Le 18,9-14: la parabola del fariseo e del pubblicano al tempio).
Ci rendiamo conto dello stretto rapporto che unisce la parabola del padre misericordioso alle due precedenti soprattutto dalla somiglianza delle conclusioni che costellano il capitolo come un ritornello:
«Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta» (v. 6);
«Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta» (v- 9);
«Mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (v. 24).
Notiamo come il padre risponde al figlio maggiore ripetendo la stessa frase precedente, unendo i due verbi «far festa e rallegrarsi», preceduti da «bisognava» (gr. édei, era necessario). Ed è con questa frase che si conclude il capitolo.
Un «crescendo» nella gioia della festa...
Possiamo dunque senz'altro dire che tutto il capitolo è come un canto di gioia che celebra la felicità di chi ha ritrovato ciò che aveva smarrito.
Si passa, cioè dalla sofferenza del «perdere» - per il padre è quasi strazio di morte: «questo mio figlio era morto...» - all'ansia del ricercare ciò che si è perduto o dell'attendere con angoscia il ritorno di chi se ne è andato, lasciandoli un vuoto incolmabile.
Ma, ecco, quanto più grande è stata questa sofferenza e quest'ansia, tanto più veemente esplode la gioia del «ritrovare» e del «ritorno». C'è, infatti, se osserviamo attentamente il testo, un evidente «crescendo» nella gioia della festa che il padre vuole per il ritorno del figlio, in confronto a quella del pastore che ritrova la pecora e la massaia che ritrova la dramma.
La festa con tutti i segni che l'accompagnano e la celebrano domina tutta la parte della parabola dal v. 20 fino al v. 34. «Bisognava far festa e rallegrarsi...».
Perché la festa?
Perché un figlio rimane un figlio per un padre, come mette bene in evidenza J.Dupont:
«Rileggiamo la descrizione sconcertante che i vv. 20-24 fanno del comportamento del padre all'arrivo del figliol prodigo. Com'è possibile commentare un testo simile senza attenuarne il vigore? Si osservi l'emozione del padre quando scorge il proprio figlio, ancora lontano; il verbo greco significa con esattezza che il padre fu afferrato nell'intimo del suo essere da un impeto di pietà e di compassione. Questo turbamento interiore si traduce immediatamente in movimenti precipitati: vediamo innanzitutto, non senza stupore, questo rispettabile orientale mettersi a correre incontro al figlio; questi incomincia a recitare la sua frase, ma non ha il tempo di finirla; il padre ha troppa fretta: «Presto!», dice ai servi. Senza perdere un istante, gli fa indossare la veste più bella, gli fa mettere un anello al dito e calzature ai piedi, ordina di macellare il vitello grasso e di mettersi a tavola per celebrare l'avvenimento. «Presto!».
Tutta questa agitazione si spiega come un'esplosione di gioia. La gioia del padre è così traboccante ch'egli non riesce a trattenersi. Il v. 24 conclude l'episodio fornendo la ragione profonda di questa gioia: «Mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Per quanto peccatore, il prodigo rimane un figlio per suo padre. Solo questo conta ai suoi occhi. Egli non ha mai cessato di amare suo figlio. Partito per andare lontano, questo figlio era perduto; ora, eccolo ritrovato. Che importa il passato, dal momento che il figlio è ritornato? Il padre da libero sfogo alla gioia, perché ama come solo un padre può amare.
Ai farisei che si limitavano a vedere l'indegnità del figlio colpevole, Gesù non risponde discutendo sul comportamento del figlio, ma mettendo in luce l'amore del padre. D'altra parte non dimentica a chi è destinato il suo racconto. Si ammiri la delicatezza con cui evita ogni parola rivolta dal padre al figlio. Il padre parla unicamente con i servi, che diventano i testimoni della sua gioia e del suo amore paterno».
La festa nel Regno di Dio...Un banchetto di nozze
Vorrei sottolineare ancora che molti testi della Bibbia presentano la festa escatologica nel Regno di Dio come un grande banchetto: «Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati... Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto... questi è il Signore in cui abbiamo sperato, rallegriamoci, esultiamo!...» (Is 25,6-9).
Così Matteo vede nel banchetto di nozze del Figlio del Re, che già nell'Antico Testamento era simbolo per eccellenza della comunione gioiosa di Dio col suo popolo, il simbolo della festa che il Signore prepara per gli eletti nel suo Regno. Ed è lo stesso Gesù che dice: «Molti verranno dall'Oriente e dall'Occidente e spederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno dei cieli» (Mt 8,11).
Questo pensiero che troviamo in molti altri testi biblici, raggiunge il suo vertice nell'Apocalisse, quando il Profeta vede «un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme (simbolo dell'umanità redenta) scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono:
Ecco la dimora di Dio
con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il "Dìo-con-loro ".
E tergerà ogni lacrima
dai loro occhi;
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché tutte le cose di prima
sono passate...»
(ap 21, 1-4)
Si concluderà così quella «festa» annunciata dagli angeli alla nascita di Gesù: «Vi annuncio una grande gioia che sarà di tutto il popolo», disse l'angelo ai pastori. «E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama"» (Luca 2,10-14).
Quale festa più grande?
Quale festa possiamo immaginare più grande di quella che celebra le nozze del Figlio di Dio con l'umanità? L'aveva predetta il Profeta:
«Gerusalemme,
tu sarai chiamata Mio compiacimento
e la tua terra, Sposata,
perché il Signore si compiacerà di te
e la tua terra avrà uno sposo.
Sì, come un giovane sposa
una vergine,
così ti sposerà il tuo architetto;
come gioisce lo sposo per la sposa
così il tuo Dio gioirà per te»
(Is 62,4-5).
Ripensando alla gioia del padre che fa festa per il ritorno del figlio prodigo, vorrei ricordare le parole che ho udito dire al padre Bevilacqua, il grande amico e guida spirituale di Paolo VI, agli universitari di Genova, concludendo una “tre giorni” in preparazione alla Pasqua in cui aveva commentato questa parabola: “Tante volte andrete a confessare i vostri peccati per avere la pace nel cuore. E fate bene. Ma provate d’ora innanzi a farlo soprattutto per fare la gioia del Padre… e sarà molto meglio!”.
Don Giacomino Piana
Tratto da “Famiglia Domani – aprile 2002”