Fate quello che vi dirà. Ascoltare e «fare» la Parola
· Il Verbo ha assunto la carne perché noi potessimo ricevere lo Spirito · È lo Spirito che ci consente di «ascoltare» quando vuole dire a noi la parola di Dio e dunque di «fare» quanto ci viene richiesto nella storia e dalla storia · Dando così sempre l’inizio ad un’opera sempre nuova.
Introduzione
Il Vangelo di Giovanni si apre con la proclamazione dell'incarnazione del Verbo e si chiude con l'insufflazione, da parte del Risorto, dello Spirito nei discepoli. È possibile perciò sintetizzarlo, come ha fatto il teologo ortodosso Evdokimov, con l'espressione: «Il Verbo ha assunto la carne perché noi potessimo ricevere lo Spirito». Ripartiremo da qui nella seconda pane della nostra riflessione.
Il testo del racconto delle nozze di Cana presenta l'unica difficoltà interpretativa nelle parole di Gesù che precedono immediatamente l'espressione che ci farà da guida. Il loro tenore suona alle nostre orecchie quanto meno irriguardoso. Le versioni tentate sono perciò molte. Personalmente ritengo molto buona quella della traduzione interconfessionale: «Donna, perché me lo dici? L’ora mia non è ancora giunta» Come dire: «D’accordo, però...». Dal proseguimento dell'azione risulta comunque chiaro che Maria ha percepito come positiva la risposta di Gesù. Altrimenti non si rivolgerebbe immediatamente ai domestici dicendo: «Fate tutto quello che vi dirà».
Il testo greco mette bene in evidenza il fatto che Maria non conosce con precisione il pensiero di Gesù. Ma ha in lui una fiducia illimitata. Tanto che ordina ai servi, senza incertezze: «Fate...». Anche questo imperativo in greco suona in modo particolare. Si tratta di un imperativo aoristo che fa assumere al verbo il significato di dare inizio a una azione nuova.
Svilupperemo questi concetti di fiducia e di azione nella seconda parte.
Parte prima – Ascoltare
Invito all'ascolto
L'invito all'ascolto è qui indiretto, ma presupposto dallo sviluppo della frase. Ed è espresso in un contesto - quello ebraico - in cui l'ascolto è un'attività assolutamente preminente per quanto riguarda la comprensione. L'ebreo è stato educato da secoli di rivelazione divina all'ascolto della parola, piuttosto che all'analisi del mondo circostante.
Ripercorrendo l'AT possiamo ascoltare il grido dei Profeti (ad es., Am 3,1; Ger 7,2). «Ascolta Israele», prega quotidianamente il pio israelita. Tenendo ben presente che per l'ebreo «ascoltare Dio» non significa solo prestare attenzione al messaggio, ma piuttosto aprire il proprio cuore (cf l'episodio di Lidia in Ai 16,14) e mettere in pratica quanto ascoltato (Mt 7,24ss). È in questo contesto che Maria, che è ben conscia dell'eccezionalità di suo figlio e forse ne ha già colto la dimensione divina, invita i servitori ad ascoltarlo.
Va tuttavia ricordato che all'ascolto della Parola ci si può anche rifiutare. E quest'esperienza è già registrata nella Bibbia. Possiamo ricordare le espressioni di Ger 6,10 su coloro che fanno oggetto di scherno le parole di Dio, l'insensibilità del cuore richiamata in At 7,51, la denuncia di Gesù in Gv 8,43.47.
Nell'episodio di Cana, però, i servitori rispondono positivamente, contribuendo alla manifestazione di Dio. E rientrando tra coloro che Gesù loda: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11,28).
La parola di Dio è percepibile
È un presupposto di tutta la Bibbia che Dio parla agli uomini ed essi lo comprendono. Non a livello di speculazione, ma di esperienza. All'inizio (AT) Dio parla a uomini privilegiati (i profeti) che devono trasmettere a tutto il popolo quanto loro rivelato (cf Eb 1,1). Ma nella pienezza dei tempi (NT) la Parola stessa si è fatta consanguinea di tutta l'umanità. «Dopo aver parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti, Dio ci ha parlato per mezzo del Figlio suo» (cf Eb 1,1ss).
Attraverso la Parola, Dio si mette in comunicazione con l'uomo in due modi: rivelandosi e agendo. In particolare si rivela:
- come legge da seguire (Decalogo: Es 20,1-17; Dt 5,6:22), che però è sorgente di felicità (Sal 119);
- come soggetto che dà senso alle cose (Gs 24,2-16)
- come promessa annunzio del futuro (Es 3,7-10; Gv 15,13-16).
E agisce:
- nella creazione (Sal 33,6-9)
- nella storia umana (1 Re 2,4)
- nel disegno di salvezza (Is 40,8).
È quindi possibile cogliere Dio non solo nel silenzio della meditazione, ma anche nel clamore della storia, grande o piccola che sia.
L'uomo dinanzi alla parola di Dio
L'uomo non può non prendere posizione di fronte alla parola di Dio. Che lo voglia o no, che ne sia più o meno cosciente, lì si gioca il suo destino.
Secondo la decisione presa l'uomo è introdotto in una vita fatta di fede, di fiducia e di amore, o invece rigettato nella malvagità del mondo (inteso in senso giovanneo). Si veda il discorso della montagna, dove Gesù oppone la sorte di coloro che «ascoltano la sua parola e la mettono in pratica» alla sorte di coloro che l'ascoltano senza metterla in pratica (Mt 7,24.26; Lc 6,47.49). Giovanni drammatizza la divisione tra gli uomini provocata dalla venuta di Gesù. Da un lato le tenebre non l'hanno accolto, dall'altro vi sono quelli che hanno ereditato nel suo nome. Nel nostro episodio l'ubbidienza dei servitori è leggibile come adesione a Gesù che li ricompensa oltre ogni aspettativa umana: l'acqua è trasformata in vino, e in vino abbondante e squisito.
È però esperienza comune che l'ascolto e la risposta dell'uomo sono fragili, temporanei, parziali. Per altro tutta la Scrittura ci testimonia che Dio ricomincia sempre con pazienza a intessere il rapporto d'amore con la sua creatura. Su questa indefettibilità è fondata la fiducia del credente, ed è ancorata la possibilità di non disperare.
Parte seconda - Come ascoltare
L'azione dello Spirito
Abbiamo ricordato all'inizio la sintesi del Vangelo di Giovanni proposta da Evdokimov. Lasciarsi inabitare dallo Spirito è quindi la meta di ogni credente in Cristo. Ed è pure il presupposto per ascoltarne rettamente la parola e comprenderne nel giusto significato l'azione che si è manifestata in modi diversi prima del tempo, nella vita di Gesù, e continua a manifestarsi ancora oggi nella storia. Perché il Cristo storico è morto e non ci è più possibile né vederlo né udirlo, la sua parola è cristallizzata in una Scrittura redatta con le categorie mentali e l’autocomprensione di uomini vissuti migliaia di anni fa, ed il senso della storia non è mai immediatamente percepibile. Per comprendere il messaggio di Dio occorre allora il pedagogo superiore alla legge e alla storia, lo Spirito (cf Rm 8,2) che ci è stato espressamente donato (cf Gv 20,22).
Tutta la Tradizione conferma che è solo nell'accettazione della subordinazione allo Spirito che possiamo sperare nella retta comprensione della parola di Dio. D'altra parte è rivelato che tutta la vita del cristiano è una vita nello Spirito (cf Gal 5,25). Illuminanti a questo proposito sono le esperienze dei mistici, per nessuno dei quali la comprensione di Dio è frutto dell'ascesi personale, pur presupponendola. Entriamo così nel campo delle disposizioni dell'uomo.
Le disposizioni dell'uomo: fiducia in Dio e nell’uomo
Tutta la storia della Chiesa è illuminata dall'esempio di tante anime credenti che hanno lasciato tracce, anche scritte, del loro cammino di avvicinamento alla verità.
Ne riportiamo qualche suggerimento, a solo titolo di esempio, lasciando a ciascuno di scoprire come predisporsi all'azione dello Spirito. Va però ricordato che se non è l’ascesi che garantisce la comunione con Dio, è anche vero che senza uno sforzo personale di purificazione mai si riuscirà a coglierlo nella sua alterità. Perché se è vero che Cristo si è incarnato per accostarci in modo mirabile a Dio, è altrettanto vero che Dio è sempre totalmente altro da noi e quindi difficile da raggiungere.
Il punto di partenza del cammino verso Dio sembra essere per tutti una umiltà sincera di fondo che consenta di riconoscere l'iniziale incapacità a comprendere e a scegliere Dio. Diciamo «iniziale», perché nel prosieguo dell'itinerario spirituale questa capacità si affina.
La seconda condizione indispensabile è avere assoluta fiducia nella possibilità che Dio si comunichi a noi. Senza questa fiducia non sarebbe neppure immaginabile, per esempio, il cammino che S. Ignazio propone negli Esercizi Spirituali.
Alcuni iniziano la loro avventura verso la parola di Dio affrontando la Bibbia. Non si tratta qui di lettura, intesa in senso profano, ma di una vera lectio divina, sulla quale ormai molto si è detto e scritto.
Altri ritengono che Dio manifesti nella storia, forse ancor più chiaramente che nella Scrittura, la sua volontà (cf per esempio la teologia dei «segni dei tempi» del Vaticano II). Questa strada va percorsa però con molta circospezione perché è molto facile, in proposito, lasciarsi fuorviare da preoccupazioni ideologiche. S. Ignazio parlerebbe qui della necessità del discernimento degli spiriti.
È quasi istintivo quando si cerca la volontà di Dio chiedergli con insistenza: «Cosa vuoi da me?». L’esperienza dei grandi maestri spirituali insegna però che è più opportuno chiedergli: «come posso stare con te?». Dio infatti non assegna compiti dall'alto, ma a chi sta con lui ispira i medesimi suoi sentimenti.
Un'altra condizione è stata sempre ritenuta necessaria per accostarsi con frutto alla parola di Dio: lo spirito di preghiera. Per fare un riferimento non comune si potrebbe leggere: Calvino, Istituzione della religione cristiana, Libro III capitolo XX che ha per titolo: «La preghiera è il principale esercizio della fede; per mezzo di essa riceviamo quotidianamente i benefici di Dio» (ed. UTET pp. 1014ss).
Ancora una condizione è predicata e vissuta dalle grandi anime: per comprendere la volontà di Dio è necessario accettare la croce di Gesù. Questo è sempre stato e sempre sarà l'ostacolo maggiore alla comprensione della volontà ultima di Dio, dell'accettazione della Parola, intesa sia come persona, sia come legge normativa.
C'è anche tutta una serie di attitudini psicologiche che andrebbero coltivate per un proficuo ascolto della parola. Si pensi a generosità, maturità spirituale, senso di Dio, altitudine alla ricerca, senso del positivo, senso della Chiesa ecc.
Ascolto per l'azione
Maria chiede ai servitori del banchetto di Cana di fare, senza porre condizioni, quello che Gesù dirà.
È lo scopo di ogni ascolto della parola di Dio, il mettere in pratica la parola di Dio, andando oltre una religiosità puramente formale, non solo è richiesto da tutta la Bibbia (cf, ad es., Is 58,6-11) ma è visto da Gesù come la manifestazione della vera intelligenza spirituale (cf Lc 6,46-49).
Il fare va però inteso come fedeltà interiore alla grazia, non come un fare per il fare o un fare per esibire il proprio potere. Il giudizio infatti verrà dato non sulle azioni eccezionali (cf Mt 7,22), ma sulle opere di misericordia (cf Mt 25,31-46). Con una notazione interessante: l'accusa del Signore contro i condannati non è di aver attivamente fatto il male, ma semplicemente di essersi disinteressati dei bisognosi. Mentre il Samaritano che ha compassione di chi soffre è portato da Gesù come esempio di colui che erediterà la vita eterna (cf Lc 10,25-37).
È però vero che l'azione nuova, giusta, conforme al volere di Dio, non può nascere dalla sola volontà dell'uomo, che continua ad albergare nel suo cuore il peccato, ma è piuttosto il frutto di una fusione della volontà umana e della volontà divina e quindi, in ultima analisi, un dono da chiedere.
A questo proposito la fede cattolica riconosce un luogo privilegiato per coltivare tale fusione: la Chiesa. Solo la Chiesa con la sua vita sacramentale assicura le condizioni ordinarie per consentire all'uomo la vera unione con Cristo nello Spirito.
S. Ignazio conferma: «Tra Cristo sposo e la Chiesa sua sposa c'è un solo Spirito che ci governa e ci regge per la salvezza di noi tutti».
Oggi purtroppo la visione della Chiesa è molto distorta: c'è chi la riduce ad una setta di santi in cui non ci sia posto per la debolezza umana; c'è chi pensa ad una Chiesa puramente interiore, senz'altra norma che la propria ispirazione personale.
Non è questa la dottrina del Vaticano II che nella Lumen Gentium afferma: «Il Sacro Concilio insegna che i vescovi per divina istituzione sono i successori degli apostoli quali pastori della Chiesa e chi li ascolta ascolta Cristo. Chi li disprezza disprezza Cristo» (10,16). E: «Questa è l'unica Chiesa di Cristo… che il Salvatore nostro, dopo la sua resurrezione, diede a pascere a Pietro, affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e il governo e la costituì per sempre colonna e sostegno della verità».
Per accettare questa realtà è però necessario aver raggiunto una dimensione profondamente evangelica frutto dello Spirito, dove possano fiorire l'umiltà e lo spogliamento di sé (Fil 2,7ss), la libertà con cui Cristo ci ha liberati (Gal 4,31; 5,13) e l'obbedienza salvifica (Rm 5,19).
Conclusione
A riassunto e conclusione di quanto esposto si potrebbe, a nostra esortazione, parafrasare l'invito di Maria ai servitori: «Ascoltate Gesù, che è Parola vera di Dio, comprendete bene quello che vuole dirvi nel suo grande amore, dopo aver tolto dal vostro cuore ogni affezione disordinata, e dalla vostra mente i pregiudizi ideologici, e lasciandovi guidare dallo Spirito date inizio con fiducia all'opera nuova che lui vi indica, senza preoccuparvi se suona strana ai vostri orecchi, perché con lui tutto potrete e grande sarà la vostro ricompensa». E ripetere con Isaia: «Come la pioggia e la neve scendono… così sarà della parola uscita dalla mia bocca, non ritornerà a me senza aver operato ciò che desidero» (55,11).
Sergio Riccardi
Milano
Da “Famiglia domani” 3/2000