Famiglia Giovani Anziani

Attenzione

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UN LABORATORIO PERMANENTE PER GLI «ITINERARI DI FEDE» IN PREPARAZIONE AL MA TRIMONIO

Premesse

A Villa Civran di Castion di Loria, ultimo angolo ovest della diocesi di Treviso che confina con le altre due diocesi di Padova e Vicenza, si tiene, una volta alI' anno, un itinerario interdiocesano per la preparazione dei fidanzati al matrimonio, e nello stesso tempo si cerca di sperimentare «in vivo» una continua ricerca su forme, modi, mezzi da utilizzare in questo delicato lavoro.

La struttura è un ex studentato dei Padri della Sacra Famiglia del Berthier.

È proprio uno di questi padri, p. Francesco Pellizzer, promuove ormai da parecchi anni questa attività in collaborazione con una decina di coppie di sposi appartenenti appunto alle diverse diocesi. (Altri fidanzati vengono seguiti «fuori programma» in piccoli gruppi di tre-quattro coppie per volta durante tutto il corso dell'anno).

Gli incontri si susseguono da gennaio a maggio con frequenza quindicinale e vi partecipano ogni anno non meno di cinquanta coppie di fidanzati.

Gli incontri hanno luogo nel pomeriggio delle domeniche dalle ore 14.30 fino alle 19.00 e la presenza dei giovani si rivela molto assidua nonostante gli impegni lavorativi e sociali. In uno di questi incontri, a metà itinerario, viene richiesta la presenza fin dal mattino, con pranzo assieme, in modo da dare spazio alla verifica ed alla maggior integrazione-conoscenza tra i fidanzati stessi e con le coppie conduttrici (meglio sarebbe dire «coppie che affiancano» i ragazzi nel loro percorso formativo).

Metodologia

Una lunga e paziente riflessione tra le coppie che collaborano e il p. Francesco ha sviluppato alcune linee metodologiche. Tenteremo sinteticamente di accennarne alcune senza la pretesa di poter sviluppare adeguatamente l'argomento. Speriamo soltanto che si riesca a coglierne lo spirito. Alcuni punti condivisi che sottendono a questa attività pastorale sono:

  • la convinzione che la Chiesa ha bisogno di camminare con due gambe per non essere zoppa. Le sue due gambe sono i due sacramenti dell'Ordine Sacro e del Matrimonio e perciò i due relativi ministeri;

  • che è specifico delle famiglie (figli compresi), proprio in funzione del loro ministero, iniziare i giovani alla bella ma difficile avventura del matrimonio. (Per inciso, in qualche occasione sono presenti anche i figli sia piccolissimi che più grandicelli, addirittura adolescenti, e succede che i fidanzati facciano delle domande in pubblico a questi ultimi, e che le loro semplici e spontanee battute risultino di grande incisività);

  • che si tratta di un cammino di fede, ossia per chi intende fare un matrimonio religioso, senza peraltro escludere nessuno. Tuttavia il tentativo è di trasmettere un messaggio strettamente agganciato alla vita, non soltanto semplici conoscenze ed alti «voli» che poco hanno a che fare con l'impatto della quotidianità;

  • si è coscienti della cultura «visiva» del nostro tempo e pertanto si è attenti ad un buon uso di materiale adatto, cartaceo e non. L'uso dei «segni» si è rivelato di importanza fondamentale per la trasmissione dei messaggi. Si tratta del modo di preparare l'ambiente, di disegni e scritte, di atteggiamenti ed esercizi, di canti e formule di preghiera, ecc.;

  •  che è di fondamentale importanza il coinvolgimento attivo dei partecipanti;

  • che infine una serie di incontri non può di certo esaurire la preparazione di una coppia e tanto meno rappresentare una vaccinazione per il lungo e complesso cammino matrimoniale. Perciò si tratta di «innamorare» gli innamorati, come qualcuno preferisce chiamarli, alla continua ricerca e ad un cammino permanente.

    Lo spazio non ci permette di considerare altre cose se pur di grande rilevanza.

    Giornata tipo

    La scansione della giornata nelle sue parti fondamentali, tralasciando particolari e contorni anche se risultano spesso di grande efficacia accogliente, si svolge come segue:

    ANNUNCIO (tenuto da persona/coppia preparata):

    biblico. Vengono presentate coppie bibliche con lettura meditata del testo e spunti di lettura del quotidiano. I brani biblici sono stati scelti in modo da affiancare il più possibile l'argomento del giorno;

    umano-cristiano. Varie argomentazioni che sviluppano il tema dell' amore a «modulo» su due proiezioni: lo sviluppo tematico e l'approfondimento.

    (Solo come sussidio d'appoggio-consultazione si usa il testo Dio ci chiama a l' amore edito da Elledici).

    LAVORO PERSONALE.

    Attraverso test, brevi tratti di vissuto, messaggi da completare... viene lasciato il tempo ad ogni singola persona per riflettere, interrogarsi, cercare risposte...

    LAVORO DI COPPIA.

    Un certo tempo viene dedicato al Confronto a due, magari proprio sui dubbi e sulle risposte, spesso divergenti, suscitate dal materiale consegnato che è stato oggetto di riflessione della persona da sola. Non è raro assistere a discussioni di una certa vivacità pur sottovoce per non esporsi troppo a sguardi indiscreti.

    STACCO.

     A questo punto è stato inserito a proposito un momento di break. È un tempo per staccare, per scambiare qualche parola con amici, per fare qualche conoscenza... per permettere a un ragazzo di dire scherzosamente ad un altro ragazzo, indicando la propria fidanzata: «Questa... non capisce niente!». «Neppure la mia!», e viceversa. Ossia è quel momento che allarga la visuale del panorama della propria vita altrimenti troppo miope e chiuso dentro un rapporto di coppia troppo ristretto e povero. A questo punto si è pronti per l’ora successiva.

    LAVORO DI GRUPPO

    Svolto secondo le buone regole classiche. Ogni coppia di sposi fa da riferimento per cinque o sei coppie di fidanzati.

    È questo il momento importantissimo della presa di coscienza, della conferma / disconferma delle proprie idee, del confronto e comunque dell'assimilazione- completamento dei messaggi.

    Nell' incontro finale viene inserita la celebrazione della santa messa animata dai ragazzi stessi in vario modo e con una paraliturgia di «Promessa di Fidanzamento». La promessa di prendersi cura dell' altro per poter camminare davvero verso il matrimonio.

    È soltanto un tentativo di ricerca di un linguaggio nuovo per poter portare a queste nuove generazioni «la buona notizia, il lieto annuncio» che dà sapore alla vita.

                                                                                               Valeria e Tony Piccin

Fate quello che vi dirà. Ascoltare e «fare» la Parola

 

· Il Verbo ha assunto la carne perché noi potessimo ricevere lo Spirito · È lo Spirito che ci consente di «ascoltare» quando vuole dire a noi la parola di Dio e dunque di «fare» quanto ci viene richiesto nella storia e dalla storia · Dando così sempre l’inizio ad un’opera sempre nuova.

Introduzione

Il Vangelo di Giovanni si apre con la proclamazione dell'incarnazione del Verbo e si chiude con l'insufflazione, da parte del Risorto, dello Spirito nei discepoli. È possibile perciò sintetizzarlo, come ha fatto il teologo ortodosso Evdokimov, con l'espressione: «Il Verbo ha assunto la carne perché noi potessimo ricevere lo Spirito». Ripartiremo da qui nella seconda pane della nostra riflessione.

Il testo del racconto delle nozze di Cana presenta l'unica difficoltà interpretativa nelle parole di Gesù che precedono immediatamente l'espressione che ci farà da guida. Il loro tenore suona alle nostre orecchie quanto meno irriguardoso. Le versioni tentate sono perciò molte. Personalmente ritengo molto buona quella della traduzione interconfessionale: «Donna, perché me lo dici? L’ora mia non è ancora giunta» Come dire: «D’accordo, però...». Dal proseguimento dell'azione risulta comunque chiaro che Maria ha percepito come positiva la risposta di Gesù. Altrimenti non si rivolgerebbe immediatamente ai domestici dicendo: «Fate tutto quello che vi dirà».

Il testo greco mette bene in evidenza il fatto che Maria non conosce con precisione il pensiero di Gesù. Ma ha in lui una fiducia illimitata. Tanto che ordina ai servi, senza incertezze: «Fate...». Anche questo imperativo in greco suona in modo particolare. Si tratta di un imperativo aoristo che fa assumere al verbo il significato di dare inizio a una azione nuova.

Svilupperemo questi concetti di fiducia e di azione nella seconda parte.

 

Parte prima – Ascoltare

Invito all'ascolto

L'invito all'ascolto è qui indiretto, ma presupposto dallo sviluppo della frase. Ed è espresso in un contesto - quello ebraico - in cui l'ascolto è un'attività assolutamente preminente per quanto riguarda la comprensione. L'ebreo è stato educato da secoli di rivelazione divina all'ascolto della parola, piuttosto che all'analisi del mondo circostante.

Ripercorrendo l'AT possiamo ascoltare il grido dei Profeti (ad es., Am 3,1; Ger 7,2). «Ascolta Israele», prega quotidianamente il pio israelita. Tenendo ben presente che per l'ebreo «ascoltare Dio» non significa solo prestare attenzione al messaggio, ma piuttosto aprire il proprio cuore (cf l'episodio di Lidia in Ai 16,14) e mettere in pratica quanto ascoltato (Mt 7,24ss). È in questo contesto che Maria, che è ben conscia dell'eccezionalità di suo figlio e forse ne ha già colto la dimensione divina, invita i servitori ad ascoltarlo.

Va tuttavia ricordato che all'ascolto della Parola ci si può anche rifiutare. E quest'esperienza è già registrata nella Bibbia. Possiamo ricordare le espressioni di Ger 6,10 su coloro che fanno oggetto di scherno le parole di Dio, l'insensibilità del cuore richiamata in At 7,51, la denuncia di Gesù in Gv 8,43.47.

Nell'episodio di Cana, però, i servitori rispondono positivamente, contribuendo alla manifestazione di Dio. E rientrando tra coloro che Gesù loda: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11,28).

 

La parola di Dio è percepibile

È un presupposto di tutta la Bibbia che Dio parla agli uomini ed essi lo comprendono. Non a livello di speculazione, ma di esperienza. All'inizio (AT) Dio parla a uomini privilegiati (i profeti) che devono trasmettere a tutto il popolo quanto loro rivelato (cf Eb 1,1). Ma nella pienezza dei tempi (NT) la Parola stessa si è fatta consanguinea di tutta l'umanità. «Dopo aver parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti, Dio ci ha parlato per mezzo del Figlio suo» (cf Eb 1,1ss).

Attraverso la Parola, Dio si mette in comunicazione con l'uomo in due modi: rivelandosi e agendo. In particolare si rivela:

-         come legge da seguire (Decalogo: Es 20,1-17; Dt 5,6:22), che però è sorgente di felicità (Sal 119);

-         come soggetto che dà senso alle cose (Gs 24,2-16)

-         come promessa annunzio del futuro (Es 3,7-10; Gv 15,13-16).

E agisce:

-         nella creazione (Sal 33,6-9)

-         nella storia umana (1 Re 2,4)

-         nel disegno di salvezza (Is 40,8).

È quindi possibile cogliere Dio non solo nel silenzio della meditazione, ma anche nel clamore della storia, grande o piccola che sia.

 

L'uomo dinanzi alla parola di Dio

L'uomo non può non prendere posizione di fronte alla parola di Dio. Che lo voglia o no, che ne sia più o meno cosciente, lì si gioca il suo destino.

Secondo la decisione presa l'uomo è introdotto in una vita fatta di fede, di fiducia e di amore, o invece rigettato nella malvagità del mondo (inteso in senso giovanneo). Si veda il discorso della montagna, dove Gesù oppone la sorte di coloro che «ascoltano la sua parola e la mettono in pratica» alla sorte di coloro che l'ascoltano senza metterla in pratica (Mt 7,24.26; Lc 6,47.49). Giovanni drammatizza la divisione tra gli uomini provocata dalla venuta di Gesù. Da un lato le tenebre non l'hanno accolto, dall'altro vi sono quelli che hanno ereditato nel suo nome. Nel nostro episodio l'ubbidienza dei servitori è leggibile come adesione a Gesù che li ricompensa oltre ogni aspettativa umana: l'acqua è trasformata in vino, e in vino abbondante e squisito.

È però esperienza comune che l'ascolto e la risposta dell'uomo sono fragili, temporanei, parziali. Per altro tutta la Scrittura ci testimonia che Dio ricomincia sempre con pazienza a intessere il rapporto d'amore con la sua creatura. Su questa indefettibilità è fondata la fiducia del credente, ed è ancorata la possibilità di non disperare.

 

Parte seconda - Come ascoltare

L'azione dello Spirito

Abbiamo ricordato all'inizio la sintesi del Vangelo di Giovanni proposta da Evdokimov. Lasciarsi inabitare dallo Spirito è quindi la meta di ogni credente in Cristo. Ed è pure il presupposto per ascoltarne rettamente la parola e comprenderne nel giusto significato l'azione che si è manifestata in modi diversi prima del tempo, nella vita di Gesù, e continua a manifestarsi ancora oggi nella storia. Perché il Cristo storico è morto e non ci è più possibile né vederlo né udirlo, la sua parola è cristallizzata in una Scrittura redatta con le categorie mentali e l’autocomprensione di uomini vissuti migliaia di anni fa, ed il senso della storia non è mai immediatamente percepibile. Per comprendere il messaggio di Dio occorre allora il pedagogo superiore alla legge e alla storia, lo Spirito (cf Rm 8,2) che ci è stato espressamente donato (cf Gv 20,22).

Tutta la Tradizione conferma che è solo nell'accettazione della subordinazione allo Spirito che possiamo sperare nella retta comprensione della parola di Dio. D'altra parte è rivelato che tutta la vita del cristiano è una vita nello Spirito (cf Gal 5,25). Illuminanti a questo proposito sono le esperienze dei mistici, per nessuno dei quali la comprensione di Dio è frutto dell'ascesi personale, pur presupponendola. Entriamo così nel campo delle disposizioni dell'uomo.

 

Le disposizioni dell'uomo: fiducia in Dio e nell’uomo

Tutta la storia della Chiesa è illuminata dall'esempio di tante anime credenti che hanno lasciato tracce, anche scritte, del loro cammino di avvicinamento alla verità.

Ne riportiamo qualche suggerimento, a solo titolo di esempio, lasciando a ciascuno di scoprire come predisporsi all'azione dello Spirito. Va però ricordato che se non è l’ascesi che garantisce la comunione con Dio, è anche vero che senza uno sforzo personale di purificazione mai si riuscirà a coglierlo nella sua alterità. Perché se è vero che Cristo si è incarnato per accostarci in modo mirabile a Dio, è altrettanto vero che Dio è sempre totalmente altro da noi e quindi difficile da raggiungere.

Il punto di partenza del cammino verso Dio sembra essere per tutti una umiltà sincera di fondo che consenta di riconoscere l'iniziale incapacità a comprendere e a scegliere Dio. Diciamo «iniziale», perché nel prosieguo dell'itinerario spirituale questa capacità si affina.

La seconda condizione indispensabile è avere assoluta fiducia nella possibilità che Dio si comunichi a noi. Senza questa fiducia non sarebbe neppure immaginabile, per esempio, il cammino che S. Ignazio propone negli Esercizi Spirituali.

Alcuni iniziano la loro avventura verso la parola di Dio affrontando la Bibbia. Non si tratta qui di lettura, intesa in senso profano, ma di una vera lectio divina, sulla quale ormai molto si è detto e scritto.

Altri ritengono che Dio manifesti nella storia, forse ancor più chiaramente che nella Scrittura, la sua volontà (cf per esempio la teologia dei «segni dei tempi» del Vaticano II). Questa strada va percorsa però con molta circospezione perché è molto facile, in proposito, lasciarsi fuorviare da preoccupazioni ideologiche. S. Ignazio parlerebbe qui della necessità del discernimento degli spiriti.

È quasi istintivo quando si cerca la volontà di Dio chiedergli con insistenza: «Cosa vuoi da me?». L’esperienza dei grandi maestri spirituali insegna però che è più opportuno chiedergli: «come posso stare con te?». Dio infatti non assegna compiti dall'alto, ma a chi sta con lui ispira i medesimi suoi sentimenti.

Un'altra condizione è stata sempre ritenuta necessaria per accostarsi con frutto alla parola di Dio: lo spirito di preghiera. Per fare un riferimento non comune si potrebbe leggere: Calvino, Istituzione della religione cristiana, Libro III capitolo XX che ha per titolo: «La preghiera è il principale esercizio della fede; per mezzo di essa riceviamo quotidianamente i benefici di Dio» (ed. UTET pp. 1014ss).

Ancora una condizione è predicata e vissuta dalle grandi anime: per comprendere la volontà di Dio è necessario accettare la croce di Gesù. Questo è sempre stato e sempre sarà l'ostacolo maggiore alla comprensione della volontà ultima di Dio, dell'accettazione della Parola, intesa sia come persona, sia come legge normativa.

C'è anche tutta una serie di attitudini psicologiche che andrebbero coltivate per un proficuo ascolto della parola. Si pensi a generosità, maturità spirituale, senso di Dio, altitudine alla ricerca, senso del positivo, senso della Chiesa ecc.

 

Ascolto per l'azione

Maria chiede ai servitori del banchetto di Cana di fare, senza porre condizioni, quello che Gesù dirà.

È lo scopo di ogni ascolto della parola di Dio, il mettere in pratica la parola di Dio, andando oltre una religiosità puramente formale, non solo è richiesto da tutta la Bibbia (cf, ad es., Is 58,6-11) ma è visto da Gesù come la manifestazione della vera intelligenza spirituale (cf Lc 6,46-49).

Il fare va però inteso come fedeltà interiore alla grazia, non come un fare per il fare o un fare per esibire il proprio potere. Il giudizio infatti verrà dato non sulle azioni eccezionali (cf Mt 7,22), ma sulle opere di misericordia (cf Mt 25,31-46). Con una notazione interessante: l'accusa del Signore contro i condannati non è di aver attivamente fatto il male, ma semplicemente di essersi disinteressati dei bisognosi. Mentre il Samaritano che ha compassione di chi soffre è portato da Gesù come esempio di colui che erediterà la vita eterna (cf Lc 10,25-37).

È però vero che l'azione nuova, giusta, conforme al volere di Dio, non può nascere dalla sola volontà dell'uomo, che continua ad albergare nel suo cuore il peccato, ma è piuttosto il frutto di una fusione della volontà umana e della volontà divina e quindi, in ultima analisi, un dono da chiedere.

A questo proposito la fede cattolica riconosce un luogo privilegiato per coltivare tale fusione: la Chiesa. Solo la Chiesa con la sua vita sacramentale assicura le condizioni ordinarie per consentire all'uomo la vera unione con Cristo nello Spirito.

S. Ignazio conferma: «Tra Cristo sposo e la Chiesa sua sposa c'è un solo Spirito che ci governa e ci regge per la salvezza di noi tutti».

Oggi purtroppo la visione della Chiesa è molto distorta: c'è chi la riduce ad una setta di santi in cui non ci sia posto per la debolezza umana; c'è chi pensa ad una Chiesa puramente interiore, senz'altra norma che la propria ispirazione personale.

Non è questa la dottrina del Vaticano II che nella Lumen Gentium afferma: «Il Sacro Concilio insegna che i vescovi per divina istituzione sono i successori degli apostoli quali pastori della Chiesa e chi li ascolta ascolta Cristo. Chi li disprezza disprezza Cristo» (10,16). E: «Questa è l'unica Chiesa di Cristo… che il Salvatore nostro, dopo la sua resurrezione, diede a pascere a Pietro, affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e il governo e la costituì per sempre colonna e sostegno della verità».

Per accettare questa realtà è però necessario aver raggiunto una dimensione profondamente evangelica frutto dello Spirito, dove possano fiorire l'umiltà e lo spogliamento di sé (Fil 2,7ss), la libertà con cui Cristo ci ha liberati (Gal 4,31; 5,13) e l'obbedienza salvifica (Rm 5,19).

 

Conclusione

A riassunto e conclusione di quanto esposto si potrebbe, a nostra esortazione, parafrasare l'invito di Maria ai servitori: «Ascoltate Gesù, che è Parola vera di Dio, comprendete bene quello che vuole dirvi nel suo grande amore, dopo aver tolto dal vostro cuore ogni affezione disordinata, e dalla vostra mente i pregiudizi ideologici, e lasciandovi guidare dallo Spirito date inizio con fiducia all'opera nuova che lui vi indica, senza preoccuparvi se suona strana ai vostri orecchi, perché con lui tutto potrete e grande sarà la vostro ricompensa». E ripetere con Isaia: «Come la pioggia e la neve scendono… così sarà della parola uscita dalla mia bocca, non ritornerà a me senza aver operato ciò che desidero» (55,11).

Sergio Riccardi

Milano

Da “Famiglia domani” 3/2000

 

 

 

per un discernimento spirituale

Mi apro alla speranza di un Dio che mi ama

TONY e VALERIA PICCIN Vallà (Treviso)

Il mistero dell'Amore che vivifica ogni amore e che risveglia la speranza richiede un atteggiamento umile di silenzio e la disponibilità alla contemplazione.

«Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!

Perché, ecco l'inverno è passato;

è cessata la pioggia, se n'è andata;

i fiori sono apparsi nei campi,

il tempo del canto è tornato

e la voce della tortora

ancora si fa sentire nella nostra campagna.

Il fico ha messo fuori i primi frutti

e le viti fiorite spandono fragranza.

Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!».

(Cantico dei Cantici 2,10-13)

L'autore sacro del Cantico dei Cantici di fronte al tema dell'AMORE si abbandona alla fantasia, all'immaginazione. Le parole diventano povere per esprimere la realtà, occorrerebbe il pennello, lo strumento musicale, il profumo della primavera che ogni anno risveglia la natura.

È la luce e il calore del sole che fa muovere la vitalità di fiori e piante. Alcune più ricche di linfa sbocciano con prepotenza, altre più debolmente e qualche pianta ogni anno non viene più risvegliata dalla primavera: è seccata, è morta e verrà ben presto tagliata o divelta dal terreno perché non è bello vedere quello scheletro in mezzo a tanto verde e a tanti colori.

Di fronte alla realtà dell'amore di Dio che risveglia la nostra speranza personale e di coppia è più opportuno fermarsi in silenzio a contemplare che costruire complicati ragionamenti. E il mistero dell'AMORE che vivifica ogni altro amore. Una ricca vitalità di sentimenti e pulsioni diverse sale dal nostro cuore, l'amore che Dio dona gratis con tanta esuberanza fa fiorire il bene, ogni bene, tutto il bene.

«A noi, poveri di Dio, hai affidato un mistero di speranza. Esso diventa per noi una luce interiore...»

(Frère Roger, di Taizé)

Dalle prime pagine della Bibbia quando Dio decise di creare l'uomo e la donna a sua immagine e somiglianza, intendeva dar vita a creature che ispirassero il loro comportamento all'amore; perché Dio è amore. Adamo ed Eva, così come escono dalla mano creatrice di Dio possiedono una natura profondamente orientata all'amore. Per impulso naturale c'era in loro il bisogno di due fondamentali relazioni: amore verso Dio ed amore reciproco tra di loro. Natura orientata come quella degli animali e delle piante, ma con una differenza: mentre le piante e gli animali si comportano nel loro sviluppo necessariamente secondo le rispettive nature, nel caso di Adamo ed Eva Dio ha messo in mezzo una grossa complicazione, un grosso rischio per Dio e per l'uomo: la libertà.

L'uomo avrebbe agito secondo la sua natura, ma nella misura in cui egli lo avrebbe voluto. Adamo giocò male la sua carta e quel peccato ferì la stirpe umana negli orientamenti naturali che essa portava scritti nel suo «codice genetico interiore» al momento della creazione. Da quel momento l'apertura verso Dio e verso il prossimo divennero faticose e tutta la storia dell'umanità è li a testimoniare come in ogni epoca Adamo diventa ingeneroso verso Eva, Caino continua ad uccidere Abele. Individualismo ed egoismo portano di continuo verso forme conflittuali a vantaggio dei forti sui deboli e spingono verso una cultura di morte. La storia del mondo per la maggior parte è storia di sofferenze. Dio non si rassegna a questo grosso insuccesso e soprattutto a tanta sofferenza. Dopo aver tentato in vario modo con il «Popolo eletto», gli Ebrei, decise di diventare lui stesso uomo, il nuovo uomo, l'«Adamo» aperto per la vita intera all'amore del Padre e dei fratelli. Ma non è sufficiente dare l'esempio, presentare un modello, occorre dare la forza e cambiare l'uomo nel suo interno, occorre togliere il «cuore di pietra», per un cuore «di carne». Cristo con la sua morte e risurrezione dona all'uomo il suo stesso «cuore», Spirito Santo. Nel battesimo che ci unisce intimamente allo spirito di Cristo avviene un reimpasto profondo della nostra stessa natura. Questa seconda natura, come un innesto, tenderà a portare frutti nuovi, aiuterà l'uomo a superare le chiusure, gli egoismi per farlo entrare in una relazione d'amore, di perfetta libera armonia con il Padre e con i fratelli. É la meraviglia che avviene ogni volta che su di un ramo di vite selvatica si innesta un tralcio di una specie buona. L'uva risente dell'innesto che è entrato in una strana e profonda combinazione di vita con la natura della vite e avrà caratteristiche assolutamente nuove. Avviene il «mistero» della profonda mescolanza dell'amore di Dio e dell'amore umano che produce «risurrezione», o se vogliamo, «speranza» in ciascuno di noi.

«Soffio dell'amore di Cristo,

Spirito Santo, in ciascuno deponi la fede:

è una fiducia semplicissima... tu accendi un fuoco

che non si spegne mai...»

(Frere Roger, di Taizé)

Ascoltare lo Spirito di Cristo che agisce nella mia storia, nella nostra storia di coppia e famiglia diventa l'esercizio più bello ed anche il più necessario. L'ascolto richiede silenzio esteriore ed interiore per accogliere tanta ricchezza di vita nuova. Il silenzio esteriore è minacciato dal frastuono, dalla fretta, dall’efficientismo, dalla TV; quello interiore dall'incapacità di mettersi in discussione, dal perbenismo, dal vivere di sensazioni.

La vitalità dipende da questo «ascolto» che dà il senso alla vita e la arricchisce di speranza, di coraggio, di perseveranza. I semplici, gli umili, quelli che socialmente sono anche meno influenti, sono capaci di ascolto e diventano profeti di speranza, profeti dello Spirito che agisce nella storia. Possiamo vivere il silenzio come un momento di pace, di tranquillità raggiunta, ma più spesso il silenzio assomiglia al vuoto, al buio, alla crisi. I vangeli non spendono molte parole ma riescono tuttavia a farci capire la situazione di sofferenza che doveva sconvolgere l'anima della coppia di Nazareth prima di sentirsi dire: «Non temere, Maria...», «Non temere, Giuseppe...»!

Aprirsi non da rassegnati ma per alimentare la speranza anche quando Dio, di cui mi posso fidare e che certamente mi ama, non si spiega troppo, non intende farmi capire. Non temere... se la coppia e la famiglia è in crisi; non temere... se tutto quello che avevamo tentato di costruire è andato perduto per una fuga nell'infedeltà. Non temere... Dio riesce a rifare nuova e più bella ogni cosa! Proprio in queste situazioni di divisione e di morte nella coppia si può scorgere quasi una nuova forza rigeneratrice capace di ricostruire un rapporto più vero. É Dio che vuole manifestarsi in mezzo alle nostre debolezze. È una teofania quando si decide di mutuo accordo di ricominciare tutto da capo, è l'amore che trionfa sulla morte.

Nella Bibbia il «deserto» rappresenta uno dei temi fondamentali ricco di messaggi. Accenniamo solo a qualcuno.

- Il deserto è un luogo di passaggio dove nessuno pensa di restare.

Il deserto ci insegna che la vita è cammino: così anche le situazioni di crisi non sono fatte per ristagnare, ma diventano dei passaggi più o meno obbligati da attraversare per raggiungere la meta. Forse che coppie «bene», adagiate e ferme nel freddo ritualismo di tradizione potranno mai raggiungere qualche meta?

- Il deserto insegna quanto è fragile l'uomo.

Nella debolezza si impara ad essere umili, ad aver bisogno. Tra le famiglie più deboli di questa nostra società moderna nasce spesso una grande capacità di comprensione, si sviluppa una solidarietà inconscia, ma vera. È la grande sensibilità di Dio che soccorre il povero attraverso il povero, perché non lo vuole umiliare con la carità del ricco.

- Il deserto è luogo di prova. La tentazione più forte è rappresentata dall'isolarsi, dal chiudersi in se stessi cancellando la speranza di poter riuscire a raggiungere una qualche «terra promessa». Il matrimonio per costoro diventa davvero la «tomba dell'amore» umano che non si è lasciato investire dall'amore divino.

Ed infine possiamo dire che la coppia è il luogo privilegiato per esperimentare la tenerezza di Dio.

L'intimità spirituale e fisica diventa teofania. Uomo e donna si aprono al reciproco dono uno dell'altro nella gioia più profonda. È un attimo di eternità che Dio vuole regalare agli sposi, perché possano annunciare al mondo quanto è grande il suo amore.

Tony e Valeria Piccin

SIETE UNA FAMIGLIA NAVIGATA?

UN TEST PER SCOPRIRLO

Com'è il vostro rapporto con Internet? In altri termini: siete una famiglia navigata? Partecipate al test elaborato per "Noi Genitori & Figli" da Neurisko.

Tuo figlio deve fare una ricerca e ti chiede di poter navigare su Internet. Come ti comporti?

a) Mi «chiede»? Mio figlio ha il Pc collegato in camera sua e fa quello che gli pare.

b) Non mi fido: la faccio io al posto suo.

c) Sto accanto a lui dicendogli che la sua ricerca interessa pure a me.

d) Ohibò, se mi chiede di navigare lo porto alla Canottieri.

Hai dieci minuti liberi, sei su Google con la possibilità di condurre una ricerca a piacere. Quale nome batti, d'istinto?

a) Il mio.

b) Qualcosa di bello, poetico, sincero. Ad esempio amore, cuore, dolore, amicizia...

c) Se ho appena dieci minuti, un termine molto preciso a cui non possano corrispondere troppe segnalazioni, ad esempio "Florentia Viola" o "Viola Club"...

d) Google? Che cos'è 'sto Google, un rigurgito?

Tuo figlio di 12 anni chiede di poter avere una casella di posta elettronica tutta per sé con password segreta. Che fai?

a) Ce l'ha già.

b) Mi domando dove ho sbagliato e chiedo consiglio alla psicologa dell'Asl.

c) Mi chiedo perché la desidera; e gli propongo una casella tutta sua ma con la password scelta insieme.

d) Posta elettronica? E quanto mi costa in francobolli?

RISULTATI

Prevalenza di (a): bucaniere

Sei più che un semplice navigatore. Sei un autentico pirata, emulo di sir Francis Drake e di Pietro l'Olonese.

Icona: la Jolly Roger (la bandiera pirata).

Prevalenza di (b): marinaio d'acqua dolce

Fai tenerezza. Urge corso accelerato di navigazione. AI limite, un gruppo di auto­aiuto per genitori webbizzati.

Icona: un pedalò.

Prevalenza di (c): grand'ammiraglio

Bravo! Sei un navigatore consapevole e responsabile.

Icona: la nave-scuola Amerigo Vespucci.

Prevalenza di (d): terricolo.

Irrecuperabile. Unica soluzione: affidate i vostri figli a un Web-sitter competente e moralmente testato.

Icona: uno scarpone.

di Umberto Folena

Sabato, 21 Maggio 2005 22:21

LA LEGGE SULLA PROCREATICA

LA LEGGE SULLA PROCREATICA

Dopo un tormentato iter parlamentare e un lungo strascico di polemiche è stata approvata anche in Italia una legge sulla procreazione assistita.

Si è detto che la nuova normativa viene a porre un argine al Far West della fecondazione in provetta. Vedremo se sarà davvero così. Si è detto che questa è una "legge cattolica". Ma le prospettive e i contenuti sono in realtà lontanissimi dalla visione cristiana dell'amore uomo/donna e da ciò che per la dottrina della Chiesa significa "diventare genitori". (Si veda a questo proposito la chiara sintesi del teologo, don Paolo Mirabella, pubblicata a fianco). Tutt' al più questa legge può essere considerata come "male minore" e perciò destinata ad alimentare profonde contraddizioni.

Si parla ad esempio della necessità di tutelare anche l'embrione. E allora se quello in vitro diventa finalmente soggetto di diritti, perché quello concepito naturalmente può essere tranquillamente condannato alla soppressione dalla legge 194? Né bisogna dimenticare che le attuali tecniche di fecondazione artificiale comportano la formazione di più embrioni per "garantire" la nascita di un figlio. Gli embrioni umani che si perdono per strada sono forse di serie B? "Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere", diceva Norberto Bobbio, filosofo e giurista laico per eccellenza. Affermazione difficilmente confutabile che poggia non su "convinzioni cattoliche", ma su un'esigenza della Ragione.

Di Mario Costantino

Tratto da “Gruppi Famiglia – marzo 2004”

Sabato, 21 Maggio 2005 22:15

Il condominio solidale

Il condominio solidale

A Villapizzone, nei pressi di Milano, alcuni gruppi familiari conducono vita comune utilizzando una vecchia cascina recuperata: lavorano insieme, praticano l’accoglienza, si dedicano al recupero delle situazioni difficili, fanno «cassa comune», pur mantenendo ognuna un proprio spazio di privatezza. Un’esperienza difficile e al contempo significativa quella fondata da Enrica e Bruno Volpi. Abbiamo chiesto di raccontarla a due tra i protagonisti di questa avventura (l.gh.).

L'Associazione Comunità e Famiglia è nata nel 1988, dall'esperienza della Comunità di Villapizzone, a Milano. Nel 1978, la famiglia Volpi, reduce da una lunga esperienza di volontariato in Africa, incontra una comunità di padri Gesuiti, dediti al servizio della Parola, e insieme iniziano a vivere vicini, in una grande cascina alle porte di Milano.

Da subito, questo «condominio» si configura come «comunione delle diversità»: i Gesuiti vivono il loro carisma specifico, le famiglie vivono da famiglie, ogni nucleo ha uno spazio abitativo ben definito (cucina compresa). Ben presto si aggiungono altre famiglie, la comunità si radica nella parrocchia e nel quartiere, un giro molto ampio di persone partecipa ai diversi momenti della vita della comunità. Nel 1993 nasce una comunità «sorella» a Castellazzo di Basiano (Mi); poco dopo nascono altre comunità (attualmente sono una decina).

L'Associazione sviluppa filoni diversi della propria attività: comunità familiari, gruppi di condivisione, gruppi di servizio.

Le comunità familiari sono vissute come strumento per l'autopromozione della famiglia e si basano su alcuni valori: tolleranza nei confronti dell'altro, sobrietà di vita, fiducia reciproca, condivisione dei beni materiali. L'apertura e l'accoglienza tra le famiglie, così come nei confronti di minori e adulti in difficoltà e/o desiderosi dì un momento di riflessione, è il risultato della ricerca di una migliore qualità della vita: «Se sto bene, mi apro; se mi apro, sto bene...».

Lo scopo fondamentale della vita comunitaria è aiutare ogni famiglia a scoprire la propria originale vocazione, che ciascuno realizzerà in forme diverse, accogliendo persone nella propria casa, svolgendo attività di promozione umana, accompagnando altre famiglie. Ma soprattutto cercando di vivere, nella propria famiglia, una vita bella e felice.

I gruppi di condivisione sono luoghi dove le famiglie si incontrano, generalmente una volta al mese, per condividere la ricerca su alcuni temi fondamentali: il lavoro, la condivisione dei beni, l'accoglienza, la spiritualità, eccetera. Il metodo della condivisione prevede che ciascun membro del gruppo riceva, a turno, la parola, per raccontare la propria esperienza su quel dato argomento. Non si interrompe chi parla, né si giudicano gli interventi degli altri. In questo modo viene privilegiato e potenziato l'ascolto, come base fondamentale di ogni relazione. Al momento esistono un ventina di gruppi, con circa 250 famiglie coinvolte, e altri ne stanno nascendo. 

I gruppi di servizio sono composti da volontari che, nello spirito dell'Associazione, lavorano a diversi progetti: promozione culturale (incontri, seminari, convegni, un giornalino), recupero e vendita dell'usato, gestione di appartamenti pubblici per situazioni «protette», formazione.

Riassumendo, si potrebbe dire che una vita ricca e piena nasce dalla scoperta delle ricchezze che la vita familiare può esprimere. Se si riscopre la dimensione trinitaria della famiglia, la vita di relazione appare come cammino battesimale. Ogni giorno si è immersi in un duplice mistero: la fatica di comprendersi - tra coniugi; tra genitori e figli -, la gioia del dono, reso possibile dall'ascolto dalla pazienza, dall'accettazione dell'altro in quanto altro. La vita familiare è vita spirituale, dove «ogni mattina Si ricomincia» (E. Bianchi), sapendo che accettare l’altro significa «lasciarlo vivere» (E Clerici), riconoscendolo come portatore di una vocazione originale.

Di fatto, le comunità, i gruppi dì condivisione, i gruppi di servizio, sono luoghi dove tante persone e famiglie trovano occasione di ascoltare e di essere ascoltate. 

Ha detto il Cardinale Martini: i fedeli dovrebbero pensare alla carità come stile di vita e non come dovere morale», come dire che dobbiamo inventare un modo di vivere che in sé sia carità... Anche i primi articoli della Costituzione Italiana dicono che ogni cittadino ha il diritto/dovere di essere utile alla società.  Detto così sembra semplice, ma nella vita quotidiana come può essere utile alla società il geometra, il muratore, il camionista, l'ingegnere, eccetera? La provocazione è questa: siamo chiamati a inventare qualcosa. Il Cardinale Martini usa la parola «comunità alternativa», perché in fondo la carità non è un'esclusiva dei cristiani.

Dalla nostra esperienza ci pare di capire questo: quando ci siamo sposati abbiamo ricevuto un «grande sacramento» (p. E. Mauri); abbiamo in noi qualcosa di grande, una grande risorsa. Però è qualcosa da realizzare continuamente, ponendosi sempre nuove domande, in uno sforzo di continuo discernimento.

Costruire una comunità familiare in mezzo a una quartiere o in campagna significa dar vita ad un punto di luce, di ascolto, di sale. Non si tratta di far cose strane o di proporre spiritualità particolari. Si tratta di imparare a vivere insieme agli altri, avendo ben chiaro il motto: io sono una risorsa, per me e per gli altri; gli altri sono una risorsa, per sé e per gli altri...». In altre parole: auto e mutuo aiuto. Forse l'originalità dell'esperienza dell'Associazione Comunità e Famiglia è questa: l’accompagnamento delle famiglie, realizzato da altre famiglie.

Allora, se è vero che oggi la famiglia è quasi una «realtà in estinzione», dobbiamo chiederci, come Chiesa, cosa può realmente aiutarla e sostenerla. Come possiamo mettere in pratica la parola di Giovanni Paolo II: «Famiglia, diventa ciò che sei!»?

A noi pare che una prima risposta possa essere trovala nel documento CEI del 1975 (sono passati 25 anni!) «Evangelizzazione e sacramento del matrimonio». Vi si dice molto chiaramente che la famiglia deve diventare soggetto della pastorale familiare. In pratica: non è la famiglia che deve mettersi al servizio della Chiesa (della parrocchia ecc.), ma è la Chiesa, soprattutto quella locale, che deve avere al suo cuore la famiglia, come «immagine della vita trinitaria di Dio» (mons. R. Bonetti).

La speranza del cambiamento e del miglioramento è costitutiva della famiglia, per sua natura aperta alla solidarietà e alla vita. La nostra impressione è che il rinnovamento della vita familiare, a partire dalla famiglia stessa, passa per la disponibilità delle comunità e dei pastori a liberare risorse e strutture a favore di tutte quelle attività che possano sviluppare e potenziare l'accompagnamento dell'autopromozione delle famiglie. Occorre scommettere e dare fiducia alle risorse originali della famiglia.

Bruno Volpi ed Elio Meloni

Villapizzone (Milano)

Da “Famiglia domani” 1/2001

Sabato, 21 Maggio 2005 22:11

L’ACCOGLIENZA DI DIO

PRIMA PARTE

APRIRSI ALL’ACCOGLIENZA

 

-4-

Accogliere il Signore come un dono

L’ACCOGLIENZA DI DIO

Dio ci ha già accolto anche se noi non ce ne accorgiamo

 

Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”.

E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?”.

Gli risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”. Disse loro: “Venite e vedrete”.

Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui. (Giovanni 1, 35-39).

 

CREATURE SÌ MA REDENTE IN CRISTO

È possibile usare il termine accoglienza nei confronti di Dio? È Lui che ci accoglie o noi che accogliamo Lui? Proveremo stasera a rispondere a questa domanda.

Accogliere, da un punto di vista letterario, vuol dire ricevere, ospitare, accettare, contenere. Da un punto di vista teologico le cose sono più complicate e abbracciano molti secoli della storia dell’uomo.

L’uomo da sempre ha al suo interno un’inquietudine: sa di essere “finito” ma sente di tendere all’infinito. Da questa inquietudine nasce l’idea di un Dio creatore, l’intelligenza permette all’uomo di accogliere il mistero di Dio. Ma la creazione può essere fine a se stessa, la creatura può non essere destinata ad un fine eterno. Dio allora si manifesta all’uomo nella Storia attraverso l’Incarnazione e la Resurrezione di Gesù. In Gesù scopriamo di essere stati creati per vivere in Dio, scopriamo di essere figli ed eredi.

 

COLTIVARE LA VIGILANZA

Nel brano del Vangelo in apertura sembra che tutto avvenga per caso: Giovanni che è in quel luogo, Gesù che passa proprio di lì, i discepoli che iniziano a seguirlo. Non è un caso: è un dono; dobbiamo capire che ciò che ci capita nella vita ogni giorno non è un caso ma è un dono che Dio ci fa per permetterci di incontrarlo e seguirlo.

Giovanni è attento e coglie il dono, se noi siamo rinchiusi in noi stessi, non ce ne accorgiamo. Dobbiamo riuscire a vedere, al di là delle cose che ci angustiano, il Signore che passa. Siamo chiamati ad accogliere il Signore in qualunque modo Egli si presenta a noi; se ci costruiamo un’idea, un sogno, corriamo il rischio di non accoglierlo perché non corrisponde alla nostra idea, al nostro sogno. Dio ci accoglie con queste improvvisate e noi siamo chiamati a coltivare la vigilanza.

 

COSA CERCHIAMO NELLA VITA?

Gesù si sente seguito e, voltatosi, chiede ai due: “Che cercate?”.

Facciamoci ogni tanto questa domanda: cosa cerchiamo? Forse la nostra vita è piena dì troppi desideri e non sappiamo bene cosa cerchiamo perché non sappiamo capire ciò che è davvero importante. Serve un po’ di ecologia dei desideri, serve sfrondare l’albero per evitare che si sradichi sotto il peso di troppi desideri. Se poi cerchiamo solo noi stessi non c’è spazio per Dio.

 

VENITE E VEDRETE

Alla domanda di Gesù i discepoli gli chiedono: “Dove abiti?”. È un modo per chiedere: “Chi sei Signore?”, voglio conoscerti, voglio stare con Te!

Gesù risponde: “Venite e vedrete”. Usa due verbi, uno al presente e l’altro al futuro. Venite: il Signore ci accoglie oggi, ogni giorno, così come siamo. Vedrete: solo se camminiamo con Lui, giorno dopo giorno, lo conosceremo. Siamo chiamati alla fedeltà, ad accoglierlo non una volta per tutte ma ogni giorno. Dove trovare la forza per essere fedeli? Da Lui, Lui che è stato fedele al Padre fino alla morte, e alla morte di croce.

 

LASCIARE PER SEGUIRE

I due discepoli, per seguire Gesù, lasciano Giovanni. Hanno trovato in Gesù qualcosa di più, quel di più che fa la differenza, che cambia la prospettiva con cui guardiamo le cose della vita.

E allora coraggio: non abbiamo paura a seguire Gesù, non pensiamo di non esserne capaci. Egli ci ha già accolto, come il padre nella parabola del figliol prodigo, anche se noi pensiamo di non essere ancora pronti ad accoglierlo.

 

Dott.ssa Gaia De Vecchi, teologa

 

Domande per la Revisione di Vita

·        Riusciamo a cogliere la chiamata del Signore nelle “improvvisate”?

·        Cosa cerchiamo nella nostra vita? Quali nostri desideri non sono per Dio?

Brani per la Lectio Divina

·        Giona 3,1 – 4,11 (Giona a Ninive);

Genesi 18, 1-15 (Abramo alle querce di Mamre).

CENTRO GIOVANI COPPIE SAN FEDELE MILANO

 

 

Dal novembre 1994 opera in San Fe­dele, a Milano, il Centro Giovani Coppie che dal febbraio 1999 si è costituito in Associazione di volontariato.

Il Centro è nato grazie all'intuizione e all'iniziativa di un gruppo di laici ani­mato da padre Giovanni Ballis, allora parroco di San Fedele.

 

Le premesse culturali

In un periodo in cui l'interesse nei confronti della famiglia si focalizzava su adolescenti e anziani, il gruppo indivi­duava nella coppia, e in particolare nella giovane coppia, l'anello fragile delle tra­sformazioni socio-culturali emergenti. È iniziato così un lavoro di riflessione, di ricerca e progettazione da parte dell'é­quipe dei volontari del Centro per cono­scere, comprendere e analizzare la realtà e i bisogni delle giovani coppie in un pe­riodo di cambiamento sociale che per definizione sconvolge equilibri preesi­stenti.

La spinta all'individualismo, alla competizione e alla produttività insita nel cambiamento socio-culturale intac­ca alle radici ogni tipo di relazione in­terpersonale, minando ne il senso ulti­mo, la «relazione con l'altro». D'altro lato, assistiamo all'emergere di un biso­gno sempre più cosciente di «soggetti­vità», del dovere-diritto di scelte perso­nali soprattutto nell' esperienza dell' a­more.

In questa situazione di incertezza, di crisi e quindi di ricerca, il Centro Giova­ni Coppie ritiene che la prima esigenza consista nel distinguere gli aspetti essen­ziali dell' essere coppia e del matrimonio da quelli legati ad una particolare cultura e tradizione. Si tratta di una riscoperta dell'essenziale nell'incontro tra uomo e donna, cioè di ciò che rende la relazione intima autentica e progettuale.

Nel costruire il proprio progetto di vi­ta, le giovani coppie dovrebbero trovare il modo di coniugare ciò che è essenziale e significativo con quei valori culturali e religiosi presenti in questa nostra società complessa, ma ricca di stimoli positivi per vivere in modo nuovo, più consape­vole e creativo la propria vita di coppia e di famiglia.

All'interno di questa riflessione cul­turale, con attenzione ecumenica alle va­rie culture e religioni, il Centro Giovani Coppie offre a tutti coloro che lo deside­rano un luogo di riflessione, di confron­to, di ricerca, di incontro e di amicizia.

 

Le nostre proposte

Siamo convinti che non sia possibile vivere da persone consapevoli nell'attua­le società complessa, plurali sta e in con­tinua trasformazione, senza una seria ri­flessione culturale: per questo ci impe­gniamo ad accompagnare le coppie in una lettura critica della storia attuale.

Per capire quali sono le idee, i valori e i problemi che muovono tanti uomini e donne impegnati nel costruire una cop­pia e una famiglia proponiamo ogni an­no un ciclo di conferenze su tematiche significative (la comunicazione, i rap­porti con la famiglia d'origine, il conflit­to...), conferenze che vedono la parteci­pazione costante e vivace di circa 150 persone.

Le relazioni più significative degli ul­timi anni sono state raccolte in due qua­derni (dal titolo: Matrimonio: rifugio o progetto?) e in una pubblicazione: Cam­minarti accanto dalla spontaneità al progetto, edita dalla casa editrice Anco­ra, Milano, nel 1997 , così da poter essere opportunità e momento di riflessione per tutti coloro che lo desiderano.

 

I gruppi giovani coppie

Le nuove famiglie sono caratterizza­te da una particolare e crediamo dannosa tendenza all'isolamento e alla chiusura che riteniamo sia una delle cause princi­pali di disagio e crisi familiare. Quando una giovane coppia affronta i primi pro­blemi della sua vita insieme, i primi con­flitti importanti, i rapporti non sempre semplici con la famiglia d'origine, l'or­ganizzazione dei tempi e dei ruoli di ognuno, si ritrova sola e impreparata. Spesso l'isolamento, la mancanza di confronto e di condivisione fanno sì che i problemi si «incancreniscano» e venga­no vissuti in modo drammatico diventan­do fonte di grosso disagio. Per questo promuoviamo la formazione di piccoli gruppi di giovani coppie che si incontra­no periodicamente con la guida di un conduttore (sacerdote o laico) che ne fa­cilita il confronto e la condivisione.

Riteniamo inoltre importante che i gruppi mantengano, ove possibile, un rapporto con la propria Comunità di abi­tazione o di elezione in modo da non iso­larsi e da trovare una realtà più vasta nel­la quale inserirsi.

I gruppi possono perciò avere caratte­ristiche e metodi diversi: alcuni privile­giano la riflessione sul rapporto di cop­pia e l'educazione dei figli, altri temi di carattere culturale con riferimento ad un libro o ad articoli di riviste e giornali, al­tri ancora temi di carattere spirituale con riferimento ai testi sacri, sempre però in ordine alle esperienze di vita personale, familiare e sociale.

 

I corsi per animatori di gruppi

Abbiamo constatato che la crescita numerica dei gruppi di giovani coppie è ritardata, in varie situazioni locali, dalla carenza di sacerdoti disponibili ad occu­parsi della conduzione di gruppi e dalle difficoltà dei laici disponibili che vorreb­bero passare da una conduzione di tipo istintivo, guidata dal buon senso, ad una conduzione più consapevole ed intenzio­nale.

Il Centro ha proposto perciò corsi di formazione rivolti a quanti, sacerdoti o laici, hanno responsabilità di animazione e conduzione di gruppi, consci che la conduzione (intesa come facilitazione dei processi di comunicazione, elabora­zione, apprendimento che nei gruppi si realizzano) riveste un' importanza cen­trale per il successo di iniziative di que­sto tipo, perché aiuta i gruppi a focaliz­zarsi più rapidamente e a conseguire in modo più consapevole i propri obiettivi.

Obiettivo di tali percorsi è stato di fornire gli strumenti necessari per facili­tare consapevolmente la comunicazione, lo scambio, la riflessione e l'apprendi­mento.

I corsi, tenuti da un formatore e da una psicologa, entrambi collaboratori del Centro, sono ormai giunti alla quarta edi­zione, dal 1999 al 2002, e sono circa ot­tanta le persone che hanno terminato il training. Queste persone provengono da differenti ambiti della realtà ecclesiale milanese.

 

«Aiutarsi ad aiutare». Un lavoro di rete

Nell'anno 1998/1999 il Centro ha or­ganizzato, in collaborazione con la coo­perativa COMIN (Comunità minori) una serie di incontri con l'intento di realizza­re una rete di famiglie disposte ad «aiu­tarsi ad aiutare» le famiglie in difficoltà.

Questo gruppo ha seguito un proces­so di formazione con esperti, psicologi, assistenti sociali e famiglie affidatarie per capire se e come donare parti di se stessi a bambini che hanno bisogno di aiuto al fine di realizzare una «rete» tra famiglie interessate all' affido.

Dall'esperienza è nata la rete Pàzol, autonoma associazione di volontariato dal 1992.

 

«Una strada per la coppia»

Nell'esperienza dei piccoli gruppi di giovani coppie, che il Centro sviluppa da anni, emerge con chiarezza che il tema della relazione di coppia è fondante per la crescita e l'equilibrato sviluppo dei fi­gli e, più in generale, per una vita fami­liare e sociale armonica.

La qualità della relazione di coppia è cioè in realtà il fattore critico e decisivo per il «successo» del sistema famiglia: spesso si fa strada la tentazione di liqui­dare superficialmente il problema con un approccio «volontaristico» (“Basta voler andare d'accordo...”) o falsamente «con­creto» (“Quel che conta è fare ogni gior­no quello che va fatto... In fondo, l'im­portante è il benessere dei figli...”)... sal­vo esprimere meraviglia o costernazione di fronte alla breve durata di molti rap­porti di coppia.

Esiste però un' esigenza, minoritaria ma ben avvertibile, di sviluppare un la­voro più «mirato» sulla relazione di cop­pia e sulle sue componenti comunicative, allo scopo esplicito di migliorare inten­zionalmente la qualità della relazione stessa.

A quest' esigenza abbiamo voluto da­re una risposta proponendo un progetto pilota, denominato «Dna strada per la coppia»: un itinerario strutturato su dieci incontri di tre ore, integrati da momenti di riflessione autonoma da parte delle coppie, guidata da appositi strumenti. La proposta (realizzata nel 2002 grazie alla sovvenzione della Regione Lombardia) è stata rivolta a una decina di coppie che avevano necessità/interesse a migliorare la qualità della loro relazione, attraverso attività di condivisione, ricerca, speri­mentazione, riflessione, apprendimento.

La positività di questa esperienza for­mativa ci ha ulteriormente convinti del­l'importanza del «gruppo» come stru­mento di crescita per la coppia e di pre­venzione al disagio familiare.

 

Uno sportello di ascolto

Inoltre il nostro Centro riceve un nu­mero sempre maggiore di richieste di ascolto da parte di coppie che, pur senza essere portatrici di vere e proprie patolo­gie della relazione, vivono la necessità di confrontarsi con un «terzo esterno» sui loro specifici disagi. Per questo intendia­mo rispondere a queste esigenze creando uno «sportello di ascolto»: uno spazio neutro che consenta alle coppie una pri­ma elaborazione del loro vissuto proble­matico e che sia in grado di indirizzarle verso una tipologia articolata di gruppi di «auto-aiuto». Prevediamo cioè gruppi «tematici» (sulla comunicazione, sul conflitto, sulle tematiche educative) al­l'interno dei quali le coppie approfondi­scano l'analisi del loro problema, lo con­frontino con problematiche analoghe vissute da altre coppie e ne condividano le speranze, le difficoltà, la fatica e i suc­cessi nella ricerca delle soluzioni.

Per realizzare questo progetto è in at­to un percorso formativo interno.

 

Per concludere...

Le iniziative e i progetti che l'équipe del Centro elabora e custodisce sono l'e­spressione e la testimonianza della no­stra personale e comune esperienza di come la relazione con l'altro sia la sola strada, difficile e meravigliosa insieme, verso la scoperta di sé e dell' altro. Stra­da che apre all'intuizione del mistero di un ALTRO da noi che ci dà senso e fidu­cia.

Paola Bassani

Da “Famiglia Domani” 4/2003
Sabato, 30 Aprile 2005 22:29

Innamoramento, sogno, amore

vita di coppia

Innamoramento, sogno, amore


TONY PICCIN Vallà (Treviso)


·
Innamorarsi, sognare ed amare rappresentano la forza fondamentale del nostro essere, un cammino che va dall'amore di sé, all'amore dell'altro per sé, e infine all'amore dell'altro per l'altro e Per poter compiere questo passaggio - una «conversione» che può durare tutta la vita - occorre saper ascoltare l'altro, avvicinarsi a lui senza paure, essere capaci di meraviglia.

 

Il piccolo principe chiese alla volpe: «Che cosa vuoi dire "addomesticare"?». «È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire "creare dei legami"...», rispose la volpe. (...) «Creare dei legami?». «Certo» disse la volpe. «Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno dite. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addornestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo». «Comincio a capire», disse il piccolo principe. «C'è un fiore... credo che mi abbia addomesticato..». (...) Ma la volpe tornò sulla sua idea: «La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio, perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano...». La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe: «Per favore... addomesticami», disse. «Volentieri», rispose il piccolo principe, «ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose». «Non si conoscono che le cose che si addomesticano», disse la volpe. «Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!». «Che bisogna fare?», domandò il piccolo principe. «Bisogna essere molto pazienti», rispose la volpe. «In principio tu ti siederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino...».

Nella pagina riportata da «Il piccolo principe» di Antoine Saint-Exupéry (Ediz. Bompiani) ricorre spesso il verbo «addomesticare» che suscita l'idea immediata di dipendenza. E curioso provare a sostituire il termine «addomesticare» con «innamorarsi» prima, quindi con «sognare» ed infine con «amare» ripetendo ogni volta la lettura di queste poche righe. Ne risulta una descrizione interessante e concreta del rapporto amoroso di una coppia che rompe la solitudine, il male più grave dell'uomo, ma nello stesso tempo crea legami di dipendenza che possono essere causa di rivalità e conflitti, produce un progressivo movimento di avvicinamento ma senza investire e sopraffare. E poi il tempo da dedicare ai «riti» e ai «simboli» che permettono di scoprire e scoprirsi. Sempre che l'amore alla fine riesca a realizzare il miracolo dell'unione dell'uomo e della donna.

«Se tu vieni tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti».

 

Le stagioni della vita

Innamorarsi, sognare ed amare rappresentano la forza fondamentale del nostro essere, ma come ogni realtà che evolve con l'età, nel bambino c'è un forte movimento accentratore, una richiesta continua ed assoluta di tante attenzioni, un amore di sé. In questa fase della vita il bambino impara a prendere coscienza di se stesso. La stima di sé non è un fattore negativo neppure per il giovane o l'adulto, purché l'amore non ristagni nella miope visione di se stessi e del proprio piccolo orizzonte. E uno stadio destinato a tra-scendere negli altri stadi ma rimane la base necessaria su cui costruire. Infatti una persona non può donare e donarsi ad altri se prima non si possiede, se non si stima ed ama.

Un passo più avanti nella vita ci si accorge dell'«altro», la mamma, il papà, l'amichetto,... ma il bambino ama questi «altri» per sé, per ricevere, per avere, per soddisfare un amore egocentrico. E l'amore dell'altro per sé, perché al centro rimane l'«io». E pur vero che anche da adulti senza un pizzico di soddisfazione personale non si muove nessuno. Tuttavia è anche questo un gradino da salire per arrivare all'amore dell'altro per l'altro.

Ci si mette in viaggio per incontrare e per accogliere qualcuno che è diverso da noi, un viaggio verso l'ignoto, verso una terra straniera da scoprire giorno dopo giorno, di avventura in avventura.

La saggezza antica dell' autore del libro di «Tobia» esprime questo concetto con chiarezza nel racconto metaforico della storia di due famiglie.

Abbiamo poi un ulteriore passaggio:nell'altro amiamo tutti gli altri. Voglio dire che nessuno può amare gli altri se non in un altro. Se non si impara ad amare davvero concretamente qualcuno non si riesce ad amare gli altri. Come risulta importante un vero rapporto di coppia in cui venga esperimentato l'innamoramento, il sogno, l'amore; oppure un vero «incontro» con Cristo e in lui abbracciare un mondo intero di persone!

 

Un'epoca che dà grande significato al «sentire»

Dopo aver accennato alle varie stagioni della vita che preparano l'evento giovanile del primo e di successivi innamoramenti occorre guardare alla cultura attuale sull'amore. Oggi si dà molta importanza al «sentire» e assai meno all'impegno-dovere. La persona cerca prima e soprattutto la propria realizzazione e comunque una sua autonomia economica ed affettiva che le permetta di essere libera nelle sue decisioni. La tendenza è completamente opposta al passato che vedeva l'innamoramento come un momento di infatuazione che estraniava dalla realtà, e perciò pericoloso, ma tuttavia di una certa utilità per il fatto che faceva approdare all'amore vero. Ora invece si vorrebbe, se non far rientrare il termine «amore» in quello di «innamoramento», almeno legarli in maniera stretta, per cui non ci si può amare se non si rimane innamorati. Sappiamo però che l'instabilità del sentimento può creare non poche difficoltà alla coppia. Le conseguenze di tali atteggiamenti sono già ben visibili nelle numerose separazioni e nuove unioni non legalizzate, nella paura dei giovani di affrontare il matrimonio (in futuro almeno un terzo di persone adulte non si sposeranno), nei rapporti occasionali e con partner diversi sempre più frequenti.

Senza inutili rimpianti e senza demonizzare nulla e nessuno cerchiamo gli aspetti positivi di questa nuova tendenza:

l'amore, quando esiste, è spontaneo, unisce in modo profondo ed è grande fonte di gioia. Va scomparendo la «tomba dell'amore», ossia l'amarsi «per amore o per forza»;

- l'amore, quando esiste, è visibilmente sincero, diventa perciò autentica testimonianza. Non c'è più bisogno di ostentare forzati sorrisi di giorno in pubblico quando il cuore piange per le violenze in privato di notte;

- l'amore quando esiste, è vero, aperto ad accogliere e a donare vita al coniuge, ai figli e ad ogni altra creatura.

 

Se l'amore non esiste è inutile fingere o creare barriere sociali protettive; la sfiducia, l'ansia, il pessimismo trasudano in ogni caso con quella acidità che avvelena ogni cosa.

Forse occorre vedere con occhio più sereno la realtà dell'amore, e più che imbrigliarlo dileggi e divieti, dargli la possibilità di nascere, crescere e svilupparsi anche come «sentimento». Si tratta di coltivare il «sentire» e il «piacere».

E il nuovo importante impegno degli sposati: vivere e sviluppare questa realtà tipica della coppia e renderla visibile contagiando in modo particolare i giovani che si incamminano verso il matrimonio. E la buona notizia, il vangelo che devono predicare coloro che vivono il sacramento del matrimonio.

C'è un'altra convinzione che si deve radicare nella nostra mente: l'amore, per quanto povero, è sempre vita, l'odio è peggiore.

Da qui possiamo prendere motivo per una più serena valutazione di chi ha ricominciato una nuova avventura di coppia dopo il fallimento del primo matrimonio.

 

Dalle parole ai fatti

«Voglio bene a tutte due, a mia moglie e all'altra». L'amore, come ogni realtà umana, non si può scindere in tutto e nulla. È importante tenerlo presente perché si può sempre cercare di ravvivare ciò che si è affievolito e limitare qualcosa che per capriccio, novità, spirito di trasgressione sta ingigantendo e soffocando l'armonia di coppia.

Le occasioni della vita spesso non favoriscono 1' «istituzione matrimonio». Si pensi alla collega o ai capoufficio accanto al quale si vive la maggior parte della giornata, mentre alla famiglia si riesce a dedicare solo qualche ora stanca di sera.

Questo strano amore è come un uccello imprigionato nel cavo delle mani; se si vuole costringere l'«altro» si finisce per soffocarlo, se lo si lascia libero si rischia di perderlo... ma se ritorna a posarsi di sua iniziativa sulla mano aperta è una gran gioia.

 

Occasioni da reinventare

Si dice che le principali agenzie matrimoniali siano oggi le discoteche. Considerato il frastuono, l'affollamento ed altri fattori che si preferisce non nominare, non mi sembrano all'altezza di svolgere questo delicato compito.

Innamoramento, sogno e amore, queste tre realtà che non vogliamo distinguere e separare perché le sentiamo come tre aspetti di un unico «amore» hanno bisogno di nutrirsi di silenzio, di ascolto, di vicinanza, di contemplazione.

Nella relazione di coppia il silenzio è fondamentale. È nel silenzio che la persona ritrova se stessa, che difende la propria interiorità ed originalità di uomo e di donna. Ogni volta che usciamo da noi stessi per incontrare l'altro dobbiamo poi rientrare per essere «due» e rimanere «due», senza cadere in una fusione spersonalizzante, per non invadere ed essere invasi. È importante non perdere se stessi, la propria identità, perciò occorre il silenzio.

«La voce infatti non giunge durante una tempesta (...)

è la voce di un silenzio simile a un sof­fio ed è facile soffocarla. (...)

Qui inizia il cammino dell'uomo.

Il ritorno decisivo a se stessi è nella vita dell'uomo l'inizio del cammino...» (MARTIN BUBER, Il cammino dell'uomo, Ed. Qiqajon, Bose, pp. 22-23).

 

L'ascolto:         non posso avvicinarmi all'«altro» partendo dalle mie idee, schemi, cultura. E un «altro» che mi interpella, di altre origini, di altre convinzioni, di altri vissuti, di un'altra spiaggia.

 

L'avvicinarsi gradualmente senza impaurire o impaurirsi per le grandi differenze. Abitudini diverse, gusti che diventano bisogni importanti per la persona e vanno rispettati e assecondati.

«Lasciate che vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime. (...)

Così come le corde del liuto son sole benché vibrino della stessa musica(…)

E restate uniti, benché non troppo vicimi insieme:

poiché le colonne del tempio restano tra loro distanti,

e la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro»

Kahlil Gibran, Il Profeta, Ed. Guanda).

 

La contemplazione è la meraviglia di scoprire sempre qualcosa di nuovo nella persona che amiamo.

Questa nostra società che investe così tanto nel «sentire», ha per contro spazzato molti simboli e riti dell'amore. La banalizzazione, la nudità mercificata, l'occasionalità, la fretta, i rapporti precoci hanno fatto dimenticare i tempi lunghi del corteggiamento e di tutte le delicate attenzioni che servono a tener desta l'attesa, il desiderio, la sorpresa. Denaro, regali, corse sfrenate vorrebbero col-mare il «sogno» che il cuore coltiva e protegge delicatamente come il tesoro più prezioso. Innamorarsi è bello perché proietta la persona più in là della prosaicità quotidiana. Tutti abbiamo bisogno di queste motivazioni e di questo slancio per non finire nell'appiattimento. Occorre l'impegno di continuare ad innamorarci e di far innamorare ogni giorno il nostro partner con molta fantasia. Occorre godere profondamente il piacere di essere vicini, di amare e di essere amati.

Il bisogno dei riti e dei simboli dell'amore lo cogliamo nella fastosità delle cerimonie di nozze, peccato che siano così artificiose e vuote di significato.

 

Il simbolo più profondo del movimento di affettività reciproca che unisce l'uomo alla donna è senz'altro l'alleanza. Uomo-donna diventano immagine visibile dell'amore fedele e perenne di Dio.

Nulla riuscì a cancellare dal mondo questo segno, neppure le acque del diluvio

 

Tony Piccin

 

Sabato, 30 Aprile 2005 22:25

Il rischio inaudito del credere

Il rischio inaudito del credere

 

Ed ecco che Maria porta a termine ciò che ha iniziato. È stata lei la prima a vedere ciò che mancava alla festa: tutte quelle caraffe vuote sul tavolo delle nozze. Ed è stata lei a rivolgersi a Gesù, all’insaputa di tutti, perché lei, la madre, sapeva che il figlio sarebbe stato in grado di porre rimedio a quella mancanza.

Ma in prima battuta Gesù ha resistito, come i figli resistono alle madri. Per tenere la giusta distanza. Per non confondere il proprio desiderio con quello di Maria. Per poter essere lui stesso a scegliere ciò a cui è stato chiamato dal Padre.

E poi quella parola che schiocca come una frusta sulla sollecitudine materna: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora».

Un modo per farci rientrare nei ranghi, noi che siamo sempre così pronti ad indicare a Dio la strada da seguire.

Ed è appunto qui, in questo ridisporsi dello spazio che le è proprio, che può avere inizio la fede. Rinunciando a sapere ciò che è bene, anche quando abbiamo già in qualche misura interiorizzato la stessa idea di bene. Per rimettersi all’Altro, subito ed incondizionatamente. Quell’Altro che meglio di noi conosce ciò di cui abbiamo bisogno.

Alla risposta del figlio, Maria avrebbe potuto risentirsi. Sentirsi ferita e tenergli il broncio. Ma in lei c’è qualcosa di infinitamente superiore al gioco emotivo della carne. C’è quell’ondata di fiducia che la domina fin dal momento dell’Annunciazione. C’è quell’accondiscendenza d tutto l’essere a Dio, quella dolcezza derivante dall’aver detto sì ricevendone poi ogni giorno il frutto. È questa la ragione per cui può comprendere la replica, senza scomporsi.

E dunque il tempo dei conciliaboli finisce, perché la storia deve andare avanti. Maria conclude ora il ruolo della donna vigilante eclissandosi: «Fate quello che vi dirà». Non sa ancora del «dire» del Figlio, ma chiede solo che gli si presti fede, e soprattutto che si «faccia» di conseguenza. Che si faccia tutto il possibile affinché la Parola di vita si sviluppi – come si sviluppa un fuoco – all’internodi quella festa che sta andando a rotoli.

«Fate quello che vi dirà» è quanto aveva già detto il Faraone al suo popolo riferendosi a Giuseppe, che aveva fatto riporre del frumento nei granai in previsione della carestia che s’annunciava in Egitto (Gn 41,55).

È, inoltre. La parola di Mosè che annuncia un altro profeta come lui e nel quale l’apostolo Pietro riconosce il Cristo: «Voi lo ascolterete in tutto quello che vi dirà» (At 3,22).

È così che Maria qui si riappropria del gesto antico della fede, quando l’essere umano rinuncia ad abitare solo con se stesso per aprirsi ad un qualcuno che lo trascende per ri-posarsi in un Altro-da-sé. Non per pigrizia, né in un atteggiamento rinunciatario, ma perché è là che si trova la verità della sua umanità. Non esistiamo se non per essere strettamente connessi al Dono della vita. A quel Dono di cui non ci sarà mai dato di sapere quale sarà l’esito odierno, né come riuscirà ad incarnarsi nel grumo delle nostre storie.

«Fate quello che vi dirà». È davvero necessario, a questo punto, che intendiamo l’imperativo di credere la Parola più forte delle evidenze che si fanno prepotentemente strada in noi, più forte anche delle resistenze che rendono opaco il nostro cammino.

Ancora una volta Maria ci indica la strada. Grazie a lei, comprendiamo che i segni posti da Dio nelle nostre esistenze non possono essere il risultato di un qualsivoglia accanimento spirituale – una sorta di mobbing, di molestia esercitata sul divino! – ma che al contrario si manifestano in quegli spazi in cui accettiamo di lasciare la presa e di lasciarci lavorare dalla Grazia.

Ma c’è ancor più che il credere. C’è l’invito a passare all’azione, nel cuore stesso delle nostre oscurità. «Fate quello che vi dirà». Quel giorno, a Cana, sulla parola di Gesù i servi della casa hanno rischiato quel gesto, tanto inaudito quanto incongruente, di riempire le giare destinate al rito della purificazione. Equivaleva a trasgredire ad un ordine stabilito, a mettersi automaticamente fuori alle pie abitudini. Occorreva osare, occorreva credere.

Ora, quel gesto loro l’hanno fatto. E non metà. Hanno riempito le giare “fino all’orlo”, precisa il testo.

Andare fino in fondo nei nostri gesti, «abitare» pienamente il richiamo che ci viene rivolto ad essere vivi.Ascoltare la Parola che parla in noi, rischiare quei comportamenti che possono anche stupire. Entrare nella domanda sena conoscere la risposta, rimettersi a Colui attraverso cui proviene il nuovo, come Gesù ha fatto col Padre… ecco dunque il lavoro della fede che deve sempre essere rimessa in questione nelle nostre esistenze. Non è forse l’unico lavoro davvero essenziale? Quello in cui tutto acquista un senso?

 

Francine Carrillo

Pastora evangelica – Plan-des-Ouates (Svizzera)

Da “Famiglia domani” 3/2000

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