La risurrezione e la vita
di Giovanni Vannucci
Il punto centrale del brano di Gv 11,1-45 non è tanto il ritorno alla vita di Lazzaro morto, quanto le parole rivolte da Cristo a Marta: «Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se morto, vivrà». Il miracolo della rivivificazione del corpo fisico del morto è un corollario, una verifica delle parole di Cristo, nulla di più; non possiamo fondarvi la prova della natura divina del Maestro, essa può essere oggetto di fede solo in colui che ne sperimenta la risurrezione e la vita.
Cosa sono la risurrezione e la vita, cosa significa credere in Cristo, cosa vogliono dire la morte e la vita di chi in Lui crede? Prima di tentare una risposta a questi interrogativi, esaminiamo le figure dell’episodio della risurrezione di Lazzaro. Mentre Gesù era con i discepoli in una località oltre il Giordano, gli fu recata la notizia dell’infermità del suo amico Lazzaro. Egli fa questo commento: «Questa infermità non è perché Lazzaro muoia, ma perché in essa e per essa venga manifestato il mistero del potere infinito di Dio». Dopo due giorni dalla notizia, Gesù decide di recarsi da Lazzaro. I discepoli gli ricordano il pericolo che per lui e per loro c’era nel tornare nella Giudea, ove l’attendevano gli oppositori. La risposta di Gesù è simile a quella che diede ai discepoli a proposito del cieco nato: «La mia giornata non è ancora terminata, ed è necessario che io agisca; la mia luce, finché sono sulla terra, è necessario che risplenda... Lazzaro è morto. Io ne godo per voi, perché vi sarà rivelato che Dio, e io in Lui, siamo la vita». Tommaso segue Cristo dicendo: «Andiamo a morire con lui!». A Betania Gesù trova Lazzaro già da quattro giorni sepolto; Marta, la fede impulsiva e attiva, gli va incontro, e la sua fede, ancora legata alle credenze del suo popolo, afferma di credere alla risurrezione che avverrà nell’ultimo giorno, quando gli scheletri usciranno dai sepolcri e si rivestiranno di nuovo di carne. Gesù la richiama alla novità risurrezionale che Lui era venuto a portare all’uomo: «La risurrezione e la vita sono io, chi accoglie e vive questa novità anche se morto vivrà, e se è vivo non morrà». Marta si risveglia alla novità di Cristo e dice: «Credo che tu sei il Portatore del nuovo Tempo divino, che tu sei il Figlio di Dio». Marta, la fede attiva, corre a casa, dalla sorella Maria, la fede sicura e silenziosa che aspetta, e le dice: «Gesù ti ha chiamato». Maria balza in piedi e corre da Gesù, con lei si muovono i Giudei che le stavano vicino. Davanti al gruppo guidato da Maria Gesù esplode in uno scatto d’ira, vede davanti a sé una donna che crede e ama e una folla di saccenti, attaccati alle vecchie visioni religiose, che dubita e si oppone: «Non avrebbe potuto fare che Lazzaro non morisse?». Fa rimuovere la pietra dal sepolcro e grida: «Lazzaro, esci... E colui che era morto uscì». Molti dei Giudei presenti credettero, alcuni di essi, invece, andarono ad avvertire i Farisei della nuova provocazione compiuta da Gesù. Il quadro si presenta in tal maniera come la teofania di Gesù, portatore di risurrezione e di vita: Lazzaro morto ne ascolta e riconosce la voce che lo chiamava alla vita; i Giudei e i Farisei, vivi, non odono tale voce; la medesima voce che disseppellisce Lazzaro, seppellisce i Farisei, vivi, nella loro sordità.
«Io sono la risurrezione e la vita»; cos’è la risurrezione, cos’è la vita? Sono due termini che si oppongono alla morte come suo superamento, la risurrezione, o come sua negazione, la vita; oppure essi ci aiutano a una comprensione più accurata e profonda delle realtà della vita che tutti stiamo vivendo? La vita non potrebbe essere senza la morte, come la luce non è senza l’ombra, la vita è un’implacabile successione di morte e risurrezione. La pianta cresce, fiorisce, produce frutti, appassisce e muore depositando in terra il seme che riprenderà il ciclo vitale. Il fiore è insieme la morte della gemma e la risurrezione di questa in una più affascinante forma. Il ciclo della vita di ogni vivente è un’incessante successione di vita-morte-risurrezione. La vita è permanente, le forme sono periture ed effimere. A questa visione concreta ci richiama Cristo.
Nel contesto egli sottolinea l’aspetto psicologico, mentale della vita-morte-risurrezione. I Farisei sono paralizzati dalle loro vedute dogmatiche, dai loro sistemi di pensiero, ora la vita è sempre nuova, non ha né passato, né futuro, è indipendente dal tempo e dallo spazio. Gesù portava il Tempo nuovo, non poteva esser compreso da menti solidificate in sistemi di pensiero: «Io sono la risurrezione e la vita, Io sono la vita in tutte le morti, e la morte in tutte le vite». È il rinnovatore della coscienza, della volontà, del pensiero, dell’azione. Il grande disturbatore che ci tormenta e ci spinge all’ ascesa, che si nasconde nella coscienza per renderci inquieti. Pone la sua mano nel frutto che vorremmo consumare, vietandocene l’accesso. Frappone la sua carne piagata tra noi e il tormento che ci agita il sangue. Mette il peso della sua Croce tra noi e l’oro, tra noi e l’avidità e la superbia.
Senza la sua presenza stimolatrice, è questo il senso di «Io sono la risurrezione e la vita», l’umanità più non sarebbe, né sarebbe mai stata. «Io sono la risurrezione e la vita», significa che l’opera redentrice di Cristo è immanente, è continua, e consiste nel redimere, rinnovare, rendere liberi gli schiavi; nel trasformare gli incoscienti in persone coscienti, i deboli in forti, i miseri in uomini felici, i malati in creature sane. La sua via è la Croce; su di essa sale chi ha gettato la sua natura corrotta e corruttrice; di essa è degno chi, in purezza e pazienza, sopporta il destino dell’uomo, chi sa che la cenere del tempo ricopre i troni, eguaglia le piramidi alla tomba dello schiavo, il cui nome fu noto solo alla madre. La polvere del tempo non si è posata sulle croci, la loro luce ha abbreviato le tappe d’ascesa dell’uomo. Il tempo della Croce non è finito, perché non tutti sentono che Cristo è la risurrezione e la vita.
Giovanni Vannucci, «La risurrezione e la vita», 5a domenica di Quaresima, Anno A; in Risveglio della coscienza, Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte (BG) ed. CENS, Milano 1984; pp. 57-59.