Vita nello Spirito

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

È opinione alquanto diffusa che il nutrire una qualche speranza sia una cosa estremamente controproducente. Per molti la speranza rappresenta una sorta di delegittimazione della vita piena. Essendo considerata la proiezione di una qualche attesa sul non-ancora, essa finirebbe con il distogliere l’attenzione ed il reale interesse per il presente.

La speranza distoglierebbe lo sguardo dalla terra per fissarlo nel cielo. L’esatto contrario del desiderio. Di quel processo, cioè, che porterebbe a non vedere più le stelle – o a non considerarle. Ove l’assenza comporta una discesa – il passaggio dalle stelle alla terra. Soprattutto oggi, nella comprensione che abbiamo del desiderio, considerandolo quasi esclusivamente nel suo (immediato) realizzarsi. La speranza non sarebbe altro che un oppio dei popoli, capace ad imbonire i poveri, i sofferenti e quanti vivono in situazioni di profonda ingiustizia. Renderebbe tollerabile ciò che invece dovrebbe restare intollerabile. Renderebbe assonnate le menti, fiaccherebbe gli animi, vanificando ogni risoluzione per un radicale cambiamento. La speranza non si accorderebbe non soltanto con i processi rivoluzionari, ma anche con ogni prassi di cambiamento.

Ma non basta. La speranza è semplicemente illusione. Sarebbe un’infantile maniera di intendere la vita. Sperare non sarebbe altro che andare d’illusione in illusione. Come se conservasse in modo permanente un atteggiamento di attesa che porta ad aspettarsi ricevere qualcosa di buono dal futuro – al pari dei doni di Babbo Natale o della Befana.

Ed ancora. La speranza provocherebbe un’inutile attesa per un domani più vantaggioso quando, invece, bisognerebbe impegnarsi per rendere migliore l’oggi. Spostando l’asse temporale in un futuro prossimo o lontano la speranza vanificherebbe la centralità dell’esperienza del presente. A ben vedere, fiaccherebbe le braccia, rendendo irrilevante tutto ciò che si compie nell’oggi.

Chi discetta in questo modo riguardo alla speranza, di solito lo fa conversando con gli amici, comodamente seduto mentre sta sorseggiando una qualche raffinata bevanda o gustando un piatto succulento. Oppure dalla cattedra di un qualche insegnamento. Ma si tratta di ragionamenti che, a volte, accomunano anche le persone disperate – alle quali non è rimasta alcuna speranza a cui appigliarsi.

Eppure basterebbe osservare con maggiore attenzione per renderci conto di quanto lo sperare abbia sempre rappresentato un importante fattore. Il ventesimo secolo ha tristemente conosciuto il moltiplicarsi di campi di sterminio, di lager e di gulag. Nei sistemi concentrazionari concepiti per eliminare fisicamente oppositori politici, minoranze etniche, elementi non graditi al sistema si è assistito alla scomparsa di milioni di persone. Ma alcune di esse sono riuscite a sopravvivere nonostante le estreme condizioni di vita nelle quali erano state costrette. E hanno raccontato di cose e situazioni che si riteneva neppure possibili da immaginare. Perché poche persone sono sopravvissute mentre la maggior parte sono dovute soccombere? Dai racconti dei sopravvissuti emerge una costante: costoro si erano dati un motivo per resistere. Il voler rivedere una persona cara o i figli. Il voler continuare a lottare per un ideale. L’avere fede… Coloro che avevano continuato a sperare che, nonostante tutto, la loro vita non sarebbe finita tra i reticoli dei fili spinati, falciati dalla fame, dagli spari o dalle percosse dei guardiani sono stati quelli che hanno avuto maggiori possibilità di sopravvivere. Erano portatori di una sorta di spinta in più, di una forza psicologica che non solo ha loro permesso di affrontare sofferenze indicibili, ma di poter resistere quando umanamente non sembrava esserci alcun elemento sufficiente per poter sperare.

Se si leggono le biografie di alcune persone che hanno saputo resistere al male, affrontando lunghe pene detentive, anche qui emerge quanto l’elemento speranza sia stato fondamentale. Non si può capire l’esistenza di un Nelson Mandela o di un Václav Havel, soltanto per fare due esempi, se non si tiene conto di quanto il fattore speranza abbia giocato in loro nel mantenere costante nel corso di decenni l’impegno politico.

La speranza è indubbiamente un tema ostico, ma non manca a riguardo una vasta letteratura. In campo filosofico Il principio speranza di Ernst Bloch rappresenta una vera pietra miliare. Mentre in campo teologico, la teologia della speranza, avviata da Jurgen Moltmann, è diventata un ricco filone di ripensamento dell'esperienza religiosa e umana, non solo in ambito cristiano. E una buona parte della letteratura – e della poesia1, in particolare, – ruota intorno al tema della speranza.

Il filosofo Ernst Bloch ha visto nel principio speranza il motore della storia umana. Una speranza intesa non come uno sguardo diretto al futuro in maniera ottimistica, ma che si fa completa immersione nelle potenzialità comprese nel presente. “L'importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all'aver paura, non è né passivo come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla. L'affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all'esterno può essere loro alleato. Il lavoro di questo affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando e cui essi stessi appartengono2.

Al contrario, si può citare, tra i tanti un episodio capitato in Francia alcuni anni fa. Un uomo, un operaio delle ferrovie, era entrato in un vagone frigorifero per ripulirlo. Era solo e in quel momento non c’erano altri con lui. La porta si era chiusa all’improvviso dietro di lui. Essendo venerdì sera, la porta del vagone frigorifero restò bloccata per tutto il fine settimana. Il corpo dell’uomo viene ritrovato il lunedì mattina. Quell’uomo era, naturalmente, morto di freddo. All’autopsia il corpo manifestava tutti i sintomi di una morte per assideramento. Una morte che avviene quando si ha una prolungata esposizione al freddo. (L'ipotermia è graduale e diventa grave quando la temperatura corporea scende al di sotto del 30°C.). Tutto semplice se non per il fatto che in quel vagone frigorifero la refrigerazione non era inserita e la temperatura dell’ambiente era rimasta a 18°C... Quella persona era morta non per il freddo patito, ma per disperazione, convinta di morire congelata.

La speranza diventa, di frequente, un motivo sufficiente per resistere. E quando non c’è speranza, si finisce col soccombere. L’antidoto più efficace per vivere in un tempo di crisi diventa proprio la speranza, intesa non come semplicistica attesa di un domani migliore, ma impegno concreto affinché gli esiti della crisi si risolvano positivamente. È proprio questo l’aspetto che distingue la vera speranza da ogni altra illusione che proietta le proprie ombre sui tempi futuri: essa è sempre carica di un’operosa attesa. Non è mai dimentica di una fattiva istanza che si prende in carico le incombenze e le fatiche dell’oggi. E, al contempo, sa gettare il proprio sguardo oltre le contingenze del presente proprio a partire dalle fatiche e dai dolori che deve di volta in volta affrontare.

Ci sono quelli che vivono di nostalgie per i bei tempi passati. Sono quanti pensano che si possa guardare al mondo e alla vita tenendo gli occhi collocati sulla nuca. Non hanno bisogno di speranza poiché per loro non esiste alcun futuro degno di essere vissuto. Per essi ogni crisi ha già un esito conosciuto: quello della catastrofe. Si rivelano sempre profeti di sventura. Di questi pessimisti ne è pieno il mondo. E non mancano né nelle chiese né nelle comunità. Ma la storia biblica ci ricorda continuamente che Dio irrompe nella storia umana proprio quando non ci sono speranze umane. Quando si è troppo vecchi per avere un figlio, quando non ci si aspetta più alcuna liberazione dalla schiavitù, quando la morte ed il male sembrano vincere ovunque…

Il bisogno di sperare comporta lo sperare anche per quanti non sono in grado di sperare. È sempre un sperare con gli altri. E sperare insieme aiuta a rinforzare la reciproca speranza. La speranza è un tema ostico poiché, oltre ad essere considerata causa d'alienazione, la speranza rischia di essere un lusso – ostentato da quanti, in fondo, non avvertono sulla propria pelle il bisogno pressante di una speranza. Ridotta a discorsi da salotto o da accademie – pieni di belle parole, ma che restano estranei a tutto ciò che tanti altri stanno sperimentando, nella disperazione, nelle lacrime e nel dolore. Un lusso sterile, avulso dalla realtà.

E quando si sperimentano tempi difficili – tempi di guerre, di carestie o d'epidemie – il futuro si carica di molte attese, di tante speranze che in realtà sono proiezioni dei nostri desideri e delle nostre paure. E continuiamo a chiamare speranza ciò che non è ancora speranza. In fondo c'è più dolce – confortevole – cullarci con questi pensieri, in questi difficili momenti, piuttosto d'iniziare ad aprirci alla speranza. Poiché la speranza non è un sentimento, ma l’impegnativo modo di vivere che va imparato, giorno per giorno.

È necessario sperare perché il mondo ne esca migliore. Per non costringere le nostre vite a pure esistenze da formicai, non sono sufficienti né le cosiddette leggi del mercato – ossia la priorità assoluta dell’economia sulla vita delle persone – né la riduzione del vivere alla fruizione immediata di continui piaceri. Diventa necessario, invece, il gettare uno sguardo che sa andare oltre la contingenza, dischiudendo così un nuovo procedere ai nostri passi che rischiano di restare impantanati negli affanni, nei problemi e nelle sofferenze contingenti. La speranza diventa questo saper guardare oltre, nonostante tutto.

Faustino Ferrari

 

 

1 Si rimanda, in specifico, a Charles Peguy, Il portico del mistero della seconda virtù, Milano 1993.

2 Ernst Bloch, Il principio Speranza, Premessa.

Domenica, 24 Marzo 2024 10:35

Domenica delle palme. Anno B

Domenica delle Palme. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  Is 50,4-7

Dal libro del profeta Isaia

Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare
una parola allo sfiduciato.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 21

Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?

Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!».

Un branco di cani mi circonda,
mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
Posso contare tutte le mie ossa.

Si dividono le mie vesti,
sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, vieni presto in mio aiuto.

Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all’assemblea.
Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
lo tema tutta la discendenza d’Israele.

Seconda Lettura Fil 2,6-11

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi

Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.

Canto al Vangelo (Gv 12,26)

Gloria e lode a te, o Cristo!

Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte,
e alla morte di croce.
Per questo Dio l’ha esaltato
e gli ha dato il nome che è sopra ogni altro nome.

Gloria e lode a te, o Cristo!
 
Vangelo Mc 11,1-10

Dal vangelo secondo Marco

Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”».
Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare.
Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:
«Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!
Osanna nel più alto dei cieli!».

OMELIA

Gesù entra trionfante a Gerusalemme, seduto su di un asinello.
Inizia per lui l’ultima sua settimana di vita. Nella città santa rimarrà cinque giorni. Al ‘sesto giorno’ lo uccideranno. Al settimo conoscerà il sepolcro. Risorgerà l’ottavo giorno. Si tratta della narrazione di una ‘nuova creazione’, dalla ‘creazione dell’uomo’ – avvenuta il sesto giorno – alla sua ri-creazione, al suo compimento.
Ma cosa rende possibile la nostra ri-creazione? L’assunzione della logica dell’asino, e dismettendo quella del cavallo.
Gesù vincerà la morte in quanto ‘asino’, ossia attraverso una vita all’insegna della mansuetudine, del servizio, condividendo i pesi altrui (cfr. Gal 6, 2) e una spiccata capacità di ascolto (le orecchie molto grandi dell’asino…). Il cavallo è, di contro, l’animale cavalcato da chi detiene il potere facendo uso della forza e della violenza.
Laddove vi è capacità di servire, si realizzerà il Regno di Dio: «Benedetto il Regno che viene» (v. 10). Per questo occorre ‘slegare’ dentro di noi l’asinello (v. 2), ossia la nostra capacità di amare e di servire. Gesù è venuto proprio a tentare di sciogliere, slegare in noi questa capacità di prenderci cura dell’altro, di giocarci la vita in una modalità non mondana.
“Il Signore ne ha bisogno” di questo asino (v. 3). Egli ha bisogno del mio bene, ossia che si sciolga in me l’egoismo che mi blocca la vita, per effondere luce nel mondo facendo arretrare la tenebra del male. E stiamone certi: questo asinello il Signore ce lo rimanderà indietro subito (v. 3): l’amore che doniamo agli altri ci tornerà sempre indietro e in maniera sovrabbondante.
Il problema di fondo, è che noi amiamo il potere e la forza. Per questo preferiamo salire sul cavallo del vincitore di turno. All’asino mansueto, che si pone a servizio, preferiamo la violenza dei potenti, per ingrossare il nostro ego.
Siamo chiamati a realizzarci attraverso la via del bene e del dono, ma continuiamo a strizzare l’occhio al mondo, con la sua logica apparentemente vittoriosa, fondata sul potere, l’avere e il successo. Ma se incrociamo l’asino col cavallo rischiamo di stare al mondo come il mulo, stupido e sterile.
Gesù entrò nella sua settimana di ‘compimento’ avendo come trono un asino, e la terminò su di un altro trono, la croce: segno dell’amore che va fino alla fine. E ora molta gente urla: “Osanna” che significa “Dio salva”. Sì, Dio salva così, con l’amore che non demorde, rinnegando il proprio io a favore dell’altro. E grida ancora: «Benedetto colui che viene…». Sì, perché l’Amore non può venire che in questa maniera, perché venisse in altro modo, magari con potenza e violenza, rinnegherebbe sé stesso.
 
Paolo Scquizzato
 
Sabato, 16 Marzo 2024 17:18

V domenica Quaresima. Anno B

V domenica Quaresima. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  Ger 31,31-34

Dal libro del profeta Geremìa

Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore –, nei quali con la casa d’Israele e con la casa di Giuda concluderò un’alleanza nuova. Non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del Signore.
Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni – oracolo del Signore –: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo. Non dovranno più istruirsi l’un l’altro, dicendo: «Conoscete il Signore», perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore –, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 50

Crea in me, o Dio, un cuore puro.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.

Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Insegnerò ai ribelli le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno.

Seconda Lettura Eb 5,7-9

Dalla lettera agli Ebrei

Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito.
Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono.

Canto al Vangelo (Gv 12,26)

Lode e onore a te, Signore Gesù!

Se uno mi vuole servire, mi segua, dice il Signore,
e dove sono io, là sarà anche il mio servitore.

Lode e onore a te, Signore Gesù!

Vangelo Gv 12,20-33

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».
Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».
Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».
La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

OMELIA

Alcuni chiedono di ‘poter vedere Gesù’. Il vangelo su questo è chiaro: Gesù lo s’incontra laddove si ama: «Quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).
D’altra parte si sa, Dio non è un sostantivo da credere ma un verbo da viversi.
Cosa vuol dire amare? Uscire dall’inganno dell’ego. L’incentramento sul proprio io è un’implosione, un corto circuito; l’essere presente all’altro è di contro edificazione del Sé autentico, della nostra Natura autentica. L’attaccamento al piccolo sé è mortifero: «chi ama la propria vita la perde» (v. 27).
Mentre siamo la vita che doniamo.
Ed è in questo vivificare gli altri che si dà ‘gloria a Dio’, in quanto l’unica gloria che appartiene a Dio è ‘l’uomo vivente’ come ci ricorda sant’Ireneo.
È amando i fratelli che il ‘nome di Dio viene santificato’. Infatti col dire “Sia santificato il tuo nome”, nel Padre Nostro c’impegniamo nella cura dell’altro, perché il vero nome di Dio sono le sue creature. Quando infanghiamo il nome degli uomini e delle donne quando non diamo loro dignità – o peggio ancora quando gliela togliamo – il nome di Dio viene bestemmiato.
Dire “Sia santificato il tuo nome” significherà dunque: “che i tuoi figli grazie a me comincino a vivere di più”.
Non solo. Il brano di oggi ci ricorda che vivendo il principio dell’amore, nelle nostre comuni circostanze di vita, il “principe di questo mondo” sarà gettato fuori. E questo principe – attenti – non è il demonio, ma quel nostro stile di vita improntato sulla logica del potere, dell’arrivismo, della cattiveria, della prevaricazione, dell’egoismo. Laddove si vive l’amore, questa cappa mortale verrà dissolta. Più luce immettiamo nelle nostre relazioni, più il potere del male arretrerà e la tenebra conoscerà la sconfitta.
Aveva ragione Dostoevskij, sarà la bellezza a salvare il mondo, e la bellezza altro non è che l’amore manifestato. Infatti Gesù dice: “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. La croce è l’evento bello per antonomasia, perché rivelazione dell’amore più grande.
La bellezza attira, affascina, trascina. Non saranno mai le prediche e uno sterile moralismo a trasformare il mondo e nutrire le coscienze, ma l’amore autentico, capace di andare fino alla fine.
 
Paolo Scquizzato
 

I disturbi psichici sono delle affezioni che colpiscono la sfera affettiva, cognitiva, comportamentale e relazionale di una persona in modo sufficientemente forte da rendere problematica la sua integrazione sociolavorativa causandole anche grave sofferenza personale.

Il disturbo psichico non gode di molta accoglienza e comprensione nella cultura odierna. Prevalgono pregiudizi nei confronti di quanti manifestano la fragilità psichica, quali: «È un tipo un po' strano»; «È pazzo», o nei confronti dei familiari: «Se è così, sarà colpa loro»: «E una persona bizzarra come sua madre». Di conseguenza queste persone sono evitate, perché considerate potenzialmente pericolose, o emarginate, perché ritenute incapaci di una convivenza umana.
Lo stigma, la paura e l'ignoranza hanno di fatto portato ad isolare quanti manifestano forme di disagio mentale. Il disturbo della mente si può manifestare in forme lievi, quali la difficoltà a gestire la frustrazione, disturbi d'ansia, fobie e depressioni passeggere, o in forme gravi, quali un rapporto molto alterato con la realtà (es. disturbi maniaco-depressivi, schizofrenia, allucinazioni) o forti conflittualità interne (es. ossessioni, isteria, disturbi nevrotici, deviazioni sessuali).

Interventi per alleviare la sofferenza psichica

La malattia psichica è legata all'intensità, durata e frequenza di reazioni che investono la sfera cognitiva (percezione distorta delle cose e della realtà), la sfera affettiva (conflittualità e deterioramento delle relazioni, spesso con le persone più care), la sfera comportamentale (atteggiamenti ossessivi, maniacali, mutismo o isolamento).
È difficile stabilire con accuratezza le variabili che contribuiscono al disagio psichico. Per alcuni, predomina l'influsso della mappa genetica o fattori ereditari da cui si può rintracciare la presenza di disturbi che hanno colpito genitori, nonni, zii, bisnonni e così via.
Per altri, l'insorgere di un disturbo mentale è più legato di fattori esterni, quali la perdita di una persona significativa, l'abuso sessuale, i rapporti conflittuali con figure in autorità, il fallimento scolastico, lavorativo o matrimoniale, la difficoltà a instaurare rapporti, il vivere in ambienti contrassegnati dalla violenza o dall'inquinamento acustico.
Per altri ancora, incidono maggiormente fattori personali legati a personalità spigolose, difficoltà a gestire lo stress, paure paralizzanti, atteggiamenti autolesivi, forte cedimento dell'autostima o della dignità personale.
A seconda dell'entità e gravità del disturbo, chi soffre il disagio psichico può essere aiutato attraverso la somministrazione di farmaci, la psicoterapia individuale o di gruppo, il ricovero in strutture residenziali o in reparti di psichiatria.
Il volontario è entrato in punta di piedi nei reparti psichiatrici, guardato a vista dal personale.
Ma si è guadagnato presto la stima e il riconoscimento di psichiatri, psicologi, infermieri e assistenti sociali per l'effetto benefico che la sua presenza ha prodotto negli ospiti del reparto.

Volontari in psichiatria: requisiti e contributi

Il volontario che sceglie di esercitare il suo servizio nelle unità psichiatriche deve possedere una sensibilità particolare verso questo tipo di sofferenza, un atteggiamento rilassato e creativo per porsi in sintonia con gli interlocutori, la capacità di adattarsi al mondo delle diverse persone e situazioni, la disponibilità a gestire con umorismo e saggezza eventuali provocazioni o rifiuti apparenti, lo spirito di collaborazione per operare in unità di intenti con gli operatori del reparto.
Il contributo della sua presenza abbraccia vari orizzonti: l'ambito comunicativo (interagisce con gli ospiti, aiuta a ridimensionare il loro isolamento, ascolta i loro pensieri e considerazioni, anche se strani, cercando delicatamente di interrompere circoli viziosi, soprattutto si sforza di prestare attenzione ai loro sentimenti): l'ambito fisico o sportivo (passeggia con loro, li motiva a prendersi cura della propria igiene, esplora i loro interessi sportivi, li fa parlare dei loro cibi o hobby preferiti); l'ambito ricreativo (li coinvolge in attività ricreative, quali il gioco delle carte, attività ludiche, visite a luoghi di interesse, piccoli progetti per lo sviluppo delle loro potenzialità creative); l'ambito spirituale (esplora valori o credenze, li accompagna a incontri liturgici.esplora le loro risorse spirituali, li sostiene nella preghiera).
Il volontario attraverso la sua presenza si sforza di dare un piccolo contributo alla guarigione interiore di chi soffre nella consapevolezza che, come diceva Seneca: «Il male che ci tormenta non è nel luogo in cui ci troviamo, ma è in noi stessi».

Arnaldo Pangrazzi

(tratto da Missione e Salute, n. 2, 2015, p. 64)

 

La seconda benedizione è chiamata in Berakhot, II b «benedizione per la Torah». Al ringraziamento a Dio per la creazione segue l'espressione della riconoscenza per il dono della Legge.
Nel rito sefardita la preghiera comincia con le parole: «Con amore eterno»; nel rito ashkenazita con: «Con amore grande». Tale divergenza di prassi risale ai tempi del Talmud, cfr. Berakhot, II a.

«Con amore eterno hai amato la Casa d'Israele, Tuo popolo; ci hai insegnato la Torah, i precetti, gli statuti e le costituzioni. Perciò, Signore Dio nostro, concedi che quando ci corichiamo e quando ci alziamo, meditiamo sui precetti della Tua volontà, e fa che ci rallegriamo e gioiamo in eterno nelle parole dell'insegnamento della Tua Torah, dei Tuoi statuti e precetti. Poiché essi sono la nostra vita e (ci danno) longevità; essi mediteremo giorno e notte.
Il Tuo amore non allontanare da noi in eterno. Benedetto Tu, Signore, che ama il Suo popolo Israele».

 

 

Venerdì, 08 Marzo 2024 08:23

IV domenica Quaresima. Anno B

IV domenica Quaresima. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  2Cr 36,14-16.19-23

Dal secondo libro delle Cronache

In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, e contaminarono il tempio, che il Signore si era consacrato a Gerusalemme.
Il Signore, Dio dei loro padri, mandò premurosamente e incessantemente i suoi messaggeri ad ammonirli, perché aveva compassione del suo popolo e della sua dimora. Ma essi si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio. Quindi [i suoi nemici] incendiarono il tempio del Signore, demolirono le mura di Gerusalemme e diedero alle fiamme tutti i suoi palazzi e distrussero tutti i suoi oggetti preziosi.
Il re [dei Caldèi] deportò a Babilonia gli scampati alla spada, che divennero schiavi suoi e dei suoi figli fino all’avvento del regno persiano, attuandosi così la parola del Signore per bocca di Geremìa: «Finché la terra non abbia scontato i suoi sabati, essa riposerà per tutto il tempo della desolazione fino al compiersi di settanta anni».
Nell’anno primo di Ciro, re di Persia, perché si adempisse la parola del Signore pronunciata per bocca di Geremìa, il Signore suscitò lo spirito di Ciro, re di Persia, che fece proclamare per tutto il suo regno, anche per iscritto: «Così dice Ciro, re di Persia: “Il Signore, Dio del cielo, mi ha concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!”».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 136

Il ricordo di te, Signore, è la nostra gioia.

Lungo i fiumi di Babilonia,
là sedevamo e piangevamo
ricordandoci di Sion.
Ai salici di quella terra
appendemmo le nostre cetre.

Perché là ci chiedevano parole di canto
coloro che ci avevano deportato,
allegre canzoni, i nostri oppressori:
«Cantateci canti di Sion!».

Come cantare i canti del Signore
in terra straniera?
Se mi dimentico di te, Gerusalemme,
si dimentichi di me la mia destra.

Mi si attacchi la lingua al palato
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non innalzo Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia.

Seconda Lettura Ef 2,4-10

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni

Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati.
Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.
Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.

Canto al Vangelo (Gv 3,16)

Lode e onore a te, Signore Gesù!

Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito;
chiunque crede in lui ha la vita eterna.

Lode e onore a te, Signore Gesù!

Vangelo Gv 3,14-21

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

OMELIA

Con buona pace dei profeti di sventura cristiani, sponsor funesti d’inferni impossibili e punizioni divine, Giovanni ricorda che Dio non è venuto né per condannare (v. 17), e tanto meno per giudicare (cfr. Gv 8, 15), ma solo per salvare, ossia a fare in modo che l’uomo giunga alla pienezza di sé. E se proprio vogliamo parlare di ‘giudizio’ di Dio, questo altro non è che la croce, «giudizio del giudizio» – come dice Massimo il Confessore – che prende su di sé il male del mondo per distruggerlo trasformandolo in vita.
La spazzatura dispersa nell’acqua la sporca, gettata nel fuoco ne aumenta il calore e la luce.
Dio giudica amando e ama perdonando.
Condanna salvando e si vendica perdonando.
Non toglie vita a chi lo rifiuta ma dà vita a chi gliela toglie.
Esiste un solo modo per ‘essere condannati’ – ossia per fallire la vita – non portarsi alla luce (v. 20), non sbocciare, non costruirsi in grado di vincere la morte e non credere all’amore (v. 18); non accettare di lasciarsi raggiungere da quella luce che è venuta nel mondo (v. 19) per splendere su tutti: sui cattivi e sui buoni, sui giusti e gli ingiusti (Mt, 5, 45) e spendere la vita senza illuminare qualcuno: unico modo per spegnerci anche noi.
Paolo Scquizzato
 
Sabato, 02 Marzo 2024 10:23

III domenica Quaresima. Anno B

III domenica Quaresima. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Es 20, 1-17

Dal libro dell'Esodo

In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile:
Non avrai altri dèi di fronte a me.
Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato.
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.
Non ucciderai.Non commetterai adulterio.Non ruberai.
Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 18

Signore, tu hai parole di vita eterna.

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l'anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.

Più preziosi dell'oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.

Seconda Lettura 1 Cor 1, 22-25

Dalla prima Lettera di san Paolo Apostolo ai Corinti

Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.
Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Canto al Vangelo

Gloria e lode a te, o Cristo!

Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito;
chiunque crede in lui ha la vita eterna.

Gloria e lode a te, o Cristo!


Vangelo Gv 2, 13-25

Dal vangelo secondo Giovanni

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull'uomo. Egli infatti conosceva quello che c'è nell'uomo.

OMELIA

Gesù ha sgretolato quella ‘religione’ fondata sul commercio con una divinità, sul baratto del dare e avere, del sacrificarsi per ricevere qualcosa in cambio, perché sa che il Dio della vita non gradisce ‘sacrifici ed offerte’ (cfr. Sal 40, 7) ma se ne potrà fare esperienza ogniqualvolta si vivrà la misericordia: ‘Misericordia io voglio, non sacrifici’ (cfr. Mt 9, 13).
Gesù fa pulizia dei mercanti che ci abitano quando ci lasciamo ferire dai sensi di colpa perché vediamo trasgrediti gli impegni assunti verso noi stessi, quando ci prende la tristezza del dover corrispondere sempre alle attese della divinità e la frustrazione di non sentirsi mai adeguati e puliti dinanzi a un dio giudice severo.
Gesù è venuto a purificare il tempio del nostro cuore dai fantasmi del ‘migliorismo’, del dovere di sentirsi a posto, facendoci comprendere che Dio non vuole servi migliori ma solo figli amati.
A quel punto «molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome» (v. 23).
La fede non si nutre di miracoli, ma di ‘segni’.
Il segno indica sempre oltre, è l’indice che indica la luna. Questo è il compito di ogni religione: indicare oltre. Va da sé che innamorarsi del segno è follia; fermarsi alle liturgie, ai riti, ai precetti da ottemperare, è accontentarsi del mezzo senza mai poter progredire in umanità. Il rapporto con la divinità è infatti sempre tensione in avanti, mai godimento di un oggetto, o il raggiungimento di una meta.
Le persone matura spiritualmente sanno di essere nella Verità senza però possederla, e senza poterla definire in quanto la divinità è la vita stessa, nel suo dispiegarsi, nel suo scorrere dirompente, che continuamente si trasforma compiendosi.
«Noi gli diamo delle cose perché lui ce ne dia delle altre, facciamo dei sacrifici perché ci faccia dei favori, facciamo opere buone perché ci dia il premio. Concepire Dio in termini di legge, di obbligo, di dovere, di debito, di paga, di castigo, di premio invece che in termini di amore, di risposta, di alleanza, di nozze, è stravolgere la religione e Dio morirà per questo. L’ipotesi che sembra più vera è che Dio non è morto per i peccatori, per i peccatori non occorreva morire – bastava dire: Siete salvati! – è morto per i giusti, per convincerli del loro peccato, il peccato di avere un’ipotesi così cattiva su Dio. E Dio deve proprio morire in croce per dire: non sono così!» (Silvano Fausti).
Paolo Scquizzato
 

“Il condannato Navalny dopo la passeggiata si è sentito male, poi si è svenuto. Subito sono arrivati i medici, poi è stata chiamata la brigata del pronto soccorso che – dopo tutte le cure necessarie che non hanno dato un risultato positivo - è stata costatata la morte del condannato”.

Così nel linguaggio della menzogna ufficiale è stato comunicato il decesso del più conosciuto oppositore del regime. Lo scopo di questa notizia è ovvio: creare il quadro della “normalità” - delle cure, del pronto soccorso, ecc. senza nessuna intenzione d’essere creduto. Come se il carcere russo fosse simile a quello norvegese. Navalny è morto nel ШИЗО, cioè nella corsia d’isolamento più severo, nella prigione dentro la prigione dove le passeggiate semplicemente non possono esserci, ma ci sono solo le torture della fame, del freddo, dei muri grigi che ti schiacciano. Nemmeno è possibile di restare sdraiato sul letto perché il letto è adossato al muro per tutta la giornata o sedere sulla sedia, non si può avere le cose personali… una tortura, insomma, anche senza il freddo e la fame per una decina di giorni. Per Navalny questa punizione era già la ventesima dopo aver passato lì in totale 10 mesi.

Navalny prima di tutto è stato conosciuto come combattente contro la corruzione. Nella Russia d’oggi combattere la corruzione significa affrontare il regime mafioso. La Fondazione da lui creata ha svelato tantissime ricchezze, lussuosissimi yacht, ville private disperse in tutto il mondo che appartenevano (e appartengono anche oggi) ai funzionari di Stato di più alto rango. È diventato famoso il suo film sulle proprietà di Medvedev, all’epoca primo ministro, il cui il costo è uguale al corrispettivo di circa 1300 anni del suo stipendio ufficiale. Il film è stato guardato da più di venti milioni di spettatori russi, ma nessuno nella Duma o sulla stampa ha osato chiedere l’indagine. La Russia d’oggi è così. Ma quando Navalny ha mostrato il palazzo personale di Putin, fantastico per la grandezza, il lusso ed il prezzo, tanta gente cominciava aspettare la reazione.

E la reazione non è tardata, Navalny è stato avvelenato durante un volo ed è giusto scampatoalla morte solo perché l’aereo ha fatto una fermata non pianificata. Poi è stato trasportato in Germania, dove è guarito quasi per miracolo. È tornato in Russia, ed è stato arrestato subito alla frontiera per dei crimini inventati dal regime. Una condanna è seguitaall’altra: 9 anni per le truffe, 19 anni per la creazione di una società sovversiva, cioè la sua Fondazione. Navalny non ha perso il suo coraggio, l’intelletto, il suo carisma e neanche il suo senso dell’umorismo. Di più: anche nel carcere ha continuato l’attività politica. Dal carcere uscivano gli appelli alla resistenza. Su internet è facile trovare la sua foto in carcere, con l’iscrizione: “Io non ho paura, non l’abbiate neanche voi”. È difficile non avere paura nella Russia di oggi dove per le semplici parole “No alla guerra” qualsiasi cittadino può essere preso e condannato. Per cosa? Per calunnia all’esercito o addirittura per terrorismo. È chiaro che quest’uomo è diventato il volto della resistenza quando ogni volto umano è offuscato dalla paura.

Adesso è arrivato l’ultimo contraccolpo. Navalny è morto. Anzi è stato ucciso. Per il momento nemmeno il suo corpo è stato rilasciato ai suoi cari. Il Cremlino ha già dichiarato che la morte di Navalny si stata una provocazione dei servizi segreti ucraini per recare danno all’immagine della Russia o qualche cosa del genere. Bisogna essere davvero drogati dalla propaganda per prendere sul serio una simile versione.

La vita di Navalny è finita. Adesso sta per partire una altra vita, quella della memoria e quella dell’immagine che entrano nella storia. La memoria e l’immagine hanno una forza incredibile che senza dubbio faranno il proprio lavoro in quel paese libero e giusto che la Russia, forse, diventerà un giorno. Oggi essa è spaccata in due, con uno scisma così profondo simile a quello della guerra civile di più di cento anni fa e nel centro di questa spaccatura si trova la guerra che è in corso. Non solo la guerra, ma tutto ciò che si nasconde alle sue spalle. Ma la nostalgia dell’URSS, anche staliniana, la dittatura senza vergogna, la corruzione senza limiti non sono il destino eterno della Russia. Un sacrificio così nobile, come quello di Navalny, così pieno di senso deve rimanere per sempre nel cuore della Russia. Navalny non è soltanto un eroe – cosa che è ovvia – ma un eroe profetico. Navalny ha trovato il nucleo, il motivo principale, la radice della sua azione proprio nella fede cristiana, da poco scoperta. “Faccio tutto, - lui disse all’ultimo processo di due anni fa nella sua maniera abituale che sfiorava lo scherzo, - secondo l’istruzione. La mia istruzione è il Vangelo dove è scritto «Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati»”.

Vladimir Zelinskji

 

 

Lunedì, 26 Febbraio 2024 08:47

II domenica Quaresima. Anno B

II domenica Quaresima. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Gn 22, 1-2. 9. 10-13. 15-18

Dal libro della Genesi

In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va' nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».
Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l'altare, collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L'angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito».
Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio.
L'angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 115

Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi.

Ho creduto anche quando dicevo:
«Sono troppo infelice».
Agli occhi del Signore è preziosa
la morte dei suoi fedeli.

Ti prego, Signore, perché sono tuo servo;
io sono tuo servo, figlio della tua schiava:
tu hai spezzato le mie catene.
A te offrirò un sacrificio di ringraziamento
e invocherò il nome del Signore.

Adempirò i miei voti al Signore
davanti a tutto il suo popolo,
negli atri della casa del Signore,
in mezzo a te, Gerusalemme.


Seconda Lettura Rm 8,31-34

Dalla Lettera di san Paolo Apostolo ai Romani

Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?
Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!

Canto al Vangelo

Lode e onore a te, Signore Gesù

Dalla nube luminosa, si udì la voce del Padre:
«Questi è il mio Figlio, l'amato: ascoltatelo!».

Lode e onore a te, Signore Gesù


Vangelo Mc 9, 1-9

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

OMELIA

«La nascita non è la vita; è solo un’opportunità che ti viene data per creare la tua vita» (Osho).
La vita è cammino di trasfigurazione, lento processo di metamorfosi verso il compimento.
«Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm 8, 22). E noi nella creazione. E questo è bello, come dice Pietro: è bello partecipare a questo difficile e faticosissimo parto, sapere che portando alla luce la nostra umanità Dio si rivelerà, la Vita prenderà carne, la Bellezza assumerà volto, l’Amore si manifesterà in una forma.
Il ‘Senza nome’ è sempre in procinto di venire al mondo, ha solo bisogno che glielo si permetta.
La Fonte della vita non sta fuori di noi, ma risiede nella parte più intima di noi stessi. Quando impareremo a riposare silenziosamente in essa, udremo anche noi una voce che ci sussurrerà: “Tu sei la mia manifestazione prediletta”.
La creazione intera, ciascuno di noi è manifestazione, rivelazione della divinità, così come la materia è manifestazione dell’energia.
Gesù ne prese coscienza esclamando: ‘Io e il Padre siamo una cosa sola’.
Quando ne prenderemo consapevolezza anche noi, comincerà per ciascuno una vera e propria trasfigurazione che non avrà fine.
«Dio è quell’infinito Tutto, di cui l’uomo diviene consapevole d’essere una parte finita. Esiste veramente soltanto Dio. L’uomo è una Sua manifestazione nella materia, nel tempo e nello spazio. Quanto più il manifestarsi di Dio nell’uomo (la vita) si unisce alle manifestazioni (alle vite) di altri esseri, tanto più egli esiste. L’unione di questa sua vita con le vite di altri esseri si attua mediante l’amore. Dio non è amore, ma quanto più grande è l’amore, tanto più l’uomo manifesta Dio, e tanto più esiste veramente» (Lev Tolstoj, Parole dettate alla figlia. Diari).
 
Paolo Scquizzato
 
Lunedì, 19 Febbraio 2024 16:26

Due serate ecumeniche 4 e 11 marzo

Si segnalano due serate a carattere ecumenico che si terranno a Roma, il 4 e 11 marzo 2024.

Il 4 marzo p. Vladimir Zelinskij, teologo e prete ortodosso, presenterà gli scritti di Faustino Ferrari, marista.
Seguirà la lettura scenica di un'antologia di testi di Faustino Ferrari, curata dall'attore Pavel Zelinsky.
La lettura dei brani sarà intervallata da un accompagnamento musicale.

La sera dell'11 marzo Faustino Ferrari, dei padri maristi, presenterà gli scritti di p. Vladimir Zelinskij.
Seguirà la lettura scenica di un'antologia di testi di Vladimir Zelinskij, curata dall'attore Pavel Zelinsky.
La lettura dei brani sarà intervallata da un accompagnamento musicale.

Le due serate si terranno presso la cappella della parrocchia di Santa Francesca Cabrini, con ingresso da Via Salento 46 (Roma).
Via Salento è raggiungibile con bus 61 - 310 - 544 e con Metro B - fermata Bologna.

L'ingresso alle due serate è libero. La prenotazione obbligatoria.

Faustino Ferrari e Vladimir Zelinskij sono entrambi collaboratori del sito Dimensione Speranza.

Search