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Mercoledì, 14 Marzo 2007 18:39

RICORDARE CON CUORE NUOVO

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RICORDARE CON CUORE NUOVO
Non assomigliamo mai tanto a Dio come quando perdoniamo

Se accettiamo che perdono e riconciliazione sono l’asse centrale del Vangelo di Gesù, risulta vergognoso che fedeli e leader cristiani conoscano così scandalosamente poco circa i suoi contenuti e metodi. In un’attenta rassegna bibliografica che ha coperto il periodo dal V al XX secolo, elaborata dall’Università del Wisconsin negli Usa, si è scoperto che in questi quindici secoli sono stati scritti appena un centinaio di titoli sul perdono interpersonale. Peggio ancora, i contenuti erano estremamente poveri e ripetitivi!
 Il primo passo nell’esercizio di rafforzare cultura e spiritualità del perdono è capire che cosa è e che cosa non è perdono. Robert Enright, uno degli autori classici sul tema, definisce il perdono «la disposizione ad abbandonare il diritto al risentimento, al giudizio negativo e alla condotta indifferente verso chi ci ha offesi ingiustamente e, piuttosto, coltivare atteggiamenti di compassione e bontà verso quella persona». Perdono è molto più che accettare o tollerare l’ingiustizia. È molto più che frenare la rabbia e il dolore dell’offesa.

Con frequenza si sente dire: «Perdono, ma non dimentico». Perdonare non è dimenticare, ma ricordare con altri occhi! Così il perdono si converte nella forma più intelligente e più saggia di amministrare la «memoria ingrata», che proviene dalle offese recateci dal prossimo. Il perdono ricostruisce la memoria ed evita l’amnesia. L’Eucaristia è un esercizio formidabile in questo senso: «Fate questo in memoria di me». È la memoria che redime!

Il perdono non è nemmeno condonare le ingiustizie. Ai giudici spetta applicare la giustizia secondo la legge. In molti casi, i governi possono concedere amnistie e indulti, ma il perdono è e sarà sempre privilegio esclusivo delle vittime. Come l’amore, il perdono riguarda l’intimo e non può essere regolato sul piano giuridico.

Perdono e non-perdono possono comprendersi meglio per mezzo degli archetipi di Caino e Abele. Lungo la storia dell’umanità è prevalso l’archetipo di Caino (Freud lo chiama thanatos). L’archetipo di Abele conduce invece all’amore e al perdono. È una forma di affermazione della volontà umana, di spiritualità profonda, di esistenza creatrice.

Il perdono si converte così in un atto politico di sopravvivenza umana, un esercizio squisito di umanità e di alta spiritualità e, soprattutto, un’espressione di livelli elevati di cultura e di evoluzione degli individui e della collettività. L’impiccagione di Saddam Hussein ci ha fatto sentire che il mondo è dominato ancora da un cervello arcaico, da una cultura di Caino.

La nostra esperienza nel promuovere la cultura del perdono e della riconciliazione in Colombia e in altre parti del mondo ci ha consegnato una certezza. Le persone che ricevono un’offesa si sentono colpite in almeno tre punti fondamentali: la sicurezza in se stessi, il significato della propria vita e la capacità di socializzare.

Le relazioni sociali sono come uno specchio per le persone. L’offesa rompe lo specchio dell’esistenza nella quale esse si riconoscono. Non avendo più identità, si mettono in disparte, perdendo la capacità di socializzare; per questo il capitale sociale si vede gravemente deteriorato. È il trauma quotidiano degli individui e dei gruppi umani. Il perdono è quindi ricostruzione e recupero di quel capitale e di quella forza sociale. L’homo sapiens si converte in homo reparans. Allo stesso modo in cui le ferite fisiche e le malattie possono infettare tutto il corpo e contagiare anche gli altri, così le offese producono forme di infezione che isolano le persone e i gruppi umani. Il perdono si converte allora in una igiene dell’anima.

Essere un regalo per me stesso e per chi mi ha offeso: questa è forse la definizione più semplice del perdono. La stessa etimologia della parola porta al concetto profondo del dono (per-donare). Per questo l’irruzione di Gesù nella storia col suo messaggio di perdono e riconciliazione, asse del suo Vangelo, si converte nel punto-chiave della salvezza del mondo. Attraverso il perdono, noi uomini ci rendiamo partecipi del potere di creare e ricreare le persone.
Non assomigliamo mai tanto a Dio come quando perdoniamo. È la spiritualità nella sua massima profondità e ricchezza, il cielo e la terra nuovi annunciati dall’Apocalisse!

di Leonel Nervàez Gòmez
Missionario della Consolata, sociologo (Colombia)

Mondo e Missione/Febbraio 2007

Letto 1767 volte Ultima modifica il Mercoledì, 06 Giugno 2007 00:06
Fabrizio Foti

Architetto
Area Mondo Oggi - Rubrica Ecclesiale

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