Mondo Oggi

Sabato, 06 Settembre 2008 18:09

CONFLITTI DI INTERESSI

Vota questo articolo
(0 Voti)

CONFLITTI DI INTERESSI

da Adista

Questo articolo di Pierre Hassner, professore di relazioni internazionali all’Institut d’études politiques a Parigi, è apparso sul quotidiano francese “Le Monde” (4/4/2008). titolo originale: “les dilemmes de l’occident”

I governi occidentali sono sempre più spesso chiamati a prendere posizione su crisi e conflitti fra una nazione, imperiale o postimperiale , dominante e un popolo dominato. C’è accordo unanime su tre punti che sono altrettanti dilemmi. Innanzitutto, essi si proclamano legati alla difesa dei diritti dell’uomo e, insieme, alla sovranità degli Stati e alla stabilità delle frontiere. Poi, devono, a livello d’azione, gestire una tensione tra i principi universali - morali o giuridici - che professano e gli interessi, le alleanze e gli impegni dei loro rispettivi Stati. Infine, è più facile per loro arbitrare in favore dei principi quando l’oppressore non è una grande potenza economica o militare.

Sono tre i casi che qui ci interesano, tanto per le loro similitudini quanto per le loro differenze: quelli della Cecenia, del Kossovo e del Tibet. In tutti e tre i casi si tratta di nazioni a statuto giuridico incerto e fluttuante, ma dall’identità culturale e storica e dalla volontà politica affermate, vittime della conquista e dell’oppressione di regimi nazionalisti, comunisti o postcomunisti. Nei tre casi, la nazione dominante dichiara che “La Cecenia è la Russia”, “Il Kossovo è la Serbia”, “Il Tibet è la Cina”, né più né meno dello slogan “L’Algeria è la Francia”.

La Cecenia è stata conquistata a duro prezzo dalla Russia nel XIX secolo, e la sua popolazione deportata da Stalin dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Il Kossovo, dopo aver conosciuto, in successione, la dominazione dei bulgari, degli imperatori bizantini, dei serbi, degli ottomani, fu conquistato dai serbi, con una brutalità estrema, nel 1912, staccato dall’Albania - divenuta indipendente - con un negoziato fra le grandi potenze e infine incorporato prima nel regno jugoslavo, poi nella Jugoslavia di Tito, con un doppio statuto di autonomia all’interno della Serbia e a livello federale.

Il Tibet, erede di un impero considerevole, ha avuto legami religiosi e talvolta di antichi protettorati con la Cina e ha conosciuto nel corso dei secoli varie invasioni, punteggiate da fughe e ritorni del dalai-lama di turno, ma non è stato mai conquistato ed incorporato alla Cina se non da Mao Zedong nel 1950. Ha conosciuto una grande rivolta popolare nel 1959, repressa nel sangue.

In tutti e tre i casi, i popoli dominanti, russi, serbi, cinesi, nutrono un grande disprezzo, ai limiti del razzismo, per la cultura dei popoli dominati. In tutti e tre i casi, la resistenza di questi ultimi assume di volta in volta il carattere di protesta contro gli abusi di cui sono oggetto e, da un certo punto in poi, di rivolta o di insurrezione anticoloniale, nazionale e identitaria. Ma in tutti e tre i casi questa rivolta è stata inizialmente guidata da leader moderati, alla ricerca di un negoziato, come Aslan Maskhadov in Cecenia, o pacifisti e nonviolenti come lbrahim Rugova e il dalai-lama. I quali, davanti all’intransigenza che si son visti opporre, hanno finito per essere contestati o superati da partigiani della lotta armata (i fondamentalisti islamici in Cecenia, l’Armata di liberazione del Kossovo - Uck -, una nuova generazione di immigrati tibetani).

Le tre storie cominciano a divergere nel loro esito provvisorio. In Cecenia, i russi hanno probabilmente vinto, una volta ancora, per una generazione, distruggendo il Paese, provocando un numero considerevole di morti e di rifugiati, e consegnando il potere ad un transfuga della resistenza, corrotto, assassino e torturatore, Ramzan Kadyrov, che, tuttavia, ha ricostruito la capitale in modo spettacolare, e sempre più sembra essere, in piena obbedienza a Vladimir Putin, il padrone del suo Paese. Nel Kossovo. contrariamente alle previsioni pessimiste e malevole, non è stato l’Uck a prendere il potere dopo la liberazione (che non avrebbe avuto luogo se non ci fosse stata, a fianco di quella dell’Uck, l’azione congiunta della Nato), ma Ibrahim Rugova e il suo partito, risultati vittoriosi in elezioni libere. Se, dieci anni dopo, è Hashim Thaci, ex leader dell’Uck, a diventare primo ministro, è per via parlamentare, come risultato di altre elezioni libere. Come i governi precedenti, egli resta inquadrato e sorvegliato dalla presenza prima dell’Onu. poi dell’Unione Europea.

Per quanto riguarda il Tibet, sarebbe interesse della Cina riprendere i negoziati con il dalai lama, sola autorità riconosciuta dai tibetani, le cui rivendicazioni si limitano all’autonomia in seno alla Cina e alla tutela della popolazione e della religione tibetana. Ma tutto porta a credere che Pechino sceglierà la via della repressione centralizzata e dell’assimilazione forzata, che comporterà altre rivolte e altre repressioni, fino a quando la religione e la cultura tibetane saranno sopraffatte e i tibetani stessi diventeranno una minoranza silenziosa all’interno del loro stesso Paese.

Cosa ha consentito ai kossovari di sfuggire a questa sorte? Innanzitutto, evidentemente, il ruolo della Nato, dell’Onu e dell’Unione Europea. Ma questo è stato possibile solo grazie a due considerazioni decisive, una sul piano della diagnostica e dei principi, l’altra sul piano del rapporto di forze. Il matrimonio fra serbi e albanesi è sempre stato un matrimonio forzato. Due serie di avvenimenti hanno reso inevitabile il divorzio: da un lato, la soppressione dell’autonomia da parte di Milosevic, i dieci anni di repressione e di esclusione che sono seguiti, infine l’espulsione della maggioranza della popolazione e i massacri che hanno accompagnato la guerra; e, dall’altro lato, la disintegrazione della Jugoslavia, con l’emancipazione di tutte le repubbliche non serbe, dalla Slovenia al Montenegro.

Era inconcepibile e immorale progettare che i kossovari, il popolo più disprezzato e il più perseguitato dai serbi, restassero soli in un testa a testa con questi ultimi e sotto la loro autorità. Ma era altrettanto inconcepibile e immorale permettere che questa separazione si effettuasse senza assicurare la protezione del Kossovo in rapporto alla Serbia e quella della minoranza serba del Kossovo in rapporto alla maggioranza albanese, e senza offrire agli uni e agli altri un quadro e una prospettiva di cooperazione organizzata. Da qui l’idea di questa indipendenza condizionale, sorvegliata e inquadrata dalla presenza prima dell’Onu e poi dell’unione Europea. Questa decisione, presa dopo anni di negoziato, finalizzata innanzitutto ad assicurare l’autonomia della minoranza serba e dei suoi legami con Belgrado, ma accolta con diffidenza e pregiudizi un po’ ovunque, per le più contraddittorie ragioni, era, malgrado tutti i suoi limiti e i suoi rischi, la sola realistica e onorevole.

Perché, allora, quello che vale per il Kossovo non vale per la Cecenia e per il Tibet? Prima di tutto, certo, perché il Kossovo e la Serbia sono in Europa e perché l’Unione Europea, coinvolta nel loro conflitto, può anche permettere loro di ritrovarsi un giorno nel quadro di una integrazione comune in un insieme più ampio. Ma soprattutto perché la Serbia, Paese indubbiamente centrale e cruciale dei Balcani che nessuno, in Europa, ha interesse ad isolare, non è affatto la Russia o la Cina.

Queste sono potenze in ascesa, almeno provvisoriamente, che giocano un ruolo centrale nel nuovo mondo multipolare. L’una e l’altra sono la dimostrazione di questo tratto paradossale ma fondamentale del mondo attuale: in rapporto all’Occidente, sono ad un tempo partner insostituibili, concorrenti temibili ed avversari inevitabili - in particolare per quel che riguarda i diritti umani. Anche un Occidente più fermo, più unito, più disposto a sacrificare i suoi interessi immediati non potrebbe imporre loro niente col ricatto o con la forza.

Resta tuttavia da giocare una carta per influenzare il loro comportamento. Forse più della Serbia, Russia e Cina sanno che perderebbero economicamente ad isolarsi o a rinchiudersi. Proclamano, a ragione, che noi abbiamo più bisogno di loro che loro di noi, ma sanno che hanno interesse a lasciare che le loro élite viaggino, che le loro imprese investano all’estero e che le aziende estere investano da loro. Desiderano partecipare alle organizzazioni multilaterali quali l’Omc, il Consiglio d’Europa o il G8, o ai diversi gruppi di contatto e a manifestazioni spettacolari e simboliche come i giochi olimpici, da cui sperano di trarre gloria e profitto.

L’Occidente non può né deve escluderli. ma ha il diritto e il dovere di ricordar loro direttamente e di far loro sentire indirettamente che questa apertura multilaterale non è possibile se non in ossequio a regole che al primo posto vedono trasparenza e reciprocità. Le opinioni pubbliche dei Paesi democratici e sicuri delle loro forze economiche e politiche sono troppo diffidenti verso le condotte e i prodotti dei russi e dei cinesi. La rivoluzione delle comunicazioni non permette più a nessuno di mantenere il segreto né sulle azioni contrarie ai diritti dell’uomo, né sulle reazioni che queste suscitano e sui danni che comportano in termini di fiducia e di prestigio, e anche, di conseguenza, in termini di progresso economico, tecnico e culturale.

Nel momento dei Giochi olimpici, è importante far loro misurare la portata del vecchio proverbio bretone: “Non ci si arrampica sull’albero della cuccagna quando non si è completamente vestiti”.

Letto 1621 volte Ultima modifica il Sabato, 06 Settembre 2008 21:02

Search