Famiglia Giovani Anziani

Attenzione

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Sabato, 19 Marzo 2005 14:32

APPENDICE: I METODI DI LAVORO

APPENDICE

I METODI DI LAVORO

 

L'ANNUNCIO

 

L’Annuncio è lo strumento che permette al Gruppo Famiglia di impostare il suo programma di formazione e consiste nel confrontarsi su un argomento di comune interesse. L’Annuncio può essere fatto da una persona esterna al gruppo, invitata a questo scopo, oppure può essere fatto dal gruppo stesso. In questo caso come si fa?

Si tratta di trovare un argomento di comune interesse, tratto da un libro o da una rivista, e confrontarsi su di esso.

È necessario leggere in precedenza l’argomento (personalmente e in coppia) e porsi, per ogni punto trattato, alcune domande:

·        Condividiamo quanto é scritto? Se non lo condividiamo, perché?

·        Se lo condividiamo, quali ostacoli ci impediscono di realizzarlo?

·        Da che parte incominciamo per superare questi ostacoli?

·        Quali conferme abbiamo trovato?

Durante l’incontro, dopo aver letto l’Annuncio e aver sostato un momento in silenzio, tutte queste riflessioni sono messe in comune perché “chi ha, dà...”. Si ascolta l’esperienza dell’altro come dono dello Spirito per fare chiarezza, discernimento, dentro di noi.

Ognuno, per essere più preciso nel comunicare la propria esperienza é bene metta per iscritto quel che ha pensato, meditato, sentito ... anche per essere più semplice e conciso quando presenta (verbalizza) il proprio contributo.

 

LA LECTIO DIVINA

 

La Lectio Divina è una preghiera biblica che. partendo dalla lettura del testo

sacro, giunge alla contemplazione dell’amore di Dio e spinge all’azione. all’ impegno, alla testimonianza.

Lo schema della Lectio Divina si articola in cinque punti:

·        Lettura: dopo aver letto il testo scelto uno dei presenti ne spiega la collocazione nel testo sacro e chiarisce parole e passi che possono suscitare dubbi.

·        Che cosa dice il testo in sé: si rilegge il testo una frase per volta, cercando di cogliere il significato delle singole parole, soffermandosi sui verbi, sugli aggettivi, per comprendere insieme che cosa l’autore sacro intendeva dire.

·        Che cosa dice il testo a me: ora che abbiamo capito meglio il testo chiediamoci: che cosa il Signore ci vuole dire in questo preciso momento della nostra vita, attraverso questo brano? Condividiamo la nostra risposta con i fratelli.

·        Preghiera: trasformiamo la nostra riflessione in preghiera nelle forme che lo Spirito vorrà suggerirci: dialogo, adorazione, lode, ringraziamento, intercessione.

·        Leggere “con la penna in mano”: scegliamo una frase del testo biblico letto e pregato, scriviamola per ricordarla meglio, sforziamoci di ‘ruminarla” nei giorni a venire e di viverla, prendendo un piccolo ma concreto impegno di conversione.

La vita quotidiana è trasformata dalla forza della Parola!

È opportuno incominciare sempre la Lectio Divina, sia personale sia di gruppo, con un’invocazione allo Spirito Santo affinché Lui, che ha ispirato le Scritture, guidi noi alla loro corretta ed efficace comprensione.

 

LA REVISIONE DI VITA

 

La Revisione di Vita è un metodo per fare cerniera tra vita quotidiana e fede, condividendo con gli altri il cammino. Viene proposta, prima di ogni incontro, una domanda dalla quale partire per:

·        Vedere: dopo un invocazione allo Spirito Santo la coppia che conduce l’incontro ripropone la domanda scelta per la RdV e ciascuno dà la sua risposta, attingendo alla propria esperienza personale e di coppia, senza esprimere giudizi. Questo momento di ascolto reciproco e di comprensione profonda dell’esperienza altrui favorisce la formazione della “presa in carico” reciproca.

·        Giudicare: a questo punto il gruppo si prende un momento di silenzio per ripensare a ciò che si è sentito e per interpretarlo alla luce del Vangelo. Ciascuno si raccoglierà in se stesso e farà memoria di quegli episodi e frasi del Vangelo, o più in generale della Bibbia, che rimandano a quanto udito e vissuto fino a quel momento e li condividerà con gli altri. Non sempre la nostra conoscenza del Vangelo è così approfondita da riproporre la citazione esatta, quello che conta è dire con parole nostre ciò che ci ricordiamo perché è comunque quello che ci è rimasto impresso nel cuore.

·        Agire: è il momento dell’appello alla conversione, è ora di prendere impegni precisi. Domandiamoci: che cosa mi chiede Gesù, ora e qui, per la mia conversione? Ciascuno, dopo un attimo di riflessione, esprime a voce alta il proprio pensiero sentendo che tutti gli altri partecipano sostenendolo con la preghiera. L’impegno preso non deve essere troppo difficile, altrimenti si rischia di non metterlo in pratica, deve essere alla portata anche di un bambino in modo da non poter avere scuse in caso di inadempienza.

Si conclude l’incontro con una preghiera di ringraziamento o di lode.

 

IL PARTAGE

 

Come la famiglia, anche il Gruppo Famiglia pratica la condivisione (Partage) come stile di vita.

La Lectio Divina. la Revisione di Vita sono già momenti di forte condivisione ma è bene dedicare ogni tanto un incontro al Partage, avendo cura di predefinire il tema, per fare davvero condivisione ed evitare di cadere nello spontaneismo.

Alcuni temi od occasioni di Partage possono essere: la nascita di un figlio, la morte di un familiare, scelte di vita. sofferenze. esperienze di servizio, ecc...

L’incontro di Partage può essere inserito in calendario già ad inizio anno oppure venire fissato in funzione dei bisogni e delle esigenze che nascono nelle coppie del gruppo.

Si inizia l’incontro con un brano della Parola pertinente al tema del Partage in modo da esserne illuminati e non correre il rischio di piangersi addosso.

L’incontro prosegue in modo spontaneo condividendo con i nostri fratelli nella fede le nostre esperienze; si presti attenzione a non assumere atteggiamenti sentimentali. o di pessimismo o di esaltazione.

Si termina con una preghiera che esprima l’assunzione reciproca delle gioie e delle pene.

Comunque, ogni incontro, formale od occasionale. tra le coppie del gruppo può avere momenti di Partage: aprirsi agli altri, confidando le nostre gioie, le nostre pene, le nostre attese può essere di aiuto e consolazione, soprattutto se sappiamo che quanto detto non sarà oggetto di chiacchiere o di pettegolezzi.

 

Sabato, 19 Marzo 2005 11:27

I segni dei tempi nella Chiesa

I segni dei tempi nella Chiesa

· «Segni dei tempi» sono quelli che indicano una liberazione in atto nella storia · Gesù di Nazareth, il Liberatore, è il «segno dei tempi» · Ed è Lui, l’annunciatore, che le Chiese devono annunciare · A tutti, e in ogni tempo.

La sera voi dite:

«Il cielo è rosso, farà bel tempo».

E la mattina dite: «Il cielo è rosso cupo, oggi è burrasca».

Sapete dunque distinguere l’aspetto del cielo

E non vi riesce

Capire i segni del tempo? (Mt 16, 2-3)

L'espressione «segni dei tempi» - come tutte quelle che in un certo periodo della storia hanno rappresentato per una generazione un punto di riferimento inserito in un orizzonte di senso - rischia col tempo di perdere il suo significato originario e di essere utilizzata dalla generazione successiva in modo disattento e banalizzato. Così, oggi tutto tende ad essere considerato «segno dei tempi»: dalle varie e ricorrenti «tangentopoli», all'uso urtante del cellulare; dalle tragedie giovanili del «sabato notte», alla «navigazione» ossessiva ed alienante su Internet, dalla ricerca generalizzata di facili guadagni in Borsa e alle lotterie, ai «giochi» erotici in diretta TV o alla passione sempre più diffusa per il gossip (il pettegolezzo). Se è vero - come affermava uno scrittore - che i paradossi di ieri sono i pregiudizi di domani, ciò è in parte dovuto non solo ai cambiamenti culturali ma anche al progressivo diluirsi e deteriorarsi dei valori forti, ivi compresi quelli nascosti dietro una parola od un’espressione.

Per Gesù, invece, nel brano citato di Matteo, «segni dei tempi» sono segni connotati di valori forti, positivamente collegati con il Regno di Dio che egli inaugura, segni dunque - o meglio «eventi» - di liberazione, cioè di salvezza, nella storia, dalla quale traspare l'opposizione dialettica tra il peccato, visibile e documentabile in un quotidiano la cui lettura non è mai facile né immediata, e la grazia che misteriosamente anticipa la redenzione definitiva. L’invito di Gesù è quindi rivolto non solo ai suoi contemporanei, ma agli esseri umani di tutte le generazioni. Ed in particolare a noi, che di fronte alle immani sfide etiche che il nostro tempo comporta ci ostiniamo a cedere alla tentazione pessimistica («...si andava meglio prima!»), o a quella edonista o individualista («...l'importante è che stia bene io, qui e ora!»), o ancora a quella ideologica, integrista e giustizialista («...per salvare il nostro tempo bisognerebbe fare piazza pulita di...»).

Queste tentazioni attraversano tutte le dimensioni della nostra esistenza, di quella familiare e sociale a quella professionale e non dobbiamo quindi stupirci se interessano - e non solo tangenzialmente - anche quella ecclesiale. Le Chiese non vivono sotto una campana di vetro, isolate e sterilizzate dal mondo: e le varie «visioni del mondo», i modelli etici che di volta in volta definiscono scelte, giudizi, decisioni, comportamenti, non possono non avere un'influenza diretta su di esse. Per porre correttamente, per quanto schematicamente, la questione dei segni dei tempi a livello ecclesiale, occorre allora situare la Chiesa nel concreto cammino storico che sia compiendo.

Una breve ricognizione

Diciamo subito che ci sembra quanto meno azzardato parlare - come capita talvolta d'udire - di «apocalittica ecclesiale». Vogliamo subito esprimere il nostro atto di fede nella forza sempre rinnovatrice dello Spirito che, in un tempo caratterizzato da «non frequenti visioni» (cf 1 Sam 3, 1s), suscita inaspettatamente nuove e giovani comunità capaci di mostrare al mondo la forza dell'amore. E certo, però, che la Chiesa si colloca oggi su un crinale «apocalittico» della storia. È una storia che «geme per i dolori del parto» e attende una liberazione. Si è soliti affermare che il rapporto chiesa-mondo si sviluppa in un contesto di secolarizzazione intesa come processo (positivo) di progressivo affrancamento della società dai sistemi religiosi e sacrali, ma anche come disaffezione e allontanamento dei singoli dalle chiese, dai loro riti e dalle loro istanze morali. È, quest'ultima, una situazione che preoccupa molto le gerarchie ecclesiastiche che non esitano a ricorrere a progetti talora molto ambiziosi per il recupero di una visibilità che rischia di appannarsi. Ma per la Chiesa, come vedremo, più che la mancata visibilità il rischio vero sembra oggi l'insignificanza.

E tuttavia dobbiamo essere attenti. La lettura fatta con i nostri modelli occidentali della nostra realtà ecclesiale, all'interno cioè di un mondo ricca e secolarizzato, rischia di essere inguaribilmente etnocentrica se cediamo alla tentazione di assolutizzarla e di universalizzarla: essa riguarda infatti non più di un quarto dell'umanità, l'Occidente evoluto appunto, mentre i restanti tre quarti vivono in una condizione di sub-umanità, di povertà estrema, di oppressione, di guerra, di carestia, di fame, di distruzione di intere etnie: situazioni per le quali non si intravede, almeno nel breve periodo, una ragionevole via d'uscita. Per queste persone, la Chiesa istituzionale che cosa rappresenta? Una presenza? Una speranza? Un punto di riferimento? Oppure una realtà ingombrante, un'alleata degli oppressori? O, più semplicemente, nulla? 

La vita media di un occidentale è - grosso modo - di 75 anni; quella di un abitante del cosiddetto «terzo mondo» non arriva a 50. Quest'ultima media risalta abbassata fondamentalmente a causa di almeno quattro fattori: la mortalità infantile elevata dovuta alla mancanza di un sistema sanitario adeguato, la malnutrizione e la sottonutrizione endemica, l'inquinamento ambientale, l'insicurezza e lo sfruttamento sul lavoro soprattutto dei minori. Tecnicamente, superare questo divario non sarebbe impossibile: 1o è invece da un punto di vista politico. Se - per non fare che un esempio - gli Stati Uniti hanno già deciso oggi la quantità di aerei da combattimento da immettere sul mercato nel 2012, cioè fra una dozzina di anni, tanti quanti ne occorrono per la progettazione e la costruzione di queste macchine da distrazione, è evidente la necessità di creare fin d'ora situazioni di guerra, con la tragica catena dì tragedie che comporta, per smaltire le scorte di questi prodotti.

No, la povertà e la guerra non sono un tragico destino: non è questo il modello al quale Dio ha destinato la creazione. Sono i rapporti tra gli uomini, le leggi economiche considerate rigide ed immutabili, e supreme, le scelte politiche fondate sull'egoismo dei pochi, l'incapacità di rinunciare al diritto senza contropartita che hanno determinato e determinano tali situazioni. D'altronde, già alla Conferenza di San Paolo del Brasile i teologi del Terzo Mondo avevano denunciato questo scandalo: «il popolo credente, ma sfruttato del Terzo Mondo si contrappone all'Occidente secolarizzato e sfruttatore». Lo scandalo dello sfruttamento e della divisione è destinato a mettere in crisi qualsiasi fede in Dio, o la fede in un qualsiasi Dio. Come è possibile pensare ad un Dio in presenza di miliardi di persone che soffrono, di bambini che muoiono inesorabilmente, solo circondati dal dolore impotente degli adulti? E rischia anche di rendere superflue le Chiese, con il loro apparato burocratico, le loro condanne e i loro steccati, i loro modelli di relazione mutuati dalle società secolari. Istituzioni a fianco di altre istituzioni. Capaci, sì, di parlarsi e anche di intrattenere un rapporto dialettico: ma i poveri del mondo, il restante tre quarti dell’umanità, capiscono questo linguaggio?

Questo non significa che, in Occidente come nel Terzo Mondo, sia in crisi il sentimento religioso. C'è, anzi, un bisogno reale di religiosità che sale dal profondo di ogni essere, una ispirazione tanto più profonda quanto più sorge da quell'angoscia esistenziale, da quella pesantezza e da quell'ombra che appartengono alla condizione umana. Questo processo è comune a tutte le classi di età, ma è evidente soprattutto nel mondo giovanile. Si nota nei giovani un grande interesse per la figura di Gesù, una forte esigenza di spiritualità, e contemporaneamente un progressivo abbandono delle comunità ecclesiali, degli oratori, della frequenza religiosa. Né basta, a colmare questa frattura - Cristo sì, Chiesa no - che preti e suore si mettano a danzare, a mimare il linguaggio dei teen-agers, o a frequentare discoteche: sarebbe come se un industriale in vena di originalità si presentasse al lavoro con la tuta da operaio. Si tradirebbe in pochi minuti. Per «recuperare» il mondo di chi «non crede», e di chi crede ma non «frequenta», non basta un cambiamento di stile, occorre un cambiamento di cultura. Soprattutto occorre abbandonare le false preoccupazioni moralistiche. Come affermi il teologo Paul M. Zulehner, perché la Chiesa venga amata dagli uomini e dalle donne del nostro tempo essa deve farsi amare, deve essere «amabile». Deve essere una «dimora». Come una famiglia.

Una Chiesa «segno dei tempi»...

 Se «segni dei tempi» sono quelli che indicano una liberazione in atto, non ci sembra che alcuni modelli di Chiesa possano essere considerati «segno dei tempi». A titolo di esempio ne indichiamo tre.

· Una Chiesa «clericale»: una Chiesa, cioè, impostata come una piramide, in cui al vertice sta la gerarchia (papa, vescovi, preti) con una funzione direttiva, e alla base i «fedeli», il popolo, con la grazia dell'esecuzione. Va detto che, da un punto di vista teologico, questa concezione di Chiesa non ha più diritto di cittadinanza, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II. Non ci pare solo simbolico il fatto che nella «Lumen Gentium», la Costituzione Conciliare sulla Chiesa, il capitolo sul «popolo di Dio» (II) preceda quella sulla gerarchia (III). Non è sempre così nella realtà.

· Una Chiesa che sente come compito prioritario quello di essere impositiva, di avere una comunicazione unidirezionale, di emettere «leggi», prescrizioni e divieti senza ascoltare la «base», senza l'umiltà di leggere a fondo le situazioni concrete, senza l'intelligenza della storia e la puntualità nel cogliere i mutamenti sociali alloro manifestarsi.

· Una Chiesa «alienata», vale a dire in perenne contemplazione di se stessa, dei suoi riti, delle sue liturgie, preoccupata di mostrarsi al mondo più che di immergersi in esso; una Chiesa che intrattiene relazioni privilegiate con i potenti, che antepone le relazioni diplomatiche a quelle umane, ed in cui il modello di vita dei pastori e dei nunzi apostolici è più simile a quello dei ricchi e dei privilegiati della storia che non a quello di una dignitosa povertà.

All'opposto, ci sembra possano essere considerati un «segno dei tempi» liberante altri modelli ecclesiali. Ne elenchiamo quattro, sempre a titolo di esempio.

· Una Chiesa veramente ed autenticamente «popolo di Dio». Questa affermazione che, passata la ventata conciliare, risulta un po' abbandonata nel linguaggio ecclesiale, possiede invece alcune implicazioni teologiche fondamentali. Tutti siamo popolo di Dio. Non è teologicamente corretto affermare che la Chiesa si compone dei vescovi, dei presbiteri, dei religiosi e del «popolo». Tutti siamo «popolo di Dio» perché tutti partecipiamo del Cristo e siamo chiamati alla santità. Nella concezione conciliare della Chiesa, cioè, la comunità, il «popolo» e, ancor prima il singolo, vengono intesi come il «luogo» in cui si manifesta l'ispirazione, in cui dunque lo Spirito parla e concede il «dono delle lingue», la capacità di esprimere opinioni, in definitiva un «luogo» in cui tutti sono uguali anche se non tutti fanno le stesse cose. E tuttavia sarebbe opportuno che il tema dell'uguaglianza non soltanto all'interno della Chiesa ma all'interno di tutta la comunità umana venisse ulteriormente approfondito: deve ancora entrare nella coscienza collettiva.

· Una Chiesa impostata secondo un corretto modello di famiglia: in cui cioè si viva non solo nominalmente ma effettivamente la fraternità, il dialogo, un servizio reciproco non forzato, ma spontaneo ed in cui, come in una famiglia, si viva una comune responsabilità. Una Chiesa, infine, con relazioni non di tipo verticale, ma orizzontale, quindi una Chiesa-comunione, segno dell'amore di Cristo per tutta l'umanità.

· Una Chiesa pienamente incarnata (liberando la parola dall'abuso indebito che spesso se ne fa); che annunci l'annunciatore della liberazione, il Cristo, l’anima della Chiesa; che rinunci quindi ad annunciare se stessa, i suoi dogmi, quella certa morale che spesso arranca nella sfida con la storia; capace di ritradurre, nel tempo storico, il messaggio di Gesù di Nazareth, a tutti i livelli dell’esistenza umana, da quello personale a quello di coppia, di famiglia, di società; che non abbia paura di annunciare il Cristo crocifisso, individuando i luoghi - fisici ed antropologici - concreti in cui si invera oggi la via della Croce. Questi luoghi, nel nostro contesto occidentale, sono spesso quelli in cui la comunità cristiana vive con maggior difficoltà la fatica di un'integrazione, di una presenza autentica e non soltanto formale: le coppie rese di fatto «irregolari» da quelle condizioni sociali che occorrerebbe avere la pazienza di cogliere, di approfondire e di affrontare con il cuore sgombro da preconcetti: la condizione drammatica di molti giovani, di anziani, di preti e di suore incapaci di convivere con la propria solitudine e, non raramente, di stabilire un rapporto accettabile con la propria disperazione; tutte le persone che vivono le «stigma» della diversità, come «luogo» spesso definitivo di discriminazione, di rifiuto e anche di sfruttamento; una Chiesa «tenera», della tenerezza di Gesù e del Vangelo, che sappia operare una distinzione, dal punto di vista etico tra «immoralità» ed «incapacità»; una Chiesa dei poveri e non per i poveri: in cui poveri, cioè, siano visti non in una prospettiva assistenzialistica, ma come soggetti storici di un cambiamento che rischia invece di avvenire proprio a scapito e contro loro; poveri, allora, da «coscientizzare» (parola nata in Brasile, significativamente uno dei luoghi in cui più si manifesta la drammaticità delle differenze, ma in cui più si apre la speranza di un riscatto).

· Una Chiesa, in definitiva, con l'unica preoccupazione dell'amore. Come ci ha dimostrato Gesù, non si dà incarnazione senza amore. Uno dei «peccati» più gravi della comunità cristiana è quello della separatezza. La tentazione dell’«angelismo». La fede in Dio e in Gesù Cristo non rende i cristiani né più umani né meno umani degli altri uomini. Insieme con gli «altri» uomini e le «altre» donne occorre lavorare per una continua salvezza (liberazione) della storia. La liberazione non è mai conclusa. Sulla capacità di «portare avanti» questo processo di liberazione saremo (anzi, siamo) giudicati. Infatti «saremo giudicati sull'amore». Non il buon senso, la finezza politica, la condizione psicologica in cui viviamo, tanto meno l'ideologia, sono il criterio ermeneutico del giudizio, ma l'amore. Prima c'è l'amore, poi il giudizio. Ce lo ha insegnato Gesù stesso nell'incontro con il giovane ricco. Prima «lo amò», poi gli chiese di seguirlo. E non un amore di sentimento, ma un amore fatto di azione e che oseremmo definire «violento» (nel senso opposto di tiepido e timido), capace cioè di stravolgere i criteri e i ritmi direttivi della storia. Ma da soli non ce la facciamo. Per questo ci vuole una comunità che sia segno di liberazione.

Una conclusione provvisoria, per continuare a cercare. Insieme

A questo punto provvisoriamente conclusivo della nostra riflessione, è bene inserire ancore Gesù di Nazareth. Forse anche noi, come i suoi anonimi interlocutori in Mt 16, non lo abbiamo riconosciuto. Noi, che ci affanniamo a cercare altrove i «segni dei tempi», che scrutiamo il cielo per ricavarne segnali e presagi, non abbiamo capito che è Lui il «segno dei tempi». L’evento. Il segno di una liberazione in atto. «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo...?» (At, 1-11). Gesù è il «luogo» in cui Dio ha rivelato se stesso come salvezza definitiva di tutti gli esseri umani, nessuno escluso. Solo una storia di liberazione, come quella in cui Gesù si è incarnato e che ci ha rivelato, può essere sperimentata come storia di salvezza. Non una incarnazione virtuale, una mezza incarnazione. No, Gesù si è incarnato davvero in «questa» storia, in «questo» tempo, un tempo ed una storia che dobbiamo imparare a leggere con «simpatia», perché «luogo» in cui Dio non ha esitato a «mandare» suo figlio, senza esimerlo da un'esperienza dolente di creaturalità, di amore e di dolore, di sofferenza e di morte, come noi quotidianamente sperimentiamo. È Lui, il Gesù storico, lo «specifico» cristiano. L’humanum diventa così il criterio base per leggere l'esperienza cristiana, ed anche l'esperienza delle Chiese. Nonostante tutte le contraddizioni che in esse si manifestano, noi crediamo che Dio sia presente in queste esperienze, e che la storia - sacra e profana ad un tempo, ormai «salvata» e redenta - non possa più essere sbrigativamente liquidata come destinata al cestino dei rifiuti.

Se ha un senso questo nostro atto di fede, che forse da alcuni potrà essere considerato «troppo» umano, o troppo «laico», ce n'è quanto basta per continuare a voler bene alla Chiesa, e a sperare che essa sia capace di dare una risposta alle domande vere che uomini e donne veri continuano a rivolgerle, perché stanno loro a cuore, e non a quelle che, invece, questi stessi uomini e donne non pongono perché estranee all'esperienza storica attuale. In un mondo disincantato e deluso, facile preda delle illusioni mediatiche, si può continuare a narrare le molte storie - inedite e nascoste - di una grande passione.

Dice Ariel Dorfman, scrittore cileno autore tra l'altro di La morte e la fanciulla, ed. Garzanti, in un'intervista a La Stampa (5/8/2000): «Qualche volta bisogna avere il coraggio di immaginare un futuro diverso, sognare l'impossibile. Può sempre succedere che la Storia sia lì ad ascoltarci. Che ci risponda».

Luigi Ghia

Asti

Da “Famiglia domani” 1/2001

IL PIANO PASTORALE PER LA FAMIGLIA
DIOCESI DI FERMO

Negli ultimi anni la Diocesi di Fermo ha posto al centro della riflessione pasto­rale la famiglia.
Tale riflessione è stata sostenuta dalla convinzione che la famiglia, oltre ad es­sere oggetto di cure della comunità, è sog­getto di pastorale in quanto agente di evangelizzazione, formazione e servizio, al suo interno, nella comunità cristiana e nella società civile.
Lo stimolo è pervenuto non solo dalla forte istanza di evangelizzazione che il pa­pa sollecitava per il nuovo millennio, ma anche dall'invito del Sinodo Diocesano a riscoprire la dimensione teologica del ma­trimonio, a privilegiare l'aspetto formativo dei coniugi e degli animatori della pastora­le familiare e a considerare la parrocchia, per la sua caratteristica territoriale ed il suo coordinamento con l'ufficio di pastorale fa­miliare, il luogo privilegiato della crescita spirituale, morale e sociale delle famiglie.
In questo contesto di profonda rifles­sione si colloca il cammino che ha con­dotto la Diocesi alla realizzazione del Piano Pastorale per la famiglia. La Com­missione che ha accompagnato questo percorso era composta da due sacerdoti e da coniugi impegnati ecclesialmente e con differenti competenze nel versante culturale, sociale e pastorale. Il metodo di lavoro adottato ha cercato di coinvolgere tutta la comunità ecclesiale, nelle sue con­crete espressioni: diocesi, vicarie, parroc­chie.

In ascolto della Chiesa locale: indagine ed obiettivi

Il primo passo, dunque, è stato quello di mettersi in ascolto della Chiesa locale, organizzando incontri con i delegati di Vi­caria per la pastorale familiare e con la Consulta delle aggregazioni laicali, per una prima verifica della situazione delle famiglie nel nostro territorio e per indivi­duare eventuali piste da proporre.L'invio delle schede di verifica dell'e­sistente e di proposta ha contraddistinto il secondo momento. Esse hanno investito il problema a tutto campo a cominciare dall'educazione di adolescenti e giovani all'amore fino alla missione educati va della famiglia, alla sua testimonianza e al suo impegno nella Chiesa e nel mondo (la via dell' annuncio, la via della carità, la via della missione).
Gli obiettivi erano dichiarati nella se­conda parte di ogni scheda: anzitutto aiu­tare la parrocchia a valutare il proprio im­pegno nei vari settori della pastorale fa­miliare, per individuare carenze e realtà positive; in secondo luogo, si voleva dare alla parrocchia la possibilità di formulare richieste concrete alla Vicaria e alla Dio­cesi, per essere sostenuta ed aiutata nella sua missione nei confronti delle famiglie.

L'analisi delle risposte e la formulazione del Piano

Le osservazioni pervenute sono dive­nute oggetto di riflessione sia per la Com­missione che per il Consiglio Pastorale Diocesano. Quest'ultimo dopo un'attenta lettura ha riconsegnato il lavoro alla Com­missione che ha cercato di riunire in un unico documento i contributi, ristrutturan­doli, dove necessario, secondo lo schema: «Soggetti», «Contenuti» e «Metodo».
L'obiettivo del Piano Pastorale è sta­to quello di tracciare alcune linee-guida che, pur rispettando i diversi cammini e contesti, possano aiutare a sentirsi parte di una Diocesi.
Il Piano pastorale sulla famiglia, dun­que, non si è posto come un'iniziativa da aggiungere ad altre iniziative e neanche come una proposta confezionata e pronta all'uso, ma come obiettivo per aiutare la Diocesi ad attuare una conversione pasto­rale: dalla famiglia oggetto alla famiglia come soggetto, dalla parrocchia come in­sieme di persone alla parrocchia come fa­miglia di famiglie, dalla famiglia come settore alla famiglia che taglia trasversal­mente tutto l'impegno pastorale e dall'at­tenzione alle famiglie praticanti al coin­volgimento di quest'ultime nella missio­ne. Non vedere solo la famiglia come problema ma come risorsa e far di essa il centro unificatore della pastorale parroc­chiale.
Anche l'organizzazione metodologica delle stesse schede è coerente con tale im­postazione.

La prima via è quella dell'evange­lizzazione in cui la famiglia è oggetto di attenzione: educazione all'amore, incon­tri per fidanzati, incontri per genitori e fa­miglie e i gruppi famiglia.

La seconda via è quella della carità in cui la famiglia contemporaneamente è oggetto e soggetto di carità: servizi e so=­stegni alle famiglie e nuove forme di con­divisione.

La terza via è quella della missione in cui la famiglia diviene soggetto di pa­storale: l'educazione alla fede, la parteci­pazione alla vita della Chiesa, la parteci­pazione alla vita della società.

In questo contesto il Piano pastorale per la famiglia ha cercato di fare proposte nei vari ambiti.

Il primo dato emergente è che accanto alla preparazione immediata al matrimo­nio è necessario avviare una preparazio­ne remota che aiuti i giovani a riscoprire i valori insiti nella corporeità, sessualità e affettività. Questo tipo di preparazione deve essere trasversale ad ogni cammino formativo e deve ispirare ogni tentativo di primo annuncio della Chiesa. In questo cammino si ritiene necessaria la presenza di adulti e di giovani coppie e non solo di giovani come educatori.

Per quanto riguarda la preparazione immediata al matrimonio si auspica la presenza di coppie di sposi che insieme al parroco si assumano l'impegno di ac­compagnare i fidanzati nella scoperta del «Sacramento del matrimonio». A livello metodologico, si ritiene opportuno dare unitarietà ai contenuti, partendo dalla di­mensione antropologica per arrivare a quella di fede e passare da uno stile catte­dratico ad un confronto di coppia e nel gruppo. Si indica, infine, un minimo di dodici incontri indispensabili per un cammino serio d'iniziazione al matrimo­nio.

La promozione dei gruppi famiglia è motivata dall' importanza della famiglia sia come oggetto che soggetto primario della pastorale. Date le diverse metodolo­gie a cui i gruppi esistenti fanno riferi­mento, si ritiene necessario un vaglio cri­tico per indicare, nella legittimità delle di­verse impostazioni, alcuni punti fermi. È necessario, inoltre, far comprendere che i gruppi-famiglia sono un momento di apertura alla vita parrocchiale e comuni­taria, uno stimolo al servizio pastorale della Chiesa e all'impegno nella società civile, evitando in questo modo il perico­lo che essi rimangano un fattore isolato di un piccolo gruppo di coppie diventate amiche.

Circa il metodo diventa prioritario non perdere mai di vista che si tratta di un gruppo famiglie, non di semplici adulti, con l'eventuale presenza di figli. Secondo requisito per una metodologia adeguata è che ci sia spazio, in ogni incontro, oltre alla presentazione di una tematica illumi­nata dalla parola di Dio, per il lavoro di coppia.

Per quanto riguarda gli incontri per genitori i destinatari sono entrambi i ge­nitori. Essi divengono i primi e principali educatori dei figli nella fede, compito che scaturisce dal Sacramento del matrimo­nio e diviene vero e proprio ministero, un servizio educativo per aiutare i figli nella loro crescita umana e cristiana. A partire dai sacramenti dell'iniziazione cristiana dei figli (Battesimo, Eucaristia, Confer­mazione) si è ritenuto opportuno traccia­re un itinerario che si proponga tre obiet­tivi: partire dalla realtà che vive il matri­monio e la famiglia; annunciare l'amore di Dio che, attraverso la luce e la sapien­za del Vangelo, illumina e sostiene la realtà del matrimonio e della famiglia af­finché possa meglio realizzare la propria vocazione di comunità di grazia, amore e servizio alla vita; suggerire modi concre­ti di testimonianza cristiana che tengano presenti i risvolti etici personali e comu­nitari della fede e la missione educati va dei genitori cristiani.

L'indicazione di linee guida per servi­zi e sostegni alle famiglie e alle nuove forme di condivisione familiare ha vo­luto perseguire tre obiettivi: coinvolgi­mento delle singole famiglie per creare un rapporto di reciprocità; corresponsabilità nelle Comunità Parrocchiali; collabora­zione tra parrocchie vicine. In questa pro­spettiva la famiglia non è solo oggetto di intervento ma anche protagonista possi­bile del superamento del disagio che vive e delle difficoltà in cui si trovano le fami­glie in crisi: separati, divorziati, divorzia­ti risposati, famiglie extracomunitarie, fa­miglie con disabili gravi, ecc. Data l'im­portanza e la serietà dei problemi da af­frontare si invita la parrocchia ad educare adeguatamente i collaboratori pastorali per conoscere più in profondità ogni pro­blematica, in tutti i suoi risvolti: ecclesia­li, sociali, psicologici, umani, relaziona­li. I collaboratori, pur chiamati ad affer­mare con chiarezza e coraggio i principi della fede nella fedeltà della dottrina e della tradizione della Chiesa, debbono mettere in atto nuove forme di accoglien­za, ascolto, dialogo e apostolato.

Le linee-guida per l'educazione alla fede nella famiglia partono da due fatto­ri concomitanti: il compito di trasmissio­ne del Vangelo e di educazione alla fede nei confronti delle nuove generazioni che è prevalentemente affidato ai catechisti e al sacerdote (atteggiamento di delega); le forme abituali di trasmissione che sono improntate per lo più sul colloquio occa­sionale e sulla testimonianza personale (i momenti espliciti di formazione sono po­co ricercati, la preghiera in famiglia è molto rara).

Di conseguenza la comunità parroc­chiale dovrebbe svolgere una sensibiliz­zazione maggiore nei confronti dei geni­tori proponendo itinerari che aiutino que­st'ultimi a vivere il Vangelo in maniera li­bera e matura, a favorire un incontro per­sonale con Gesù Cristo, a stimolare la preghiera e la partecipazione alla vita del­la Chiesa, ad approfondire l'annuncio del­la Rivelazione, ecc.

A tal proposito diviene indispensabile che si formi in ogni parrocchia un' équipe familiare, composta da coppie disponibi­li e competenti, che abbia come compito quello di sensibilizzare le altre famiglie, di promuovere e coordinare iniziative for­mative specifiche.

Per quanto riguarda la famiglia sog­getto missionario nella Chiesa attual­mente il servizio svolto, sembra essere prevalentemente di tipo operativo, cate­chetico, liturgico o caritativo. È necessa­rio, quindi, recuperare la ministerialità della famiglia formando una équipe di fa­miglie animatrici che dovrebbero caratte­rizzarsi oltre che per i contenuti, soprat­tutto per il metodo di lavoro. La parroc­chia dovrebbe diventare il luogo in cui si creano occasioni d'incontro e dialogo ve­ro. I movimenti, le associazioni, i cammi­ni di fede possono essere una risorsa edu­cativa per le famiglie. C'è bisogno di una maggiore collaborazione tra famiglie, sfruttando momenti importanti come: centri di ascolto, iniziative periodiche di incontro e preghiera, mese di maggio, ecc...

Infine, perché questo impegno missio­nario sia assunto in modo sempre più au­tentico e proficuo, si avverte la necessità di promuovere iniziative specifiche per coppie, prestando particolare attenzione ai temi della vocazione e spiritualità co­niugale.

Le linee guida per la famiglia missio­naria nel mondo, partono dall'urgenza di un coinvolgimento maggiore della fami­glia nell'impegno sociale e politico. Trop­po spesso si hanno individui singoli che agiscono a livello personale.      

È importante che la pastorale della famiglia in ambito socio-economico-po­litico sia inserita nel contesto più genera­le della pastorale sociale e collegata con le attività della Caritas parrocchiale e dio­cesana e di associazioni e movimenti che hanno particolari attenzioni alle dinami­che sociali. Il criterio orientativo è quello di fare le cose insieme.

Luca e PatriziaTosoni

 

Sabato, 26 Febbraio 2005 12:33

CIRCOLAZIONE A "FILTRO" UNICO

Internet e famiglia
BAMBINI ON LINE / LE PRECAUZIONI

CIRCOLAZIONE A "FILTRO" UNICO

Software e browser specifici, sistemi di selezione di siti e portali: ecco gli strumenti di "difesa" più comuni. Ma nessuno di essi è perfetto, e spesso per i genitori restano un enigma

di Marco Girardo

Filtri, browser dedicati, software da sco­vare, scaricare, impostare: per la tutela dei bambini durante la navigazione in Rete gli strumenti esistono, ma rischiano di rimanere un enigma per genitori non troppo avvezzi a "smanettare" sulla tastiera. Col risultato di ritrovarsi a circolare in una Rete sì protetta, ma bucata in partenza. Può tor­nar utile, quiq,di, fare un breve inventario dei meccanismi di difesa, ricordando anche che in alcuni casi ci sono degli inattesi "talloni d'Achille".
La prima invenzione in ordine di tempo è stata quella dei filtri. Si tratta di programmi informatici, sia gratuiti sia a pagamento, che si possono scaricare da alcuni siti Internet oppure comperare presso un rivenditore di software. Il loro scopo è quello di individua­re siti che contengono materiale inadatto ai bambini e impedirne 1'apertura.
Le pagine in cui si può navigare in famiglia vengono selezionate in base a delle "etichet­te" presenti sui siti. Quasi tutti quelli per bambini sono "marchiati". Il sistema dei fil­tri presenta tuttavia due limiti: il criterio in base al quale vengono etichettate le pagine (ce ne sono diversi, alcuni non "comunican­ti" fra loro) e la possibilità di aggirare facil­mente il software: una volta escluso il pro­gramma si entra infatti in Rete senza prote­zione alcuna.
I parametri di selezione delle pagine da scar­tare possono riferirsi invece alle immagini o a certe parole che rivelano la presenza di materiale pornografico o violento: il guaio è che molti vocaboli posseggono più significa­ti, alle volte totalmente differenti, e 1'esclu­sione di quello sconveniente decreta auto­maticamente anche quella di pagine poten­zialmente navigabili. Con i filtri, insomma, il viaggio in Rete rischia di avere le ali tarpa­te. Un sistema più efficace è fornito dai browser apposi­tamente studiati per una navigazione protetta. In questo caso ci si collega alla Rete attraverso un fornitore di collegamento che control­la alla fonte 1'accesso. In Ita­lia ce ne sono diversi a paga­mento, forniti dai principali Internet provi­der, e solo uno gratuito. Si chiama Davide (www.davide.it) ed è nato in una parrocchia. «L’esperienza ha funzionato - racconta il direttore generale di Cometa Comunicazio­ne, Massimo Pintone - e ad oggi le famiglie che si collegano gratuitamente alla Rete sicu­ra sono circa 20mila con un incremento mensile del 15%».
Davide ha un accordo di collaborazione tec­nologica con Colt Telecom e riesce a soste­nere i costi di un collegamento efficiente e gratuito per i privati facendo pagare invece un canone a scuole, biblioteche, imprese e istituzioni che hanno bisogno di un accesso limitato.
«L’accesso tramite browser ha un doppio meccanismo di filtraggio - spiega ancora Pintone -: il primo funziona come per i nor­mali filtri selezionando le etichette. Il secon­do è invece "manuale", o meglio "umano": discriminiamo personalmente, attraverso una rete di oltre 1 000 segnalatori accreditati, i siti adatti e inadatti ai bambini. E questo fu la differenza».

 

IL LIBRO/ CHI C'È IN CHAT?

 

Chattare" è nell'era della globalizzazione sinonimo di "conversare". La chat è uno spazio della Rete dedicato al dialogo attraverso le tastiere e i monitor del computer. Un ambiente nuovo, senza confini di sorta, frequentato prevalentemente da giovani. Anche se non interessano direttamente i bambini, quindi, le chat sono una parte integrante del mondo Internet ed è bene conoscerne vizi e virtù. Due psicologi, Wally Festini e Giovanni Martelli, le hanno esplorate a fondo, individuando temi ricorrenti, abitudini ormai consolidate, regole, comportamenti. «Chi c'è in chat?!» (Franco Angeli, pagine 144, 13 euro), racconta insomma "Tutto quello che vorreste sapere sulle chat e non avete mai osato chiedere", come recita il sottotitolo. Nel libro si trova una panoramica dell'esistente, dei tipi di chat e di tutti i loro possibili usi. Il discorso teorico è illustrato da dialoghi vivaci, che permettono di entrare in fretta nel vivo dell'argomento.
M.G.

 

WWW.DADE.IT, GIARDINETTO DI FAMIGLIA

 Dall’esperienza di Davide.it è nato da qualche mese “Dade” (www.dade.it) , un portale-esperimento dedicato ai ragazzi fino agli undici anni. L’associazione Davide Onlus, con la collaborazione di esperti psicologi ed educatori, smentisce l’affidabilità del servizio pensato per la navigazione in famiglia, quella dei genitori con i bambini più piccoli. Il portale è un vero e proprio “giardinetto protetto” coltivato con precisi criteri educativi. Il motore di ricerca interno funziona infatti per grandi categorie di siti che sono selezionati e costantemente visitati dagli esperti. Per il momento ce ne sono 364, sistemati dentro al “motorino di ricerca”: digitando una qualsiasi parola compariranno solo pagine Web testate per i bambini. Oltre ai siti indicizzati, ci sono gli altri servizi di un classico portale, a partire dalla posta elettronica. La “tana multimediale”, nascosta dentro un tronco di una grande quercia, riserva invece giochi. Anche nel caso di Dade l’accesso per i privati è gratuito mentre quello per associazioni Onlus, scuole, parrocchie, o altro costa 130 euro all’anno.
M.G.

 

Domenica, 20 Febbraio 2005 18:31

Chi ha paur@ della Rete?

Chi ha paur@ della Rete?

Cresce
la presenza dei minori su internet e la famiglia spesso è impreparata a
proteggerli da incontri indesiderati. Allora, come navigare in
sicurezza, sfruttando le ricchezze che il Web offre? "Filtri", blocchi
e divieti non risolvono tutti i problemi. E l’esperto consiglia cari
genitori, state accanto ai figli quando usano il mouse.

 

Stati
Uniti, domenica mattina. L’home page del sito Internet della Disney è
fra le mete predilette dai bambini non solo americani, che la
frequentano per la qualità dei giochi e delle informazioni sui loro
fumetti preferiti.

In questa particolare domenica,
però qualcuno ha silenziosamente alterato un link, un collegamento.
Fino a pochi istanti prima, chi appoggiava il mouse sul faccione di
Pippo poteva accedere alle divertenti pagine Web predisposte per
l’allampanato amico di Topolino. Ma ora tutto è cambiato: facendo click
si precipita in un sito violento, offensivo, che di divertente non ha
proprio nulla. È una vera e propria trappola, allestita in maniera che
cadervi sia inevitabile.

Chi è stato? E perché si diverte
a sottoporre i bambini a uno shock brutale? Non c’è modo di saperlo; ma
intanto, dal momento in cui l’intruso ha agito a quello in cui Disney
ha ripristinato il collegamento corretto, sono passate due ore. E
quanti bambini di tutto il mondo, in quelle due ore, saranno caduti
nella trappola della violenza, tanto più odiosa quanto più si sentivano
al sicuro in un "luogo" amico e protetto?

Domenica, 20 Febbraio 2005 18:30

7 - Approntare strumenti giuridici appropriati

7 - Approntare strumenti giuridici appropriati

Ma intanto - anche in
attesa che persone di buona volontà approntino strumenti giuridici e
sociali adeguati - c'è un consiglio antico che vale per Internet come
per ogni altra esperienza. Non c'è nulla di così terribile che non
possa essere affrontato e superato insieme alle persone amate.

Siamo convinti che un bambino non subirà mai un
trauma irrecuperabile se avrà al fianco qualcuno con cui parlarne,
qualcuno in cui ripone la sua fiducia.

Alla nostra civiltà sono serviti più di trent' anni
di televisione per capire che quel parallelepipedo accomodato nelle
nostre cucine e nei nostri tinelli stava alterando i ritmi della
comunicazione familiare. Quell'esperienza può farci risparmiare tempo
rispetto a quest'altra, tanto più pervasiva e dilagante.

Giuseppe Romano

studioso di mass media

Domenica, 20 Febbraio 2005 18:29

6 - Luogo di informazioni insostituibili

6 - Luogo di informazioni insostituibili

La "cultura digitale"
sta facendosi strada. Esistono opere di grande qualità pedagogica, che
potrebbero dare una.valida mano all'educazione dei bambini; e seri
studi mostrano che già a due anni un bambino può interagire utilmente
con lo schermo, apprendendo nozioni utili in maniera armonica e non
contraddittoria con le esperienze di altro tipo.

Tirando le somme, Internet è un universo in crescita
imperiosa, dov'è possibile fare esperienze meravigliose o semplicemente
utili; ed è, sempre più spesso, il luogo di informazioni insostituibili.

Chi scrive ha constatato la grande quantità e
qualità di iniziative multimediali e interattive sorte in scuole
italiane di ogni ordine, nelle più svariate località: splendidi esempi
di collaborazione fra insegnanti e allievi, tanti più meritori perché
spontanei e spesso non aiutati dalle strutture.

Ma queste considerazioni ci riportano
obbligatoriamente al punto da cui eravamo partiti. Com’ è possibile
dare credito a un mondo in cui gli incontri più piacevoli e
interessanti possono essere, senza preavviso, soppiantati da tranelli e
aggressioni?

Qualsiasi risposta "tecnologica" a questa domanda è,
da sola, un palliativo insufficiente. Filtri, blocchi e divieti non
risolvono la questione alla radice. La risposta giunge invece sul piano
culturale, umano, sociale, e sta nell'imparare questa lingua per usarla
correttamente, e nell'imporre a questo mondo le regole della convivenza
civile. Non è detto che Internet "debba" rimanere un territorio così
accidentato; almeno, non è detto che tutta la Rete debba equivalersi
sotto questo punto di vista. Già esistono interessanti esperimenti di
"comunità virtuali" che al loro interno offrono - per quanto oggi è
possibile - condizioni di relativa sicurezza.

Giuseppe Romano

studioso di mass media

5 - Già a due anni un bambino può interagire con lo schermo

Quanto ai no problem, troppi
di loro non hanno idea di ciò che accade quando ci si connette alla
Rete, di quali siano il linguaggio e il modo di interagire che Internet
richiede. Non va per esempio trascurato il fatto che l'evoluzione delle
tecnologie induce un vero e proprio salto generazionale: rispetto a un
computer, un bambino acquisisce presto una dimestichezza e una perizia
che papà e mamma non avranno mai.

4 - Genitori e insegnanti si dividono in "no digital'' e "no problem"

Genitori e insegnanti
sembrano spesso, invece, dimenticarla, o, almeno, farsi vincere da
altri tipi di priorità. Da un lato sono numerosi i no digital, quelli
che tagliano la testa al toro decidendo che Internet, i videogames, il
computer, sono oggetti insidiosi e comunque poco educativi, da evitare.
Dall'altro va crescendo il popolo dei no problem: tutte esagerazioni, basta mettere il bimbo davanti a un sito conosciuto e non accadrà nulla di male.

Come sempre la realtà è complessa e non è possibile dividerla a colpi di accetta. I no digital dovrebbero
considerare che la nuova era inaugurata dal computer non riguarda tanto
la tecnologia (che ne è solo la veste), quanto la comunicazione: da
questo punto di vista il Pc e il Web sono fatti umani e come tali vanno
considerati. Di questo orizzonte di comunicazione già non possiamo più
fare a meno: lo si voglia o no, esso è qui per restare e per
coinvolgerci.<

3 - Internet è una risorsa preziosa. Ma ci può aggredire a tradimento

Perché è proprio vero:
Internet ci aggredisce. Diversamente dalla televisione, che demanda a
noi la scelta del canale (la qualità dei contenuti resta un' altra
questione... ), nel Web a volte sono i canali che cercano noi. Internet
è davvero interattiva: e questo non vuoI dire soltanto che dobbiamo
puntare il mouse e cliccare per ottenere i dati richiesti, ma anche che
tutto ciò in cui ci imbattiamo ci "porta", letteralmente, da qualche
parte: se per esempio faccio click su un riquadro pubblicitario (un banner), finisco
subito altrove, cioè nel mondo indicato da quell' annuncio: un altro
sito, con contenuti completamente diversi da quelli del sito di
partenza.

E non è tutto, perché gli "squali" cui prima
accennavamo sono abilissimi a camuffarsi per venirci a nuotare davanti.
A chi fosse capitato, negli ultimi mesi, di ricercare in Internet due
termini innocenti come "orario dei treni" e "agriturismo" potrebbe
essere successo di trovare, fra le risposte apparse nella pagina del
motore di ricerca, numerosi siti pornografici che si erano
autodenominati con quegli stessi termini.

Evidentemente i gestori di quei siti avevano pensato
di allargare il proprio mercato facendosi incontrare anche da chi non
li cercava, per sfruttare l'effetto sorpresa. Una violenza
inaccettabile? Sì, ma anche una caratteristica di Internet che non va
dimenticata.