«Nulla volere, nulla sapere, nulla avere» (Meister Eckhart). Amo il nulla. Una manciata di ricordi. Un grumo di attese. Ma l’esperienza del nulla è ancora nulla di fronte alla percezione del nulla. Inconcepibile. Indicibile.
Quando si partecipa ai riti di un funerale religioso, una espressione che viene spesso ripetuta (nei canti, nelle omelie e nei testi delle varie preghiere) è quella del riposo eterno.
Mi capita spesso di incontrare persone che si dichiarano non credenti. E c’è un aspetto che sorprende. Ben presto, parlando, emergono elementi che mi lasciano stupito...
Riusciremo mai a ricollocare la persona umana al centro di ogni nostro interesse? A svestire i panni dell’homo oeconomicus per poter essere sempre e comunque uomini e donne che sanno incontrarsi e riconoscersi?
Si potrebbe ritenere che sia ben poca cosa l’abbattimento di qualche albero, di fronte allo scempio cui quotidianamente alcune potenti multinazionali sottopongono vaste zone delle foreste tropicali.
Pregare. Imprecare. La radice dei due termini è la medesima. Semanticamente, nella nostra lingua, esiste una profonda correlazione tra questi due atti umani.
E nel vasto campo del mondo / anche i cuccioli degli uomini / fioriscono nei mille colori / del volto di Dio
Lui sorride timoroso, allarga le braccia, come per giustificarsi. Non ha nulla da dare in cambio: chiede ospitalità.
Credere o non credere? Domanda strana, oggi. Tempo nel quale siamo portati a fare sempre meno domande. E l’assurdo, la percezione che tutto sia assurdo, bussa spesso alla nostra porta.