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Sabato, 19 Giugno 2004 02:13

Interpretazione tipologica

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APPENDICE
La chiesa delle origini


Lettura ebraica e cristiana
dell’Antico Testamento
di Don Filippo Morlacchi


Interpretazione tipologica


La maggiore discrepanza è l’uso della tipologia. Se l’AT acquista il suo pieno significato come "prefigurazione" del NT, come valutare questa esegesi tipologica, tanto importante nei padri? Ecco le indicazioni della Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo, che il 24 giugno 1986 ha pubblicato i Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei e dell'Ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa Cattolica. (Il documento è reperibile integralmente su internet all’indirizzo: http://www.nostreradici.it/sussidi.htm, purtroppo con alcuni errori tipografici).



  1. …nell'uso della tipologia, il cui insegnamento e la cui pratica ci derivano dalla Liturgia e dai Padri della Chiesa, occorre evitare ogni passaggio tra Antico e Nuovo Testamento che fosse esclusivamente considerato come una rottura. La Chiesa, nella spontaneità dello Spirito che la anima, ha vigorosamente condannato l'atteggiamento di Marcione e si è sempre opposta al suo dualismo.
  2. È importante anche sottolineare che l'interpretazione tipologica consiste nel leggere l'Antico Testamento come presentazione e, sotto certi aspetto, come il primo delinearsi e come l'annuncio del Nuovo (cf. per es. Eb5,5-10, ecc.). Cristo è ormai il riferimento chiave delle Scritture: "quella roccia era il Cristo" (1Cor 10,4).
  3. È dunque vero ed è bene sottolinearlo, che la Chiesa e i cristiani leggono l'Antico Testamento alla luce dell'avvenimento del Cristo morto e risorto e che, a questo titolo, esiste una lettura cristiana dell'Antico Testamento che non coincide necessariamente con la lettura ebraica. Identità cristiana e identità ebraica devono pertanto essere accuratamente distinte nella loro rispettiva lettura della Bibbia. Ciò che, tuttavia, nulla sottrae al valore dell'Antico Testamento nella Chiesa e non vieta che i cristiani possano a loro volta utilizzare con discernimento le tradizioni di lettura ebraica.
  4. La lettura tipologica non fa altro che manifestare le insondabili ricchezze dell'Antico Testamento, il suo contenuto inesauribile, il mistero che lo pervade, ed essa non deve far dimenticare che l'Antico Testamento mantiene il proprio valore di Rivelazione, che spesso il Nuovo Testamento non farà che riprendere (cf. Mc 12,29-31). Del resto, lo stesso Nuovo Testamento esige parimenti di essere letto alla luce dell'Antico. La catechesi cristiana primitiva vi farà costantemente ricorso (cf. ad es. 1Cor 5,6-8; 10,1-11)
  5. La tipologia significa inoltre proiezione verso il compimento del piano divino, quando "Dio sarà tutto in tutti" (1Cor 15,28). Questo fatto vale anche per la Chiesa che, già realizzata in Cristo, non di meno attende la sua perfezione definitiva come Corpo di Cristo. Il fatto che il Corpo di Cristo tenda ancora verso la sua statura perfetta (cf. Ef 4,12-13), nulla sottrae al valore dell'essere cristiano. Così la vocazione dei Patriarchi e l'esodo dall'Egitto non perdono la loro importanza e il loro valore proprio nel piano di Dio per il fatto che esse sono al tempo stesso delle tappe intermedie ( cf, per es., Nostra Aetate n. 4).


  • Ma allora riconoscere la legittima diversità di interpretazione significa dire che cristiani ed ebrei, pur leggendo la stessa Bibbia, non leggiamo lo stesso libro? No, perché "la chiesa delle origini, la quale compose il NT, pretese che questo, lungi dal proporsi come un’interpretazione aliena dalle Scritture di Israele, ne rappresenti l’ultima e definitiva rilettura, dunque indubitabilmente ebraica (At 26,22-23: "Null'altro io affermo se non quello che i profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere, che cioè il Cristo sarebbe morto, e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunziato la luce al popolo e ai pagani": discorso di Paolo davanti ad Agrippa)" (F. Rossi de Gasperis, Cominciando da Gerusalemme, Piemme 1997, p. 384).


  • L’esegesi tipologica è infatti nota già all’interno dello stesso AT. Come ricorda il n. 9 dei citati Sussidi, l’esodo egiziano è stato riletto dai profeti come paradigma per descrivere il ritorno dagli esili e la liberazione escatologica stessa: basti pensare al Seder di Pesah (la liturgia pasquale). Ma c’è una tipologia cristiana che si distacca da questa modalità: è quella che "si interessa agli eventi e alle persone del Primo Testamento unicamente come "figure" e "tipi" da attraversale in fretta per giungere alle "realtà" (= antitipi) della Nuova Alleanza" (ivi, p. 390). È la tipologia della "frattura tra i due testamenti", secondo la quale il Figlio con la sua incarnazione non avrebbe portato a compimento la rivelazione veterotestamentaria, ma la avrebbe totalmente rinnovata.

  • Occorre invece una lettura di pacificante continuità tra i due testamenti. La novità cristiana non indica frattura con l’antico, ma definitività della rivelazione in Cristo. "Per quanto concerne il Testamentum (= l’economia, distinta dall’Instrumentum, = gli scritti), mentre il NT può essere definito come l’ultima rilettura dell’Antico, esso stesso non può andare soggetto a una ulteriore allegoria, senza che venga distrutta la realtà della stessa fede cristiana" (ivi p. 403). Il NT è l’"ultima allegoria" dell’AT, rimanendo aperto solo all’anagogia escatologica (il compimento finale, quando "Dio sarà tutto in tutti": 1Cor 15,28). D’altro canto la novità cristiana può essere rinvenuta nel fatto che nessun ebreo è giunto alla fede in Cristo solo per aver letto le scritture: è necessario l’incontro con l’evento irripetibile della risurrezione (dunque il cristianesimo non è solo lo "sviluppo organico e naturale" dell’ebraismo).


  • "La lettura ebraica delle scritture, di per sé, rimane aperta a un futuro e a un’attesa escatologica indeterminata. […] La lettura cristiana crede di conoscere il nome preciso di questa incognita: Gesù di Nazaret" (ivi p. 422). L’evento di Cristo rimane la discrepanza di fondo nell’interpretazione di quello che noi chiamiamo AT: la prima venuta di Gesù non è riconosciuta dagli ebrei come chiave interpretativa della storia e della scrittura, mentre l’attesa escatologica della sua seconda venuta (la parusìa, quello che gli ebrei chiamano "il giorno di Yhwh") è ciò che ci accomuna.


  • "Leggendo l’AT, il cristiano […] è come il lettore di un libro giallo, che ne vada leggendo progressivamente il testo dopo essere stato preventivamente informato dello svelamento finale. […È così] molto più in grado di soppesare proporzionatamente l’importanza e il significato di quei particolari che, letti prima di conoscere la fine, possono apparire irrilevanti e casuali. […] Di per sé, però, l’ultima chiave della lettura cristiana della Bibbia non deve mortificare in nulla la consistenza dei capitoli precedenti, l’importanza di conoscere ogni loro pagina in se stessa e di soppesarne i contenuti e la struttura"" (ivi p. 423-425).
Letto 6793 volte Ultima modifica il Sabato, 19 Giugno 2004 03:03

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