Così vicini, così lontani
In entrambi i casi sono stato lieto di ricevere i messaggi: non è il genere di notizie che ci si può aspettare. Ero contento di ricevere parole, ma erano soltanto metà o meno della comunicazione; non c'era nessuno ad offrirmi un abbraccio consolatorio, e nessuna pancia da baciare. Per certi versi in quest'esperienza non c è nulla di nuovo. Le lettere dei soldati dal fronte hanno raccontato alla generazione che ci ha preceduti la morte dei loro figli. Ciò che è nuovo è quanto della nostra comunicazione è fatto a distanza e quanto rapidamente l'abbiamo accolto.
Il passaggio alla comunicazione elettronica non riguarda semplicemente l'aumento della frequenza, ma la mobilità e la varietà delle forme che può assumere - voce, fax, e-mail, casella vocale, sms, mms e video. E la rivoluzione è tutt'altro che conclusa. Nella sua prossima fase, quando verrà migliorato un software di riconoscimento vocale, queste diverse forme scompariranno. La nostra e-mail ci verrà letta dal cellulare e si potrà registrare al telefono un messaggio che arriverà ad un collega sotto forma di testo faxato.
A guidare la rivoluzione della comunicazione è stato l'abbattimento del costo della connessione. Per esempio, una chiamata trans-atlantica di tre minuti costava, nel 1930, 250 dollari. Nel 1960 era scesa a 50 dollari. Tra il 1970 e il 1980 è calata da una media di 40 ad 1 dollaro e per gli anni '90 il costo può essere espresso in centesimi.
Non c'è dubbio che da questa rivoluzione sia derivato un vantaggio enorme. Siamo più connessi che mai. Per gli australiani, chiamate telefoniche e voli a basso costo hanno vinto la tirannia della distanza.
In termini commerciali, la rivoluzione è ancora più straordinaria. Le comunicazioni più economiche e più sofisticate hanno cambiato la struttura delle organizzazioni e dei mercati abbassando i costi del coordinamento delle attività commerciali a livello tanto nazionale quanto internazionale. Le organizzazioni si sono ridotte di dimensioni, dal momento che le comunicazioni più economiche hanno reso l'esternalizzazione più conveniente, e più globale, dal momento che la tecnologia delle comunicazioni, del trasporto e dell'informazione e il crollo delle tariffe hanno ridotto il costo della distanza.
Le comunicazioni stanno cambiando la natura delle organizzazioni e dei mercati, ma qual è il loro effetto sulla natura delle comunità e sulla struttura etica che le sostiene? Faremmo bene a ricordare che la stampa è stata la precondizione della Riforma. Finché la gente non poteva possedere la propria versione della Bibbia in lingua volgare, era impossibile per un rappresentante religioso passare dall'interpretazione della Chiesa all'interpretazione personale della parola scritta. Quando si è verificato questo passaggio, sia la struttura della società sia la natura dell'etica sono cambiate in modo irrevocabile. Chiaramente i passaggi creati dalla comunicazione elettronica saranno diversi da quelli della Riforma, ma forse non meno importanti.
Quando le persone non si incontrano fisicamente, vi è un'erosione della fiducia. Il luogo dove questo è più ovvio è internet. Molte persone in Occidente spendono già enormi quantità di tempo in questo mondo. Ciò che contraddistingue queste relazioni è che sono disincarnate: la gente non ha bisogno di incontrarsi fisicamente. O, più comunemente, l'incontro fisico diventa una parte sempre meno significativa della relazione.
Quali sono i limiti della relazione disincarnata? I difensori di internet diranno che le relazioni nel mondo "online" possono essere ricche quanto quelle nel mondo "offline". La gente di certo ha relazioni significative tramite e-mail e chat-room. Alcune di queste conversazioni formano, e in alcuni casi sostengono, relazioni nel mondo "offline". Queste opportunità di scambio non faranno che crescere con il miglioramento qualitativo di audio e video della banda larga.
Tuttavia, ciò che viene a mancare nelle relazioni in cui il corpo è assente è la vulnerabilità. Con questo non voglio negare la vulnerabilità psicologica che può essere presente negli incontri "online". Tuttavia, in questi incontri della mente il nostro sé fisico non è mai "online". Vulnerabilità e fiducia sono inestricabilmente collegate, il che significa che un mondo con una vulnerabilità fisica in declino è anche un mondo in cui l'orizzonte della fiducia è in cambiamento.
Lo stesso fenomeno, spesso in forme più sottili, si presenta sempre più nella vita quotidiana. In particolare, usiamo la comunicazione elettronica per mandare un messaggio duro. In parte perché conviene. Ma anche perché troviamo più facile mandare un'e-mail con un messaggio che sappiamo causerà irritazione che affrontare qualcuno in un faccia a faccia.
Raramente vediamo le alte gerarchie affrontare direttamente una forza lavoro che devono tagliare o ristrutturare in modo brutale spiegando quello che stanno facendo.
Man mano che ci disabituiamo alla nostra vulnerabilità, la nostra capacità di fidarci si riduce e cominciamo ad evitare di esporci alla presenza fisica degli altri. Ci sentiamo a disagio nel gestire il conflitto perché il conflitto, quando siamo fisicamente presenti, ha sempre insito in sé un rischio per il nostro sé fisico. Evitando il conflitto, diventiamo sempre meno capaci di avere a che fare con la differenza, il dissenso e la pluralità. Perdiamo i livelli di fiducia che ci consentono di parlare apertamente e di contare sugli altri.
Parlare faccia a faccia non solo dà fondamento alla fiducia, ma è anche la base di un'etica dell'empatia. Un'etica dell'empatia è basilare per sostenere una comunità perché ci permette di negoziare la differenza e il conflitto. Comincia con la simpatia, quando riconosciamo la nostra comune umanità in qualcun altro. In quel momento riconosciamo i nostri doveri etici nei loro confronti.
L'empatia va anche oltre. Non è soltanto comprendere l'altro mettendoci nei suoi panni, ma comprendere com'è l'altro nei suoi panni.
Nei nostri incontri transazionali tramite i media elettronici, i segni della nostra comune umanità e della nostra diversità vengono messi in ombra. Quando trattiamo a distanza con persone, solitamente è solo la loro voce, la descrizione del loro ambiente e forse la nostra memoria di esse che noi incontriamo. Tutt'al più la tecnologia video può darcene un'immagine.
Quello che ci manca sono i numerosi piccoli dettagli, che spesso non ci accorgiamo nemmeno di notare, dal vedere il portachiavi sulla scrivania che mostra che guidiamo la stessa macchina, alle borse sotto gli occhi che tradiscono la stanchezza. Sono queste osservazioni che creano i momenti di simpatia che mi consentono di riconoscere qualcosa di me stesso in qualcun altro. Nascoste restano anche le differenze che mi permetterebbero di entrare empaticamente nella loro situazione. Le connessioni di empatia le fanno anche i nemici quando si incontrano. Ecco perché i negoziati di pace vengono condotti faccia a faccia ed ecco perché il mondo si sorprende di fronte agli impegni che ogni parte si assume. La gente non è pronta alla pace quando non è pronta ad incontrarsi.
Dal momento che il sempre maggiore utilizzo della comunicazione elettronica riduce la nostra possibilità di scoprire le nostre connessioni e limita la nostra possibilità di mettere in opera le nostre capacità di osservazione che fondano l'etica dell'empatia, stiamo facendo di noi stessi persone che non sono pronte per la pace?
La fiducia e l'empatia non sono gli unici elementi della struttura etica della comunità ad essere messi in discussione nell'era tecnologica. Visto che le comunicazioni via cellulare permettono cambiamenti dei nostri progetti all'ultimo momento, anche la fabbrica dell'impegno viene disturbata.
Consideriamo la generazione dai 18 ai 30 anni. Hugh McKay la chiama Generazione delle Opzioni perché il modello organizzativo della loro vita prevede il cercare di fare tutto ciò che può mantenere aperte le loro opzioni. Resistono agli impegni: il matrimonio, la carriera o gli impegni sociali e finanziari. La tecnologia ovviamente non è la causa diretta di questa mancanza di impegno, però il cellulare è ciò che lo rende possibile. Rende le persone libere di prendere decisioni all'ultimo minuto, per esempio assentarsi se vi è una scelta migliore.
Non c'è soltanto il fatto di una migliore reperibilità delle persone. Riflettiamo sul caso in cui ci scusiamo per un incontro mancato. La cosa migliore è che ci sia qualcuno che lo faccia per noi. Nel caso in cui non sia possibile, optiamo per la casella vocale, l'e-mail o il telefono, qualsiasi cosa faciliti il brutto compito di dire faccia a faccia che non ce la facciamo ad esserci. Ho il sospetto che la ragione sia che il faccia a faccia rende più difficile mascherare le ragioni reali per cui disdiciamo l'appuntamento.
Il cellulare permette anche alla Generazione delle Opzioni di creare eventi sociali quanto mai effimeri, come manifestazioni e proteste. Mentre vi è un'attrattiva nella spontaneità e nel buon fine di questi eventi, essi tuttavia non approdano alla comunità. La loro immediatezza implica la breve durata di questi gruppi. A questi gruppi diamo solo quanto possiamo avere in cambio al momento. Quando un gruppo non dura, non daremo ad altri tempo o risorse avendo capito che in cambio non ne avremo nulla. Non daremo vita a ciò che altri chiamano capitale sociale, quella riserva di assistenza che una comunità accumula a beneficio dei suoi membri.
I cellulari erodono la comunità in un senso anche più insidioso. Essendo breve la lista dei numeri di cellulare sugli elenchi telefonici, la gente che è reperibile è solo quella che ha scelto di darci il proprio numero di telefono.
Il cellulare ha anche un ruolo importante nel ridurre il tempo della riflessione. Uno dei molti elementi di saggezza di mio padre era l'idea della "lettera-sfogo"; sono lettere o annotazioni scritte in preda alla rabbia, spesso in una sana espressione di frustrazione, che in realtà non andrebbero mai spedite. Abbiamo bisogno di momenti in cui fermarci e riflettere.
I nostri momenti di riflessione stanno rapidamente scomparendo. In parte perché lavoriamo più a lungo e più duramente che mai. Tra il 1964 e il 1984 la percentuale della forza lavoro australiana che lavorava più di 49 ore a settimana era costantemente al 15%. Da allora la curva è stata sempre in salita ed ora è assestata a più del 20%. Tra il 1980 e il 1989 la produttività del lavoro in Australia è cresciuta del 13% all'anno. Nei dieci anni successivi è cresciuta in media del 24% all'anno.
Uno degli elementi che hanno provocato questo aumento della produttività è stata la tecnologia delle comunicazioni, ma ad un prezzo molto alto. E-mail e caselle vocali significano messaggi a cui rispondere di continuo, con una conseguente crescente compulsione a controllare e rispondere. Sotto questo genere di pressione la nostra capacità di raccogliere e rispondere a questi messaggi dappertutto ed in ogni momento significa che siamo attivi. Quando di recente ho visto che la British Airways sta introducendo a bordo connessioni e-mail ad ogni posto, mi sono disperato: uno degli ultimi santuari della non reperibilità, dove veramente si può avere spazio per riflettere e dove mi vengono alcuni tra i pensieri più originali, sta per essere invaso. La riduzione di tempo per riflettere è un problema per la struttura etica di comunità in molti modi.
In primo luogo, l'immediatezza delle risposte significa che non abbiamo tempo per "secondi pensieri". Questi ultimi sono importanti perché spesso riguardano gli effetti delle nostre decisioni. Quando improvvisamente poniamo una scadenza molto stretta per un lavoro, per esempio, riflettiamo sul modo in cui ciò condizionerà gli impegni delle persone rispetto alle loro famiglie?
Secondo, quando siamo costantemente catturati in ciò che il professore di Harvard Ron Heiftz chiama "il ballo" e non abbiamo mai la possibilità di vedere la sala dall'alto, non vediamo l'insieme più ampio. Se si ascoltano le storie delle industrie petrolifere e minerarie bloccate dai manifestanti per i diritti umani si vedrà che molte erano talmente occupate a gestire i loro affari da non essersi accorte del nascere di problemi di rilevanza sociale.
Terzo, sempre più le nostre comunicazioni riguardano il coordinamento delle attività piuttosto che far sapere a qualcun altro chi sei realmente. Nelle soffitte del futuro non credo che troveremo molti rotoli di e-mail legati con un nastro perché sono le memorie preziose di una vita. Non portano i segni di un viaggio che hanno fatto, nessun francobollo con elefante dall'India, nessun timbro nero di un impiegato postale dalla mano pesante, e non offrono alcun legame fisico con la persona: assurdo pensare che questo pezzo di carta è stato un tempo nelle mani della persona amata, nessuna orribile grafia che può essere decifrata solo perché si conosce bene la persona. La comunicazione, invece di avvicinarci, ci rende più collegati, ma più distanti.
Se la comunicazione elettronica rischia di erodere la fiducia, l'empatia, l'impegno e la riflessione, che cosa dobbiamo fare? Non possiamo più smettere di mandare e-mail così come non si è potuto fermare la stampa. La consapevolezza dei rischi è un buon inizio perché ci permette di fare le migliaia di piccole scelte che aiuteranno a mantenere l'equilibrio. Ci permetterà di riconoscere che è importante presentarsi al call center o al piano degli operai se siamo manager d'azienda, scegliere di recapitare un messaggio difficile di persona, ritagliare tempo inviolabile nelle nostre giornate per la riflessione, fermarsi e scoprire come stanno i nostri colleghi.
Abbiamo anche bisogno di ri-ritualizzare il posto di lavoro. Il passaggio del carrello del tè era una delle tante occasioni, ora perdute, per socializzare con i colleghi. Per compensare, oggi in molti luoghi di lavoro si comincia la giornata con un momento in cui tutti si alzano e dicono come stanno, oltre a che cosa stanno facendo. Se si è partecipato ad un momento di questo tipo, e si è sentito che un collega è stato sveglio metà della notte a causa di un figlio malato, si può reagire con comprensione piuttosto che temere la sua irritabilità più avanti nella giornata. Se tutto questo appare come un impiego di tempo che sarà la goccia che fa traboccare il vaso, bene, questo è già successo da tempo.
Non è solo sul posto di lavoro che dobbiamo ridare fisicità alle nostre comunicazioni, ma anche nei rituali sociali e religiosi. E forse il più grande ed importante di questi rituali nella cultura occidentale è la Messa. L'atto in sé di recarsi regolarmente alla messa crea comunità e capitale sociale. A livello più profondo, è un invito per noi ad essere fisicamente presenti l'uno all'altro e a Dio. Semplicemente non si può celebrare la messa su Internet. Ogni volta che ci riuniamo fisicamente insieme per ricevere l'Eucaristia ci viene dato il corpo di Cristo. Ci viene affidata la cura fisica l'uno dell'altro, la cura reciproca in quanto persone vulnerabili.
La Messa è di importanza centrale per quanto riguarda la corporeità, la vulnerabilità e la fiducia. È assolutamente chiaro se riflettiamo sui passaggi biblici che registrano la sua istituzione. Gesù prese il pane e disse: "Questo è il mio corpo, dato per voi. Fate questo in memoria di me". Spesso tendiamo a leggere questo passo come se fosse una transazione unilaterale, Gesù ci dà il suo corpo. Ma quel dare è in realtà un atto di fiducia: Gesù sta affidando il suo corpo a noi. Gesù lo rende evidente in modo stupefacente quando termina le sue parole di istituzione dicendo: "Ma chi mi tradisce è con me, e la sua mano è sul tavolo". È il tipo di fiducia che è necessaria per una relazione veramente intima, per una relazione che non sia basata sul potere ma sull'amore.
Qualsiasi cosa sia la Messa, essa è essenzialmente etica e politica. Ci invita a curarci l'uno dell'altro e di tutti coloro che incontriamo fisicamente nella nostra vita quotidiana. Ci ricorda che la vera intimità e la fiducia in Dio e nell'altro si fondano su questo tipo di incontro fisico di fiducia. Nel mondo contemporaneo è profondamente in controtendenza, e, nell'era della comunicazione elettronica, profondamente importante se vogliamo continuare ad essere una comunità collegata.
(da Adista n. 16, 28/2/2004)