Vita nello Spirito

Venerdì, 15 Febbraio 2008 00:49

Se fare del bene è anche farci del bene (Maria Cristina Bartolomei)

Vota questo articolo
(1 Vota)

Si può comandare d'amare? La domanda va piuttosto ribaltata: che senso avrebbe comandare qualcosa d'altro?

L’amore comandato da Gesù, non di rado viene opposto alla Legge, propria dell'ebrai­smo. In realtà due comandamenti dell'amore di Dio e l’amore del prossimo, che Gesù cita, sono contenuti nella Torah, nella Legge: (Deuteronomio 6,5 e Levitico 19,18). E sia per Gesù (Mt 5,40) sia per Paolo (Rm 13,8-10; Gal 5,14) nell'amore del prossimo tutte le esigenze della Legge si riassumono: non perdo­no di vigore.

Tra i due comandamenti vi è un nesso essenziale, ma si punta soprattutto sul secondo, che implica il primo. Nel Levitico, del resto, il comando «amerai il tuo prossimo come te stesso» è sigillato, come gli altri capisaldi dei comandamenti, dalla dicitu­ra «Io sono il Signore». Amerai, dunque, perché lo comando io, che sono il Signore; amerai - ancor più - perché io sono il Signore. Dio è amore, scriverà san Giovanni (1Gv 4,16). La sua signoria è la signoria dell'amore. E, quindi, amando, testimonierai effettivamente che «Io sono il Signore» e che mi riconosci come tale. Cose ben note. Ma, come chiese Filippo al ministro etiope (Atti 8,30), vai la pena di interrogarci: comprendiamo quanto leggiamo? Facciamoci in propo­sito due domande. "Comandare" d'amare, non è in se stesso un controsenso? E che significa amare il prossimo "come te stesso", mentre si dice amare Dio “con tutto il tuo cuore"?

Nessuno vorrebbe essere amato "per obbligo", lo sappiamo bene. Ma il comandamento non è tanto un precetto quanto un mandato: il mandato di irradiare quell'amore con cui Dio ci ha per primo amati, rendendoci a nostra volta capaci di amare. «Fai ciò di cui io ti rendo capace, a mia immagine e somiglianza», è il comando divino. Ma amare chi? Il prossimo (Lv 19,17-18) riconoscendo però come fratello anche lo straniero (Lv 19,24). Gesù esprimerà tutta l'intenzione del comando dicendo: "fatti prossimo", a chiunque (Lc 10, 25-37). Per evitare di rendere la cosa una pia aspirazione evanescente, il comandamento va letto innanzitutto per quel che proibisce: non covare odio nel cuore, non vendicarsi, non serbare rancore (Lv 19,18a). Non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso proibiscono già di nuocere al prossimo.

Ma qui è importante anche quel che c'è nel cuore. Perché? I comandamenti vengono dati perché si possa vivere ed essere felici (Dt 5,33; Lv 18,5). An­che l'amore del prossimo ci è comandato in primo luogo per il bene nostro. Se i nostri atti possono offen­dere, infatti, gli altri potrebbero non esser toccati dai nostri sentimenti ostili. Ma questi fanno sicuramente male a noi. Quel che si ha nel cuore non è indifferen­te alla nostra vita profonda!

Eppure la pratica della virtù, l'obbedienza alla legge morale spesso cozza contro nostre inclinazioni e desideri e ci risulta ardua. Ma la Bibbia ribadisce con forza che Dio altro non ci comanda che di fare il bene perché questo e solo questo ci fa bene. Premio e castigo non tanto sono esterni e posteriori ai nostri atti, quanto piuttosto insiti in essi, o stanno ad essi come il frutto al seme. La vita non è un premio in palio, diverso da ciò alla cui osservanza il comandamento invita. Ora lo riconosciamo con fatica, ma «la verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo...» (Salmo 85,12). Nello stesso senso, il gran­de filosofo Kant argomenta l'esistenza di Dio proprio come garanzia di un orizzonte ulteriore di vita, nel quale si possa giungere a gustare la virtù per quel che è in profondità: come felicità.

In questa linea si capisce anche l"'ama come te stesso", evitando di impantanarsi nelle pseudoquestio­ni: quanto o come me? Più di me? O appena di meno, se "io" debbo essere comunque la misura? In ciò che è espresso come comando, c'è una sapienza e un insegnamento profondissimi su ciò che siamo: tu sei anche l'altro e l'altro è te, come la filosofia è venuta sempre più scoprendo e mettendo in luce, in tante prospettive. Tu sei relazione con altri. La tua vita pro­fonda è relazione con l'alterità. Amando gli altri, diven­ti e continui a essere pienamente ciò che sei. Solo così vivi, solo così sei felice. Solo così sei in relazione con Dio, sei animato dal suo Spirito, vivi la sua vita. L’etica, il dovere, si svelano come legati alla ontologia, al coglimento di quel che siamo; e questo, a sua volta, ha profondità mistiche. Come te stesso, non puoi che amare l'altro umano; ma questo, proprio come pre­scrive l'altro comandamento, significa avere il cuore in Dio e Dio nel cuore. Un Dio che dicendo «Io, sono il Signore», sta svelando anche la miseria e il pericolo del dire "io" da parte nostra, quando ci concepiamo autosufficienti e isolati. "Io" è qui riservato a Dio, il cui io e amore e relazione. Si può comandare d'amare? La domanda va piuttosto ribaltata: che senso avrebbe comandare qualcosa d'altro?

Maria Cristina Bartolomei

(da Jesus, ottobre 2005)

 

Letto 3021 volte Ultima modifica il Mercoledì, 17 Aprile 2013 09:18
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search