“Carissima Chiara, condivido la tua convinzione che lo sviluppo e l’evoluzione delle malattie subisce forti influssi da parte del cervello delle persone ammalate. In particolare questo è vero quando si tratta di patologie nelle quali è coinvolto il sistema immunitario come appunto la XXX. Ne consegue che nella storia della tua malattia ha certamente influito l’atteggiamento “attivo” da te sempre mantenuto nel contrastarne la progressione….
La tua fiducia tanto volitiva da apparire talvolta caparbia, indipendentemente dal quale ne sia la fonte (la fede in un Dio misericordioso, il tuo forte carattere, la tua formazione o altro), secondo il mio modesto parere di medico curante ha senza dubbio contribuito a migliorare la prognosi inizialmente pessimistica dell’illustre immunologo (un’aspettativa valutata al di sotto dei dieci anni) che per primo confermò il mio sospetto clinico… Non so se fede e volontà possano effettivamente modificare l’attività del sistema immunitario tanto da alterare l’evoluzione naturale di malattie come la XXX, posso comunque testimoniare che l’evoluzione della tua malattia è stata fortemente condizionata dal tuo modo di affrontarla”.
Con queste parole dello specialista che l’ha seguito fin dagli inizi della malattia vent’anni prima, termina il libro di Chiara M. (Crudele, dolcissimo amore, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2005) in cui l’autrice presenta, attraverso stralci dai suoi diari e brani di lettere scritte a diversi amici (tra cui spicca Chiara Lubich), la vicenda drammatica e luminosa dell’insorgere e aggravarsi di una rara malattia sempre vissuta nella fede cristiana e con fiducia verso il futuro.
Un libro che costituisce una testimonianza di fede preziosa capace di dare conforto e speranza a chi vive situazioni di malattia che conducono a grave forme di disabilità, ma anche e soprattutto una lezione di fede e di essenzialità verso chi è in buona salute.
E le parole finali del medico curante pongono l’accento sull’impatto che la fede può avere nel decorso di una malattia. Ora, che il ”fattore fede” (si tratti semplicemente di fede-fiducia nella medicina, nel metodo terapeutico usato, nel personale medico curante o di fede religiosa) intervenga nel processo di guarigione di una persona è asserito in ambito medico soprattutto là dove si attua un approccio olistico alla malattia in cui il medico e il personale curante si aprono anche al mondo spirituale e psichico del paziente e tengono conto del rapporto di interazione mente-corpo. Allora si può vedere come il “fattore fede” possa intervenire nella guarigione del paziente o in una prolungata remissione della malattia o in una sopravvivenza molto più lunga rispetto a quella deducibile dalle statistiche o ipotizzata inizialmente dai medici.
Quanto al rapporto tra fede e guarigione, gli stessi racconti evangelici delle guarigioni operate da Gesù presentano una struttura dialogica in cui Gesù non guarisce in modo magico, ma sempre costruendo una relazione autentica con il malato o con colui che intercede per il malato, sicchè l’uomo non è mai puramente passivo in queste narrazioni, ma opera in sinergia con Gesù con la fede e la preghiera. Questo è talmente vero che alcuni di questi racconti, come la guarigione della figlia della donna straniera (una sirofenicia in Marco 7,24-30, una Cananea in Matteo 15,21-28) autorizzano la domanda: chi ha compiuto il miracolo e chi ha creduto?
In Mc 7,24-30 Gesù, di fronte a una donna sirofenicia che lo supplica di guarire la figlia, reagisce ricordando alla straniera che l’economia della salvezza conosce la priorità di Israele sulle genti. “Prima” Israele, poi le genti: “Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”. La donna riprende logica e immagini di Gesù, operando però una variante che spiazza Gesù stesso e che si rivela vincente. Poiché sul piano dei tempi della storia di salvezza (prima i giudei, poi i pagani) la donna non ha alcuna possibilità di vittoria, ella, riprendendo la parola di Gesù sui cagnolini sposta la questione sul piano dello spazio delle genti: “I cagnolini sotto la tavola”. La donna mostra il suo rispetto per il piano di salvezza, accoglie le parole di Gesù (anche quella sui “cani”, termine applicato in ambiente giudaico alle genti) e, con umiltà, sposta il discorso sul terreno dello spazio che appartiene alle genti. A quel punto Gesù sposa le parole e il comportamento della donna e, dichiarandosi vinto, le annuncia la guarigione della figlia a causa della parola che lei stessa ha pronunciato. La redazione di Matteo (15,21-28) sottolinea l’ostinazione della donna che non si scoraggia di fronte al rifiuto di risponderle anche una sola parola da parte di Gesù, poi al fastidio che provoca nei discepoli, e infine alle parole di Gesù che sembrano escludenti e senza speranza per lei. Ma è Gesù che deve poi arrendersi e riconoscere la grandezza della fede della donna: la testardaggine si è rivelata segno di fede grande, coraggiosa e perseverante. La guarigione avviene conformemente alla volontà della donna (“Ti avvenga come vuoi”). Quasi che Gesù dicesse: “Sia fatta la tua volontà”. Anche qui sorge la domanda: a chi va attribuita la guarigione? Chi la compie?
Ora, secondo questi racconti evangelici la fede comporta alcuni elementi.
La volontà di guarire. Il desiderio di vivere e l’atto di concentrare le proprie energie interiori e spirituali verso questo fine è un elemento spesso attestato nei racconti di guarigione. La volontà di vivere non è un’astrazione teorica, ma una realtà anche fisiologica che possiede caratteristiche terapeutiche.
La collaborazione per guarire. Nelle guarigioni di Gesù è sempre attiva la sinergia tra malato e Gesù. In Mc 8,22-26 questa collaborazione è plasticamente espressa: il cieco si lascia condurre fuori dal villaggio, si lascia mettere la saliva sugli occhi, risponde alle domande che Gesù gli pone, accetta la ripetizione dei gesti terapeutici. Insomma si lascia prendere per mano da Gesù (Mc 8,23).
La preghiera. La preghiera (si pensi soprattutto ai Salmi) come protesta e invocazione, come espressione di speranza o grido di angoscia che crede e cerca un interlocutore capace di intervenire, è passo importante di guarigione, esprime la volontà di non darla vinta al male, è reazione vitale e atto in cui si nomina ciò che sta avvenendo alla propria vita e lo si porta davanti a Dio.
L’abbandono fiducioso. Rimettersi al Signore in un abbandono fiducioso e sereno (cf. Sal 131; Rm 8,35) comporta l’accettazione di sé e la gratitudine per il Signore, e questo diviene forza vitale nel credente: “Per avere un effetto risanatore, la fede deve essere un abbandono fiducioso alla provvidenza di Dio” (Karl Rahner).
Credere anche quando tutto sembra perduto. La fede cristiana, che crede la resurrezione dai morti e confessa il Crocifisso-Risorto quale salvatore del mondo, è forza capace di traversare le tenebre, è luce nelle tenebre. Si può applicare alla fede e alla sua forza terapeutica quanto fu scritto da una vittima della shoah: “Credo al sole anche quando non brilla, credo all’amore anche quando non si mostra, credo in Dio anche quando tace”.
L’intercessione. La fede degli altri, di coloro che portano il malato a Gesù o pregano Gesù perché guarisca il malato sono un elemento che interviene con efficacia nei racconti evangelici e che mostra come la struttura dialogica dei racconti di guarigione sia la struttura stessa dell’amore. E che la forza della fede è nell’amore che la abita e la muove.
Tra guarigione e fede
Ora, il rapporto tra fede e guarigione è attestato esplicitamente più volte nei vangeli: Mc 9,23-34 (prima della guarigione del ragazzo epilettico Gesù dice al padre del ragazzo: “Tutto è possibile a chi crede” e questi risponde: “Credo! Aiuta la mia incredulità!”); Mt 15,28 (alla donna Cananea che lo supplica di guarire sua figlia, Gesù dice: “O donna, la tua fede è grande”); Mt 8,13 (la guarigione del servo del centurione è preceduta dalle parole di Gesù: “Và, ti avvenga come hai creduto”); Mt 9,22 (la guarigione della donna emorroissa è accompagnata dalle parole di Gesù: “Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata”); Mt 9,28-29 (a due ciechi che lo supplicano Gesù chiede: “Credete che io possa fare ciò?” ed essi rispondono: “Si, Signore”; e Gesù a loro: “Avvenga secondo la vostra fede”); Lc 17,19 (al lebbroso che, vistosi guarito, torna a ringraziarlo, Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato”).