Dire Dio oggi
· Cifra caratteristica del mondo occidentale è la presenza di una negazione spesso esplicita di Dio · Questo fa sì che lo sviluppo della civiltà occidentale rivesta dimensioni tipicamente idolatriche · Ma Dio non può essere fatto oggetto di possesso, sotto qualsivoglia forma, per cui fondamentale appare la ricomposizione di un orizzonte di senso.
Nel nostro mondo occidentale riscontriamo la presenza di una negazione esplicita e riflessa di Dio. Potremmo dire, militante. Questa negazione ebbe la sua manifestazione più vistosa nei sistemi di ateismo ufficialmente organizzato all'interno di certi paesi, manifestazione che a sua volta derivava da una corrente minoritaria, ma influente, nel mondo occidentale, la quale ritenne suo punto di onore morale escludere Dio dagli sviluppi futuri dell'umanità. Si tratta di un prodotto tipico della civiltà occidentale: al di fuori di essa nessun'altra culture espresse una concezione del genere. Forse non è senza senso chiedersi come si poté verificare tutto ciò.
ALCUNE POSSIBILI RISPOSTE
La risposta stereotipa, che convince solo in parte, sarebbe che la causa risiede nel cattivo comportamento dei cristiani o, se si vuole, nello scandalo delle chiese cristiane col loro concreto sviluppo storico, per la eccessiva invadenza nella realtà mondana, al punto da ingenerare una radicale rivolta della coscienza civile, che avrebbe poi assunto caratteri irreligiosi e atei. Questa risposta è senz'altro fondata su dati storici evidenti, ma è incompleta e non pienamente soddisfacente. Mi pare più vicino al vero chi sostiene che l'ateismo militante sorse a prescindere, o almeno non soprattutto a partire, da pesanti responsabilità della tradizione cristiana. Essa trasse e trae origine piuttosto da certi orientamenti intrinseci della civiltà occidentale, per alcuni versi incompatibili con la fede cristiana e con le esigenze religiose in generale. A questi orientamenti la religione apparve inutile o addirittura ingombrante perché fu ritenuta non funzionale allo sviluppo della civiltà. Conseguentemente, conveniva farne a meno. Era intrinseco ad un certo modo di concepire il grande slancio ideologico, tecnologico e sociale degli ultimi tre secoli un disegno di onnipotenza, di autosufficienza tale che sarebbe entrato in forte collisione con il concetto di uomo creaturale della tradizione biblica. Nelle ultime propaggini di questo certo tipo di civiltà passò in primo piano l'idea che solo ciò che è funzionale ad un particolare tipo di prospettiva socioeconomica ha diritto di essere preso in considerazione. Ora, la religione - nel suo essere più profondo - non rende immediatamente e non si presta solo a calcoli di una certa funzionalità. Talora questa idea si rivestì, pure, della aureola onnipotente della scienza (di questo o di quel ramo e nel suo complesso), quando si ritenne che essa sola fosse in grado di offrire risposte esaurienti e definitive all'uomo e a tutti i suoi problemi esistenziali. Quale spazio per la considerazione dell'uomo come mistero e tanto più del suo aprirsi all'Assoluto, se questo mistero e questo Assoluto non potevano essere verificabili sperimentalmente? In realtà, non si può dimostrare sperimentalmente l'esistenza di Dio, ma neppure che non esista, perché Dio non è equiparabile a ciò che è oggetto di scienza. Si può solo dimostrare che è ragionevole credere in Lui. Ma Dio rimane comunque sempre oltre ogni possibilità di possederlo totalmente anche per via razionale. Si parla di "vie" che portano dal mondo e dall'uomo a Dio. Vie in senso biblico, cioè richiami, indicazioni dì percorso. Quanto basta per mettersi in viaggio, come Abramo, verso una terra di cui si avverte che è piena di senso e di significato, ma che non si attinge in vita se non come speranza. Un'ulteriore manifestazione di alternativa onnipotente alla religione si rese visibile nella programmazione di società perfette all'insegna del soddisfacimento dei bisogni dell'uomo in termini di totale pianificazione. Non per nulla questi sistemi richiesero e imposero ai loro cittadini di essere non solo partecipi, ma anche convinti assertori di vivere nel migliore dei mondi possibili, con la promessa di un benessere globale. La prospettiva della società perfetta si espresse nella versione hard delle forme totalitarie del razzismo nazionalsocialista e dei sistemi a socialismo forzato, e si esprime nella versione soft quando si promette e si configura una società virtuale tutta protesa alla consumazione inesauribile, scambiata per appagamento pieno e immediato di ogni esigenza.
CONTRO OGNI IDOLATRIA, PER LA RICOMPOSIZIONE DI UN ORIZZONTE DI SENSO
Si potrebbe meditare sul fatto che nel nostro mondo contemporaneo la religione rinasca anche con le stimmate della reazione a questo sogno e (talora) delirio di onnipotenza sia sotto forma di negazione forte e veemente della sua presunzione sia attraverso la dedizione disinteressata alle sue vittime, nella ricomposizione di un orizzonte di senso più alto e meno illusoriamente appetibile. Certe dimensioni dello sviluppo della civiltà occidentale sono tipicamente idolatriche e la coscienza religiosa ribadisce di fronte ad esse il "non serviam", il diritto di non piegare la mente e il cuore in asservimento. In questo senso l'affermazione di Dio si configura come rifiuto di vendere la propria anima, come barriera invalicabile contro ciò che intende farla oggetto di possesso sotto ogni forma, hard o soft che sia. Quando la religione attinge alla sua sorgente più intima, che è anelito alla trascendenza e sforzo di unione con essa, non si esaurisce in un puro e semplice prodotto o in una variabile dipendente della civiltà in cui si esprime. Vive dentro la civiltà, ma non si identifica né si può identificare con il suo orizzonte. La vera lotta della religione è sempre antiidolatrica, sia quando il credente si trova dentro una civiltà che si presume atea e vorrebbe intenzionalmente non sentir parlare di Dio, sia quando convive con una civiltà che tende a esaurire l'esperienza del divino alla stregua di un bene di largo consumo.
ERMIS SEGATTI
Teologo - Torino
Da "Famiglia Domani" 4/99