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Sabato, 13 Novembre 2004 15:59

Famiglia conviviale per una società conviviale (Giuseppe Goisis)

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Famiglia conviviale per una società conviviale

· La convivialità si oppone alla produttività: si coniuga in termini di essere, non di avere · E’ un "narrarsi senza fine", e per questo si addice alla famiglia, in particolare a quella che vive nella libertà, nell’amore confidente nello Spirito, nella gioia, nelle disponibilità ospitale, nella sobrietà · Una famiglia impostata su questa basi dona alla società una dimensione di pace.

Prima parte

Quale famiglia, per quale società

Nel parlare comune, il termine "convivialità" assume sfumature ed accenti negativi, a volte in modo marcato; si allude al disimpegno, alla ricerca del piacere per il piacere, e così, ad esempio, una discussione "conviviale" è sinonimo di accademica, non autentica. E tuttavia, soprattutto nelle pagine di Ivan Illich, "società conviviale" è un'idea che presenta una ben diversa pregnanza; Illich, con tale espressione, intende "una società che dà all'uomo la possibilità di esercitare l'azione più autonoma e creativa, con l'ausilio di strumenti meno controllabili da altri. La produttività si coniuga in termini di avere, la convivialità in termini di essere. L'attrezzatura manipolante tende all'esasperazione, l'uso dello strumento conviviale tende all'autolimitazione".

Dopo gli anni Settanta del nostro secolo, la problematica riassunta nella parola d'ordine della convivialità ha perso mordente, soprattutto per l'avvicendarsi delle mode culturali; ma ritengo che, al di là delle parole, le questioni sollevate da Illich siano di grande rilievo, e di intensa attualità ancor oggi; ciò che è in gioco, dal punto di vista culturale, è il superamento della modernità, la necessità di configurare una genuina alternativa, che già alcuni definiscono "post-modernità". La modernità sarebbe in crisi in tre suoi presupposti fondamentali: il primato della ragione "forte" del razionalismo, la centralità del soggetto umano inteso come fondamento di tutto ed infine le falle che si aprono, sempre più vistosamente, in una concezione della storia, intesa come contenitore onnipervadente, continuo e come giudizio inappellabile. La ricerca di valori come l'autenticità e l'autorealizzazione, l'appello che proviene da una diversa qualità della vita, la sfida promanante dalla varietà delle culture, il fascino acuto della comunicazione ed infine la commistione tra il bisogno di ali (la libertà!) e quello di radici: ecco alcune linee di tendenza che caratterizzerebbero, con forte incisività, l'epoca della fuoriuscita dalla modernità, e dell'ingresso in una più o meno mitologica "post-modernità".

In termini educativi, l'alternativa complessiva che si delinea mette a fuoco piuttosto l'efficacia educativa che l'efficienza; rispetto a Prometeo, l'eroe orgoglioso che aveva donato il calendario simbolico della modernità, è il fratello Epimeteo che campeggia, parlando di una nuova tenerezza, e della gioia del dono. E l'identità di ognuno, persa la sua consistenza rigida, tende a configurarsi come un'identità narrativa; nella famiglia che assume un tale volto, non dominano i ruoli statici, ma il venire in luce delle singole personalità nell'avventura di un narrarsi senza fine, in una dimensione in cui nessuno vuol conoscere l'altro al di fuori di quello che l'altro medesimo sente di sé, pensa di sé.

La famiglia che assume la figura conviviale si scopre come una piccola comunità in cammino. Come ci rammenta un famoso dialogo di Platone: "Strada facendo insieme noi due decideremo quello che diremo. Adesso andiamo!" (Convito, 174 D).

Ritrovo nella famiglia ispirata alla convivialità queste cinque caratteristiche, che ora enuncio e poi illustrerò con rapida analisi: libertà autentica, amore confidente nello Spirito, la gioia, la disponibilità ospitale ed infine quella sobrietà che istituisce la famiglia come autentica preparazione all'ascolto degli altri uomini, e dunque come prima scuola di pace. Tali mi sembrano i principali contenuti valoriali di una famiglia d'ispirazione conviviale, vissuti a livello intuitivo-emozionale, ma poi anche meditati, argomentati, scanditi in una progettualità di vita semplice e persuasiva
 

Seconda parte

La ricerca della vera libertà

In una cultura e in un costume dotati di sfaccettature necrofile (innamorate della morte, o perlomeno flirtanti con essa), la famiglia d'ispirazione conviviale testimonia di non temere l'impatto con la storia, e di ricercare una libertà autentica, capace di generare, continuamente, opere nuove e significative. Diversi atteggiamenti e comportamenti, attorno a noi, si rivelano contrari alla vita, eppure sono vissuti, e talora difesi, in nome della libertà e in nome della qualità della vita (tossicomanie e tossicodipendenze, suicidio, ricerca del rischio per il rischio, ottundimento per via di quella musica che conduce, con ritmo sempre più accelerato, fuori dal mondo).

Dal punto di vista educativo, si valorizzerà la libertà come impulso positivo; spirito conviviale può significare porre al centro la necessità di interrogarci sul senso della vita, privilegiando, rispetto alla quantità che ci assedia e soffoca, gli aspetti qualitativi della vita medesima. Vita e libertà, in definitiva, da concepire e testimoniare come due beni indivisibili. Libertà non come fuga e allontanamento, non come il disporre, con gelosa arroganza, di sé, ma come cammino verso una liberazione che emancipi da quelle schiavitù - a volte così nuove che ci riesce difficile riconoscerle - che avviliscono e soffocano l'uomo.

Il cristiano, soprattutto, non rimarrà fermo ad una formulazione negativa detta libertà (libertà dal peccato, dalla legge e dalla morte), ma si batterà per assimilare la pienezza di una formulazione positiva (libertà per la grazia di Dio, per il Vangelo, per il Regno). In definitiva, la libertà scaturisce come energia spirituale che ci fa partecipi della stessa vita di Dio, giacché ne siamo figli; e, "se siamo figli, siamo pure eredi" (Rm 8,l7ss).

Ricapitolando, una tale libertà come dedicazione fa scaturire la circolazione di uno scambio vicendevole, dà slancio per un cammino di maturazione e di ascolto che ha il suo cuore nella vita di coppia e sovrabbonda nella relazione tra figli e genitori, e nel reciproco rapporto che può instaurarsi tra i figli. I nuovi cardini della vita familiare, alla luce di tale cammino: maturazione autonoma e creatività di ogni membro partecipe, orientamento e non manipolazione dall'altro, autorità promuovente e non autoritarismo livellante. (2 - segue)
 

Terza parte

Lasciarsi condurre dallo Spirito

La famiglia, in una prospettiva conviviale e personalista, non è un'istituzione come le altre; non è una società fondata su mutui diritti, come una certa tradizione stancamente ripete, e non è neppure fondata sul produrre e sull'avere (famiglia come impresa e famiglia come salvadanaio). Il mero interesse è un vincolo troppo debole, e il salvadanaio, quando non serve più, si rompe brutalmente: ma le persone sono corpo di carne, e sanguinano anche negli affetti e nelle emozioni. Noti nego che in qualche tempo, in qualche luogo (per esempio, nel mio Veneto) si siano sovrapposti sulla famiglia i valori aggiunti del lavoro e del guadagno, che la compattezza del nucleo familiare pare garantire al meglio; ma tutto il problema consiste nel capire se queste dimensioni, per quanto importanti, sono sopraggiunte a irrobustire un nocciolo che ha ben altra origine e legittimazione... In una parola, penso che la scaturigine della famiglia stia nelle dimensioni dell'essere e dell'amore; nella prospettiva che tali radici indicano, all'assimilazione forzata si sostituiscono cammini d'integrazione armonica, con la solidarietà e l'attenzione assidua - anche se spesso silenziosa - verso i membri più deboli, avvertiti immediatamente con quel cuore più grande, con quella dilatazione del cuore che lo Spirito stesso fa palpitare in noi. È Lui che ci guida verso l'autentica libertà dei figli, che fa germogliare la vita e la fa crescere, che ogni giorno le conferisce nuovamente significato, facendola circolare nelle nostre "ossa inaridite".

Lasciarsi condurre, dalla forza dello Spirito, nella nostra vita familiare di ogni giorno: quello Spirito che fa intuire connessioni tra ogni verità anche distante e remota, e che fa avvertire ogni piccolo germoglio di errore. Lo Spirito aiuta a scoprire la dinamica dell'amore autentico, e dell'apertura volta a far crescere la persona, e non a portare a esasperazione le sue inquietudini. Lo Spirito Santo è il principio interiore e la forza permanente, la meta ultima della famiglia, che consente di sperimentare il valore della gratuità; come gratuitamente abbiamo ricevuto, così gratuitamente dobbiamo donare. Infine, lo Spirito illumina, come un vero maestro interiore, il significato profondo degli avvenimenti, e spinge le nostre famiglie a diventare compartecipi e testimoni nel mondo contemporaneo, nel servizio e nel rispetto dell'altro uomo. (3 - segue)
 

Quarta parte

Dalla noia alla gioia

La tonalità affettiva dominante nella famiglia conviviale: la ricerca in comune, piena di speranza, della sana realizzazione di ogni partecipante, in un clima di gioia, ravvivato dal profondo convincimento di essere, una volta per tutte, passati dalla rete del peccato, alla gran rete del Signore, Dio di misericordia. Tutto ciò spinge a confidare nelle novità, in ciò che è imprevisto e inedito; il tempo che scorre, a volte con una celerità che ci sorprende, aggiunge aspetti essenziali alla nostra vita, la dilata, conferisce a essa risvolti di profondità, che una coscienza cristiana attenta può gustare, assaporare ogni giorno. A questa dimensione della gioia siamo divenuti tutti troppo disattenti: lo scriveva Luigi Accattoli: si è troppo soddisfatti di una famiglia cristiana che dia garanzie, che manifesti una fedeltà da dovere, grave e seria, e molto meno apprezziamo quei lampi di gioia, o perlomeno di ilarità, che potrebbero essere il contrassegno di un'esistenza cristiana che scorre in profondità. Ci sia più spazio, nella vita di famiglia, per l'umorismo, per quel riso che riapre, come per miracolo, il gran ciclo delta vita; nel riso, si manifesta una qualche nostra risurrezione quotidiana, e si celebra la misericordia del Padre e la grandezza della libertà dell'uomo che, comunque, sovrasta i più minuti eventi quotidiani, solo apparentemente cieca e meccanica necessità. La gioia ci ricorda che il cammino di ogni uomo punta - nella reciprocità - verso il compimento di sé, verso quella completa maturazione che non dovremmo vergognarci -per paura della retorica - di chiamare con l'antico nome: felicità.

Nello spirito conviviale più profondo, predomina la capacità di perdonare: non c'è parola o gesto che non possa venir interpretato nella luce migliore, o possedere delle attenuamento, o aver la possibilità di un giudizio di appello. Infine, deve avere il suo pieno rilievo la puntigliosa, gelosa tutela della festa cristiana. La mensa allargata recupera, al suo cuore, la preghiera comunitaria; mai vendere le feste, soprattutto la Domenica, e la Pasqua in particolare; la gioia è, precisamente, il contenuto e il nucleo generatore della festa. Si tratta di riscoprire il senso profondo della festa in una società in cui si tende a far sempre festa, nel senso di una ricerca - spesso spasmodica ed affannosa - del piacere; la civiltà del fine settimana è una sfida per la domenica cristiana. La famiglia conviviale è testimone della gioia cristiana nel perdono reciproco, nell'accoglienza e nell'accettare le debolezze la vulnerabilità di ognuno. In una parola, riscoprire, attraverso la mente e le emozioni, il dono della gioia che si condivide e che è sempre scambio vicendevole: lo Spirito è in grado di trasformare il piacere dell'orgoglio, e anche la voglia di vendetta, in gioia del perdono, e in quello scambio di benevolenza che ci spinge a riabbracciarsi. (4 - segue)
 

Quinta parte

Per una famiglia ospitale

Mi pare, in definitiva, che si disegni una famiglia ospitale, estrovertita, disponibile al momento educativo, aperta alla partecipazione, e dunque anche alla dimensione politica, che, nell'essenziale, si configura - in un'ottica conviviale - piuttosto come comunicazione che come gestione del potere. Tale concezione della famiglia pare poter reintegrare, in un contesto sociale così mutato, i valori più profondi della cultura contadina; in essi brillava, con semplicità, il senso cristiano dell'ospitalità, intesa come condivisione di quel pane quotidiano che, a volte con poco altro, la Provvidenza consentiva di amministrare. Nella luce di tale prospettiva, l'ospite è uno sconosciuto carico di una forza arcana di novità, è un mistero che proviene, come un'epifania, da una storia diversa e sovrastante; dietro all'ospite, in particolare a quello più bisognoso, si profila il volto stesso di Cristo.

Spesso le figure più eminenti della tradizione religiosa hanno svolto le loro più decisive considerazioni seduti al desco: si ricordino i "discorsi a tavola" di Martin Lutero, attorno alla cui ospitalità si raccoglievano, si calcola, 25-30 ospiti alla volta; i modelli della convivialità - nella Scrittura - sono molteplici, e vanno dal "vitello più grasso" della parabola del figliol prodigo al "vino più buono" delle nozze di Cana, considerando l'eros glorificato del Cantico dei Cantici: un tale itinerario, davvero vertiginoso, insegna - alle famiglie che lo vogliono assimilare - che la coesistenza ha una fondamentale dimensione eucaristica, di rendimento di grazie.

Le tavole degli uomini e delle donne in carne e ossa, più o meno modeste, sono figura del banchetto eucaristico, e tale banchetto è, a sua volta, figura della felicità che non passa, contrappunto del "Sabato eterno". Gesù Cristo è il Dio della felicità, e non si dovrebbero dimenticare le acute osservazioni di Nietzsche circa Dioniso, inconsapevole prefigurazione di Cristo: ambedue sarebbero stati messi a morte per il risentimento covante negli uomini, impauriti da tanta felicità promessa. (5 - segue)
 

Sesta parte

Cenno conclusivo sulla sobrietà

A questo punto, Cristo e Dioniso si separano; il Vangelo fa intuire come ogni gioia sia necessariamente un con-gioire, e come ogni soddisfazione senza gli altri, o contro gli altri - come ad esempio nell'episodio riguardante "il ricco epulone" - sfoci in un'autentica dannazione. Per questa ragione la famiglia deve scegliere uno stile di sobrietà, e deve essere capace di educare all'autolimitazione; nella società dello spreco istituzionalizzato, dello spietato e dimentico "usa e getta", recuperare la distinzione necessaria tra bisogni autentici e desideri illimitati, e perciò sfrenati (si consideri la mentalità consumistica esasperata e la distruzione, a volte sistematica, di risorse noti riproducibili, in un mondo che rapidamente degrada, anche - ma non principalmente! - a causa di una crescita demografica esponenziale).

Occorre diffondere, e testimoniare, una mentalità protesa al controllo e alla canalizzazione del desiderio: c'è bisogno di un rinnovato spirito ascetico, il mondo sarà più giusto quando sarà più casto: capace cioè di un sano decentramento rispetto al condizionamento prepotente della soggettività personale. Ogni famiglia, cooperando a un tale cammino educativo, contribuisce al radicarsi di quell'autentica dimensione di pace che comincia proprio dal primo respiro delle nostre famiglie, da quel sorriso che testimonia che siamo di più di quelle circostanze che ci premono, che siamo di più anche di ciò che ci accade. Una tale dimensione, interiorizzata in ognuno e profondamente consaputa, inizia ad affermarsi, investendo, con onde graduali di propagazione, l'intera società in cui abitiamo, e quella cultura che ci nutre, e che noi, a nostra volta contribuiamo ad alimentare.

Igino Giordani lo ripeteva: "la pace comincia da noi", anzi, potremmo sottolineare, noi stessi dovremmo avere quel sapore persuasivo di pace che possa essere condiviso e gustato da chi incontriamo: responsabilità di ogni persona etica, ma anche dono grazioso di quel Dio "nel quale sono tutte le nostre sorgenti", e che ci ha costituito per quel convito che non tramonta. (6 - fine)

Giuseppe Goisis

Giuseppe Goisis

Docente di Filosofia della politica - Università di Venezia

da "Famiglia domani" 1/2000

Sesta parte

Cenno conclusivo sulla sobrietà

A questo punto, Cristo e Dioniso si separano; il Vangelo fa intuire come ogni gioia sia necessariamente un con-gioire, e come ogni soddisfazione senza gli altri, o contro gli altri - come ad esempio nell'episodio riguardante "il ricco epulone" - sfoci in un'autentica dannazione. Per questa ragione la famiglia deve scegliere uno stile di sobrietà, e deve essere capace di educare all'autolimitazione; nella società dello spreco istituzionalizzato, dello spietato e dimentico "usa e getta", recuperare la distinzione necessaria tra bisogni autentici e desideri illimitati, e perciò sfrenati (si consideri la mentalità consumistica esasperata e la distruzione, a volte sistematica, di risorse noti riproducibili, in un mondo che rapidamente degrada, anche - ma non principalmente! - a causa di una crescita demografica esponenziale).

Occorre diffondere, e testimoniare, una mentalità protesa al controllo e alla canalizzazione del desiderio: c'è bisogno di un rinnovato spirito ascetico, il mondo sarà più giusto quando sarà più casto: capace cioè di un sano decentramento rispetto al condizionamento prepotente della soggettività personale. Ogni famiglia, cooperando a un tale cammino educativo, contribuisce al radicarsi di quell'autentica dimensione di pace che comincia proprio dal primo respiro delle nostre famiglie, da quel sorriso che testimonia che siamo di più di quelle circostanze che ci premono, che siamo di più anche di ciò che ci accade. Una tale dimensione, interiorizzata in ognuno e profondamente consaputa, inizia ad affermarsi, investendo, con onde graduali di propagazione, l'intera società in cui abitiamo, e quella cultura che ci nutre, e che noi, a nostra volta contribuiamo ad alimentare.

Igino Giordani lo ripeteva: "la pace comincia da noi", anzi, potremmo sottolineare, noi stessi dovremmo avere quel sapore persuasivo di pace che possa essere condiviso e gustato da chi incontriamo: responsabilità di ogni persona etica, ma anche dono grazioso di quel Dio "nel quale sono tutte le nostre sorgenti", e che ci ha costituito per quel convito che non tramonta. (6 - fine)

Giuseppe Goisis

Giuseppe Goisis

Docente di Filosofia della politica - Università di Venezia

da "Famiglia domani" 1/2000

Quinta parte

Per una famiglia ospitale

Mi pare, in definitiva, che si disegni una famiglia ospitale, estrovertita, disponibile al momento educativo, aperta alla partecipazione, e dunque anche alla dimensione politica, che, nell'essenziale, si configura - in un'ottica conviviale - piuttosto come comunicazione che come gestione del potere. Tale concezione della famiglia pare poter reintegrare, in un contesto sociale così mutato, i valori più profondi della cultura contadina; in essi brillava, con semplicità, il senso cristiano dell'ospitalità, intesa come condivisione di quel pane quotidiano che, a volte con poco altro, la Provvidenza consentiva di amministrare. Nella luce di tale prospettiva, l'ospite è uno sconosciuto carico di una forza arcana di novità, è un mistero che proviene, come un'epifania, da una storia diversa e sovrastante; dietro all'ospite, in particolare a quello più bisognoso, si profila il volto stesso di Cristo.

Spesso le figure più eminenti della tradizione religiosa hanno svolto le loro più decisive considerazioni seduti al desco: si ricordino i "discorsi a tavola" di Martin Lutero, attorno alla cui ospitalità si raccoglievano, si calcola, 25-30 ospiti alla volta; i modelli della convivialità - nella Scrittura - sono molteplici, e vanno dal "vitello più grasso" della parabola del figliol prodigo al "vino più buono" delle nozze di Cana, considerando l'eros glorificato del Cantico dei Cantici: un tale itinerario, davvero vertiginoso, insegna - alle famiglie che lo vogliono assimilare - che la coesistenza ha una fondamentale dimensione eucaristica, di rendimento di grazie.

Le tavole degli uomini e delle donne in carne e ossa, più o meno modeste, sono figura del banchetto eucaristico, e tale banchetto è, a sua volta, figura della felicità che non passa, contrappunto del "Sabato eterno". Gesù Cristo è il Dio della felicità, e non si dovrebbero dimenticare le acute osservazioni di Nietzsche circa Dioniso, inconsapevole prefigurazione di Cristo: ambedue sarebbero stati messi a morte per il risentimento covante negli uomini, impauriti da tanta felicità promessa. (5 - segue)
 

Sesta parte

Cenno conclusivo sulla sobrietà

A questo punto, Cristo e Dioniso si separano; il Vangelo fa intuire come ogni gioia sia necessariamente un con-gioire, e come ogni soddisfazione senza gli altri, o contro gli altri - come ad esempio nell'episodio riguardante "il ricco epulone" - sfoci in un'autentica dannazione. Per questa ragione la famiglia deve scegliere uno stile di sobrietà, e deve essere capace di educare all'autolimitazione; nella società dello spreco istituzionalizzato, dello spietato e dimentico "usa e getta", recuperare la distinzione necessaria tra bisogni autentici e desideri illimitati, e perciò sfrenati (si consideri la mentalità consumistica esasperata e la distruzione, a volte sistematica, di risorse noti riproducibili, in un mondo che rapidamente degrada, anche - ma non principalmente! - a causa di una crescita demografica esponenziale).

Occorre diffondere, e testimoniare, una mentalità protesa al controllo e alla canalizzazione del desiderio: c'è bisogno di un rinnovato spirito ascetico, il mondo sarà più giusto quando sarà più casto: capace cioè di un sano decentramento rispetto al condizionamento prepotente della soggettività personale. Ogni famiglia, cooperando a un tale cammino educativo, contribuisce al radicarsi di quell'autentica dimensione di pace che comincia proprio dal primo respiro delle nostre famiglie, da quel sorriso che testimonia che siamo di più di quelle circostanze che ci premono, che siamo di più anche di ciò che ci accade. Una tale dimensione, interiorizzata in ognuno e profondamente consaputa, inizia ad affermarsi, investendo, con onde graduali di propagazione, l'intera società in cui abitiamo, e quella cultura che ci nutre, e che noi, a nostra volta contribuiamo ad alimentare.

Igino Giordani lo ripeteva: "la pace comincia da noi", anzi, potremmo sottolineare, noi stessi dovremmo avere quel sapore persuasivo di pace che possa essere condiviso e gustato da chi incontriamo: responsabilità di ogni persona etica, ma anche dono grazioso di quel Dio "nel quale sono tutte le nostre sorgenti", e che ci ha costituito per quel convito che non tramonta. (6 - fine)

Giuseppe Goisis

Giuseppe Goisis

Docente di Filosofia della politica - Università di Venezia

da "Famiglia domani" 1/2000

Sesta parte

Cenno conclusivo sulla sobrietà

A questo punto, Cristo e Dioniso si separano; il Vangelo fa intuire come ogni gioia sia necessariamente un con-gioire, e come ogni soddisfazione senza gli altri, o contro gli altri - come ad esempio nell'episodio riguardante "il ricco epulone" - sfoci in un'autentica dannazione. Per questa ragione la famiglia deve scegliere uno stile di sobrietà, e deve essere capace di educare all'autolimitazione; nella società dello spreco istituzionalizzato, dello spietato e dimentico "usa e getta", recuperare la distinzione necessaria tra bisogni autentici e desideri illimitati, e perciò sfrenati (si consideri la mentalità consumistica esasperata e la distruzione, a volte sistematica, di risorse noti riproducibili, in un mondo che rapidamente degrada, anche - ma non principalmente! - a causa di una crescita demografica esponenziale).

Occorre diffondere, e testimoniare, una mentalità protesa al controllo e alla canalizzazione del desiderio: c'è bisogno di un rinnovato spirito ascetico, il mondo sarà più giusto quando sarà più casto: capace cioè di un sano decentramento rispetto al condizionamento prepotente della soggettività personale. Ogni famiglia, cooperando a un tale cammino educativo, contribuisce al radicarsi di quell'autentica dimensione di pace che comincia proprio dal primo respiro delle nostre famiglie, da quel sorriso che testimonia che siamo di più di quelle circostanze che ci premono, che siamo di più anche di ciò che ci accade. Una tale dimensione, interiorizzata in ognuno e profondamente consaputa, inizia ad affermarsi, investendo, con onde graduali di propagazione, l'intera società in cui abitiamo, e quella cultura che ci nutre, e che noi, a nostra volta contribuiamo ad alimentare.

Igino Giordani lo ripeteva: "la pace comincia da noi", anzi, potremmo sottolineare, noi stessi dovremmo avere quel sapore persuasivo di pace che possa essere condiviso e gustato da chi incontriamo: responsabilità di ogni persona etica, ma anche dono grazioso di quel Dio "nel quale sono tutte le nostre sorgenti", e che ci ha costituito per quel convito che non tramonta. (6 - fine)

Giuseppe Goisis

Giuseppe Goisis

Docente di Filosofia della politica - Università di Venezia

da "Famiglia domani" 1/2000

Quarta parte

Dalla noia alla gioia

La tonalità affettiva dominante nella famiglia conviviale: la ricerca in comune, piena di speranza, della sana realizzazione di ogni partecipante, in un clima di gioia, ravvivato dal profondo convincimento di essere, una volta per tutte, passati dalla rete del peccato, alla gran rete del Signore, Dio di misericordia. Tutto ciò spinge a confidare nelle novità, in ciò che è imprevisto e inedito; il tempo che scorre, a volte con una celerità che ci sorprende, aggiunge aspetti essenziali alla nostra vita, la dilata, conferisce a essa risvolti di profondità, che una coscienza cristiana attenta può gustare, assaporare ogni giorno. A questa dimensione della gioia siamo divenuti tutti troppo disattenti: lo scriveva Luigi Accattoli: si è troppo soddisfatti di una famiglia cristiana che dia garanzie, che manifesti una fedeltà da dovere, grave e seria, e molto meno apprezziamo quei lampi di gioia, o perlomeno di ilarità, che potrebbero essere il contrassegno di un'esistenza cristiana che scorre in profondità. Ci sia più spazio, nella vita di famiglia, per l'umorismo, per quel riso che riapre, come per miracolo, il gran ciclo delta vita; nel riso, si manifesta una qualche nostra risurrezione quotidiana, e si celebra la misericordia del Padre e la grandezza della libertà dell'uomo che, comunque, sovrasta i più minuti eventi quotidiani, solo apparentemente cieca e meccanica necessità. La gioia ci ricorda che il cammino di ogni uomo punta - nella reciprocità - verso il compimento di sé, verso quella completa maturazione che non dovremmo vergognarci -per paura della retorica - di chiamare con l'antico nome: felicità.

Nello spirito conviviale più profondo, predomina la capacità di perdonare: non c'è parola o gesto che non possa venir interpretato nella luce migliore, o possedere delle attenuamento, o aver la possibilità di un giudizio di appello. Infine, deve avere il suo pieno rilievo la puntigliosa, gelosa tutela della festa cristiana. La mensa allargata recupera, al suo cuore, la preghiera comunitaria; mai vendere le feste, soprattutto la Domenica, e la Pasqua in particolare; la gioia è, precisamente, il contenuto e il nucleo generatore della festa. Si tratta di riscoprire il senso profondo della festa in una società in cui si tende a far sempre festa, nel senso di una ricerca - spesso spasmodica ed affannosa - del piacere; la civiltà del fine settimana è una sfida per la domenica cristiana. La famiglia conviviale è testimone della gioia cristiana nel perdono reciproco, nell'accoglienza e nell'accettare le debolezze la vulnerabilità di ognuno. In una parola, riscoprire, attraverso la mente e le emozioni, il dono della gioia che si condivide e che è sempre scambio vicendevole: lo Spirito è in grado di trasformare il piacere dell'orgoglio, e anche la voglia di vendetta, in gioia del perdono, e in quello scambio di benevolenza che ci spinge a riabbracciarsi. (4 - segue)
 

Quinta parte

Per una famiglia ospitale

Mi pare, in definitiva, che si disegni una famiglia ospitale, estrovertita, disponibile al momento educativo, aperta alla partecipazione, e dunque anche alla dimensione politica, che, nell'essenziale, si configura - in un'ottica conviviale - piuttosto come comunicazione che come gestione del potere. Tale concezione della famiglia pare poter reintegrare, in un contesto sociale così mutato, i valori più profondi della cultura contadina; in essi brillava, con semplicità, il senso cristiano dell'ospitalità, intesa come condivisione di quel pane quotidiano che, a volte con poco altro, la Provvidenza consentiva di amministrare. Nella luce di tale prospettiva, l'ospite è uno sconosciuto carico di una forza arcana di novità, è un mistero che proviene, come un'epifania, da una storia diversa e sovrastante; dietro all'ospite, in particolare a quello più bisognoso, si profila il volto stesso di Cristo.

Spesso le figure più eminenti della tradizione religiosa hanno svolto le loro più decisive considerazioni seduti al desco: si ricordino i "discorsi a tavola" di Martin Lutero, attorno alla cui ospitalità si raccoglievano, si calcola, 25-30 ospiti alla volta; i modelli della convivialità - nella Scrittura - sono molteplici, e vanno dal "vitello più grasso" della parabola del figliol prodigo al "vino più buono" delle nozze di Cana, considerando l'eros glorificato del Cantico dei Cantici: un tale itinerario, davvero vertiginoso, insegna - alle famiglie che lo vogliono assimilare - che la coesistenza ha una fondamentale dimensione eucaristica, di rendimento di grazie.

Le tavole degli uomini e delle donne in carne e ossa, più o meno modeste, sono figura del banchetto eucaristico, e tale banchetto è, a sua volta, figura della felicità che non passa, contrappunto del "Sabato eterno". Gesù Cristo è il Dio della felicità, e non si dovrebbero dimenticare le acute osservazioni di Nietzsche circa Dioniso, inconsapevole prefigurazione di Cristo: ambedue sarebbero stati messi a morte per il risentimento covante negli uomini, impauriti da tanta felicità promessa. (5 - segue)
 

Sesta parte

Cenno conclusivo sulla sobrietà

A questo punto, Cristo e Dioniso si separano; il Vangelo fa intuire come ogni gioia sia necessariamente un con-gioire, e come ogni soddisfazione senza gli altri, o contro gli altri - come ad esempio nell'episodio riguardante "il ricco epulone" - sfoci in un'autentica dannazione. Per questa ragione la famiglia deve scegliere uno stile di sobrietà, e deve essere capace di educare all'autolimitazione; nella società dello spreco istituzionalizzato, dello spietato e dimentico "usa e getta", recuperare la distinzione necessaria tra bisogni autentici e desideri illimitati, e perciò sfrenati (si consideri la mentalità consumistica esasperata e la distruzione, a volte sistematica, di risorse noti riproducibili, in un mondo che rapidamente degrada, anche - ma non principalmente! - a causa di una crescita demografica esponenziale).

Occorre diffondere, e testimoniare, una mentalità protesa al controllo e alla canalizzazione del desiderio: c'è bisogno di un rinnovato spirito ascetico, il mondo sarà più giusto quando sarà più casto: capace cioè di un sano decentramento rispetto al condizionamento prepotente della soggettività personale. Ogni famiglia, cooperando a un tale cammino educativo, contribuisce al radicarsi di quell'autentica dimensione di pace che comincia proprio dal primo respiro delle nostre famiglie, da quel sorriso che testimonia che siamo di più di quelle circostanze che ci premono, che siamo di più anche di ciò che ci accade. Una tale dimensione, interiorizzata in ognuno e profondamente consaputa, inizia ad affermarsi, investendo, con onde graduali di propagazione, l'intera società in cui abitiamo, e quella cultura che ci nutre, e che noi, a nostra volta contribuiamo ad alimentare.

Igino Giordani lo ripeteva: "la pace comincia da noi", anzi, potremmo sottolineare, noi stessi dovremmo avere quel sapore persuasivo di pace che possa essere condiviso e gustato da chi incontriamo: responsabilità di ogni persona etica, ma anche dono grazioso di quel Dio "nel quale sono tutte le nostre sorgenti", e che ci ha costituito per quel convito che non tramonta. (6 - fine)

Giuseppe Goisis

Giuseppe Goisis

Docente di Filosofia della politica - Università di Venezia

da "Famiglia domani" 1/2000

Sesta parte

Cenno conclusivo sulla sobrietà

A questo punto, Cristo e Dioniso si separano; il Vangelo fa intuire come ogni gioia sia necessariamente un con-gioire, e come ogni soddisfazione senza gli altri, o contro gli altri - come ad esempio nell'episodio riguardante "il ricco epulone" - sfoci in un'autentica dannazione. Per questa ragione la famiglia deve scegliere uno stile di sobrietà, e deve essere capace di educare all'autolimitazione; nella società dello spreco istituzionalizzato, dello spietato e dimentico "usa e getta", recuperare la distinzione necessaria tra bisogni autentici e desideri illimitati, e perciò sfrenati (si consideri la mentalità consumistica esasperata e la distruzione, a volte sistematica, di risorse noti riproducibili, in un mondo che rapidamente degrada, anche - ma non principalmente! - a causa di una crescita demografica esponenziale).

Occorre diffondere, e testimoniare, una mentalità protesa al controllo e alla canalizzazione del desiderio: c'è bisogno di un rinnovato spirito ascetico, il mondo sarà più giusto quando sarà più casto: capace cioè di un sano decentramento rispetto al condizionamento prepotente della soggettività personale. Ogni famiglia, cooperando a un tale cammino educativo, contribuisce al radicarsi di quell'autentica dimensione di pace che comincia proprio dal primo respiro delle nostre famiglie, da quel sorriso che testimonia che siamo di più di quelle circostanze che ci premono, che siamo di più anche di ciò che ci accade. Una tale dimensione, interiorizzata in ognuno e profondamente consaputa, inizia ad affermarsi, investendo, con onde graduali di propagazione, l'intera società in cui abitiamo, e quella cultura che ci nutre, e che noi, a nostra volta contribuiamo ad alimentare.

Igino Giordani lo ripeteva: "la pace comincia da noi", anzi, potremmo sottolineare, noi stessi dovremmo avere quel sapore persuasivo di pace che possa essere condiviso e gustato da chi incontriamo: responsabilità di ogni persona etica, ma anche dono grazioso di quel Dio "nel quale sono tutte le nostre sorgenti", e che ci ha costituito per quel convito che non tramonta. (6 - fine)

Giuseppe Goisis

Giuseppe Goisis

Docente di Filosofia della politica - Università di Venezia

da "Famiglia domani" 1/2000

Quinta parte

Per una famiglia ospitale

Mi pare, in definitiva, che si disegni una famiglia ospitale, estrovertita, disponibile al momento educativo, aperta alla partecipazione, e dunque anche alla dimensione politica, che, nell'essenziale, si configura - in un'ottica conviviale - piuttosto come comunicazione che come gestione del potere. Tale concezione della famiglia pare poter reintegrare, in un contesto sociale così mutato, i valori più profondi della cultura contadina; in essi brillava, con semplicità, il senso cristiano dell'ospitalità, intesa come condivisione di quel pane quotidiano che, a volte con poco altro, la Provvidenza consentiva di amministrare. Nella luce di tale prospettiva, l'ospite è uno sconosciuto carico di una forza arcana di novità, è un mistero che proviene, come un'epifania, da una storia diversa e sovrastante; dietro all'ospite, in particolare a quello più bisognoso, si profila il volto stesso di Cristo.

Spesso le figure più eminenti della tradizione religiosa hanno svolto le loro più decisive considerazioni seduti al desco: si ricordino i "discorsi a tavola" di Martin Lutero, attorno alla cui ospitalità si raccoglievano, si calcola, 25-30 ospiti alla volta; i modelli della convivialità - nella Scrittura - sono molteplici, e vanno dal "vitello più grasso" della parabola del figliol prodigo al "vino più buono" delle nozze di Cana, considerando l'eros glorificato del Cantico dei Cantici: un tale itinerario, davvero vertiginoso, insegna - alle famiglie che lo vogliono assimilare - che la coesistenza ha una fondamentale dimensione eucaristica, di rendimento di grazie.

Le tavole degli uomini e delle donne in carne e ossa, più o meno modeste, sono figura del banchetto eucaristico, e tale banchetto è, a sua volta, figura della felicità che non passa, contrappunto del "Sabato eterno". Gesù Cristo è il Dio della felicità, e non si dovrebbero dimenticare le acute osservazioni di Nietzsche circa Dioniso, inconsapevole prefigurazione di Cristo: ambedue sarebbero stati messi a morte per il risentimento covante negli uomini, impauriti da tanta felicità promessa. (5 - segue)
 

Sesta parte

Cenno conclusivo sulla sobrietà

A questo punto, Cristo e Dioniso si separano; il Vangelo fa intuire come ogni gioia sia necessariamente un con-gioire, e come ogni soddisfazione senza gli altri, o contro gli altri - come ad esempio nell'episodio riguardante "il ricco epulone" - sfoci in un'autentica dannazione. Per questa ragione la famiglia deve scegliere uno stile di sobrietà, e deve essere capace di educare all'autolimitazione; nella società dello spreco istituzionalizzato, dello spietato e dimentico "usa e getta", recuperare la distinzione necessaria tra bisogni autentici e desideri illimitati, e perciò sfrenati (si consideri la mentalità consumistica esasperata e la distruzione, a volte sistematica, di risorse noti riproducibili, in un mondo che rapidamente degrada, anche - ma non principalmente! - a causa di una crescita demografica esponenziale).

Occorre diffondere, e testimoniare, una mentalità protesa al controllo e alla canalizzazione del desiderio: c'è bisogno di un rinnovato spirito ascetico, il mondo sarà più giusto quando sarà più casto: capace cioè di un sano decentramento rispetto al condizionamento prepotente della soggettività personale. Ogni famiglia, cooperando a un tale cammino educativo, contribuisce al radicarsi di quell'autentica dimensione di pace che comincia proprio dal primo respiro delle nostre famiglie, da quel sorriso che testimonia che siamo di più di quelle circostanze che ci premono, che siamo di più anche di ciò che ci accade. Una tale dimensione, interiorizzata in ognuno e profondamente consaputa, inizia ad affermarsi, investendo, con onde graduali di propagazione, l'intera società in cui abitiamo, e quella cultura che ci nutre, e che noi, a nostra volta contribuiamo ad alimentare.

Igino Giordani lo ripeteva: "la pace comincia da noi", anzi, potremmo sottolineare, noi stessi dovremmo avere quel sapore persuasivo di pace che possa essere condiviso e gustato da chi incontriamo: responsabilità di ogni persona etica, ma anche dono grazioso di quel Dio "nel quale sono tutte le nostre sorgenti", e che ci ha costituito per quel convito che non tramonta. (6 - fine)

Giuseppe Goisis

Giuseppe Goisis

Docente di Filosofia della politica - Università di Venezia

da "Famiglia domani" 1/2000

Sesta parte

Cenno conclusivo sulla sobrietà

A questo punto, Cristo e Dioniso si separano; il Vangelo fa intuire come ogni gioia sia necessariamente un con-gioire, e come ogni soddisfazione senza gli altri, o contro gli altri - come ad esempio nell'episodio riguardante "il ricco epulone" - sfoci in un'autentica dannazione. Per questa ragione la famiglia deve scegliere uno stile di sobrietà, e deve essere capace di educare all'autolimitazione; nella società dello spreco istituzionalizzato, dello spietato e dimentico "usa e getta", recuperare la distinzione necessaria tra bisogni autentici e desideri illimitati, e perciò sfrenati (si consideri la mentalità consumistica esasperata e la distruzione, a volte sistematica, di risorse noti riproducibili, in un mondo che rapidamente degrada, anche - ma non principalmente! - a causa di una crescita demografica esponenziale).

Occorre diffondere, e testimoniare, una mentalità protesa al controllo e alla canalizzazione del desiderio: c'è bisogno di un rinnovato spirito ascetico, il mondo sarà più giusto quando sarà più casto: capace cioè di un sano decentramento rispetto al condizionamento prepotente della soggettività personale. Ogni famiglia, cooperando a un tale cammino educativo, contribuisce al radicarsi di quell'autentica dimensione di pace che comincia proprio dal primo respiro delle nostre famiglie, da quel sorriso che testimonia che siamo di più di quelle circostanze che ci premono, che siamo di più anche di ciò che ci accade. Una tale dimensione, interiorizzata in ognuno e profondamente consaputa, inizia ad affermarsi, investendo, con onde graduali di propagazione, l'intera società in cui abitiamo, e quella cultura che ci nutre, e che noi, a nostra volta contribuiamo ad alimentare.

Igino Giordani lo ripeteva: "la pace comincia da noi", anzi, potremmo sottolineare, noi stessi dovremmo avere quel sapore persuasivo di pace che possa essere condiviso e gustato da chi incontriamo: responsabilità di ogni persona etica, ma anche dono grazioso di quel Dio "nel quale sono tutte le nostre sorgenti", e che ci ha costituito per quel convito che non tramonta. (6 - fine)

Giuseppe Goisis

Giuseppe Goisis

Docente di Filosofia della politica - Università di Venezia

da "Famiglia domani" 1/2000

Terza parte

Lasciarsi condurre dallo Spirito

La famiglia, in una prospettiva conviviale e personalista, non è un'istituzione come le altre; non è una società fondata su mutui diritti, come una certa tradizione stancamente ripete, e non è neppure fondata sul produrre e sull'avere (famiglia come impresa e famiglia come salvadanaio). Il mero interesse è un vincolo troppo debole, e il salvadanaio, quando non serve più, si rompe brutalmente: ma le persone sono corpo di carne, e sanguinano anche negli affetti e nelle emozioni. Noti nego che in qualche tempo, in qualche luogo (per esempio, nel mio Veneto) si siano sovrapposti sulla famiglia i valori aggiunti del lavoro e del guadagno, che la compattezza del nucleo familiare pare garantire al meglio; ma tutto il problema consiste nel capire se queste dimensioni, per quanto importanti, sono sopraggiunte a irrobustire un nocciolo che ha ben altra origine e legittimazione... In una parola, penso che la scaturigine della famiglia stia nelle dimensioni dell'essere e dell'amore; nella prospettiva che tali radici indicano, all'assimilazione forzata si sostituiscono cammini d'integrazione armonica, con la solidarietà e l'attenzione assidua - anche se spesso silenziosa - verso i membri più deboli, avvertiti immediatamente con quel cuore più grande, con quella dilatazione del cuore che lo Spirito stesso fa palpitare in noi. È Lui che ci guida verso l'autentica libertà dei figli, che fa germogliare la vita e la fa crescere, che ogni giorno le conferisce nuovamente significato, facendola circolare nelle nostre "ossa inaridite".

Lasciarsi condurre, dalla forza dello Spirito, nella nostra vita familiare di ogni giorno: quello Spirito che fa intuire connessioni tra ogni verità anche distante e remota, e che fa avvertire ogni piccolo germoglio di errore. Lo Spirito aiuta a scoprire la dinamica dell'amore autentico, e dell'apertura volta a far crescere la persona, e non a portare a esasperazione le sue inquietudini. Lo Spirito Santo è il principio interiore e la forza permanente, la meta ultima della famiglia, che consente di sperimentare il valore della gratuità; come gratuitamente abbiamo ricevuto, così gratuitamente dobbiamo donare. Infine, lo Spirito illumina, come un vero maestro interiore, il significato profondo degli avvenimenti, e spinge le nostre famiglie a diventare compartecipi e testimoni nel mondo contemporaneo, nel servizio e nel rispetto dell'altro uomo. (3 - segue)
 

Quarta parte

Dalla noia alla gioia

La tonalità affettiva dominante nella famiglia conviviale: la ricerca in comune, piena di speranza, della sana realizzazione di ogni partecipante, in un clima di gioia, ravvivato dal profondo convincimento di essere, una volta per tutte, passati dalla rete del peccato, alla gran rete del Signore, Dio di misericordia. Tutto ciò spinge a confidare nelle novità, in ciò che è imprevisto e inedito; il tempo che scorre, a volte con una celerità che ci sorprende, aggiunge aspetti essenziali alla nostra vita, la dilata, conferisce a essa risvolti di profondità, che una coscienza cristiana attenta può gustare, assaporare ogni giorno. A questa dimensione della gioia siamo divenuti tutti troppo disattenti: lo scriveva Luigi Accattoli: si è troppo soddisfatti di una famiglia cristiana che dia garanzie, che manifesti una fedeltà da dovere, grave e seria, e molto meno apprezziamo quei lampi di gioia, o perlomeno di ilarità, che potrebbero essere il contrassegno di un'esistenza cristiana che scorre in profondità. Ci sia più spazio, nella vita di famiglia, per l'umorismo, per quel riso che riapre, come per miracolo, il gran ciclo delta vita; nel riso, si manifesta una qualche nostra risurrezione quotidiana, e si celebra la misericordia del Padre e la grandezza della libertà dell'uomo che, comunque, sovrasta i più minuti eventi quotidiani, solo apparentemente cieca e meccanica necessità. La gioia ci ricorda che il cammino di ogni uomo punta - nella reciprocità - verso il compimento di sé, verso quella completa maturazione che non dovremmo vergognarci -per paura della retorica - di chiamare con l'antico nome: felicità.

Nello spirito conviviale più profondo, predomina la capacità di perdonare: non c'è parola o gesto che non possa venir interpretato nella luce migliore, o possedere delle attenuamento, o aver la possibilità di un giudizio di appello. Infine, deve avere il suo pieno rilievo la puntigliosa, gelosa tutela della festa cristiana. La mensa allargata recupera, al suo cuore, la preghiera comunitaria; mai vendere le feste, soprattutto la Domenica, e la Pasqua in particolare; la gioia è, precisamente, il contenuto e il nucleo generatore della festa. Si tratta di riscoprire il senso profondo della festa in una società in cui si tende a far sempre festa, nel senso di una ricerca - spesso spasmodica ed affannosa - del piacere; la civiltà del fine settimana è una sfida per la domenica cristiana. La famiglia conviviale è testimone della gioia cristiana nel perdono reciproco, nell'accoglienza e nell'accettare le debolezze la vulnerabilità di ognuno. In una parola, riscoprire, attraverso la mente e le emozioni, il dono della gioia che si condivide e che è sempre scambio vicendevole: lo Spirito è in grado di trasformare il piacere dell'orgoglio, e anche la voglia di vendetta, in gioia del perdono, e in quello scambio di benevolenza che ci spinge a riabbracciarsi. (4 - segue)
 

Quinta parte

Per una famiglia ospitale

Mi pare, in definitiva, che si disegni una famiglia ospitale, estrovertita, disponibile al momento educativo, aperta alla partecipazione, e dunque anche alla dimensione politica, che, nell'essenziale, si configura - in un'ottica conviviale - piuttosto come comunicazione che come gestione del potere. Tale concezione della famiglia pare poter reintegrare, in un contesto sociale così mutato, i valori più profondi della cultura contadina; in essi brillava, con semplicità, il senso cristiano dell'ospitalità, intesa come condivisione di quel pane quotidiano che, a volte con poco altro, la Provvidenza consentiva di amministrare. Nella luce di tale prospettiva, l'ospite è uno sconosciuto carico di una forza arcana di novità, è un mistero che proviene, come un'epifania, da una storia diversa e sovrastante; dietro all'ospite, in particolare a quello più bisognoso, si profila il volto stesso di Cristo.

Spesso le figure più eminenti della tradizione religiosa hanno svolto le loro più decisive considerazioni seduti al desco: si ricordino i "discorsi a tavola" di Martin Lutero, attorno alla cui ospitalità si raccoglievano, si calcola, 25-30 ospiti alla volta; i modelli della convivialità - nella Scrittura - sono molteplici, e vanno dal "vitello più grasso" della parabola del figliol prodigo al "vino più buono" delle nozze di Cana, considerando l'eros glorificato del Cantico dei Cantici: un tale itinerario, davvero vertiginoso, insegna - alle famiglie che lo vogliono assimilare - che la coesistenza ha una fondamentale dimensione eucaristica, di rendimento di grazie.

Le tavole degli uomini e delle donne in carne e ossa, più o meno modeste, sono figura del banchetto eucaristico, e tale banchetto è, a sua volta, figura della felicità che non passa, contrappunto del "Sabato eterno". Gesù Cristo è il Dio della felicità, e non si dovrebbero dimenticare le acute osservazioni di Nietzsche circa Dioniso, inconsapevole prefigurazione di Cristo: ambedue sarebbero stati messi a morte per il risentimento covante negli uomini, impauriti da tanta felicità promessa. (5 - segue)
 

Sesta parte

Cenno conclusivo sulla sobrietà

A questo punto, Cristo e Dioniso si separano; il Vangelo fa intuire come ogni gioia sia necessariamente un con-gioire, e come ogni soddisfazione senza gli altri, o contro gli altri - come ad esempio nell'episodio riguardante "il ricco epulone" - sfoci in un'autentica dannazione. Per questa ragione la famiglia deve scegliere uno stile di sobrietà, e deve essere capace di educare all'autolimitazione; nella società dello spreco istituzionalizzato, dello spietato e dimentico "usa e getta", recuperare la distinzione necessaria tra bisogni autentici e desideri illimitati, e perciò sfrenati (si consideri la mentalità consumistica esasperata e la distruzione, a volte sistematica, di risorse noti riproducibili, in un mondo che rapidamente degrada, anche - ma non principalmente! - a causa di una crescita demografica esponenziale).

Occorre diffondere, e testimoniare, una mentalità protesa al controllo e alla canalizzazione del desiderio: c'è bisogno di un rinnovato spirito ascetico, il mondo sarà più giusto quando sarà più casto: capace cioè di un sano decentramento rispetto al condizionamento prepotente della soggettività personale. Ogni famiglia, cooperando a un tale cammino educativo, contribuisce al radicarsi di quell'autentica dimensione di pace che comincia proprio dal primo respiro delle nostre famiglie, da quel sorriso che testimonia che siamo di più di quelle circostanze che ci premono, che siamo di più anche di ciò che ci accade. Una tale dimensione, interiorizzata in ognuno e profondamente consaputa, inizia ad affermarsi, investendo, con onde graduali di propagazione, l'intera società in cui abitiamo, e quella cultura che ci nutre, e che noi, a nostra volta contribuiamo ad alimentare.

Igino Giordani lo ripeteva: "la pace comincia da noi", anzi, potremmo sottolineare, noi stessi dovremmo avere quel sapore persuasivo di pace che possa essere condiviso e gustato da chi incontriamo: responsabilità di ogni persona etica, ma anche dono grazioso di quel Dio "nel quale sono tutte le nostre sorgenti", e che ci ha costituito per quel convito che non tramonta. (6 - fine)

Giuseppe Goisis

Giuseppe Goisis

Docente di Filosofia della politica - Università di Venezia

da "Famiglia domani" 1/2000

Sesta parte

Cenno conclusivo sulla sobrietà

A questo punto, Cristo e Dioniso si separano; il Vangelo fa intuire come ogni gioia sia necessariamente un con-gioire, e come ogni soddisfazione senza gli altri, o contro gli altri - come ad esempio nell'episodio riguardante "il ricco epulone" - sfoci in un'autentica dannazione. Per questa ragione la famiglia deve scegliere uno stile di sobrietà, e deve essere capace di educare all'autolimitazione; nella società dello spreco istituzionalizzato, dello spietato e dimentico "usa e getta", recuperare la distinzione necessaria tra bisogni autentici e desideri illimitati, e perciò sfrenati (si consideri la mentalità consumistica esasperata e la distruzione, a volte sistematica, di risorse noti riproducibili, in un mondo che rapidamente degrada, anche - ma non principalmente! - a causa di una crescita demografica esponenziale).

Occorre diffondere, e testimoniare, una mentalità protesa al controllo e alla canalizzazione del desiderio: c'è bisogno di un r

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