di Mostafa El Ayoubi
giornalista
Nigrizia – Maggio 2008
La vicenda del battesimo del noto giornalista da parte dì Papa Benedetto XVI, trasmesso da televisioni di mezzo mondo, è stata per diversi giorni oggetto di un dibattito acceso tra musulmani e cattolici, l’evento ha sollevato in sostanza, due questioni complesse: la libertà religiosa e il dialogo tra le due più grandi comunità religiose del mondo.
Grazie all’illuminismo, la libertà religiosa è stata una grande conquista per i paesi cristiani occidentali. La chiesa cattolica, dopo un lungo travaglio interno, ha fatto suo questa importante conquista: nel 1965, con la dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano Il, il principio della libertà religiosa è stato introdotto nel sua insegnamento. Nel mondo islamico, il nodo della libertà religiosa rimane tutt’oggi irrisolto. In alcuni paesi il diritto di professare una fede diversa da quella islamica o di abbandonare l’islam non è garantita: sono previste pene severe (perfino la pena di morte) per chi, ad esempio, è accusato di apostasia.
Benché il Corano affermi che «non vi è costrizione nella fede» (2, 256), in diverse realtà islamiche prevale il codice della shar’ia, che nega tale diritto. Da questo grave limite consegue una forte restrizione della libertà di opinione. Chi critica l’islam mette spesso in pericolo lo sua incolumità fisica. Magdi Allam, che ha spesso scritto articoli duri nei confronti dei musulmani, da cinque anni vive sotto scorta per le minacce di morte da parte dei fondamentalisti islamici. Ora che è convertito al cattolicesimo, la sua situazione si è ulteriormente aggravata.
Ma è mai possibile che, ancora oggi, una persona rischi la morte per le sue opinioni? E’ possibile che non ci siano argomenti per rispondere a quelli di Allam - spesso offensivi e poco costruttivi - e che l’unica mezzo per contrastarla sia la “spada”? Nessuno opinione - anche la più infamante - può recare al sua autore la privazione della sua libertà di movimento, di espressione e di fede o mettere la sua vita in pericolo. Per i musulmani che si sentono offesi, l’unico mezzo per difendersi è l’uso della ragione.
L’altra questione sollevata dalla vicenda è il difficile dialogo - spesso formale - tra il vertice della chiesa cattolica e i rappresentanti del mondo islamico. A complicare questa dialogo precario è intervenuto il discorso del Papa a Ratisbona nel settembre 2006. nel quale citò un imperatore bizantino del Trecento che accusava l’islam di essere una religione della spada. Nell’ottobre scorso, un appello al dialogo con i cristiani, firmato da 138 musulmani, è stato accolto positivamente dal Vaticano, che, assieme ai promotori dell’iniziativa, sta preparando un incontro di dialogo interreligioso per il prossimo novembre.
Tuttavia, la decisione della Santa Sede d’impartire per mano del Papa il battesimo a Allam è stata una nuova battuta d’arresto sulla via del dialogo. Aref Ali Nayed, uno dei promotori dell’appello dei 138, in un duro comunicato, ha definito l’evento «una provocazione» simile a quella di Ratisbona e ha accusata la chiesa di fare proselitismo nelle scuole cattoliche dei paesi musulmani. Ha poi aggiunto che, con questa operazione, la chiesa ha voluto dimostrare di aver segnato un punto a suo favore nella corsa alle conversioni. Questo giudizio - affrettato e offensivo, da parte chi solo pochi mesi prima invitava il Papa a dialogare con i musulmani - pone degli interrogativi sull’utilità di questa tipo di appelli calati dall’alto e che, al primo ostacolo, si rivelano superficiali.
Altrettanto fragili e prive di prospettive le risposte da parte cattolica. C’è chi, come il vaticanista Sandro Magister, considera che, per dialogare con l’islam, il re saudita Abdollah, “custode dei luoghi sacri dell’islam” (che nel novembre scorso si è recato per la prima volta nella storia in visita al Vaticano) è meglio dei 138 “saggi”. In quell’occasione, il sovrano regalò al Papa una spada (in oro e pietre preziose): un imbarazzante dono, tanto per rafforzare i pregiudizi! Non sarebbe stato meglio, ad esempio, regalare al Papa una Bibbia scritta in arabo, in memoria dell’antica comunità cristiana di Najran, vissuta a Medina all’epoca del profeta Mohammed?
Per rispondere alle critiche circa il battesimo di Allam, alti responsabili della chiesa hanno affermato che si è trattato di un contributo verso l’affermazione del principio della libertà religiosa. Benissimo! Ma allora perché lo stesso principio non è stato ricordato in modo esplicito al re saudita - guida di un paese dove vive circa un milione di cristiani in totale mancanza di libertà religioso - quando si è presentato in Vaticano con la sua spada d’oro?
Il caso dello conversione di Cristiano Allam resterà a lungo come una velenosa spina nel fianco del tortuoso processo di dialogo islamo-cattolica. Allam, all’indomani del suo battesimo, ha scritto di nuovo dure critiche nei confronti dell’islam, definendola «un’ideologia che legittima la menzogna e la dissimulazione. La morte violenta…». Probabilmente continuerà la sua battaglia anti-islamica. E’ libero di farla, Il problema è che tutto quello che scriverà evocherà nella mente dei molti lettori musulmani un’immagine negativa del Papa e dei cattolici. Questa, oltre a vanificare il dialogo, rischia di rendere difficile la vita quotidiana di milioni di cristiani che vivono nei paesi a maggioranza islamica.