L’uomo e la terra
nella Bibbia
di Jean Casanave
Il mondo rurale combattuto tra timore e speranza. Nei dintorni delle città la società rurale "periferica" è soddisfatta dell’attrazione esercitata su una popolazione cittadina che apprezza la sua calma e il suo fascino. Ma questa "schiarita" sotto il punto demografico, comporta dei rischi. L’identità propria degli abitanti tradizionali della campagna, ormai in minoranza, sta forse per soccombere sotto la pressione di nuove culture. D’altra parte questo mondo oscilla tra contrazioni e rancori: colpite dal decremento di una demografia in fase di invecchiamento, le regioni che fanno parte di questo mondo, si avviano ad essere considerate, nel territorio nazionale, puramente un eco-museo. Non è la loro identità che rischia di sparire, ma la loro stessa esistenza, esse soffrono della mancanza del riconoscimento della loro utilità sociale.
Dalla terra conquistata alla terra acquisita
Quando gli Ebrei, dopo aver errato nel deserto, hanno raggiunto con Giosuè il paese di Canaan, l’attrattiva di una terra più ospitale, ha dato loro il coraggio di affrontare guerrieri più numerosi e meglio armati (Gios.1) la stessa sete di conquista, ha poi spinto Debora e i Giudici a stabilirsi nelle contrade del nord (Giu 4-5).
È il tempo della terra conquistata che ha permesso al popolo della Bibbia di fare l’esperienza inedita di un dio, conosciuto come Altro, che non entrava nel novero degli idoli della fecondità domestica, legati ai culti agricoli dei nemici. Un Dio che combatteva con i poveri e che abbatteva le potenze costituite, si distingueva nel paesaggio religioso dell’epoca. Questo Dio li avrebbe colmati di una terra "ove scorrono latte e miele" (Es 3,8; Lev 20,24; Nr 13,27) che avrebbe presto assunto i colori del paradiso.
Il periodo dell’Esodo e della conquista è stato lungo e indeciso, frequenti i ritorni all’indietro. Gli Ebrei si stancavano di essere sempre sul chi vive, avendo come sola garanzia una fede fragile in un Dio spesso imprevedibile e sempre invisibile. Si sono dati un re che ha sollevato un esercito, ha costruito un palazzo, poi un Tempio, e ha dotato le tribù riunite di un’amministrazione. Cominciava a questo punto, il tempo della terra conquistata.
Una terra bramata, sottomessa e lacerata
La dominazione militare e la prosperità materiale, non sono sopravvissute ai fasti di Salomone. Le guerre civili e la cupidigia degli altri popoli, hanno diviso l’impero del grande re e il paese è diventato una terra bramata. Ci fu allora un regno del nord e un altro del Sud. Per sopravvivere i loro re conclusero delle alleanze infedeli al loro Dio: la difesa del suolo li spinse ad adottare culti idolatri.
Ed è allora che è sorto un profeta di fuoco, il grande Elia. Ha eliminato i sacerdoti di Baal, dio della fecondità, e ha fatto riconoscere al suo posto il Dio di Israele, signore delle stagioni, del vento e della pioggia benefica. Da quel momento in poi la natura, avrebbe obbedito ai comandi di Dio. Fu il tempo della terra sottomessa.
I segni straordinari compiuti da Elia, non convinsero i suoi contemporanei. Il nemico approfittò così delle divisioni del popolo e i profeti, custodi della santità nella storia, non poterono far nulla contro una prima invasione che provocò la deportazione di una grande parte dei notabili e dei quadri dirigenti. La terra fu allora lacerata.
La promessa di una terra
Messo in guardia dai profeti del nord, Amos e Osea, Giosuè, il pio e grande re riformatore, tentò di centralizzare il culto proibendo il ritorno ai culti antichi. Fu il promotore di una nuova concezione del rapporto tra Dio e gli uomini, che prese nome di "Alleanza". Essa fu oggetto di una seconda Legge, consegnata, in particolare nel Deuteronomio.
Dio, la terra e l’uomo, entrarono così in un rapporto di scambio e di responsabilità reciproca. Ecco il tempo della terra responsabile. Essa doveva nutrire tutti i suoi figli: affinché la vedova e l’orfano potessero venire a spigolare, non si mietevano gli ultimi filari del campo; ogni cinquant’anni, in occasione del giubileo veniva restituita la terra ai suoi antichi proprietari. Ogni tre anni si metteva la terra a maggese, e a riposo ogni sette anni. Tutti i sabati il bue e l’asino venivano messi a riposo. La terra non era più oggetto di idolatria, né il fratello era più sfruttato impudentemente.
Il re che rendeva giustizia ai poveri del paese, morì nel distretto di Meggido e il regno del sud subì a sua volta la deportazione. Non più terra, né re né Tempio.Giorni di lutto e di lamentazioni. Ecco tornata, ancora una volta, la prova della mancanza e dell’assenza: l’esperienza della terra straniera, terra di lacrime e di sangue.
E fu paradossalmente nel profondo di questo abbandono, che la fede del popolo divenne più profonda, facendo un passo in avanti. Malgrado le apparenze che gridavano l’assenza di Dio, un profeta, chiamato "secondo Isaia", comprese che, se Dio è Dio, egli è l’unico. E questa l’affermazione del monoteismo e dell’inizio dell’universalismo della fede di Israele. Dio era il solo Dio di tutta la terra e del cielo.
Durante l’esilio, questo popolo senza avvenire, si ripiegò sul suo passato, ritrovando la storia degli antichi Patriarchi e risalendo fino al padre dei credenti, Abramo. Costui aveva lasciato le terre fertili della Mesopotamia e il culto della Luna, dea della fecondità, per penetrare nelle terre aride alla ricerca del suo Dio. Uomo di fede senza terra e senza figli, ricevette la duplice promessa della paternità e della proprietà. Nasceva così il concetto della Terra promessa che avrebbe segnato per sempre la memoria dei credenti.
Dal padre della fede si arrivava così a concepire un padre di tutti gli uomini e una origine del mondo. Due tradizioni erano riunite e si immaginò la terra originale come un giardino. L’Eden non è un luogo di delizie inventato per compensare le frustrazioni degli uomini, ma una terra messa da Dio a disposizione dell’uomo, affinché "la conservi e la coltivi" (Gen 1,28-29) avendo cura della parte dovuta al Creatore: "Non mangerai tutto, salvaguarderai così l’avvenire della creazione".
Dio fa nuove tutte le cose
Dopo la grande prova, ecco che si è dovuto tornare al paese. Ma il ritrovarsi, non fu certo dei più calorosi: gli assenti hanno sempre il torto di voler recuperare i loro beni. Aiutati dai Persiani, gli Ebrei vollero restaurare la grandezza passata del loro paese. Il governatore Neemia innalzò nuovamente le mura e lo scriba Esdra ripubblicò la Legge. In mancanza di profeti, furono il Tempio e la Legge a prevalere. La stretta osservanza del puro e dell’impuro permisero di sostenere la coabitazione con gli empi occupanti. "I saggi esercitavano il compromesso" secondo l’espressione dell’esegeta Jacques Bernard: bisognava aprirsi alle nuove correnti culturali, continuando però a salvaguardare l’essenziale della fede. Insozzata, la terra era impura; purificata, essa diveniva una terra santificata.
Una corrente spirituale, scampata all’Esilio e chiamata più tardi "apocalittica" rifiutava di dimenticare che l’unico Dio aveva tratto gli Ebrei dal nulla e che avrebbe potuto non rimettere in sesto questo popolo, ma ricrearlo: "Ecco, faccio nuovo l’Universo" (Ap 21,5). L’idea di cieli nuovi e di una terra nuova, confortava la speranza dei poveri. Un inviato da Dio, a immagine di Elia, sarebbe venuto alla fine dei tempi a far ascoltare una voce nuova , venuta dai cieli.
E' a questa categoria di credenti che appartenevano sicuramente Giovanni il Battista, Gesù di Nazareth e i loro amici. L’uno preconizzava la fine imminente dei tempi, l’altro veniva ad inaugurare il Regno, questi cieli nuovi e questa terra nuova. Con Gesù, Dio era in mezzo a noi, non era il signore del regno, non aveva luogo ove "posare il capo" (Mt 8,20). La "terra nuova" e i "cieli nuovi" erano offerti in eredità a coloro che sapevano leggere i segni del cielo, ma erano inaccessibili a coloro che non pensavano altro che ingrandire i loro granai.
(da Fêtes et Saisons n. 562)
APPENDICE II
La chiesa delle origini
Pasqua ebraica
e Pasqua Cristiana
di Don Filippo Morlacchi
La Pasqua di Cristo e della Chiesa
Tutto ciò che fu prefigurato nell’AT, trovò il suo compimento nel NT. Le diverse sfumature di significato a proposito della pasqua si ritrovano anche qui: la stessa etimologia (pasqua = "pàscho" "patire": è una etimologia sbagliata, ma ricorrente nei padri greci) farebbe pensare che la pasqua è la "passione" del Signore. Ma pasqua significa anche passaggio, e dunque passaggio dalla morte alla vita nuova à pasqua è la "risurrezione" del Signore. Inoltre si crea ben presto il legame fortissimo tra pasqua e battesimo.
Inoltre la pasqua di Cristo diventa l’inizio della nuova creazione e apre il futuro definitivo dell’uomo, nell’attesa del ritorno glorioso del Signore: legame fortissimo con la teologia della notte pasquale rabbinica (prima e quarta notte).
Il legame è poi inscindibile con la celebrazione eucaristica, in cui si riassumono la liturgia sinagogale (soprattutto nella liturgia della parola) e la liturgia pasquale, nella duplice dimensione di immolazione (presso il tempio à eucaristia come sacrificio) e di comunione (in famiglia: eucaristia come banchetto).
(Questa appendice è una rapidissima sintesi di: R. Cantalamessa, La pasqua della nostra salvezza, Marietti 20005).
APPENDICE II
La chiesa delle origini
Pasqua ebraica
e Pasqua Cristiana
di Don Filippo Morlacchi
Pasqua dei giudei
Col passar del tempo la Pasqua inizia significare non tanto il passaggio di Yhwh, quanto quello del popolo attraverso il Mar Rosso: "Dio ci ha condotti fuori dall’Egitto…" (Dt 26,8). La Pasqua è il passaggio di Dio che salva o del popolo che è salvato? Questa ambivalenza accompagnerà sempre la pasqua.
Questa è la situazione della pasqua quando Gesù pratica questi riti. Si era stabilito un compromesso tra pasqua primitiva (incentrata sulla famiglia) e pasqua deuteronomica (che faceva perno sul culto al tempio: questa dimensione verrà meno solo con la distruzione del tempio, avvenuta proprio durante le festività pasquali del 70 d.C., portando la celebrazione della pasqua al rituale oggi in uso, in cui si celebra ovunque la "pasqua senza tempio"). L’immolazione della vittima avveniva nel tempio sotto la supervisione dei sacerdoti: ogni israelita andava al tempio nel pomeriggio del 14 nisan (mese lunare ebraico corrispondente a marzo-aprile), uccideva il proprio agnello, e i sacerdoti aspergevano con il sangue l’altare del tempio. Poi aveva luogo la liturgia familiare, in cui il capofamiglia recuperava alcune prerogative sacerdotali che si erano perse con l’istituzione del sacerdozio levitico. La cena rituale era scandita in quattro sezioni da quattro coppe diverse. Le preghiere di benedizione (berakah, pl. berakôt) sono quasi identiche a quelle della Messa: "Benedetto sei tu Signore, Dio nostro, Re dell’universo, che hai creato questo frutto della vite. Tu ci hai eletto tra tutti i popoli…".
Il racconto (haggadàh) della pasqua spiega cosa rende "speciale" quella notte: "noi fummo schiavi in Egitto e di là ci fece uscire il Signore Dio nostro, con mano potente e braccio teso". "NOI", non "i nostri padri", secondo un detto di rabbi Gamaliele (il maestro di S. Paolo): "in ogni generazione ciascuno è tenuto a considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall’Egitto, perché il Santo – benedetto Egli sia – non liberò solo i nostri padri, ma noi pure liberò con loro". La liturgia rende contemporanei agli eventi celebrati. Di evidente importanza l’applicazione alla Pasqua cristiana…
Tutta questa teologia è riassunta in un famoso testo rabbinico detto Poema delle quattro notti, in cui si riassume:
In sintesi: Dio salva rivelandosi (si manifestò…). Si accostano pasqua e creazione, pasqua e salvezza, pasqua e consumazione del mondo.
APPENDICE II
La chiesa delle origini
Pasqua ebraica
e Pasqua Cristiana
di Don Filippo Morlacchi
Pasqua di Jhwh e Pasqua dei Giudei
Due testi ne parlano. Es 12,1-14 e Dt 16,1-8. Non mancano le differenze. Ad es., in Es si può celebrare in ogni luogo, mentre secondo Dt è possibile solo da parte dei sacerdoti nel tempio di Gerusalemme; la vittima è un agnello in Es, anche bovini e altre bestie in Dt; infine secondo Es la Pasqua è una festa a sé stante, mentre Dt la lega a quella degli Azzimi (di origine agricola). Il motivo è evidente: il testo di Dt fa riferimento alla situazione del popolo ormai insediatosi in Canaan. Le origini della festa vanno dunque trovate nel testo dell’Esodo, anche se pare che la sua redazione finale sua successiva a quella del testo del Dt..
Ne emerge una festa non agricola, ma di pastori: si immola una primizia del gregge prima della transumanza primaverile (vedi il modo di cuocere la vittima, gli ingredienti di contorno, la posizione in piedi e con le vesti tirate su…). Il sangue sulle porte sembra un’aggiunta successiva (porte = ingresso della tenda?). Ciò che più conta è la consumazione del pasto sacro in comune, prima della separazione del clan (solidarietà, comunione di sangue).
Ma poi, tra il 1250 e il 1230 a.C. (pare) a questo rito si aggiunge un nuovo significato: il popolo voleva andare nel deserto a compiere questa cena rituale (cfr Es 5,1); di fronte al ripetuto diniego del Faraone, Dio agisce. Nella notte dell’attesa il popolo compie in anticipo il rito, ma misteriosamente il Signore passa e compie un giudizio, colpendo gli egiziani e risparmiando gli ebrei. Di questo evento, la pasqua diventa memoriale: la pasqua non è più una festa legata al ciclo cosmico, ma alla storia della salvezza.
APPENDICE II
La chiesa delle origini
Pasqua ebraica
e Pasqua Cristiana
di Don Filippo Morlacchi
Le quattro stagioni della Pasqua
Non poche trattazioni distinguono tre Pasque: quella dell’AT, quella di Cristo e quella della Chiesa. Mi in realtà occorre distinguere 4 pasque diverse, due reali e due simbolico-sacramentali:
Questa suddivisione non deve far perdere di vista l’unità del mistero pasquale: unica è la pasqua dell’Antico e del Nuovo Testamento, nella sua dimensione storica (pasqua 1 e 3) e in quella liturgico-simbolica (pasqua 2 e 4). La Pasqua è infatti stesso Cristo (1Cor 5,7), presente in modo diverso in tutta la storia della salvezza e in tutta l’economia sacramentale.
Ne deriva una continuità essenziale e vitale tra pasqua ebraica e pasqua cristiana, secondo una logica di inveramento e non di sostituzione. Dunque è assolutamente impossibile comprendere il valore della Pasqua cristiana se la si espunge dal suo alveo nativo.
Ecco allora uno schema sintetico:
Antico Testamento | Nuovo Testamento | |
Prefigurazione simbolica: la cena | Prefigurazione liturgica: l’ultima cena | |
Storia | la Pasqua di Yhwh | La Pasqua di Cristo |
Liturgia | la Pasqua dei Giudei | la Pasqua della Chiesa |
APPENDICE
La chiesa delle origini
Lettura ebraica e cristiana
dell’Antico Testamento
di Don Filippo Morlacchi
La bibbia ebraica
Torah scritta (TaNaK) | Torah orale | ||
Torah | Neviîm | Ketuvîm | Mishnàh [II sec.] + Ghemaràh = Talmud ("studio") |
I midrashîm (midrash da darash = ricercare) sono commenti alla scrittura (il NT è "un midrash dell’AT").
APPENDICE
La chiesa delle origini
Lettura ebraica e cristiana
dell’Antico Testamento
di Don Filippo Morlacchi
Interpretazione tipologica
La maggiore discrepanza è l’uso della tipologia. Se l’AT acquista il suo pieno significato come "prefigurazione" del NT, come valutare questa esegesi tipologica, tanto importante nei padri? Ecco le indicazioni della Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo, che il 24 giugno 1986 ha pubblicato i Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei e dell'Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa Cattolica. (Il documento è reperibile integralmente su internet all’indirizzo: http://www.nostreradici.it/sussidi.htm, purtroppo con alcuni errori tipografici).
APPENDICE
La chiesa delle origini
Lettura ebraica e cristiana
dell’Antico Testamento
di Don Filippo Morlacchi
Antico Testamento?
Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi
A Roma Paolo annuncia il Vangelo (28,16-30)
Gli Atti si concludono con l’annuncio del vangelo a Roma. Paolo è in custodia militaris molto mite, e annuncia il Vangelo con grande libertà. Ma prima vuol chiarire la faccenda con la comunità giudaica (in fondo è per accuse giudaiche che lui è a Roma): anche a loro annuncia il vangelo. La conclusione è che alcuno credono e altri no: questa è LA scissione nell’ebraismo, tra coloro che credono in Gesù Messia e coloro che non ci credono, e la conseguente apertura ai pagani.
Da Gerusalemme a Roma
di Don Filippo Morlacchi
A Malta e poi Roma (28,1-15)
Ricevono una buona accoglienza (Paolo avrà fatto da interprete con la sua conoscenza dell’aramaico). L’episodio del serpente che non fa del male a Paolo ha richiami evangelici (Mc 16,18), come pure la capacità di imporre le mani e guarire il padre di Publio, che ospitò la comitiva per tre giorni. Ancora d’inverno (primi di febbraio 61 d.C.) salpano per Siracusa; poi Reggio; poi Pozzuoli, dove abbandonano la nave.