«Nel Senegal, sotto la dominazione francese, un africano viaggiava a piedi con la moglie incinta. La sera, poiché sua moglie aveva fame, l’uomo scavò in un campo di manioca per dare da mangiare a sua moglie. Sopraggiunse il proprietario e fede condannare il ladro dal tribunale francese. L’africano fece appello al tribunale indigeno (sussisteva la doppia giurisdizione). Secondo il diritto locale, il tribunale condannò il proprietario del campo per aver lasciato soffrire la fame ad una donna incinta in prossimità della sua casa senza soccorrerla». (in Pretioperai, n. 68, marzo, 2006).
In un tempo in cui si fa un gran parlare di «scontri di civiltà» e di «civiltà superiori» (ove superiore è sempre – scontatamente – da intendersi la società moderna occidentale) è quanto mai opportuno fermarsi a riflettere circa la propria autoreferenzialità. Siamo sempre più immersi in quella cecità che pone l’economia al di sopra di tutto ed il fare soldi l’unico, necessario, dominante imperativo categorico.
Riusciremo mai a ricollocare la persona umana al centro di ogni nostro interesse? A svestire i panni dell’homo oeconomicus per poter essere sempre e comunque uomini e donne che sanno incontrarsi e riconoscersi? Queste domande risuonano alquanto retoriche. Resta, infatti, in tutta la sua evidenza, la nostra estrema capacità d’infettare ogni angolo della terra con i germi dell’economia globale.
Faustino Ferrari