Il crescente pluralismo religioso che caratterizza la società italiana ripropone in modo nuovo la missione evangelizzatrice della Chiesa. Si apre soprattutto per la Chiesa la prospettiva di sviluppare con i fedeli di altre religioni presenti in Italia relazioni positive ed efficaci tramite un dialogo serio che, proprio perché tale, includa in sé la testimonianza trasparente e consapevole del Vangelo. La sfida pastorale è elaborare itinerari per realizzare tale testimonianza, tenendo conto delle diverse tradizioni religiose. Bisogna subito dire che su queste prospettive il lavoro è agli inizi, vista sia la complessità intrinseca alla questione, sia considerando il fatto che si tratta di frontiere pastorali aperte in periodo recente. In termini generali si può innanzitutto dire che occorre evitare anche in Italia l’errore di assumere atteggiamenti sia aggressivi o dispregiativi verso l”altro” sia acritici e rinunciatari rispetto all’annuncio cristiano, cercando invece di sviluppare rapporti maturi tramite un dialogo serio e costruttivo, che per lo più parte dal dialogo della vita.
È’ questo il fondamento ineludibile e più normale attraverso cui trasmettere la prima testimonianza cristiana. Il dialogo della vita si esprime infatti nel vivere le circostanze normali di incontro con i non cristiani - a scuola, nei luoghi di lavoro, in ambiti associativi ecc. - in modo maturo e interessato all’altro e alla sua specificità culturale e religiosa, e manifestando in modo naturale la propria fede nei gesti e nelle parole del vissuto. Questo può avvenire sia a livello personale, sia a livello organizzato. A livello personale le situazioni possono essere le più diverse, ma il dato condivisibile che accomuna l’eloquenza della testimonianza cristiana è la carità, l’amore che si fa prossimo,
A questo proposito non si può non apprezzare quanto la Chiesa italiana ha effettuato nel corso degli ultimi due decenni in rapporto all’accoglienza degli immigrati, in gran parte non cristiani. Non sempre tuttavia questo impegno caritativo è stato discretamente ma esplicitamente accompagnato da una spiegazione delle motivazioni di fede per cui la Chiesa e i cristiani compiono determinate opere. In questo senso forse non si sono valorizzate in modo sufficiente le occasioni di dialogo e di annuncio iniziale offerte dal servizio caritativo, pur così capillarmente diffuso. Questo si può attuare tramite accorgimenti e atti semplici e, forse, minimali, ma che, se ripetuti con persistenza, possono essere efficaci nel destare interrogativi e domande interiori: d’altra parte non si può non approfittare degli spazi e dei momenti in cui già avviene l’incontro per seminare il Vangelo, perché altri momenti sono per ora ancora rari da individuare.
Occorre d’altra parte considerare che i luoghi di incontro con i non cristiani si moltiplicano in ambito ecclesiale: si pensi alla presenza di bambini o ragazzi di origine immigrata negli oratori delle parrocchie o nelle scuole cattoliche, e dunque alla frequentazione che i loro genitori hanno di questi luoghi. Anche in questi casi occorre elaborare risposte efficaci, che permettano la condivisione del gioco, della formazione umana, dell’educazione scolastica, favorendo da un lato la conoscenza delle diversità culturali e religiose, ma promuovendo anche la conoscenza del cristianesimo nei suoi aspetti fondamentali. Quest’ultimo è un punto irrinunciabile, pena un venir meno del significato e scopo più vero dei nostri luoghi ecclesiali. La grande sfida è di riuscire a elaborare percorsi in cui tutto questo si faccia nel rispetto, nel dialogo, attraverso una propositività efficace. valorizzando anche quegli aspetti delle altre culture e religioni che hanno consonanze con il cristianesimo
Sul piano concreto, parlare di membri di altre religioni in Italia significa riferirsi essenzialmente a musulmani, buddisti e hindu. I musulmani da soli costituiscono circa il 30% degli immigrati in Italia, oltre la metà dei non cristiani (i cristiani ammontano a circa il 50% del totale). Ci si può quindi chiedere, almeno a livello teorico, quali sono gli elementi presenti in queste religioni per potere iniziare un dialogo che conduca all’annuncio del Vangelo. In termini generali bisogna fare una prima importante precisazione: il compito di discernere in modo preciso e articolato quali sono gli elementi di bene e di grazia presenti nelle singole religioni non cristiane, cui si riferiscono i documenti conciliari quali la Lumen gentium, la Nostra aetate, il decreto Ad gentes, è un lavoro che la teologia cristiana deve ancora effettuare e che è ai suoi inizi. Si tratta di un processo assai complesso, che implica non solo lo studio teorico della dottrina delle diverse religioni, ma anche conoscere gli itinerari spirituali dei loro membri entrando in contatto con gli altri “vissuti religiosi” sul piano esperienziale.
Come si vede, la questione è dunque complessa. Può però sorgere la domanda a livello pastorale locale e nei rapporti quotidiani sugli aspetti che si possono valorizzare per introdurre alla conoscenza del Vangelo. Ci limitiamo a proporre qualche pista a livello iniziale.
Nei rapporti con i musulmani è molto importante tenere presente che l’islam nel suo testo fondante - il Corano - offre una visione precisa del cristianesimo. Essendo una religione post-cristiana, il cui fondatore ha conosciuto, almeno parzialmente, l’ebraismo e il cristianesimo, l’islam offre del cristianesimo un’interpretazione specifica, in cui il credente cristiano non si riconosce, e che è caratterizzata da una chiara ambiguità. Da un lato infatti al cristianesimo è teoricamente riconosciuto lo statuto di “religione rivelata” - in quanto considerato come un anello dell’unica catena di rivelazione che si chiude con Muhammad - dall’altro lato il cristianesimo storico viene considerato una religione che si è allontanata dalla rivelazione originaria trasmessa da Gesù - che, secondo i musulmani, sarebbe sostanzialmente coincisa con il Corano, perché unica è la rivelazione di Dio.
Le Scritture ebraiche e cristiane sono dunque ritenute falsificate, e le fondamentali dottrine rivelate cristiane quali il mistero del Dio trinitario (compreso per altro dal Corano in modo errato) e l’identità divino-umana di Gesù Cristo sono esplicitamente rifiutate e respinte come errori. L’ambiguità e il riduzionismo nei confronti di Gesù non è minore: viene riconosciuto come profeta, ma ben poco viene detto nel Corano del Gesù storico trasmessoci dai vangeli, soprattutto non viene riportato nessun aspetto del suo insegnamento, per cui la sua figura rimane piuttosto evanescente, fino a negarne la stessa morte di croce. Tali interpretazioni del cristianesimo in generale e di Gesù in particolare costituiscono una precomprensione diffusa tra i musulmani: essi credono di sapere già che cos’è il cristianesimo. Il grande lavoro da fare è di superare questa barriera e far loro capire che la fede dei cristiani è diversa. La figura di Gesù, che essi conoscono come nome, potrà essere l’avvio per un discorso che metta in luce il significato profondo che Gesù ha nella fede cristiana: cioè il fatto che in lui Dio entra personalmente nella storia per amore dell’uomo, per donargli la comunione con sé e, attraverso essa, aprirgli un rapporto liberante con sé stesso e con la storia.
Così la parola di Dio che i musulmani ritengono sia divenuta “scritto su carta” nel Corano, è per la fede cristiana Parola vivente, come Dio è il vivente, e si è fatta uomo nel Signore Gesù, incarnato, morto e risorto. Questo filone può essere fecondo, soprattutto se gli interlocutori musulmani sono educati a forme di islam di tendenza sufi - diffuse anche popolarmente - quindi con una maggiore apertura e interesse per la vita spirituale e per il rapporto religioso esperienziale con Dio. Più difficile è l’approccio con le correnti di ispirazione fondamentalista o conservatrice, caratterizzate da un netto legalismo. Un altro elemento da valorizzare è la consapevolezza della trascendenza di Dio e dell’obbedienza che il credente gli deve: si può partire da questo per sviluppare l’idea che per conoscere l’obbedienza adeguata a Dio, l’uomo ha bisogno di essere istruito da Dio stesso, ed è quanto si compie al massimo grado nella persona di Cristo. E una prospettiva per far comprendere che la trascendenza di Dio e l’incarnazione possono essere coniugati. Il tema dell’amore del prossimo può essere valorizzato in modo analogo: se Dio ci comanda di amarci è perché ci ama e il suo amore è la regola cui sottometterci.
Come si vede, i temi proposti portano a una decisa trasfigurazione cristiana del punto di partenza iniziale. Tuttavia anche i temi più lontani dalla dottrina islamica possono attirare l’attenzione dei cuori: è un dato di fatto che coloro che diventano cristiani provenendo dall’islam sono affascinati dal mistero del Dio comunionale che è la SS. Trinità e dal mistero di Cristo, in cui per puro amore Dio entra in comunione di vita con l’uomo. Sono anche profondamente attirati dal primato della carità - in Dio, che è amore, e nella vita di fede, che è vita nella carità - e dalla libertà di cui i “figli” di Dio godono grazie alla redenzione di Cristo (liberati dal giogo della legge),
Per i buddisti autentici l’elemento fondamentale su cui far leva è quello della compassione, che è centrale nel buddismo, ma che offre la possibilità di sviluppare affinità con la fede cristiana. Gli stessi vangeli ci mostrano spesso Gesù “mosso a compassione”, e Gesù stesso è la “compassione” del Padre per l’uomo. Condividere la vita umana per redimerla è l’espressione più alta e concreta della “compassione” di Dio che si fa prossimo all’uomo per liberarlo.
Anche il concetto di liberazione è fondamentale sia per il buddismo sia per l’hinduismo: liberazione dal ciclo delle rinascite, dalla sofferenza, dalle passioni, dai peccati. Può dunque costituire il punto di partenza per innestare l’annuncio del mistero di Cristo come la risposta al desiderio di liberazione. Naturalmente queste piste di annuncio devono fare i conti con la complessità delle altre religioni che offrono risposte diverse, cui è sottesa una diversa visione dell’uomo e del divino. Il buddismo è fondamentalmente una via di autosalvazione, per cui sul piano concreto bisognerà puntare sull’idea di liberazione, ma anche sull’esperienza della nostra personale insufficienza a raggiungerla. che apre la strada al discorso su Dio e sulla sua opera salvifica e liberante in Cristo.
Si tratta di piste di dialogo certo non semplici, che ci introducono però all’esigenza di testimoniare il Cristo in modo comprensibile tenendo conto delle esperienze culturali e religiose altrui, secondo itinerari che lo stesso magistero e la teologia delle religioni ci invitano a percorrere. La sfida sta nel tentarne con intelligenza la sperimentazione concreta.
(da Vita Pastorale, aprile 2006)