Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. 15 Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato. 16 Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. 17 Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. 18 Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. 19 Anche a questo disse: Sarai tu pure a capo di cinque città. 20 Venne poi anche l’altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto; 21 avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. 22 Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: 23 perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi. 24 Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci 25 Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! 26 Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 27 E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me".
La storia ci ricorda che alla morte di Erode il grande. Archelao suo figlio si era recato a Roma per ottenere dall’imperatore la conferma del testamento del padre, che lo aveva nominato suo successore. A Gerico, località dove Gesù Cristo pronunziò la parabola, la figura di Archelao era ancora molto viva, sia per le grandi costruzioni ivi compiute, sia soprattutto per il ricordo delle sue crudeltà, Non appena partito per Roma, i giudei gli avevano spedito appresso una delegazione di 50 membri che, aiutata dalla comunità ebraica residente in Roma, doveva chiedere che i territori rivendicati da Archelao passassero invece alle dirette dipendenze di Roma. Ci spieghiamo così l’inciso della parabola: «Non vogliamo che costui regni sopra di noi!». Quasi subito l’imperatore aveva dovuto intervenire per deporre Archelao, reo di tirannide.
Gesù Cristo prende forse lo spunto da questo ricordo, ma, capovolgendone il valore interno, vi costruisce una delle sue parabole del Regno. Che cosa è il Regno di Dio? In questa espressione c’è la sintesi della predicazione di Gesù Cristo e lo scopo della sua presenza e della salvezza di Dio nella storia umana, il suo graduale approfondimento nei cuori fino a quando, ristabilite tutte le cose, “Dio sia tutto in tutti” (1 Cor. 15,28).
Lo stesso Gesù Cristo, Figlio di Dio divenuto fratello degli uomini, è questa presenza di Dio nel mondo e l’instauratore di ogni cosa secondo il piano di salvezza. San Paolo ci dice appunto che «il mistero della volontà di Dio, il piano da lui stabilito e predisposto per l’economia della pienezza dei tempi, è di ricondurre a un unico Capo, Cristo, tutte le cose: quelle che sono in cielo e quelle che sono sulla terra (Ef. 1,9-10).
Questo piano di ricostruzione totale del Regno, passerà consapevolmente per fasi molto drammatiche. In rapidissimo anticipo di quanto sarà presentato per disteso, anche se enigmaticamente, nelle pagine dell’Apocalisse, San Paolo ci dichiara che Cristo rimetterà il Regno a Dio, il Padre, dopo aver distrutto ogni principato e ogni dominazione e potenza. L’ultimo nemico a essere eliminato sarà la morte (1 Cor, 15,24-26).
Comprendiamo così che il trionfo finale del Regno di Dio sarà la completa liberazione degli uomini da ogni schiavitù e da ogni alienazione – ultima e più tenace la morte – sarà la manifestazione totale degli uomini come figli di Dio; la signoria finale di Cristo, vero Dio e vero uomo, su tutta la creazione; e, perciò, il verificarsi di cieli nuovi e terra nuova. Questa impresa avrà un processo estremamente difficile e tormentato appunto perché coinvolge e suppone la libera azione degli uomini: di qui la sua drammaticità. così fortemente accentuata in questa parabola.
Il difficile e indispensabile inserimento dell’uomo
Dalla parabola risulta che tra sé e il piano di Dio, l’uomo dovrà superare tre ordini dl difficoltà. La prima è la sua scarsa visione della storia, la sua superficialità di giudizio o l’improvvisazione delle soluzioni, e anche il fatto di cercare soluzioni immediate e bell’e fatte, invece di produrle da se stesso, sotto il richiamo di Dio. «Disse una parabola, poiché era vicino a Gerusalemme e quelli credevano che subito dovesse apparire il Regno di Dio». Il Regno di Dio non si produce in un istante né per un colpo di bacchetta magica; è invece lunga conquista, una costruzione a larga partecipazione umana, affidata alla libertà che hanno gli uomini di lasciarsi invadere dalla luce di Dio e al lavoro costruttivo che impegna tutta la loro esistenza, se condotta nell’atmosfera di Dio. Sono varie le parabole di Cristo che tendono a farci capire la lungimiranza che occorre e la lenta e faticosa crescita del Regno in mezzo agli uomini: si ricordi parabola del buon grano e della zizzania, quella del lievito che deve invadere la massa umana e quella del seme che deve crescere in albero che si estenda sul mondo.
Altra difficoltà frequente nell’uomo è la sua paura, la sua ignavia, il suo assideramento spirituale, cioè quella grave immaturità psicologica che lo sottrae all’azione e lo destina al bloccaggio e alla pratica inutilizzazione della vita: “Avevo paura di te, che sei duro: prendi ciò che non hai depositato e mieti ciò che non hai seminato”. E’ la frequente ricerca di alibi, per dare parvenza di ragionevolezza alla propria accidia, alla inettitudine o al grave disimpegno di fronte ai compiti riservati a ogni persona.
La terza difficoltà, che ha risvolti caratteristici specialmente nei nostri tempi, viene dalla difesa aspra e ribelle della propria malintesa autonomia, dovuta all’ignoranza di Dio e della vera consistenza della libertà umana: è il tentativo metodico di sottrarsi a Dio e al lavoro orientato al suo Regno, in nome della propria indipendenza: “Non vogliamo che costui regni sopra di noi!”. Ma non vi è mai libertà personale e sociale se l’uomo non risponde al Dio della vita e della storia. Dio non blocca l’uomo; al contrario, la sua azione creatrice e salvifica è tutta intesa a farlo essere e fiorire, e a renderlo responsabile della creazione e della crescita del Regno.
L’uomo, costruttore del Regno
Ecco infatti il senso dinamico della parabola: « Negoziate fin tanto che io torni!» L’uomo deve distendersi nell’azione con tutta la sua bravura ed energia, utilizzando l’immenso capitale di risorse intellettuali e morali, insieme con tutti i valori esterni datigli dall’autore della natura. Ogni uomo è affidato al suo personale impegno, pur soccorso dal lancio e dal favore di Dio, Signore della storia: e in una cosciente tensione di se stesso, è messo in condizione di moltiplicare le energie e le possibilità sue e dei fratelli, fino a raggiungere posizioni sempre più avanzate nella costruzione del Regno: “Signore, la tua mina ha fruttato dieci mine!” – Bravo, poiché ti mostrasti fedele nel poco, abbi potere su dieci città”.
In questi termini Gesù Cristo ci fa partecipi di una visione estremamente positiva e liberante della storia: è lo sviluppo integrale degli uomini che costituirà la realizzazione del Regno di Dio. La svalutazione della vita umana, la sepoltura dei talenti personali, la chiusura in se stessi sia pure a difesa di una falsa libertà, è significativamente in urto con la intenzione di chi ci ha creato: “Perché non hai affidato il mio denaro alla banca?... Toglietegli la mina e datela a quello che ne ha dieci. – Signore, ma ne ha dieci!... Vi dico, a chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto, anche quello che ha”. E’ una conclusione piena di giustizia e di luce: una vera adesione a Dio moltiplica a dismisura le risorse vitali dell’uomo; una intelligente appassionata risposta al piano di Dio dà all’uomo una crescita sempre più luminosa, che gli assicura una parte di grande valore sul piano di dio. Ma il non accogliere il suo invito, l’inerzia dello spirito o l’insano rifiuto di Dio, distrugge radicalmente la vita e ogni vera prospettiva dell’uomo.