Ma come esercitare e conservare il silenzio così che divenga una disposizione naturale dell’anima; come stabilirsi in quel «beatissimo silenzio» che di trascendimento in trascendimento ci riconduce a noi stessi, ci familiarizza con l’essere di ogni essere, ci immerge nel Mistero che tutto racchiude e sorregge?
Il cammino del silenzio è tracciato da un binario costituito da accettazione e rinuncia. Ciò che questi termini nascondono è una continua provocazione alla nostra logica e una continua insidia ai nostri equilibri: in poche parole, una sconfitta dell’ego. Perché facilmente emerge il rifiuto dove dovrebbe affermarsi l’accettazione ed esplode l’attaccamento dove dovrebbe imporsi la rinuncia. E come se vivessimo un’esistenza capovolta! Affrettiamoci quindi a entrare nell’Oasi spirituale. Questa volta si impone un’approfondita ricerca interiore e una ricostruzione dalle fondamenta del nostro intimo sentire.
L’uomo è un essere offerto, consegnato al proprio consenso. Le fondamentali situazioni dell’esistenza, più che oggetto di scelta incondizionata, sono oggetto di adesione cosciente e responsabile. Vorremmo aggiungere sempre: gioiosa e grata. Non c’è che da percorrere gli aspetti qualificanti della parabola umana e attendere il responso della nostra coscienza, in modo da cogliere ciò che è all’insegna dell’accettazione e ciò che è all’insegna del rifiuto. La vita in quanto tale, il mio essere-al-mondo, e la morte, il ritorno al Mistero da cui ho avuto origine e in cui la fede mi insegna che vivrò in pienezza. La struttura psico-somatica: l’essere fatto così, con precisi tratti fisici e peculiarità del carattere. Gli ascendenti parentali, l’albero genealogico che attraverso padre e madre mi ricollega al succedersi delle generazioni umane. Il patrimonio ereditario che ho ricevuto in consegna e di cui sono in certo modo impastato. Gli influssi, gli orientamenti e i condizionamenti che segnano la mia persona. L’ambiente naturale e sociale, con le sue luci e le sue ombre, gli stimoli, gli apporti positivi e i germi disgregatori. E infine le opportunità culturali, religiose, affettive e operative di cui è intessuta la vita umana.
Dire accettazione non significa predicare un’acquiescenza supina e mortificante, ma riconoscere che discernimento, contestazione, superamento dialettico degli opposti non ci dispensano, dall’accettazione, ma semmai ne spostano i confini, perché verrà sempre un momento in cui l’ultima risposta sarà solo il sì: non fosse che l’approdo conclusivo della vicenda umana: la morte. Vorremmo però parlare di quella morte di cui «l’uomo paziente muore prima di morire» (Giovanni Climaco). E’ in questa morte che si sprigiona la vita dell’anima. Spieghiamoci. Il Vangelo afferma che l’uomo «guadagnerà/salverà la propria anima», cioè se stesso, a prezzo della sua “pazienza” (Luca 21,19). Cosa intenda Luca, solo fra gli evangelisti a usare questo termine, risulta dalla parabola del seminatore, dove si afferma che la fecondità della seminagione è proporzionale alla «pazienza” di chi accoglie la parola-evento del Vangelo (Luca 8,15). Anzi, il testo di Luca così come ci è stato tramandato, contiene un’altra sfumatura, là dove sostituisce il futuro con l’imperativo: «Riscatta la tua anima!», radicandoti nell’accettazione, che comporta la “pazienza” di chi patisce e la “pazienza” di chi... pazienta. Nel consenso quindi l’ego è colpito a morte nell’illusione di onnipotenza e nell’atteggiamento di prepotenza che lo caratterizzano. Che poi l’accettazione sia strettamente imparentata con il silenzio è ancora la similitudine del seme a ricordarcelo. Ed è come se il Vangelo dicesse: «Nel silenzio voi potete e dovete riscattare la vostra anima».
Il binario su cui si snoda il cammino del silenzio oltre all’accettazione comporta anche la rinuncia. Per paradossale che possa sembrare, l’uomo non edifica se stesso se non attraverso la rinuncia, che è la contropartita del desiderio. Egli deve imparare a rinunciare, per farsi strada nel complesso e spesso contraddittorio mondo dei desideri, dal momento che si trova via via di fronte a desideri immediati intermedi e ultimi, irrealizzabili utopici e possibili, fittizi utili e indispensabili, negativi neutrali e positivi. La rinuncia, talvolta volontaria, per lo più inevitabile, spinge l’uomo a un continuo trascendimento, a un incessante superamento di sé. Ridesta energie sopite, dilata le potenzialità dell’anima, gerarchizza i bisogni, sfronda dalle inautenticità e purifica le intenzioni del cuore.
Se la rinuncia ha contraccolpi inquietanti ed esiti disadattanti, ciò sta a significare che incontra resistenze e difese da parte del nostro ego. Essa infatti colpisce le tendenze egoiche alla radice e svincola l’anima dalla presunzione, dalla prevaricazione, dalla gratificazione a tutti i costi e da ogni precaria sicurezza. Conduce a un più profondo equilibrio nella misura in cui ci priva di appagamenti e di supporti immediati. Nella rinuncia l’anima è ricentrata su se stessa, riportata alla sua semplicità e alla sua essenzialità, sospinta con forza alla sua Matrice. L’emorragia dell’incessante parlottio mentale, il rovello interiore si placano e regna il silenzio pacificante.
(da Jesus)