Aquila e Priscilla
(At 18,1-4 18-19)
La scena si apre su Paolo che, appena lasciata Atene si reca a Corinto. Ad Atene si era scontrato non con le sassate come ad Antiochia, né con le bastonate e il carcere come a Filippi, ma con un uditorio scaltrito e cinico, incapace di farsi coinvolgere, troppo abituato ad ascoltare discorsi e sofismi.
Neanche l’annuncio di Paolo riuscirà a toccare il cuore di quella gente e se ne andrà da quella città amareggiato. La sfida al mondo intellettuale, disincantato e agnostico, rimane aperta e come Paolo, anche noi cristiani presto rinunciamo davanti alle difficoltà di portare la Buona Notizia del Regno a chi ci oppone muri di cinismo e cultura.
Paolo arriva a Corinto ed incontra una coppia, Aquila e Priscilla, che era stata costretta a lasciare l’Italia a causa di un ordine dell’Imperatore che ingiungeva a tutti i Giudei di lasciare Roma, e si ferma ad abitare con loro. Il testo non dice molto di questi due personaggi, non dice neppure se si fossero già convertiti al cristianesimo o meno, dice solo che accolsero Paolo come un fratello e che egli lavorò con loro, tornando al suo antico mestiere, e che ogni sabato si recava nella sinagoga portando il suo annuncio a tutti, indistintamente.
Questa collaborazione e questo sostegno reciproco gettano una luce di speranza sul rapporto tra consacrati e sposi. Ed è soprattutto il verso 18 a colpirci: Aquila e Priscilla accompagnano Paolo fino ad Efeso, gli sono compagni ed alleati.
Davanti a questi pochi versi si infrangono tutte le difficoltà della collaborazione tra laici e consacrati: non ci sono rivendicazioni, non si sottolineano le diversità, perché il fatto che ci siano è naturale e necessario, ma si sceglie la strada del sostegno reciproco, e sono in particolare gli sposi, per la loro vocazione, a saper creare un contesto di accoglienza che rigenera l’apostolo e gli dà forza per proseguire il suo viaggio.
Scendendo un poco più in profondità nel discorso sui rapporti tra le diverse vocazioni bisogna innanzi tutto affermare che c’è una sostanziale incapacità di capire una vocazione diversa dalla propria. E’ un fatto col quale bisogna confrontarsi, per quanto santi e illuminati gli sposati hanno difficoltà a capire che cosa realmente sia una chiamata alla consacrazione, e allo stesso modo i consacrati non hanno modo di vedere fino nel cuore della vocazione matrimoniale, e prima accettiamo questa incomunicabilità, prima finiranno le rivendicazioni sul primato di una vocazione sull’altra, rivendicazioni sterili e inutili per la Chiesa.
Il sacramento battesimale rende tutti i cristiani "abili" all’evangelizzazione, non è necessario alcun sacramento aggiuntivo a questo scopo, per questo tutti abbiamo il dovere di prepararci responsabilmente a questa missione, ma certamente la Chiesa si nutre delle diversità che la fantasia di Dio ha creato, e la diversità delle vocazioni è una di queste. Ed è bellissima, perché nella sua multiformità svela tratti diversi del divino che vuole manifestarsi in noi.
di Paola Lazzarini