MARX NON È MORTO E LE SUE DENUNCE SONO ANCORA ATTUALI
di Giannino Pianadocente di teologia moraleJesus – Maggio 2008
Con la caduta del muro di Berlino e il fallimento delle esperienze del socialismo reale, perciò di tutti i sistemi a economia pianificata, molti hanno ritenuto che Marx fosse definitivamente morto (ricordate il famoso slogan di Woody Allen?) e che i suoi scritti andassero definitivamente traslocati in soffitta. Le considerazioni che avevano, con maggiore frequenza, il sopravvento erano improntate alla denigrazione: all’ideologia marxista venivano infatti attribuiti i crimini consumati nell’Urss, specialmente durante il periodo staliniano e, più in generale, le varie forme di repressione, spesso cruenta, che hanno caratterizzato la conduzione di molti Paesi dell’Est nell’epoca del predominio del comunismo. Chi si dimostrava più benevolo non mancava di riconoscere al marxismo alcuni meriti storici, legati per lo più all’analisi della realtà sociale del tempo, ma tendeva in ogni caso a demolirne la dottrina, qualificandola come una utopia del tutto disincantata e astratta.
Oggi le cose sono cambiate. Al momento di grande enfasi del capitalismo, che si era preso radicalmente la rivincita, è subentrata negli ultimi anni una stagione caratterizzata da un atteggiamento più critico verso di esso; atteggiamento motivato sia dall’incremento delle sperequazioni, soprattutto a livello mondiale, e perciò dall’accentuarsi della conflittualità sociale, sia dall’affiorare, in modo sempre più drammatico, della questione ecologica che mina alle radici le possibilità stesse dello sviluppo.
Ciò che ai nostri giorni avviene sembra dunque confermare la plausibilità di alcune analisi di Marx; mette, in altri termini, in luce il realismo di alcune sue posizioni critiche e soprattutto la lungimiranza di quelle pagine in cui egli smaschera le illusioni del capitalismo e ne svela le contraddizioni.
Alla rinata consapevolezza dell’attualità della sua dottrina (o almeno di alcune parti di essa: altre sono infatti decisamente cadute perché divenute anacronistiche o perché rivelatesi in partenza sbagliate) per la politica dì oggi si deve (forse) il successo editoriale di una recente antologia dei suoi scritti, curata da Enrico Donaggio e Peter Kammerer (K. Marx, Capitalismo. Istruzioni per l’uso, Feltrinelli, 2007), dove, oltre a emergere con chiarezza l’importanza assegnata da Marx all’economia quale struttura portante della vita collettiva - importanza oggi confermata dalla centralità assunta dal mercato in tutti gli ambiti della vita - sembra ricevere grande plausibilità la dottrina (per molto tempo contestata, perché ritenuta illusoria) del plusvalore, che acquista nuova credibilità a partire dallo stravolgimento avvenuto all’interno del capitalismo che ha condotto a confondere il valore d’uso con il valore di scambio: nell’attuale sistema economico infatti a determinare il prezzo di mercato non è più la qualità, ma il marchio, il quale trasfigura il prodotto, dando luogo a una forma di concorrenza sempre più sleale, dove il guadagno ha sempre meno a che fare con il valore oggettivo della merce.
A confermare l’attualità dell’analisi marxiana concorre inoltre una serie convergente di recenti studi sociologici - è sufficiente ricordare qui il volume di Luciano Gallino (Il lavoro non è una merce. Contro Io flessibilità, Laterza 2007) - nei quali il concetto del lavoro come “merce” - concetto centrale nel pensiero di Marx - viene largamente ripreso per mettere sotto processo una situazione di profondo disagio, in cui identità soggettiva, autostima, conoscenze e crescita professionale contano sempre meno o sono prerogativa di una ridotta minoranza.
Lo stato di sempre maggiore insicurezza provocato da una esasperata flessibilità dell’attività lavorativa finisce per dare vita a una società precaria e dove sussistono sempre meno diritti. La centralità che Marx attribuisce al lavoro e al suo stretto rapporto con il sistema economico, in quanto fattori dominanti attorno ai quali ruota la vita personale e collettiva, sembra comprovata oggi dai fatti, con l’aggiunta di nuove motivazioni.
Nella società globalizzata il mercato del lavoro è sempre meno controllabile, e le esperienze che avanzano non sono certo rassicuranti; si assiste infatti all’aumento delle forme di alienazione, con l’esito di una deriva sempre più estesa, anche a causa dei processi di omologazione in atto.
La denuncia di Marx suona perciò ancor oggi come un monito che deve essere assolutamente ascoltato, se è vero che dalla qualità dell’attività lavorativa dipende, in larga misura, la qualità della vita umana, e dunque il livello di umanizzazione proprio di una società.